In fondo a via Giambellino a Milano, più o meno all’altezza del numero 155, c’è un cinema a luci rosse.
Il nome è piuttosto evocativo. Si chiama Pussycat.
Sono tantissimi anni che lo vedo passandoci davanti. Rispetto a dove abito via Giambellino è una delle strade di ingresso in Milano che mi tornano più comode.
Osservandolo dall’esterno è decisamente malmesso. Le vetrine, per ovvie ragioni oscurate, sono sporche e rotte in alcuni punti. Rappezzate da nastro adesivo dove possibile. L’insegna è fatiscente e molto spesso qualche lettera al neon non si illumina. Di questo ti rendi conto solo quando ci passi di sera.
Dell’interno non si scorge nulla. Nessun avventore staziona nei paraggi e non mi è mai capitato di vedere qualcuno entrare od uscire. Nemmeno una maschera non in grado di resistere alla tentazione di una sigaretta.
Certo la vita di un cinema a luci rosse nel 2016 non deve essere facile. L’offerta su internet di merce simile deve essere travolgente rispetto al passato.
Eppure, incessantemente e costantemente, il cinema Pussycat rimane aperto. Nonostante tutto.
Io cerco di immaginarmi il proprietario. Me lo vedo come un tipo tragressivo che intorno agli anni 80 decide di aprire questa impresa complicata per l’epoca. Lo osservo mentre cavalca il momento d’oro dei suoi affari, ammesso che mai ci sia stato. Me lo aspetto invecchiare dietro al banco dal quale stacca i biglietti per gli spettacoli e lo immagino ora, invecchiato, a resistere nonostante tutto.
Quasi una figura romantica, sicuramente fuori tempo ma che, nonostante tutto, continua a riuscire a sbarcare il lunario o, semplicemente, a resistere alla constatazione di essere fuori dal tempo.
Un giorno o l’altro vorrei provare a varcare quella soglia oramai invecchiata e conoscerlo.