I nostri dati

Photo by Jackie Hope on Unsplash

Credo che sia notizia a tutti nota il fatto che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribaltato il giudizio della sentenza Roe v. Wade eliminando di fatto il diritto costituzionale all’aborto e delegando ai singoli stati dell’unione la relativa legislazione.

Sul tema non mi faccio grandi problemi a dichiarare la mia posizione: ognuno è libero di fare quello che desidera sino al momento in cui non intralcia la mia libertà.

A questo punto quegli stati che sono contrari alla pratica si trovano nella condizione di dovere controllare e monitorare l’osservanza della legge. Come si può intuire è una operazione niente affatto banale e, mi viene da commentare, per fortuna.

Uno degli effetti immediati della decisione della Corte Suprema è l’immediato diffondersi sui social media di messaggi che invitavano le donne a rimuovere dai propri smartphone qualsiasi applicazione che tenesse traccia del loro ciclo mestruale.

Se smetti di tracciare il tuo ciclo mestruale è abbastanza probabile che tu sia rimasta incinta e se ricominci a tracciarlo prima dei nove mesi è altrettanto probabile che tu abbia abortito.

Le applicazioni garantiscono l’anonimato e assicurano gli utenti che non cederanno mai i propri dati a terzi ed in particolar modo alle forze dell’ordine. Tutto, probabilmente, vero ma cosa accadrebbe se un giudice li forzasse a cedere queste informazioni?

Trovo che il rischio sia assolutamente reale e spaventoso.

Si dice che il Presidente Biden scriverà all’FCC richiedendo di proteggere in maniera assoluta questo genere di dati. Anche di questo sono perplesso.

Io sono convinto del fatto che il problema non stia solo in quel particolare tipo di applicazione ma più in generale su tutti i dati che ci riguardano. Messaggi di testo, chat, ricerche su internet, messaggi di posta elettronica, ricevute di carte di credito, tracciamenti di spedizioni e chi più ne ha più ne metta. Tutto può condurre ad informazioni sullo stato di gravidanza e sulla volontà di volere interrompere una gravidanza.

La realtà delle cose è che nessuno è davvero in grado di rendersi conto della quantità di informazioni che dissemina durante le sue esperienza digitali e non. Nemmeno io che ho estrema consapevolezza e cura della mia privacy so esattamente quali dati sto cedendo e a chi.

Il discorso “non ho nulla da nascondere e quindi mi spiino pure” non si tiene e quanto sta accadendo dopo la decisione della Corte Suprema ne è la prova più recente. Un comportamento perfettamente lecito può trasformarsi in un reato dall’oggi al domani e noi potremmo trovarci nelle condizioni di avere disseminato le prove del reato.

Dobbiamo rassegnarci all’idea che la privacy è oramai divenuta un miraggio. Come tale non esiste. E’ irraggiungibile.

E’ oramai difficile parlare “dei nostri dati”. I nostri dati sono già la fuori e da lunghissimo tempo.

Questo vale non solo per i nostri dati personali ma, spesso, anche per le organizzazioni per cui lavoriamo. Faccio un esempio banale. Noi in Sketchin usiamo una quantità inimmaginabile di servizi SAAS così come siamo clienti di Google per la posta elettronica, lo storage dei nostri dati ed altri servizi collegati. Scherzando dico spesso che se Google volesse fare una profonda due diligenze sulla nostra azienda avrebbe già tutti i dati a disposizione. Bilanci, budget, forecast, strategia, contenziosi (no, non ne abbiamo, mai avuti…), organigramma, retribuzioni. Sanno già ogni cosa se solo lo volessero. E quindi non ci sarebbe molto da scherzare, è la dura e cruda realtà.

Sono molto perplesso riguardo quello che in termini generali sta accadendo negli Stati Uniti e comincio a provare un pochino di paura verso quello che potrebbe diventare uno stato di polizia.

Dato che in genere siamo molto bravi ad importare nella nostra penisola le decisione che vengono da oltre oceano sono spaventato. La nostra attuale classe politica di tutto è capace tranne che di esprimere pensiero efficace e oggettivo.

Se è vero che non siamo in grado di proteggere in maniera assoluta i nostri dati trovo che sia comunque necessario educare le persone a cercare di proteggersi per quanto è possibile.

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