Chiunque si trovi nella necessità di lavorare a stretto contatto con dei clienti ha nel propria borsa degli attrezzi questo strumento chiamato Company Profile.
Che sia fatto con PowerPoint, Keynote, Adobe Acrobat la sostanza non cambia.
Ogniqualvolta ti ritrovi a dovere raccontare chi è la tua azienda e cosa fa, alzi lo schermo del tuo portatile, apri il documento che contiene il company profile, spendi diversi minuti a capire per quale cavolo di motivo non riesci a connetterti al proiettore, tv, schermo di turno e poi cominci ad uccidere di noia i partecipanti a quella riunione con la tua presentazione.
Dite la verità ci siete passati tutti.
Dopo anni che lo fate è oramai diventato un automatismo. Potreste fare una presentazione della vostra azienda mentre state cucinando una pasta alla carbonara senza sbagliare una parola.
Ecco, è questo il problema.
Credo che molti dei miei clienti potrebbero testimoniare sul fatto che io raramente uso quel documento. In genere seguo lo script di cui sopra sino al punto in cui dovrei iniziare la mia presentazione. A quel momento dico sempre “Bene, siamo pronti. Non mi piace usare questo documento come una presentazione non interattiva e poi, avete mai visto un company profile che faccia schifo? Se usassimo come riferimento solo questo documento saremmo tutte delle aziende fighissime.”
In qualche occasione mi capita di leggere un pò di disorientamento nella platea. Questo accade ogni volta che esci dagli schemi predefiniti della relazione cliente fornitore. Riprendendo le tesi del dottor Paul McLean potremmo dire che succede perché il cervello rettiliano reagisce immediatamente ad una situazione di pericolo: “Attenzione: questo non si comporta come tutti gli altri. Scappo o combatto?”
Ovviamente lo faccio di proposito. In primo luogo per divertirmi dato che mi annoierebbe da impazzire ripetere come una scimmia poco senziente sempre le stesse cose. In secondo luogo perché voglio trovare un punto di contatto vero con chi mi ascolta. Una via che voglio trovare io e che non mi piace mi venga indicata da un navigatore come il company profile.
Per questo motivo uso quel documento come un grande contenitore di informazioni che uso saltando da una parte all’altra secondo necessità usando spesso altri strumenti quando trovo che abbia un senso.
E’ chiaro che un approccio di questo genere richiede uno sforzo maggiore. Richiede uno sforzo prima dell’incontro perché devi studiare e conoscere bene di che cosa andrai a parlare. Richiede un sforzo durante la riunione perché devi sapere improvvisare.
La chiave di tutto è metterci delle emozioni. Rendere vivo un oggetto che preso cosi come è algido. Può contenere tutto e niente. E’ neutro rispetto all’uso che tu ne farai. Il fatto che abbia la forma di prensetazione e quindi con una struttura completamente lineare lo rende molto poco flessibile. Sono anni che sto pensando a qualcosa di diverso ma la mia naturale pigrizia mi ha impedito di venirne a capo. Almeno per il momento.
Il secondo punto chiave è che devi parlare solo di quello che è rilevante per lo specifico incontro. Se vendi mele, pere, formaggio e pesce e stai visitando un pescivendolo è del tutto inutile raccontargli di quanto bene sai fare la scamorza. A lui interessa solo quanto buono è il tuo branzino. Se esci dal contesto stai solo alimentando il tuo ego o quello della tua azienda.
Il terzo punto riguarda un consiglio che mi dette uno dei miei primi mentori intorno agli anni novanta: “Devi sempre andare dal cliente con una valigetta piena”. Ai tempi non si usavano gli zaini, si usavano le valigette. La sua teoria era che si dovesse sempre andare da un cliente con qualcosa destinato a lui sin dal primo incontro. Una proposta, una ipotesi di progetto, un punto di vista. Qualcosa che gli dimostrasse che tu avessi già cominciato a lavorare per lui anche se non esiste ancora un contratto. Anche solo la conoscenza, per quanto superficiale, della sua azienda. Lo ho sempre trovato un grandissimo consiglio.
Un’altra cosa che mi turba molto osservando questo genere di documenti è che non si parla mai del fallimento. Possibile che in una azienda che ha oramai decine di anni di storia sia sempre andato tutto per il verso giusto? Tutti clienti soddisfatti e progetti di successo? Inverosimile, non trovate.
Confesso che nemmeno io ho trovato il coraggio di mettere i fallimenti dentro quel documento ma, se non altro, non trovo grande difficoltà a parlarne quando me ne viene fatta esplicita richiesta. Fa parte della natura di ogni lavoro.
Così come ho scritto ieri si tratta di riempire le parole di contenuto e non solo di forma.