La fine dei rituali

Tra le tante conseguenze che questo periodo di isolamento sociale ce ne è una che credo sia passata mlto inosservata: la fine dei rituali.

Questa conseguenza riguarda da vicino sia la nostra sfera personale che la nostra vita personale.

Faccio una premessa. Negli ultimi dieci anni circa sono diventato assolutamente insofferente a qualsiasi forma di rituale. La parola chiave è proprio “forma”. E’ ben evidente che ogni rituale deve avere la sua forma.

fórma s. f. [lat. fōrma]. – 1.a. L’aspetto esteriore con cui si configura ogni oggetto corporeo o fantastico, o una sua rappresentazione.

3. In senso più astratto, modo di essere, di presentarsi; così, con riferimento alla struttura, all’ordinamento, alla costituzione politica.

4.a. In molti casi, il concetto di forma si chiarisce nella sua diretta contrapposizione a quello di materia o di contenuto.

La ragione per cui fatico a tollerare la maggior parte dei rituali è legata proprio alla definizione di cui sopra. Se alla forma non è strettamente legato un contenuto la cosa mi irrita oltre ogni misura.

La forma stessa di molti rituali ha lo scopo di mascherare la totale assenza di contenuti tramite una rappresentazione teatrale che sostituisce il contenuto, e quindi il valore.

Prendiamo ad esempio il pranzo con i colleghi. In questo caso parlo di colleghi nella forma più algida della definizione. Persone che lavorano nello stesso luogo senza condividero altro che non sia chi, alla fine del mese, gli corrisponde una retribuzione. Il pranzo con i colleghi è un rituale spesso privo di contenuti. E’ qualcosa che il fare comune ti spinge a dovere fare per non essere considerato un asociale ma il pranzo in sé è spesso privo di contenuti. Si parla solo ed esclusivamente di lavoro o, se non è lavoro, si parla di facezie come l’ultima partita di pallone.

In queste settimane tutti questi rituali vuoti sono venuti a mancare. Scendiamo a prendere un caffè. Pranziamo insieme. L’abitudine, per molti ma non per me, di vestire un abito con la cravatta.

Rituali sociali e professionali che sono una sorta di codice comportamentale nel modo in cui facciamo affari oggi. Tutto codificato in un codice che tutte le parti, o la maggior parte di esse, rispettano per convenzione e per comodità.

Anche nella sfera personale sono venuti meno questi rituali. La partita di calcetto, il pranzo o la cena con i parenti e via dicendo.

Tutto è venuto meno.

Il lato positivo è che dovrebbe essere rimasto solo il contenuto a farla da padrone in questo momento.

Chi possiede contenuto e valore è stato certamente in grado di consegnarlo ai propri interlocutori. Chi ne è assolutamente privo, come ad esempio il coglione totale (vedi un post del passato per la definizione), si ritrova perso in un limbo dal quale fatica ad uscire.

Per molti potrebbe essere, finalmente, l’opportunità per uscire dagli schemi e mostrare una volta per tutte chi sono veramente e quanto valgono al di fuori dell’insieme dei rituali protettivi.

Sì perché, in fondo, il rituale è anche una forma di protezione ed in queste settimane tutti ci siamo sentiti indifesi nei confronti di un nemico intangibile.

Nella giornata di ieri ho parlato di un libro che si intitola “wabi sabi – for artists, designers, poets and philosophers” di Leonard Koren. E’ certamente una lettura consigliata che vi potrà fare riflettere sul contenuto di queste poche righe.

Una forma ridotta all’esenziale ma dall’enorme contenuto estetico e intellettuale.

A questo dovremmo aspirare.

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