Sul design

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Photo by Med Badr Chemmaoui on Unsplash

Credo che sia ben evidente che tutti siamo convinti di fare il lavoro più importante del mondo.

“Se non ci fossi io a fare quello che faccio, l’azienda andrebbe a rotoli”. Dai, non siate timidi, confessate. Almeno una volta nella vostra carriera lavorativa lo avete pensato. Intensamente.

Inutile dire che si tratta di una cagata pazzesca. Nessuno è veramente indispensabile nel lungo periodo. Sì, la tua assenza può causare qualche turbolenza nel sistema ma a lungo termine tutto si aggiusta e si troverà certamente un degno sostituto che non farà sentire la tua mancanza.

La realtà delle cose è che da soli, e nella attuale organizzazione delle aziende, da solo puoi fare poco. Da un lato abbiamo una verticalità delle professionalità che ti rende incapace di raggiungere un obiettivo aziendale in totale autonomia, dall’altro il fatto che la complessità delle organizzazioni aziendali tende naturalmente ad aumentare.

Quindi non possiamo essere soli, e non dobbiamo esserlo.

Altrettanto vero che poche sono quelle professioni che, davvero, salvano la vita a qualcuno e anche quando questo è vero non è un lavoro che si può fare da soli.

Immaginiamo il caso di un chirurgo che, sì, per lavoro salva delle vite. Certo, deve essere bravo, ma da solo non può fare nulla. Se non avesse al suo fianco un anestesista non potrebbe operare e quindi non potrebbe salvare nessuna vita. Quindi l’anestesista ed il chirurgo salvano delle vite. Certo, ma non da soli. Scendendo nella catena della organizzazione di un ospedale ci deve essere qualcuno che ha costruito una sala operatoria, altri che hanno comprato le attrezzature fino ad arrivare, assolutamente non ultimo, il personale che si occupa di mantenerla sterile e, anche, di pulirla quando il chirurgo, quella vita, la ha salvata.

Divago per un paragrafo e vi parlo della importanza di chi pulisce i nostri uffici. Questo perché abbiamo appena dimostrato come anche il loro lavoro sia fondamentale per il successo. Senza le persone che si occupano di rendere i nostri uffici vivibili, lavoro che fanno sopratutto la mattina presto o durante la notte, non avremmo a disposizione il migliore ambiente possibile per fare quello che facciamo. Pensateci, non è banale. Tra l’altro, questa è la ragione per la quale queste persone meritano la il maggior rispetto possibile. Pensateci. Sul tema c’è un bellissimo video di Anderson Wright, filmaker: While you were sleeping. Guardatelo, sono sette minuti ben spesi.

Non è il singolo che salva la vita ma il sistema.

Allo stesso modo non è il singolo che fa un lavoro importante, è il sistema in cui il singolo si trova.

Mi capita quindi di incrociare un post di Don Norman su Linkedin in risposta ad un altro post di Charles Mauro.

Charles Mauro scrive:

The future belongs to professionals who can objectively deal with scientifically defined problems followed by solutions that demonstrate objective benefits. DESIGN currently is totally unequipped to enter these problem spaces.

Charles Mauro

A questa affermazioni Don Norman risponde:

Yes! Few designers are equipped to work in these problem spaces. That is precisely the reason we want to change design education. I am fortunate to have degrees in Electrical Engineering and Psychology and have been a professor of Psychology, Cognitive Science, Computer Science, and Design. I’ve also been an executive at a large computer company. This broad training is not possible for everyone, but a combination of a deep understanding of people, technology, world history, and business are all required. (With history providing a background in understanding the evils of colonization and the importance of recognizing the world’s vast array of cultures, both indigenous and recent.)

Don Norman

Io non posso che essere d’accordo con quello che scrivono Charles Mauro e Don Norman e questo mi conduce a fare qualche riflessione su quello che è il ruolo del designer.

Qualche anno fa, durante una sventurato percorso professionale, qualcuno mi disse: “Ricordati che questa è una azienda di design”. E sti cazzi. Sarà anche una azienda di design ma con il solo design forse fai arte, non risolvi problemi. Da quella singola frase avrei dovuto dedurre che avevo fatto una pessima scelta decidendo di lavorare per loro.

A questo punto credo che dovremmo citare il grandissimo Achille Castiglioni quando diceva:

… l’importante è sapersi prendere in giro come faceva Jacques Tati e anche non metterla giù troppo dura con questo design, prendere la società com’è.

Achille Castiglioni

Ora, nessuno mette in dubbio che il design abbia un enorme potere nel progettare il nostro futuro. Ne sono stato sempre assolutamente convinto e se così non fosse non lavorerei dove ho lavorato per gli ultimi nove anni.

Quello che sostengo è che il design, da solo, non serve assolutamente a nulla. Se il design è fine a se stesso abbiamo perso di vista il fine ultimo, ovvero progettare prodotti e servizi che abbiano un impatto sulla vita delle persone.

Se ripensiamo a quanto detto all’inizio di questo articolo il design ha bisogno di dialogare con un ecosistema complesso affinché quello che progetta possa divenire realtà. Non si può prescindere dalla relazione con coloro che designer non sono ed è necessario che il design conosca il linguaggio del non designer e viceversa.

Ovviamente non è sufficiente. E’ condizione necessaria ma non sufficiente.

E’ altrettanto necessario che il designer abbia contezza del contesto di mercato in cui lavora od in cui il suo prodotto o servizio andrà ad innestarsi. Per questo deve possedere, almeno a livello di base, tutte quelle competenze di cui parla Don Norman nel suo intervento.

Se queste due condizioni non sono soddisfatte siamo destinati al fallimento. E sarà un botto fragoroso.

Questo è il motivo per cui sin dal mio ingresso in Sketchin ho spinto per avere al fianco di un Design Director uno Strategy Director. Consapevole del fatto che un designer, per via della sua formazione, non avesse gli strumenti necessari per affrontare un contesto complesso ho pensato che fosse necessario affiancargli qualcuno che quelle competenze le avesse e che, almeno a livello di base, fosse consapevole di cosa fosse il design.

La metafora utilizzata era quella del cervello umano. Il Design Director è il cervello destro mentre lo Strategy Director è il cervello sinistro.

Insieme a Luca ci abbiamo pensato nove anni fa ed è stata una scelta vincente nonostante tutte le difficoltà che tutt’oggi ancora incontriamo.

Quindi, cari designer, è vero che fate un lavoro importante ma se non siete in grado di essere umili e capaci di comprendere e relazionarvi con un ecosistema complesso che in massima parte non parla di design sarete destinati al fallimento. E ve lo meritate pure!

Baci e abbracci.


Shameless self promotion ahead…

Nel caso non ve ne foste accorti qui in giro c’è anche un podcast con il quale potrete intrattenervi.

Quello di seguito è l’ultimo episodio.

Qui, invece tutti gli episodi pubblicati sino ad ora: Parole Sparse – Il Podcast


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