Qualche anno fa ho preso la decisione di rimettermi in forma. Al compimento del mio cinquantesimo anno di età e complice una serie di accadimenti che non ho intenzione di rivelare avevo deciso di recuperare la mia forma fisica cercando di avvicinarmi il più possibile a quella che avevo alla mia età dell’oro.
Per questa ragione ho iniziato tutta una serie di buone pratiche per raggiungere quell’obiettivo.
Una dieta equilibrata, un giretto dal cardiologo per evitare di rimetterci le penne, e una grande quantità di attività fisica. Il tutto condito da grandi cambiamenti collaterali a sostenere l’iniziativa.
In quel tempo, circa Settembre, ho deciso di iscrivermi ad una palestra perché soffro il freddo ed andare a correre in compagnia dei pinguini non mi era sembrata una grande idea.
Alla fine ho raggiunto il mio obiettivo in poco poco più di dodici mesi. Meno trentaquattro chili, un ragionevole livello di grasso nell’organismo ed un grande benessere generale.
Nonostante questo quei dodici mesi di palestra sono stati una enorme rottura di palle.
A me la palestra non piace proprio. Ci ho provato diverse volte ma non sono mai riuscito a trovare il modo di farmela piacere. Lo so, è un problema mio e, con ogni probabilità, diretta conseguenza della mia crescente misantropia.
Innanzitutto non mi piacciono le persone che ci stanno dentro. In realtà non mi piace la maggior parte delle persone che le frequentano, ma questa è un’altra storia in stile Nanni Moretti. Anche in questo caso è ben evidente che tutto è legato al luogo che scegli ma, generalmente, la maggior parte delle persone non mi piace granché, figuriamoci quelle che stanno in palestra.
In secondo luogo non mi piace l’esperienza della palestra. Non appena varchi la soglia vieni raggiunto da un “Personal Trainer” che ha meno voglia di te di starti appresso. Si finisce sempre con la compilazione di una fantomatica scheda che è il passaggio per il paradiso. Ovviamente non funziona mai. Dopo due settimane smetti di usare la scheda e dopo quattro settimane smetti di andare in palestra.
Alla fine passavo il mio tempo in palestra con gli auricolari infilati nelle orecchie. Una playlist che mi permettesse di isolarmi dal contento, un audiolibro che avrei voluto leggere o qualche episodio dei podcast che seguo.
Detesto essere coinvolto nello stress fisico subito dagli altri frequentatori. Stress che in genere si manifesta durante ogni compimento di un esercizio con mugugni o latrati degni di un vero e proprio cavernicalo.
Allo stesso modo mi mandano fuori di testa quelli che alla fine di ogni ripetzione di mettono davanti allo specchio per ammirare il risultato spesso tastandosi, con estrema soddisfazione, i loro fasci di muscoli. Che poi, mi domando, ma davvero pensi che tirare su 50 chili per dieci volte possa avere un effetto immediato?
Ma cosa è, una magia?
Non mi piace assistere ai patetici tentativi di approccio cui si assiste nella maggior parte delle palestre. Goffi e assolutamente scevri di qualsiasi ortodossia gentilizia. Depreimento come il brodo di pollo.
Mi irritano tutte le “miss ce la ho solo io” che si fasciano in completini aderentissimi che nemmeno la salama da sugo potrebbe sopportare per più di dieci minuti. E tutto questo senza contare il fatto che solo una minima percentuale delle indossatrici potrebbe permettersi una simile mise.
Nel mio percorso ho cercato di istruirmi e sono andato avanti con un percorso fatto di “trial and error”. Se qualcosa mi offre dei risultati continuo, se non lo fa, smetto. Ha funzionato. Non era certo mia intenzione competere alla edizione di Mister Muscolo over 50 e quindi la mia strada era, relativamente, più semplice.
Non mi piacciono i discorsi da spogliatoio che per la maggior parte si articolano su argomenti quali il calcio, gli integratori e le donne, che generalmente non vengono chiamate donne ma soprassiedo.
Non mi piace lo sguardo da suprematista della maggior parte dei frequentatori che ti guardano come se tu fossi un esemplare vivente dell’omino Michelin a prescindere dalla tua forma fisica. Loro sono perfetti, tu no. E sticazzi. E poi, in tutta sincerita, all’alba dei cinquantacinque anni sono messo molto meglio della maggioranza dei miei coetanei e senza contare il fatto che ho ancora tutti i capelli in testa.
Mi danno fastidio tutti quelli che esagerano nel gesto dell’esercizio. Un conto è fare un esercizio nel modo giusto, un altro è dimenarsi e grugnire come se si fosse un tigre del circo Orfei. E poi, dai, nessuno ti guarda mentre sollevi un peso come in una coreografia di Don Lurio.
Non sopporto i superaccessoriati. Guanti, bottiglia di acqua, integratore, marsupio, cellulare, auricolari, asciugamano che ogni volta che devono fare un esercizio devono chiamare un traslocatore per spostare tutto l’ambaradam.
Mi fanno sorridere i piacioni che salivano davanti ai vetri delle sale corsi.
Infine, è vero che siamo tutti uomini negli spogliatoi, ma è davvero necessario aggirarsi per gli spogliatoi come un novello Adamo mostrando, urbi et orbi, le proprie grazie?
Eppure è stato più lo sforzo di convincermi a varcare la soglia di quel luogo che non il lavoro in sé e per sé.
Dopo un anno ho mollato il colpo e mi sono messo a correre. Il fatto che avessi deciso di andare a vivere sul lago di Como ha molto aiutato perché un conto è correre sul lungolago di Laglio, un altro correre tra le macchina di Buccinasco.
L’altro ieri, dopo una lunghissima pausa, ho deciso di ricominciare a correre. Non mi è nemmeno passato per l’anticamera del cervello di iscrivermi ad una palestra.
Oh, se ci volete andare per me va benissimo. Come ho detto ci sono andato anche io e per quello che era il mio obiettivo ha funzionato egregiamente.
Ora non ne sento il bisogno e non credo che ne sentirò il bisogno in tempi brevi.
Shameless self promotion ahead…
Nel caso non ve ne foste accorti qui in giro c’è anche un podcast con il quale potrete intrattenervi.
Quello di seguito è l’ultimo episodio.
Qui, invece tutti gli episodi pubblicati sino ad ora: Parole Sparse – Il Podcast