Ho speso il mio pomeriggio con un gruppo di bambini aiutandoli a creare il loro primo programma per computer.
Oggi c’erano otto bambini di età piuttosto diverse. I gruppi sono sempre piuttosto eterogenei e anche il livello di interesse varia moltissimo da bambino a bambino.
C’è quel bimbo che è naturalmente portato e che ti anticipa in ogni tua spiegazione. Ci sono quelli che sono spinti dai genitori ma che probabilmente avrebbero preferito una partita a calcio alla tastiera del computer. Ci sono i bravi esecutori che non si spingono avanti in autonomia ma che ti seguono passo passo sino alla fine delle tue spiegazioni.
In ogni gruppo ce ne è sempre uno particolare.
C’è quel bambino che quando vede il suo primo pezzo di codice funzionare e fare accadere qualcosa sul suo computer si illumina. Vedi sul suo volto un sorriso sincero e puoi leggere distintamente il suo stupore nell’essere riuscito a fare qualcosa tutto da solo. Essere riuscito a non subire passivamente una tecnologia ma averla fatta propria e piegata ai propri desideri.
Oggi era una bimba piccola di non più di sei sette anni. Nel momento in cui ha fatto eseguire il suo primo programma ha sorriso e ha abbracciato la mamma che le stava vicino.
Questo è il motivo per cui dedico il mio tempo a queste cose. Quel sorriso, quel bambino sono in grado di lasciarti addosso una gioia incontenibile e, allo stesso tempo, allontanare da te tutte le brutture che ti stai trascinando addosso.
Oggi avevo proprio bisogno di quel sorriso.
Sopratutto dopo avere saputo che se ne era spento un altro, per sempre.