Mi avvicino a large falde al compimento del mio cinquantatreesimo compleanno. Come era prevedibile lo trascorrerò come tutti gli altri giorni che hanno caratterizzato questa quarantena, tra le mura di casa.
Rifletto su questi giorni trascorsi fisicamente da solo e mi ritrovo a pensare a quello che sta accadendo.
Oramai sono sufficientemente anziano per non credere al fatto che dopo questo momento il contesto in cui viviamo cambierà. Certamente ci troviamo di fronte ad una opportunità ma saremo sicuramente troppo stupidi per approfittarne. Al termine di questo disastro ognuno tornerà alle sue abitudini. Qualcuno, i più fortunati, torneranno alla vita di sempre ed al loro lavoro. I più sfortunati il lavoro lo avranno perso o lo perderanno e questo li getterà dall’altra parte della barricata. Non cambierà nulla in politica e nelle aziende. Passata la festa, gabbato lo santo.
Il vero cambiamento, forse, sarà quello più intimo e personale perché è vero che questo “tempo liberato” costringe a pensare molto più di prima sul proprio essere e sul proprio ecosistema di relazioni. In queste settimane il lavoro non è più il rifugio da una relazione tossica. Non è più il paravento che sostiene la famiglia del Mulino Bianco. Tutti i nodi verranno al pettine e bisognerà farci i conti. Dopo.
Ho impiegato una cinquantina d’anni a raggiungere la migliore versione di me stesso ed ora io sono soddisfatto o, come dicono quelli fighi, risolto. Non per tutti è così ed il lavoro è certamente un grande anestetico da questo punto di vista. I paraventi cadono e si deve fare i conti con la realtà, quella proprio vera, senza filtri.
Ed è un peccato che non si usi questo tempo per farseli questi conti.
Dai, su. Fateci un pensierino. E’ un percorso spesso doloroso ma ne vale veramente la pena.