In ospedale

white room interior
Photo by Martha Dominguez de Gouveia on Unsplash

Nella giornata di ieri, ed in quella di oggi, sono stato costretto a frequentare l’ospedale Sant’Anna di Como.

Niente di che. Il mio figlio maschio adolescente preferito, di fatto l’unico figlio maschio adolescente, ha avuto un fastidio all’orecchio di cui abbiamo dovuto occuparci. Non sia mai che si trascorra una estate con i miei figli senza visitare una struttura ospedaliera.

Oramai è diventata una tradizione che siamo costretti, volenti o nolenti, a rispettare.

Quel genere di visite che tendono a rassicurare più i genitori del paziente che non il paziente stesso. Per dovere di cronaca vi dico che non ero io il genitore a dovere essere rassicurato.

Ci mettiamo quindi in macchina e facciamo l’oramai consueto “giro di Peppe” per uscire da Laglio che è ancora tramortita dai danni provocati dalle recenti piogge. Riuscire ad abbandonare l’enclave è una impresa. Più una rottura di palle che un impresa perché strade a doppio senso di marcia in realtà permettono ad un solo veicolo per volta di passare.

Per questa ragione sei costretto a manovre continue. Avanti e indietro, a destra e a sinistra. Dio benedica Mercedes e le telecamere a bordo del veicolo. Dio stramaledica, con tutto il dovuto rispetto, i turisti in camper che devono necessariamente andare a guardare il cancello della villa di George Clooney.

Arrivo quindi in ospedale. Sino ad oggi non ci ero mai stato e confesso di essere molto colpito dalla modernità della struttura. In tutta sincerità non me lo aspettavo.

Cerco il parcheggio e deposito la macchina.

Ci incamminiamo verso il pronto soccorso pediatrico attraversando una landa desolata. L’ospedale è molto grande e per raggiungere il punto che dobbiamo raggiungere sono necessari dieci minuti a piedi a passo lesto. Durante questo percorso non incontriamo proprio nessuno. Deserto.

Qualche infermiere e qualche medico che a passo deciso si muove tra un reparto e l’altro ma niente di più.

Ci viene misurata la temperatura e ci viene permesso di addentrarci dentro la struttura per raggiungere il triage del pronto soccorso pediatrico.

Percorriamo una quantità infinita di lunghi corridoi senza incontrare nessuno. Fortunatamente le indicazioni sono precise e puntuali. Segui la linea gialla e arriverai dove desideri. Penso tra me e me che qualche volta vorrei avere una linea gialla da seguire anche nella vita reale.

Arriviamo al triage dove, in attesa, c’è solo una mamma con una splendida bambina bionda che se la ride della grossa. Compiliamo le scartoffie del caso e ci mettiamo in attesa. Nella mia costruzione mi ero immaginato di perdere un pomeriggio in una sala d’attesa gremita di persone.

Al contrario dopo quindici minuti veniamo accolti da due dottoresse che si prendono cura dell’adolescente. Mi conforta il fatto che anche loro per fargli proferire parola devono usare strumenti di tortura degni della Santa Inquisizione. Oggi è domenica e lo specialista non c’è. Non vediamo nulla di preoccupante ma è meglio che torniate domani per vedere un otorinolaringoiatra.

Torniamo alla nostra macchina seguendo a ritroso il percorso che abbiamo fatto ed anche questa volta non incontriamo anima viva.

Torniamo il giorno dopo ed è Lunedì. Mi immaginavo più movimento ma, al contrario, la totale assenza di persone si ripete come il giorno prima.

L’adolescente non ha nulla di cui preoccuparsi, e lo potevo dire anche io senza tutto questo sbattimento.

Detto questo confesso che muoversi all’interno della struttura senza il consueto movimento di persone cui siamo abituati quando ci inoltriamo dentro un ospedale mi ha molto colpito. Il tutto aveva un che di inconsueto, surreale e, per certi versi, pauroso. Ti accorgi che qualcosa sta accadendo e che questo qualcosa è la causa della rarefazione delle frequentazioni ma non riesci a razionalizzare.

Ti ritrovi solo in questa struttura enorme con l’unico, grosso, vantaggio di essere certo di risparmiare un pò di tempo.


Shameless self promotion ahead…

Nel caso non ve ne foste accorti qui in giro c’è anche un podcast con il quale potrete intrattenervi.

Quello di seguito è l’ultimo episodio.

Alessandro Galetto

Fuga da Whatsapp

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