Quando lavori in uno studio di design e fai della qualità del tuo lavoro l’obiettivo primario è necessario capire in che modo sia possibile misurare la qualità del lavoro che hai svolto.
In questo caso si deve eliminare il fattore ricavi dall’equazione. I ricavi non sono assolutamente indice di qualità, spesso il contrario. Affermazione certamente un pochino generica ma che rende l’idea. I ricavi sono un prodotto collaterale di una buona qualità. In parte, ma sono in parte, l’EBIT è una discreta indicazione della qualità. In linea di massima maggiore è l’EBIT e minore è il numero di rilavorazioni che hai dovuto compiere su un determinato progetto. Anche in questo caso abbiamo poco a che fare con la qualità.
La qualità è prodotta dalle persone e, di conseguenza, la qualità delle persone è il primo elemento che contribuisce alla qualità di un progetto. E’ necessaria la ricerca continua ed estenuante del talento nelle persone. Condizione necessaria ma non sufficiente per il raggiungimento della qualità. Se questo talento non viene nutrito nel tempo e non si crea un ecosistema sano nel quale questo possa crescere, esso si inaridisce.
Non credo che uno studio di Design che desideri fregiarsi di questo nome possa prescindere dal talento, anche a discapito dei ricavi. Il talento va riconosciuto, premiato e remunerato per il suo valore di mercato. Non ci sono storie.
Abbiamo quindi una solida base di talento che è in grado di conferire valore ad un progetto ma, quindi, come misuriamo la qualità di un progetto.
In tanti anni di lavoro non sono ancora riuscito a dare una risposta univoca a questa domanda.
Personalmente ritengo che ci siano diversi fattori.
Il primo è ovviamente la capacità di cosegnare al cliente finale qualcosa che soddisfi le sue aspettative. Anche in questo caso è una affermazione generica perché essa stessa è influenzata da diversi fattori.
Il cliente potrebbe ritenersi soddisfatto del risultato di un progetto anche se questo è “mediocre”. Tutto dipende dalla sua cultura del design e dal punto di partenza del progetto stesso. Facciamo una ipotesi assurda: se non possiedi un sito web ed io ti consegno un sito web mediocre sia intermini di Interaction Design che di Visual Design per te è comunque una bomba perché non sei in grado di comprendere. La stessa cosa avviene se non decidi ex ante quali sono i parametri che per te, come azienda, determinano il successo di un progetto. Quali sono i problemi che hai voluto risolvere con questo progetto, come hai intenzione di misurarne l’efficacia e via discorrendo.
Il secondo fattore riguarda la progettazione per sé. Da un lato potresti avere consegnato qualcosa in grado di risolvere il problema del tuo cliente ma che dal punto di vista dell’utente finale non è una soluzione di qualità. Questo perché quando progetti qualcosa hai sempre tre variabili da tenere in considerazione:
- La capacità dei tuoi deliverables di raggiungere gli obiettivi che il tuo cliente si è prefisso. Questo, ovviamente, riguarda il “business” del cliente.
- La capacità di soddisfare il cliente del tuo cliente con degli artefatti che siano usabili ed in grado di consegnare una esperienza utente che sia priva di frizione e memorabile.
- La capacità di soddisfare il cliente interno del tuo cliente. In altre parole, devi progettare una “promessa” che il cliente interno sia in grado di mantenere.
L’equilibrio di queste tre parti è indice di qualità.
Io sono della opinione che un progetto debba essere valutato “post mortem” in primo luogo dai designer e dagli attori che ne sono stati parte. E’ solo una prima fase della analisi della qualità di un progetto perché il team che vi ha lavorato ha avuto modo di assorbire una enorme quantità di bias cognitivo nella esecuzione del progetto, non ultima la cultura del cliente per il quale ha lavorato.
Questo ultimo aspetto è chiave e non va sottovalutato. Tutti i designer con i quali ho avuto a che fare negli ultimi anni hanno ben chiaro che cosa significa fare design di qualità. Se hai selezionato persone di talento è ben chiaro che non sono dei “bravi esecutori” ma delle persone con una chiarissima idea di che è giusto e cosa non è giusto per un determinato progetto.
Non tutti sono però in grado di combattere per quelle idee. Dopo la terza volta che un cliente ti chiede di modificare il tuo approccio la tentazione è forte. Ma sì, smettiamola di lottare e facciamo quello ci chiede. Comportamento perfettamente naturale. Tutti, in fondo, vogliamo vivere tranquilli. Io penso che il designer di talento deve difendere la sua opinione fino alla nausea e fare in modo che questa arrivi negli artefatti che progetta.
A questo punto credo che sia necessario un confronto aperto anche con altri team di design. Qualcosa del tipo: “Noi abbiamo fatto questo per risolvere questo problema. Voi cosa avreste fatto?”. Possiamo dare a questa attività il nome più figo del mondo, “Design Critique” vi piace? La sostanza non cambia. E’ un momento di confronto con chi non è stato vittima del bias cognitivo di cui sopra.
Dovrebbe esserci un momento di confronto con l’Head of Design che dovrebbe essere il detentore della cultura di design dello studio e che dovrebbe fornire una critica oggettiva sulle modalità di conduzione di un progetto e sui risultati raggiunti.
E’ poi bene evidente che ogni singola disciplina di design ha i suoi parametri oggettivi di misurazione della qualità. Interaction Design, Visual Design, Service Design, Product Design, eccetera, eccetera. Queste sono valutazioni che riguardano il lavoro specifico e, forse, sono le considerazioni più semplici, ammesso che di semplicità si possa parlare, che si possono fare.
Infine ci si dovrebbe confrontare con il mondo esterno. Qualcun altro si è trovato di fronte a problemi simili ai nostri? Se sì, come li ha affrontati e come li ha risolti?
Credo sia ben chiaro a tutti che queste attività richiedono tempo e sforzi. Spesso si salta da un progetto all’altro senza avere l’opportunità di fermarsi a considerare quello che si è appena fatto. Io penso che a lungo andare questo sia un errore.
Ritengo che sia un errore perché il rischio è quello di diluire la cultura del design di un studio che rischia di trasformarsi in una macchina “sforna progetti”. E’ necessario introdurre un equilibrio che permetta di potersi fermarsi a ragionare. E’ necessario potere riprendere il fiato per prepararsi alla sfida succesiva.
Ecco, se dovessi dire quale è il mio obiettivo principale per il 2022 direi che è proprio quello di trovare lo spazio affinchè i team di design possano effetturare queste analisi in tutta tranquillità. Ne guadagnerebbe Sketchin, i designer, i ricavi e l’EBIT.