Tra tutte le menate che questa pandemia globale ha introdotto nella nostra vita quotidiana c’è il social distancing. Lo chiamo così perché oramai ci piace troppo fare uso di termini di origine Inglese che dovrebbero farci sembrare più fighi.
Veniamo quindi ad una definizione:
Social distancing, also called “physical distancing,” means keeping a safe space between yourself and other people who are not from your household.
Attraverso la pratica del social distancing si riduce il rischio di contrarre una qualsiasi infezione di origine virale.
A me, personalmente, il social distancing piace a prescindere. Questa imposizione ha tenuto molte persone molto lontane da me ed in fondo io sono un pochino come Nanni Moretti che diceva: “Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone” – Caro Diario, 1993.
Quindi per me il social distancing è più che benvenuto e mi auguro che rimanga in circolazione a lungo.
Allo stesso modo, credo, si dovrebbe introdurre una sorta di digital distancing. Questo, ovviamente, non può essere introdotto da una autorità ma deve essere frutto di scelte personali.
Stare lontani da tutto quegli strumenti digitali che, per loro stessa natura, trasportano cariche virali che sono potenzialmente tossiche per il nostro cervello.
Che ne pensate?
Shameless self promotion ahead…
Nel caso non ve ne foste accorti qui in giro c’è anche un podcast con il quale potrete intrattenervi.
Quello di seguito è l’ultimo episodio.
Qui, invece tutti gli episodi pubblicati sino ad ora: Parole Sparse – Il Podcast
Bisognerebbe però avere una ‘formazione’ digitale che metta al corrente sulle finalità degli strumenti e il loro uso corretto, compreso il miglior strumento per ciascun obiettivo, non uno strumento per qualunque obiettivo…