Contrasti

Photo by Philippe Leone on Unsplash

Sono arrivato a Roma nel tardo pomeriggio e mi sono subito incamminato verso il mio albergo in centro. Al di là dello sciopero dei taxi volevo camminare per le strade di Roma con il naso all’insù. Troppo tempo è trascorso dalla mia ultima visita alla città ed io questa città la amo davvero.

Sceso in albergo ho terminato un paio di cose urgenti che mi hanno permesso di chiudere la giornata lavorativa per potermi dedicare ad un’altra passeggiata per le vie della città. Non le principali, quello le ho viste e riviste in tanti anni. Le vie nascoste, piccole. Quelle vie con i piccoli negozi, i negozianti sulla porta a fumare una sigaretta, le persone che si fermano per salutarsi e chiacchierare. Io potrei camminare per giorni sulle stradine di Roma. E’ un universo mutevole e diverso dalle strade dei turisti. Forse è anche un’altra città che viene rappresentata in quel contesto.

Mi rimetto in moto per raggiungere il mio albergo. Ho una cena di lavoro questa sera e, purtroppo, non posso affrontarla in bermuda e t-shirt. Dico sempre che i clienti comprano il mio cervello e non il mio guardaroba ma un minimo di presentabilità cercherò di mantenerla.

Passo di fianco ad un famoso albergo del centro. Uno di quelli molto fighetti con tanto di portiere in divisa. Di fianco all’ingresso c’è un angolo per i reietti fumatori. Anche se paghi una camera in un albergo a cinque stelle devi fumare fuori. C’è questa donna sulla quarantina con la sigaretta accesa tra le dita. Nell’altra mano c’è un iPhone. Sta scorrendo qualcosa sullo schermo, come la quasi totalità delle persone che ho incontrato. Molto elegante, ma di quell’eleganza un pochino affettata. Non naturale. Acquistata. Tra il gomito e l’avambraccio dondola una borsetta di Bottega Veneta che, se originale, vale una mezza fortuna. Non degna di uno sguardo nessuno.

Ad un metro e mezzo di distanza, sdraiato su un muretto ricoperto di cartoni a fungere da materasso c’è un uomo. Hai i capelli grigi ed i piedi scalzi. Non vedo scarpe intorno ma, con ogni probabilità, le ha nascoste perché non le rubino. Eppure i piedi sono sporchi e mi viene il dubbio che le scarpe non le abbia. Sta dormendo profondamente ed il rumore del traffico delle sei non sembra disturbarlo. Su quello che è un rotolo di cartone che usa come cuscino c’è un libro. Non resisto e cerco di guardare la copertina. E’ un libro vecchio. Le pagine sono consumate dalla lettura. Vedo il titolo: Il giocatore di Fëdor Dostoevskij. Ne rimango colpito. Perché quel libro? E’ un caso o il lettore è stato duramente colpito dagli eventi della propria esistenza.

Mi colpisce molto di più il senzatetto di quanto non faccia la ricca turista tutta griffata. Mi immagino che al senzatetto appartenga una storia più complessa di quella della turista. Penso che forse sto cadendo vittima di uno stereotipo narrativo.

Il contrasto tra queste due immagini mi colpisce. Quali strade hanno condotto questi due estranei ad un metro l’uno dall’altra con dei destini così diversi.

E così trascorre la mia serata in un turbinio infinito di contrasti. Bellezza e bruttezza, amore ed odio, fortuna e sfortuna. Tutto sulla stessa strada, tutto nella stessa città, tutto nello stesso momento.

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