L’illusione dell’anonimità

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Photo by Jordan Madrid on Unsplash

In questo preciso momento ci sono una quantità enorme di applicazione sul mio smartphone che sanno, in maniera estremamente precisa, dove mi trovo. Apple in primis dato che vivo in questo ecosistema. Google che uso professionalmente ma anche personalmente. Garmin, Fitbit, Home Assistant tanto per citarne qualcun’altra che uso con una certa frequenza.

Lo sanno grazie al mio smartphone, al mio Apple Watch ed il mio computer.

Tutti quanti mi dicono che i miei dati sono resi anonimi e, generalmente, non condivisi.

E’ un pò di tempo che ci penso su. Ma quanto è vera questa anonimità?

Proprio questa mattina mi capita sotto gli occhi questo articolo del New York Times: https://www.nytimes.com/interactive/2019/12/19/opinion/location-tracking-cell-phone.html

E’ una lettura assolutamente consigliata per tutti coloro che hanno un qualche interesse nei confronti della propria privacy. Privacy che, di fatto, non esiste nonostante stia diventato uno dei maggiori fattori di vendita di tecnologia consumer.

I dati che riguardano la posizione di una persona tutto sono tranne che anonimi. Basta analizzare un dataset che copra uno spettro sufficientemente alto di tempo per capire esattamente chi sono. Se passo più di 6 ore nello stesso posto per trenta giorni durante la notte è abbastanza evidente che in quel posto ci vivo. Se spendo otto del mio tempo nello stesso tempo durante il giorno è molto probabile che io in quel posto ci lavoro. Se poi collego i due punti ed analizzo il percorso che faccio per muovermi dall’uno all’altro il gioco è fatto.

Non sono assolutamente dati anonimi.

Nell’articolo del NYT c’è una citazione di William Staples, fondatore del Surveillance Studies Research Center alla University of Kansas che dice:

The seduction of these consumer products is so powerful that it blinds us to the possibility that there is another way to get the benefits of the technology without the invasion of privacy. But there is,

Questo è assolutamente vero. A tutti, me compreso, interessa la gratificazione istantanea che deriva dall’uso di uno smartphone per risolvere i problemi quotidiani. L’uso di una applicazione od anche solo di un gioco.

Viviamo nella illusione di essere protetti ed in realtà stiamo concedendo un quantità di informazioni di valore inimagginabile.

Nel passato ero abbastanza a favore della condivisione di alcune informazioni. L’assunto generico, e sbagliato, era: “Non ho nulla da nascondere e quindi poco mi interessa se qualcuno sa dove mi trovo”. In questi ultimi anni sto diventando molto più sensibile all’argomento e mi dico: “ma perché cavolo qualcuno che non conosco, e di cui non mi fido, deve sapere dove mi trovo ogni minuto della mia giornata?”

Per darvi una idea di quanto sia diffusa questa pratica vi riporto una immagine del NYT che lista alcune della compagnie che vivono dei dati sulla posizione degli utenti:

E queste sono solo alcune. Tra tutte io riconosco solo FourSquare che ho abbandonato anni fa.

Sono tante, e alcune sono proprio grosse. Se esiste una offerta esiste una domanda. Qualcuno là fuori compra ed utilizza queste informazioni senza che io ne sappia nulla e senza che io ne ottenga qualcosa in cambio.

Il tema è sempre lo stesso. Io potrei anche essere disposto a cedere dei dati personali ma solo ed esclusivamente se ottengo qualcosa di valore in cambio. Non è questo il caso.

Insomma, ci sono un sacco di cose su cui riflettere.


Shameless self promotion ahead…

Nel caso non ve ne foste accorti qui in giro c’è anche un podcast con il quale potrete intrattenervi.

Quello di seguito è l’ultimo episodio.

Alessandro Galetto

Fuga da Whatsapp

Alessandro Galetto         Alessandro Galetto        
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    Qui, invece tutti gli episodi pubblicati sino ad ora: Parole Sparse – Il Podcast


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