Di turisti ed indigeni

Dopo qualche anno durante il quale ho frequentato l’isola di Giannutri non posso certo affermare di conoscere tutti i residenti dell’isola.

Ho comunque elaborato un metodo infallibile per distinguere i turisti dagli indigeni.

I turisti li riconosci dal fatto che sono perennemente di corsa e costantemente a caccia. A caccia del migliore spicchio di scoglio, del minuto in più da trascorrere sull’isola, dell’ultimo tramezzino offerto dall’unico esercizio presente sull’isola. E’ come se dovessero fare il pieno di cose ed emozioni durante quelle poche ore che gli vengono concesse sull’isola.

Gli indigeni sono invece caratterizzati dalla lentezza. Sanno che comunque dopo poche ore l’isola tornerà loro e potranno fare tutto quello che desiderano senza l’affanno di dovere risalire su un traghetto che li riporta sulla terraferma.

Esiste comunque un momento nel quale anche il comportamento indigeno si approssima a quello del turista. Quel momento in cui anche l’indigeno deve abbandonare l’isola perché le vacanze sono finite. In quel momento egli si trasforma in una scheggia impazzita che lo avvicina del tutto al comportamento del turista.

Gli unici che rimangono imperturbabili sono gli undici residenti fissi dell’isola. Loro sanno che da Settembre in avanti saranno gli unici padroni delle chiavi del paradiso.

Il grande amore muore

Negli ultimi anni sono diventato un grande cultore del genere letterario comunemente denominato Romanzo Giallo.

Negli ultimi anni ho letto centinaia di romanzi gialli, di ogni tipo e varietà. Tendo a prediligere gli scrittori Italiani dato che trovo che gli stranieri hanno un gusto particolare per il truculento sanguineggiante.

La struttura di un romanzo giallo è sufficientemente codificata e, pensandoci, deve essere proprio questo il motivo per cui questo genere mi piace particolarmente. Qualsiasi ispettore, vicequestore, pubblico ministero, investigatore privato ha sempre al suo fianco una musa ispiratrice che rappresenta la persona da cui ci si rifugiano per rifuggire il male che li circonda, che gli è fonte di ispirazione nella soluzione dei loro casi e, non ultimo, che è il grande e unico amore della loro vita.

Gli autori spendono pagine e pagine per caratterizzare questo personaggio che non è affatto secondario all’interno del libro e io confesso che spesso mi ci affeziono. Mi ritrovo spesso ad augurarmi che il personaggio principale torni a casa per recuperare un pochino di fiato e ottimismo nei confronti della vita.

Ultimamente noto una tendenza che conduce gli scrittori a fare in modo che questo personaggio venga più o meno barbaramente ucciso.

Ora, io posso capire che l’autore ha il completo potere nei riguardi della sua trama e che ovviamente fare morire in maniera crudele un personaggio tanto importante, spesso nel primo romanzo di una serie, permette di posizionare il personaggio principale in un abisso tenebroso per il resto della sua vita di carta. Io lo accetto.

Comunque mi preme farvi sapere che io ci rimango un pò male.

Smettere di fumare

Una delle cose che capita con regolarità a Giannutri è che si smette di fumare.

Diciamo che si sono diversi elementi che contribuiscono ad agevolare il distacco dalla sigaretta.

In primo luogo il fatto che a Giannutri si vive per lo più in uno stato di grazia. Completamente disconnessi dal mondo reale, senza telefoni che suonano o notifiche che interrompono il flusso dei tuoi pensieri. Non ci sono auto e clacson a distrarti. Non ci sono appuntamenti che possono sottrarre tempo prezioso al tuo ozio. Tutto questo fa in modo che tu possa finalmente dimenticarti della tua routine e di tutto quelle che gravita intorno ad essa e che, generalmente, la complica.

Senza pressione lo stimolo psicologico di rifugio nel tabacco viene a mancare. Non hai più bisogno di quei tre minuti che ti allontanano da tutto e da tutti. 

Il secondo elemento che aiuta a superare la dipendenza da tabacco è il fatto che a Giannutri è del tutto irreperibile. Non c’è un tabaccaio a Giannutri e se vuoi delle sigarette le devi ordinare a terra il giorno prima. Questo ovviamente ti permette di superare quel fatidico momento della durata di due minuti durante il quale rapineresti un pensionato per avere una sigaretta ma che, superata la crisi, ti fa anche dire ‘sticazzi’.

Vero è che si potrebbe anche elemosinare qualche cicca tra i residenti dell’isola nel tentativo di mitigare la crisi di astinenza. Diciamo che dopo anni passati a farsi accettare dai locali questo gesto potrebbe avere conseguenze letali sul mio livello di accettazione sociale.

Tutto questo per dire che sono otto giorni che non fumo.

Barchette, reprise

Il fatto di avere una piccola barchetta che ti permette di raggiungere angoli di paradiso aggiuntivi rispetto al paradiso principale è un grande vantaggio.

Questa è anche l’occasione buona per osservare coloro che di barche hanno maggiore dimestichezza rispetto al sottoscritto.

Diciamo che nella media delle barche che ci circondano la nostra è l’equivalente di una macchinetta con la targa del motorino. Si vedono circolare barche meravigliose qui intorno. Dai grandi cabinati ai due alberi a vela, dal gozzo restaurato al gommone superattrezzato.

Ci sono comunque alcuni comportamenti che non mi spiego:

  • Sembra che le donne siano in grado di operare solo l’ancora, ovvero lavorano quasi solo ed esclusivamente a prua. Vero è che l’ancoraggio è fondamentale ma mi pare un pò pochino.
  • L’uomo generalmente sta al timone e non raramente viene tacciato di incapacità dalle signore che operano l’ancora. Lui, generalmente, tace.
  • Più grande è la barca più fai casino per ormeggiare e maggiore è il numero di persone che infastidisci.
  • Se hai una barca grande con un enorme ponte sul quale prendere il sole, comunque andrai a catturare l’abbronzatura su un gommone fuori bordo comprato dai cinesi.
  • Questo sono io: minore è la tua comprensione delle arti marinare, maggiore è il tempo che trascorrerai nel comprendere la dinamica e la fisica dell’ancoraggio.

Ad ogni modo ho scoperto un altro mondo affascinante con delle dinamiche sociali di tutto rilievo.

Status symbol

Oramai sono abbastanza integrato nelle dinamiche sociali di Giannutri e comincio a raccogliere le prime confidenze e pettegolezzi.

In questi ultimi anni lo status symbol necessario per essere parte dell’élite dell isola è cambiato.

Un tempo, mi dicono, era la barca. Più grande era la barca, più alto il tuo potenziale prestigio.

Ora il nuovo must è avere la macchina. Si la macchina. Uno di quegli aggeggi che hanno quattro ruote, un volante ed un motore. Una macchina vera e propria in un’isola di 2,6 chilometri quadrati e credo un massimo di 1,5/2 chilometri di strada percorribile da una automobile.

Davvero, la barca potevo riuscire a comprenderla, ma la macchina davvero non la capisco.

I più tradizionalisti sull’isola rifuggono la moda e pare che frange oltranziste si stiano organizzando. Non più tardi di qualche giorno fa un ignoto vandalo ha tagliato le quattro gomme dell’auto di un residente. Tutti ora si domandano chi possa essere il guerrigliero responsabile della azione di sabotaggio. 

Alcuni pensano anche a mercenari assoldati dalla Corsica. Ex legionari al soldo della frangia più conservatrice della identità culturale dell’isola.

Pare non ci si sia rivolti alle forze dell’ordine. 

Ho il sospetto che ci si stia alleando con il Principato di Seborga per ottenere l’indipendenza dalla Repubblica Italiana.

La barchetta

Nonostante Giannutri sia sempre un paradiso quest’anno abbiamo deciso di affittare una barchetta. Niente di eclatante. Un Boston Whaler di 4 metri con un motorino da 15 cavalli che consuma poco e fa il suo dovere.

Devo confessare che non ne ero del tutto convinto ma ogni traccia di dubbio è scomparsa dal secondo giorno alla fonda in una delle calette vicino a Cala Spalmatoio.

Il silenzio che ti circonda, il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli e lo sciabordio sullo scafo sono veramente impagabili.

Oltre a questo mi sono anche procurato una maschera graduato così che dopo secoli ho la possibilità di vedere davvero che cosa c’è la sotto invece di intuirlo.

Potrei passare delle ore a galleggiare osservando la vita sotto il pelo dell’acqua. Le occhiate che si muovono in gruppi, qualche orata solitaria, altri pesci che ti si avvicinano mentre nuoti. Certo non è un mare tropicale ma poterlo finalmente vedere è un soffio di vita in più.

E dopo tutto questo puoi addormentarti sui cuscini e riposarti come non hai mai fatto. Lontano anche dagli schiamazzi dei turisti che rimangono a terra quando ti muovi dal porticciuolo.

E la sera, quando ti sdrai nel tuo letto, il tuo cervello si ricorda ancora del cullare delle onde e ti fa credere di essere ancora lì.

Giannutri è sempre una vacanza abbastanza “estrema” ma ne vale sempre la pena, nonostante tutto.

La pesca è rilassante

Con l’occasione di questa ennesima vacanza a Giannutri e con l’età oramai abbastanza matura dei ragazzi ho deciso che quest’anno si poteva provare nuovamente ad andare a pesca.

Stiano tranquilli i vegani, i vegetariani, gli animalisti e qualsiasi altra categoria “in between”. Io sono un pescatore innocuo. Non ho mai davvero pescato nulla, nemmeno per errore. La cosa più vicina per me al pescato è il la pescheria del supermercato. In genere faccio pochi danni anche lì.

A me della pesca piace il fatto che te ne stai per ore ad osservare un galleggiante o la cima di una canna da pesca mentre pensi bellamente agli affari tuoi. Confesso che alcune idee brillanti mi sono venute proprio in questi momenti.

Ho quindi disegnato un parallelo tra quello che era e quella che poteva essere l’esperienza della pesca a Giannutri con Lorenzo e Beatrice.

Diciamo che non è andata esattamente come mi aspettavo.

Mi vedevo sugli scogli a scrutare l’orizzonte mentre ondate di pesci si facevano beffe di me e delle mie esche sotto il pelo dell’acqua. In questo totale assenza di attività io mi sarei crogiolato nei miei pensieri tornando a casa con la tipica soddisfazione di una giornata rilassante.

Diciamo che la presenta di Lorenzo e Beatrice ha leggermente modificato il risultato finale.

“Papà mi si è incagliato l’amo”

“Papà ho bisogno di una nuova esca”

“Papà il mulinello non funziona”

“Papà voglio provare ad usare un galleggiante diverso”

“Papà mi si è rotto il filo”

E questo è solo un distillato di quello che è avvenuto in due ore mezza di pesca dagli scogli.

Si aggiunga a questo il fatto che per evitare danni collaterali li avevo distanziati tra loro di una buona ventina di metri.

Ho quindi fatto il Martin Pescatore per tutto il tempo saltando da una postazione all’altra nel tentativo di aiutarli. In due momenti confesso di avere ceduto ad un pochino di nervosismo che ho cercato di nascondere il più velocemente possibile.

Alla fine si sono divertiti molto ed io credo di avere perso almeno un chilogrammo. Posso anche confermare che non abbiamo arpionato nessuno turista, tutte le natiche sono prive di ami confiscati e tutti gli occhi sono tornati a casa sani e salvi. Sani e salvi sono anche tutti i pesci di Cala Spalmatoio che ogni volta che ci vedranno tireranno un sospiro di sollievo.

Io ora ho bisogno di almeno cinque ore di sonno per potere recuperare.

Aspettate, sento Lorenzo che mi cerca… “Papà torniamo a pesca nel pomeriggio?” “Certo, Lorenzo, ci torniamo. Magari questa volta andiamo al molo”

Una fatica immane ma un divertimento totale.

Work Rules!: Insights from Inside Google That Will Transform How You Live and Lead

In questio giorni di vacanza sto leggendo un libro di Laszlo Bock: Work rules! Insights from inside Google that will transform how you live and lead

Lettura consigliatissima a chiunque debba trascorrere gran parte del suo tempo lavorando in organizzazioni più o meno complesse.

Ultimamente nei miei talk il tema della organizzazione di strutture complesse è diventato sempre più centrale e mi ha stupito molto ritrovare molti dei miei convincimenti espressi tra le pagine del libro.

Evidentemente un altro tipo di organizzazione del lavoro e del suo contesto è possibile.

Al di là della mia attività di speaker c’è un altro aspetto che mi rende particolarmente felice.

Quello che noi stiamo facendo in Sketchin, l’azienda per la quale lavoro, non è affatto molto diverso da quello che viene raccontato nel libro di cui sopra. Certo ci sono sostanziali differenze ma i principi guida sono esattamente gli stessi e credo che questo sia un grande risultato.

Ho collezionato qualche idea che vorrei perfezionare nel prossimo futuro e rendere reale all’interno di Sketchin al nostro ritorno dalle vacanze. Ci sarà l’occasione con Sketchin Restart, un evento interno di 3 giorni a Settembre. Mi piacerebbe davvero avere l’occasione di portare Sketchin ancora un passo avanti rispetto ai passi da gigante che già abbiamo fatto.

Io credo che lo possiamo fare e che ci possiamo anche divertire un mondo durante il cammino.

100 Lire di caramelle al gusto di Coca Cola

All’età di otto anni scoprii che mia mamma aveva un conto aperto al supermercato del paese.

Supermercato per quei tempi era una parola un pochino fuori luogo. Questo era decisamente il negozio di alimentari più grande del paesello ma certamente non potrebbe competere con i supermercati di oggi. Prova ne è il fatto che venne acquisito da Esselunga quando questa decisa di aprire uno dei suoi punti vendita assorbendo il personale del piccolo supermercato.

Ricordo che rimasi particolarmente stupito dal fatto che si potessero avere dei generi alimentari semplicemente dicendo “Me li segni sul nostro conto, per favore”. Ovviamente mi sfuggiva il fatto che alla fine del mese quel conto andasse saldato con soldi veri e non con le parole. Lo imparai più in là negli anni.

Fatto sta che dopo questa scoperta più o meno ogni settimana io ne approfittavo.

Va detto che il supermercato di cui sopra aveva anche un piccolo reparto molto simile ad una drogheria. Agli occhi di un ottenne quello era il paradiso. C’erano caramelle coloratissime, cioccolatini, per i più grandi c’erano i Boeri che ti concedevano anche l’ebbrezza del gioco d’azzardo poichè scartandolo potevi vincerne altri.

Ciò a cui io non potevo resistere erano le caramelle a forma di bottiglia e al gusto di CocaCola. 

Questo è il motivo che mi spinse a delinquere.

Mi avvicinavo alla signora e chiedevo 100 Lire di caramelle al gusto di CocaCola. Con lo guardo basso e colpevole mi avvicinavo alla cassa e proferivo la magica frase “Me li segni sul conto di mamma, per favore”. Dallo sguardo della signora ero perfettamente consapevole del fatto che lei sapesse ma, in qualche modo, siamo diventati complici e non ha mai tradito il mio crimine di bambino.

Data la modestia della cifra neanche i miei genitori si sono mai accorti di nulla ma io vivevo ogni fine del mese con l’infinito terrore di venire scoperto.

Vinto dai sensi di colpa smisi e cominciai ad impiegare parte della mia paghetta settimanale per soddisfare il mio vizio.

Mamma, Papà, sappiate che sono stato io e sono in debito con voi di qualche migliaio di Lire. Purtroppo è un debito che non sarò più in grado di estinguere.

300

I 300 di cui vorrei parlare qui non sono certamente i 300 spartani della battaglia delle Termopili.

Sono le 300 persone che il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano autorizza a sbarcare a Giannutri ogni giorno. Questo, a torto o a ragione, è il numero che è stato stabilito essere corretto per mantenere integro l’ecosistema dell’isola.

Puntualmente quel numero di persone ogni mattina sbarca sull’isola alle 11.00 del mattino e nel primo pomeriggio riparte alla volta di Porto Santo Stefano.

I residenti dell’isola li chiamano “I turisti”, con quella forma di dialogo un pochino elitario che li caratterizza.

Anche Lorenzo e Beatrice hanno cominciato a chiamarli “I turisti”. Evidentemente si sono integrati nella socialità dell’isola molto più velocemente del sottoscritto.

Giannutri è un isola che è grande 2,6 Km2, ed ha coste per circa 8km e mezzo. Di queste coste direi che al massimo un chilometro è raggiungibile a piedi senza rischiare di spezzarsi l’osso del collo cadendo dagli scogli. Ovviamente non ci sono spiagge, se non una piccola spiaggia di una ottantina di metri a Cala Spalmatoio.

1 chilometro sono mille metri. Provate a dividere 1000 metri per il numero di turisti che ogni giorno sbarcano sull’isola e avrete una idea della densità di persone che si trova sugli scogli durante la presenza dei visitatori.

Questo è il motivo per cui durante lo sbarco dei turisti i residenti si rintanano nelle loro abitazioni e aspettano pazientemente che l’isola torni alla quiete che la caratterizza.

Ora, ognuno è libero di spendere il proprio tempo in vacanza come meglio crede. Se desideri spendere una giornata aggrappato agli scogli come un riccio in compagnia di centinaia di altri ricci a me va benissimo.

Quello che mi domando è: perchè lo fai?

Il fascino di Giannutri è talmente grande da spingerti comunque a sopportare qualsiasi condizione? Alla fine mi sono convinto che questa sia la ragione. Una giornata mordi e fuggi in un paradiso è comunque meglio di una giornata in spiaggia a Porto Santo Stefano. Peccato che come te la pensino anche altre 299 persone che trasformano il paradiso in un inferno.

Ecco. La sirena della Maregiglio sta suonando. E’ ora di tornare a casa, caro turista. 

Spero che tu ti sia divertito e che tu abbia avuto cura di raccogliere tutta la porcheria che generalmente lasci in giro dopo che te ne sei andato.

Forse anche io comincerò a chiamarli turisti.

La corsia dell’infamia

Questa mattina all’alba siamo partiti per le vacanze. Abbiamo trascorso cinque solide ore in macchina da Milano a Porto Santo Stefano.

Non mi capita più di viaggiare tanto come una volta ma il comportamento degli automobilisti in autostrada continua ad affascinarmi, in senso negativo.

In particolare non riesco a comprendere il motivo per cui vale il seguente teorema:

Data una autostrada ad n corsie, gli automobilisti tenderanno ad utilizzare solo ed esclusivamente le n-1 corsie alla loro sinistra.

La corsia più a destra non se la fila nessuno. E’ una landa desolata di solitudine e spazi aperti. In questi anni sono arrivato a definirla “La corsia dell’infamia” dato che nessuno la vuole percorrere.

Mi domando quale ne sia il motivo.

Forse dati i potenti mezzi oggi a disposizione anche di una vettura di media cilindrata l’automobilista non la vuole umiliare facendola scorrere in una corsia che dovrebbe essere più lenta.

Potrebbe essere una manifestazione dell’ego del conducente che comunque non si vede relegato nella corsia di destra essendo lui un novello Nuvolari.

Un retaggio della scuola guida i cui dettami hanno ora la stessa forma fumosa di quello che si è imparato a catechismo?

Detto questo io confesso che la corsia di destra la uso e ne traggo enorme soddisfazione.

È ormai la corsia più veloce e che scorre meglio e, da qualche hanno puoi anche superare a destra. Nota bene, superare, non sorpassare come recita il Codice della Strada:

L’art.143 Cds prescrive che sulle strade a due o più corsie si debba circolare sulla corsia libera più a destra. Le inosservanze sono sanzionate con il pagamento di una somma di € 38,00 e la decurtazione di 4 punti.

La manovra di colui che circolando sulla corsia centrale trova l’ostacolo di un veicolo ed effettua il sorpasso a destra è sanzionato dall’art.148, comma 15, Cds con la somma di € 74,00 e la decurtazione di 5 punti. Se la manovra di sorpasso a destra è ripetuta nell’arco di due anni, si applica anche la sospensione della patente da 1 a 3 mesi.

La manovra di colui che prosegue la marcia sulla corsia di destra, nonostante la presenza di veicoli sulla corsia o sulle corsie di sinistra, non integra la manovra di sorpasso a destra, ma solo quella di superamento da destra che non è sanzionata.

Nonostante questo c’è chi suona, chi rabbiosamente lampeggia con gli abbaglianti ed uno che mi ha inseguito, tempo fa, fino in una area di servizio accusandomi di delitti contro l’umanità. A questo signore ho suggerito un ripassino del codice della strada o, in alternativa, una veloce ricerca su Google.

Viva la corsia dell’infamia! Adotta una corsia anche tu!

Tendenze

Sono diversi anni che ho il privilegio di assistere diverse grandi aziende nelle loro iniziative di evoluzione nel mondo digitale.

Soffro di una naturale ritrosia nel chiamare questa attività Digital Transformation.

Ammetto di rimanere sempre molto sorpreso nel constatare la naturale tendenza che queste aziende hanno nel complicarsi la vita quando si parla di processi aziendali.

E’ come se la qualità del loro lavoro e, conseguenza, l’esistenza stessa della loro posizione sia legata alla complessità di gestione degli aspetti di pura operatività.

Questo fa di loro dei criceti.

Bisognerebbe smettere di fare i criceti in cattività e salire un pochino sulla scala della catena alimentare.

Si diventerebbero molto di più, il loro posto di lavoro sarebbe maggiormente al sicuro ed i loro clienti sarebbero molto più’ felici.