Il gruppo della caserma

Io sono molto affezionato al tempo che ho trascorso facendo il mio servizio militare. Era il 1989 e per un anno sono stato ospite del 26º Reggimento di Fanteria “Bergamo” di stanza a Diano Marina.

E’ stato un anno in cui ho imparato moltissimo. Uscendo dall’ambiente universitario ho avuto modo di rendermi conto di quanto fossi stato fortunato ad avere la possibilità di studiare. (Non ci siete più ma, grazie mamma, grazie papà)

Ero un furiere. Un furiere in un centro addestramento reclute. Da noi ogni mese o poco più passava un migliaio di ragazzi che sarebbero poi stati inviati ai rispettivi reparti di destinazione una volta terminato l’addestramento base.

Io ero convinto che si fosse tutti all’università. Tutti i miei amici frequentavano l’università e avevo solo una piccola percezione di quanto vasta, e diversa, fosse la realtà.

Facevo statistiche. Scoprii che il numero di laureati era inferiore a quello degli analfabeti. Ho conosciuto persone che non parlavano Italiano ma solo il loro dialetto. Ho incontrato ragazzi che avevano preso il treno per la prima volta per arrivare in caserma. C’erano persone che non eseguivano gli ordini semplicemente perchè non erano in grado di capire quello che gli stavi dicendo.

Ho avuto la fortuna di avere degli ufficiali che, nella loro formalità, mi hanno permesso di comprendere alcuni meccanismi e dinamiche che avrei poi ritrovato nella vita reale, nel mondo del lavoro.

E’ stato un grande bagno di umiltà di cui, sinceramente, ringrazio lo Stato Italiano.

E’ stato un anno perso? Forse sotto certi aspetti.

E’ stato un anno utile? Moltissimo sotto altri aspetti.

Ovviamente su Facebook c’e’ il gruppo formato da tutti coloro che negli anni hanno frequentato la caserma. Ormai su Facebook c’è un gruppo per ogni evento o trascorso.

Io mi ci sono iscritto perchè ogni tanto mi piace ricordare quell’anno attraverso le fotografie ed i racconti delle altre persone che hanno speso un anno della loro vita nello stesso posto nel quale io ho speso il mio.

C’è solo un tipo di post che non riesco a farmi piacere. I post per “uomini veri”, o supposti tali. Cose del tipo “Solo chi ha guidato un ACM è un duro, un massiccio ed un vero uomo”. Davvero, nel 2017?

Ora a parte che io non ho mai guidato un ACM in vita mia ma mi sento un discreto esemplare di uomo. Non vero o finto, non duro o molle, massiccio poi non ne parliamo. Ma davvero dobbiamo misurarci con questi parametri per stabilire se uno è un uomo o no. E poi, è davvero strettamente necessario misurarlo? Io nemmeno negli spogliatoi della palestra mi sono mai misurato.

Giocattoli moderni

Rispetto a quando ero bambino oggi c’è una varietà enorme di giocattoli per i miei bambini. Nel paese in cui vivevo c’era un unico negozio di giocattoli e, per quanto grande, la varietà era molto modesta.

Oggi ci sono giocattoli fantastici. Cose che mi sarebbe davvero piaciuto avere nella mia dotazione di bambino.

C’è una differenza fondamentale rispetto ad allora: la durevolezza.

I giocattoli che avevo io da bambino duravano una eternità. Non si rompevano praticamente mai nonostante le sollecitazioni che ricevevano. L’unico oggetto che ricordo si rompeva con estrema facilità era il mio Big Jim. Ve lo ricordate? Era quel giocattolo con un grosso bottone sulla schiena che, quando premuto, simulava una mossa di karate. In quel gioco la giuntura tra la gamba ed i fianchi era snodabile ma debolissima. Credo di averne rotti diversi in quello specifico punto.

I giocattoli di oggi sono caratterizzati da due elementi.

Il primo è che sono costruito con una attenzione totale al risparmio sulla fattura. Decono costare poco altrimenti non si vendono. La conseguenza è che la vita media di questio giocattoli è brevissima.

Il secondo elemento è che quando ti trovi davanti a dei giochi che prevedono materiali di consumo come ad esempio la penna 3D questi sono progettati per non essere riutilizzati. Terminato il ciclo d’uso li devi buttare via e comprarne un altro se desideri continuare a giocare.

Questo è lo stato delle cose ma non mi piace affatto. Tutti tendono alla gratificazione istantanea e ti abituano ad un consumo continuo e velocissimo. Diciamo che non sono proprio il genere di messaggi che tu vorresti proporre ai tuoi figli.

A tutti questi giochi si affianca comunque un brand che invece è assolutamente indistruttibile: i modelli di Bruder. Questi giocattoli sono fantastici e durano secoli.

Ecco, questa marca si avvicina decisamente al mio ricordo di giocattolo.

La cantina

Ho avuto la fortuna di crescere in una belissima casa. La villa dei miei genitori nel piccolo paese in cui vivevamo era unica nel suo genere. Era stata progettata interamente da papà e ne aveva davvero curato ogni piccolo dettaglio.

Non era il classico parallelipedo così comune nei paesi come il nostro. Aveva una geometria veramente particolare ed io la ho amata moltissimo.

Avevamo un grande giardino che papà curava con certosia attenzione. Le piante erano una delle sue grandi passioni. Quando ero piccolo papà viaggiava molto. Brasile, Iran, Giappone, Corea e tanti altri posti che allora mi sembravano così esotici e pieni di potenziali avventure. Ogni volta che tornava da un viaggio portava con sè dei semi o delle piante che in Italia ed in Europa non si trovavano. Cosa che oggi sarebbe impossibili dati i regolamenti esistenti. Allo stesso si serviva di una azienda Belga che gli forniva bulbi e piante introvabili in Italia. Questo fece sì che il nostro giardino fu uno dei più esotici del paesello.

In quella casa c’era una cantina piuttosto grande. Era il posto in cui papà teneva i suoi attrezzi da lavoro. Dalla piccola carpenteria ai saldatori, cacciaviti e lenti di ingrandimento, una quantità infinita di minuteria meccanica. Fu il mio paradiso per tantissimo tempo. Credo che la mia passione di capire come funzionano le cose smontandole nacque proprio grazie a quella cantina.

Lì sotto ho smontato praticamente ogni cosa che si potesse smontare e ho passato tantissimo tempo costruendo cose, spesso senza senso, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Allora non c’era Internet e ricercare informazioni era una cosa difficile e oltremodo lenta. Anche il mio inglese comincia a migliorare da allora. Alla ricerca continua di informazioni per creare qualcosa di nuovo.

Quella casa oggi non è più nostra e quando ho firmato il compromesso insieme ai miei fratelli ho detto ai nuovi proprietari: spero che in questa casa siate felici quanto lo sono stato io.

Non ne hanno fatto ancora nulla e la villa sta andando in rovina. Questa, però è un’altra storia.

Oggi vivo in una casa grande e molto bella. Purtroppo non ha quella cantina e non ha uno spazio che possa essere considerato simile.

Ecco, quello spazio mi manca moltissimo. Così come mi manca potere raccontare dei miei progetti farlocchi a mio padre.

Las Vegas

In questi giorni si tiene a Las Vegas il Consumer Electronic Show, una delle più grandi fiere dell’elettronica di consumo.

L’evento si tiene a Las Vegas e devo ammettere che non esiste città migliore per ospitare un evento di questo genere. Ad un Europeo Las Vegas appare come un continuo susseguirsi di cose di poco senso.

Las Vegas è una città che ho frequentato molto. In parte per via del CES, in parte perchè era la sede in cui si tenevano gli eventi di una azienda per cui ho lavorato per una decina d’anni.

Sono sempre rimasto esterrefatto dall’entusiasmo che i miei colleghi americani dimostravano per questa accozzaglia di artefatti copiati da tutto il mondo, dal mondo delle favole o dai miti del passato.

Una città in cui tutto mi sembrava finto ed artificiale. Quel microclima e quegli ambienti costruiti per rendere il giorno uguale alla notte. Il modo migliore per tenere incollate le persone alle slot machines o costringerle a vagare all’interno di un casinò come se il tempo si fosse fermato.

Una città strana, quasi un non luogo.

Per certi versi è una città stupefacente in termini di accoglienza. Ci sono posti in cui puoi ospitare migliaia di persone per farle assistere ad un unico evento. La prima volta mi stupii di queste enormi ballroom piene di sedie, una fila dopo l’altra. Mi sono abituato in fretta a queste dimensioni.

Mi piaceva osservare. Mi sono ritrovato ad osservare lavoranti travestiti da centurioni che fumavano una sigaretta nel parcheggio di un albergo. Ho visto spogliarelliste uscire dai locali patinati in cui ballavano vestite in tuta e felpa. Ho osservato la quantità di lavoro necessario dietro le quinte per rendere tutto così splendente agli occhi dei turisti.

Per tenere insieme un artificio come quello c’è bisogno di tanto sudore, ma deve essere sudore che non si vede altrimenti il sogno dorato si infrange.

C’è la promessa di sbancare un casinò e tornare a casa con un assegno che ti risolve la vita. Durante un viaggio aereo verso Las Vegas da New York mi capitò di avere di fianco una persona che si occupava dell’industria dei casinò. Mi ha raccontato di come tutto si costruisce per trattenere i clienti all’interno dell’edificio. Vieni servito di cibo e bevande davanti alle slot machines od ai tavoli da giochi non perchè si desideri prendersi cura di te ma perchè devi continuare a spendere il tuo denaro senza distrazioni. La casa non perde mai, il bilancio è sempre a sfavore del giocatore.

Io gli dissi che ogni tanto si legge di qualcuno che torna a casa con una grande vittoria e lui mi disse una cosa che mi colpì molto: è vero, ma è gente che non è abituata al denaro e finisce sempre male. Credo che avesse ragione.

E’ la città dell’eccesso. In generale gli Stati Uniti sono una nazione di eccessi ma Las Vegas è particolare. Prendete ad esempio le porzioni dei ristoranti. Sono enormi. Io non credo di essere mai riuscito a finire un piatto in un ristorante di Las Vegas. Nemmeno quando ero un trentenne in forma e dal grande appetito.

E’ una città in mezzo al deserto. Costruita dove il buon senso avrebbe suggerito di non farlo. Eppure sta lì e le sue luci si dice si vedano dallo spazio.

Quasi quasi ne sento la mancanza.

Pensare una presentazione

In questi ultimi tre giorni mi sono dovuto dedicare alla stesura di un documento importante per un nostro cliente. Ovviamante, come spesso accade, il documento in questione doveva avere la forma di una presentazione.

Quando mi trovo di fronte a questo genere di attività io mi trovo sempre in difficoltà. Non si tratta di una difficoltà nel produrre il documento in sé e per sé dato che si tratta di argomenti che ormai maneggio da anni. Si tratta proprio dell’atto fisico di creazione del documento, della presentazione in questo caso specifico.

Io non riesco ad iniziare a scrivere il documento fino a che non riesco a visualizzarlo completamente nella mia testa. Mi riesce assolutamente difficile riuscire a cominciare ad esprimere concetti in forma di bozza per poi rimaneggiarli mentre il documento evolve.

Almeno nella sua forma ad alto livello la storia deve essere già formata nelle sue parti e nella sua sequenza nel mio cervello. Se non faccio così impiego secoli ad arrivare a qualcosa di compiuto.

Questo è anche il motivo per mi capita spesso di liquidare il mio luminoso leader, alias Luca, dicendogli che devo “fare girare” qualcosa prima di parlargliene.

L’effetto si manifestava anche quando dovevo scrivere del codice o lavorare su un algoritmo. Sino a che non funzionava nella mia testa non scrivevo una riga di codice.

Polizia stradale

Questa sera stavo guidando verso casa. Guidavo a velocità molto moderata, diciamo intorno agli ottanta chilometri orari mentre mi trovavo in tangenziale.

Data la mia velocità mi trovavo nella corsia dell’infamia, ovver la corsia più a destra.

Il traffico era poco e molto scorrevole tanto che la corsia alla mia sinistra era praticamente vuota cosà come lo era la corsia che stavo percorrendo.

Vedo nello specchietto una Mini che si avvicina sulla corsia di sorpasso e lentamente mi sorpassa. Dietro di lei una macchina della polizia stradale che la segue ad un paio di centinaia di metri di distanza.

La Mini passa e continua a rimanere nella corsia alla mia sinitra ad una velocità di circa novanta chilometri orari. Ovviamente non andava più veloce perchè tallonato dalla macchina della polizia.

Io mi stupisco del fatto che non si sposti nella corsia di destra dato che è assolutamente libera il che, ovviamente, è una infrazione del codice stradale. Non faccio in tempo a fare passare questo pensiero che la macchina della polizia accende i lampeggianti, accelera ed intima alla Mini di accostare.

Ecco, vedi, la corsia dell’infamia non è poi così male.

 

L’incubo dei cavi

In questi giorni sono passato alla nuova generazione di MacBook Pro. Sì, quella versione da 15″ con la tanto discussa touchbar.

Ho avuto la pessima idea di clonare il mio vecchio Mac usando Time Machine ed una connessione WiFi. Il tutto è risultato in una operazione che è durata 18 ore suonate. Decisamente troppo anche se si è trattato di un errore mio. Avrei dovuto scegliere una operazione più veloce.

Oltretutto il mio caso era macchinoso dal momento che, per colpa di Luca, su questa macchina gira sempre l’ultima versione beta del sistema operativo. Lo so, lo so. Un errore usare un sistema operativo beta su una macchina di produzione ma che ci volete fare, non riesco a resistere. Per questo ho dovuto prima aggiornare la macchina all’ultima versione del sistema operativo beta prima di potere procedere alla operazione di ripristino. Questo ha aggiunto un’altra ora buona alla già lunga operazione di ripristino.

Finalmente mi sono ritrovato con una macchina che era la copia speculare della precedente e questa è una gran cosa.

A questo punto il nuovo sitema era pronto.

Piccolo particolare. Tutte le connessioni sono USB-C. Tutti i miei cavi sono Thunderbolt oltre ad avere usato la connessione nativa HDMI.

Comincia il festival di ricerca della soluzione migliore.

Vediamo cosa serve:

  • Tutti i clienti hanno sistemi di proiezione HDMI o, nel caso peggiore, VGA. Questo implica la necessità di avere i due distinti cavi dedicati HDMI e VGA per la modica cifra di 59 Euro più 59 Euro. Al momento non ci sono altre alternative per la connessione VGA.
  • Devo potere riutilizzare i miei vecchi accessori e periferiche USB come ad esempio Ableton Push, hard disk USB ed altre cosette. Per fare questo hai necessità di un cavo che trasformi USB-C in USB tradizionale. Sommiamo altri 9 Euro al totale.
  • Ho bisogno anche di un altro alimentatore. La mia schiena comincia a soffrire e non voglio fare avanti e indietro dallo studio con l’alimentatore nella borsa. Vero, questo si potrebbe evitare ma, per me, è necessario. Alimentatore da 87W per Macbook Pro per un importo pari a 89 Euro.
  • Sorpresa. Il nuovo alimentatore non contiene il cavo che lo collega al MacBook Pro. L’alimentatore da solo non serve ad un tubazzo se non hai anche il cavo. Anche in questo caso non voglio portarmi appresso il cavo perchè tanto sono sicuro che me lo dimenticherei sempre da qualche parte. Cavo di connessione per un importo di 25 Euro.

Quindi per tornare alla connettività che avevo prima ho dovuto sborsare la modica cifra di 241 Euro che sono circa il 7% del valore della macchina con la mia configurazione.

Cara Apple, io capisco il passaggio ad una nuova tecnologia e sostengo a spada tratta il fatto che il cambiamento sia sempre una cosa di valore ma, sinceramente, questo mi sembra un pochino eccessivo.

E per fortuna che, recentemente, hanno anche abbassato i prezzi dei cavi.

Apple haters siete liberi di insultare e sostenere il ritorno al magico mondo Microsoft. Non parlo di Linux perchè Adobe ancora non ci offre la possibilità di avere la suite su quella piattaforma e per noi la suite Adone è strumento fondamentale.

 

Tempo rimanente…

Pensiamo ai progressi che l’informatica ha fatto negli ultimi dieci anni. Sono stati raggiunti traguardi impensabili solo qualche tempo addietro. Oggi abbiamo sistemi poco più grandi di una carta di credito che sono in grado di riconoscere i nostri volti. Ci sono sistemi in grado di prevedere i nostri comportamenti con preoccupante precisione. Siamo stati in grado di creare autoveicoli che si guidano da soli grazie ai programmi che sono stati sviluppati.

Nonostante tutti questi progressi c’è un’area nella quale ancora non siamo in grado di dare risposte definitive.

Questa area è la stima del tempo rimanente per una installazione di una applicazione, l’aggiornamento di un sistema operativo o il download di un patch da internet.

Stai ad osservare l’oracolo che ogni secondo ti fornisce una informazione diversa. 10 minuti, 3 ore e 14 minuti, meno di un minuto, 276 giorni…

Ecco, 276 giorni è il tempo che ora il mio Mac mi suggerisce per il ripristino di una copia di backup da Time Machine.

Come dire, potrei preparare lo spumante e brindare per il prossimo anno nuovo contestualmente al termine del ripristino dei dati del mio Mac. 

Son cose.

Al cinema con Lorenzo

Lorenzo ed io siamo andati al cinema questo pomeriggio. Abbiamo deciso che era il caso di andare a vedere Rogue One ora che le sale sarebbero state meno affollate rispetto a qualche giorno fa. E’ stata una sua scelta e, confesso, mi ha fatto molto piacere.

Mi piace quando andiamo al cinema da soli. Lorenzo quando è da solo cambia il registro del suo dialogo con me e parla molto più volentieri. Nel tempo che passiamo insieme mi racconta del suo mondo e io potrei passare ore ad ascoltarlo.

Il cinema gli piace moltissimo. Nel tragitto tra casa ed il cinema mi racconta delle sue aspettative sulla pellicola e lo ascolto mentre costruisce le sue ipotesi sulla trama e sui personaggi. Avere l’occasione di osservare la sua fantasia al lavoro è una cosa che mi riempie di gioia.

Lo guardo mentre la pellicola scorre e leggo le emozioni sul suo volto. Così come per me il cinema è in grado di emozionarlo.

Nella pausa tra un tempo e l’altro chiacchieriamo su quanto è successo e facciamo delle ipotesi riguardo le possibili evoluzioni della trama e la conclusione del film. Nel caso di Rogue One Lorenzo ha fatto i dovuto collegamenti con tutti gli altri episodi e devo ammettere che è stato piuttosto preciso nelle sue conclusioni.

Finito il film ci incamminiamo verso casa e continuiamo a parlare. Oggi mi ha detto che avrebbe molte domande da fare sulla trama del film appena visto ma subito dopo mi ha detto che prima di farle avrebbe voluto pensarci su.

Che ore preziose sono state.

Il 2016 è finito

Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.

Jep Gambardella – La grande bellezza – 2013

Ho scritto qualche giorno fa che mi sarei astenuto dal redarre una lista di buoni propositi per il 2017 e ne sono tuttora fermamente convinto.

C’è solo una cosa che mi sento di ribadire in maniera decisa.

Mi sono veramente rotto le palle di leggere fregnacce il cui unico scopo è il tornaconto personale o, peggio, a favore di questo o quell’altro gruppo. Sono stanco di osservare persone che leggono commenti ed interventi con l’unico scopo di potere replicare invece che di comprendere e confrontarsi.

Per questo l’unica e sola risoluzione per il 2017 sarà una cura dimagrante per la mia dieta informativa. Solo poche e selezionate fonti che mi danno piacere e mi aiutano ad imparare cose nuove. Eliminare tutto il rumore di fondo e usare senza ritegno l’arma della sepoltura dei profili, delle notizie e dei gruppi che non servono a nulla. Ovviamente a mio insindacabile giudizio.

Citando ancora Jep Gambardella:

La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

Io questa scoperta l’ho fatta qualche anno fa e quindi molto prima del raggiungimento del mio sessantacinquesimo gentlìaco.

La risoluzione è già in atto. Ho eliminato la mia iscrizione ai gruppi locali e per farmi un favore mi sono iscritto alla pagina di Artribune. Ma volete mettere?

Buon 2017.

La fila alla posta

Io detesto con tutto me stesso andare all’ufficio postale. Preferirei passare un giorno in pretura piuttosto che mettermi in coda alla posta.

Non ho idea di chi si occupi del Service Design di quel posto ma posso affermare con assoluta certezza che il denaro che si è fatto dare è stato male impiegato.

Complice un favore che ho voluto fare a mia moglie oggi sono stato nell’ufficio postale di Buccinasco.

Un incubo. Sembrava che tutta la cittadinanza si fosse data appuntamento in quell’ufficio per i preparative del veglione di capodanno.

Tu entri nell’ufficio postale e come prima cosa tenti di individuare la colonnina attraverso la quale potrai prendere il biglietto che ordina l’accesso agli sportelli.

Ci metti circa un minuto a comprendere quale area dello schermo touch screen devi toccare perchè le icone sono disegnate in maniera inintelleggibile e le spiegazioni a corredo non servono praticamente a niente.

Il design delle icone è quanto di meno intuitivo io possa immaginare. Tutte le icone, indistintamente sono circondate da una freccia circolare. Ora mi dite nella metafora di un’icona che cosa cavolo c’entra quella freccia? E, sopratutto, cosa c’entra il fatto di averla messa intorno a tutte le icone?

Il risultato è che con un contorno come quello lo spazio che puoi davvero dedicare al disegno della metafora si riduce di un buon 40/45% rendendo il tutto incomprensibile. Prova di questo è il fatto che tutti i presbiti, come il sottoscritto, devono spendere una trentina di secondi a cercare di capirle.

Superato il problema delle icone si arriva al secondo problema. Le stesse icone sono riportate sul grande tabellone che indirizza i clienti che hanno raggiunto il loro turno verso il primo sportello libero. Il tabellone è composto di 6 righe che a sinistra hanno l’icona incriminata, seguita dal numero che viene servito e il numero di sportello corrispondente.

Il genio che ha pensato a questo sistema ha pensato che fosse una buona idea dare una numerazione progressiva unica per ognuna delle quattro categorie disponibili. Mi spiego meglio. Se abbiamo quattro categorie, che chiameremo A, B, C e D il progressivo si incrementa per ognuna delle categorie. Per questo motivo è altamente probabile che in ogni dato momento siano rappresentate sullo schermo due categorie diverse con la stessa numerazione. Ad esempio: A43 e C43.

Tutte le persone che sono in coda devono fare affidamento sulla icona per capire a che categoria appartengono. Dato che l’efficienza del nostro sistema visivo è decisamente inferiore a quelle di un sistema automatico di riconoscimento delle immagini vi lascio immaginare il casino costante che si genera. Questo casino aumenta in maniera esponenziale quando ci sono anziani che devono compiere l’operazione.

Sarebbe stato troppo complesso usare un progressivo unico? Troppo difficile?

Un’altra cosa inspiegabile è il numero di sedie disponibili. Il locale ufficio postale è grande più o meno 300 metri quadri. Di questi 200 sono disponibili al pubblico e di questi 200 non più di 15 metri quadri sono usati per delle sedie. Ma che cavolo di scelta è? Avete notato che la maggior parte degli utenti di un ufficio postale sono persone anziane?

Mentre sono in coda ad aspettare osservo le persone che lavorano e che, davvero, cercano di fare del loro meglio. Quello che mi lascia perplesso è il tempo che passano ad osservare gli schermi che hanno davanti tra una operazione e l’altra. Davvero, avrei volentieri rischiato l’arresto per potere fare un salto dietro il bancone e vedere di persona che cosa c’era su quello schermo.

Se poi ti capita qualcuno che deve compiere una qualsiasi operazione su un conto corrente sei finito. Puoi tranquillamente stendere il tuo sacco a pelo e aspettare il giorno successivo perchè arrivi il tuo turno.

Ovviamente per evitare la coda alla posta potrei usare l’applicazione e prenotare uno slot. Peccato che mi sia registrato al sito delle poste una quindicina di anni e che abbia perso i codici di accesso al servizio. Ho provato diverse volte a tentare di recuperare le preziose informazioni ma non ci sono mai riuscito. Nè online nè al telefono con il loro customer care. Ottenere una security clearance a livello top secret è più semplice che recuperare i tuoi dati di accesso.

Un assoluto e totale disastro.

Mi dispiace davvero perchè gli strumenti per disegnare una esperienza degna di questo nome ci sono tutti e costerebbero sicuramente molto meno di quanto avranno certamente già speso, sia online che offline.

 

Saper comunicare

Stavo passando del tempo sulla mia timeline di Facebook quando mi sono imbattuto in un messaggio pubblicitario. Una azienda che permette ai propri utenti di fare trading online copiando il comportamento di altri investitori di successo mi faceva notare come investendo 10.000 Euro all’inizio dell’anno avrei potuto ottenere più di 11.000 Euro di guadagno alla fine dell’anno.

Ora l’idea di osservare altri trader di successo è sicuramente una buona idea. Quello che mi è piaciuto di meno è il grafico a supporto che hanno usato nel messaggio pubblicitario.

E’ vero che sono sempre piuttosto attento ai dettagli e molto probabilmente sono uno dei pochi che lo ha notato ma il grafico era veramente male concepito.

Una curva in quasi costante crescita dall’inizio dell’anno a dimostrazione del successo dell’investimento. La cosa che mi ha lasciato perplesso è che subito dopo l’apice del successo la curva crolla drasticamente ad un livello quasi inferiore a quello dell’inizio dell’anno.

Se devi comunicare una idea di successo non mi sembra il modo di farlo. Quella curva avrebbe dovuto continuare ancora a crescere.

In questo modo mi stai dicendo che, sostanzialmente, “ti ha detto culo“.

I dettaglio sono sempre importanti.

I buoni propositi

Si avvicina la fine dell’anno e già vedo fiorire i primi post con i buoni propositi per l’anno nuovo.

I miei amici americani hanno questo gusto del tutto particolare per le liste e i buoni propositi assumono questa forma. Gli amici nostrani sono meno strutturati ma anche da loro cominciano a manifestare questo florilègio di intenzioni per il 2017.

Sarà per via del fatto che tra pochi mesi festeggerò il mio cinquantesimo genetlìaco ma confesso che non ho alcuna intenzione di pensare ai buoni propositi per l’anno a venire.

Diciamo che se proprio devo pensare a qualcosa sarei più propenso a fare una lista di cattivi propositi che, oltre tutto, tendono ad essere anche più divertenti.

Per il resto diciamo che prenderò quello che viene.

Creatività e abbondanza

In questi giorni di riposo sto giocando molto spesso con il mio Ableton Push 2. Nelle settimane precedenti mi sono messo alla ricerca di tutto che ritenevo potesse essermi utile per poterlo utilizzare al meglio.

Loops, drum samples, beats, strumenti, racks, effetti, templates ed altro ancora.

Il risultato è che ora mi ritrovo con quasi 20 gigabytes di strumenti oltre ai 53 gigabytes di materiale che di default arrivano con Ableton Live.

E’ una quantità di materiale enorme. Più di quanto si potesse immaginare di potere collezionare solo una decina di anni fa.

Bene. Una volta messo insieme tutto questo materiale ho cominciato a creare i miei primi pezzi. Ho speso una quantità di tempo enorme navigando tra un loop e l’altro, cercando lo strumento migliore o il miglior set per batteria e basso. Un processo lungo e, tutto sommato noioso.

Il risultato finale è che ho speso molto più tempo a navigare nel mare magnum del materiale a disposizione piuttosto che a creare qualcosa di nuovo.

Questa mattina riflettevo proprio su questo elemento e alla fine sono arrivato alla conclusione che, almeno per il sottoscritto, l’abbondanza limita moltissimo la creatività. Avere troppo scelte a disposizione ti distrae dallo scopo finale e dal processo creativo.

Per questa ragione ho deciso che quando devo giocare al piccolo compositore selezionerò in anticipo un piccolo set di strumenti e loop e mi limiterò ad usare quelli per qualche ora.

 

Il 2016 in libri

Più o meno alla fine di ogni anno mi ritrovo a scorrere i miei acquisti in libri per fare qualche piccola statistica.

Quest’anno ho comprato, e letto, 78 libri.

Decisamente meno dell’anno scorso dove ero abbondantemente sopra i 130.

Indice di un anno faticoso ed impegnativo.

Sono stai tutti libri che ho acquistato da Amazon e letto sul mio Kindle. Solo tre sono stati libri cartacei e si trattava di libri di musica.

Non c’è niente da fare, per me il kindle, e i suoi fratelli su pc ed iPad, è il modo più facile di avere sempre a portata di mano qualche pagina da leggere.