Quando Apple lanciò gli AirTag dissi che il prodotto prestava il fianco ad utilizzi molto poco trasparenti.
Oramai si leggono giornalmente notizie, sopratutto sui siti americani, di abuso nell’uso di questo prodotto.
Gli abusi si distinguono principalmente in due categorie:
- Gli AirTag vengono posizionati addosso a persone che non ne sono consapevoli. Nella maggior parte dei casi si tratta, purtroppo, di persone di sesso femminile. In questo modo un perfetto sconosciuto, e potenzialmente malintenzionato, può conoscere in qualsiasi momento la posizione della persona che ha con sé l’AirTag.
- Gli AirTag vengono posizionati su un auto che desta un qualche interesse per qualcuno che è intenzionato a rubarla. Direi che non è necessaria nessuna altra indicazione riguardo questo scenario.
In Apple non sono dei principianti, almeno me lo auguro e sono sicuro che hanno pensato a potenziali abusi di questa tecnologia.
Infatti Apple permette ad un utente che sta portando con sé un AirTag non di sua proprietà di venire avvisato del fatto che uno di questi oggetti si trova in prossimità.
Questo alert viene generato tra le otto e le ventiquattro ore dopo che si è allontanato dal suo legittimo proprietario e vive in prossimità di un altro utente. Non sono riuscito a trovare altre notizie riguardo l’algoritmo che viene utilizzato in questi casi.
Il primo pensiero è che in otto ore possono accadere un fracasso di cose. Se pensiamo alla prima tipologia di abuso io posso trascorrere la serata in un locale, uno sconosciuto mi infila un AirTag nella tasca del cappotto e quando lascio il locale per tornarmene a casa lo sconosciuto sa benissimo dove abito. Tutto questo avviene certamente in meno di otto ore.
La seconda considerazione riguarda l’ecosistema Apple.
Un ecosistema che è sempre stato chiuso e disponibile solo a coloro che si circondano di prodotti Apple. Basti pensare a FaceTime o iMessage tanto per farsi una idea.
A questo punto l’alert che ti avvisa di un AirTag non autorizzato ti viene presentato solo ed esclusivamente se sei in possesso di un iPhone, e di un iPhone delle ultime generazioni. Ovviamente, in questo caso, la funzionalità è nativa e non esiste la necessità di installare alcuna applicazione.
Diverso il discorso per chi non desidera avere in tasca un iPhone e decide di dotarsi di un terminale con un sistema operativo diverso.
Apple ha rilasciato una applicazione per i terminali basati su Android che permettono di identificare AirTag non leciti. Il problema è che gli utenti questa applicazione la devono cercare su Google Play e se la devono installare su base volontaria.
Ora, io felice utente Android devo installare qualcosa sul mio terminale perché tu, Apple, azienda di cui non sono cliente, hai messo sul mercato una tecnologia che può mettermi in pericolo? Sinceramente non mi sembra una cosa sostenibile.
E questo per non parlare di coloro che decidono di non avere uno smartphone.
E’ certamente vero che esistono in commercio, ed alla portata di tutte le tasche, degli oggetti che fanno esattamente la stessa cosa. Oggetti minuscoli che sono in grado di tracciare nel tempo la posizione di una persona.
Le differenze rispetto agli AirTag sono sostanzialmente due, ma importanti:
- La prima è il fatto che il prezzo di questi oggetti oscilla tra i 100 ed i 300 dollari che sono un punto prezzo molto più alto rispetto ai 25 dollari di un AirTag.
- La seconda è il fatto che l’usabilità degli AirTag è costruita benissimo ed anche un primate sarebbe in grado di usarli. Questo abbassa la barriera di ingresso. Sistemi come quelli di cui ho parlato nel paragrafo precedente richiedono competenze non eccezionali ma certamente non comuni e non alla portata di tutti. In questo caso Apple ha reso disponibile una tecnologia potenzialmente pericolosa ad un cluster di persone che prima non avrebbero avuto modo di ottenere gli stessi risultati in maniera così semplice.
Non sono in grado di conoscere quali considerazioni stia facendo Apple sul tema ma credo di avere una ragionevole certezza che forse non era una buona idea.