The big Kahuna

Chiunque, come me, si trovi ad avere a che fare con dei clienti e che, di conseguenza, si trovi attaccato ai proprio risulati il raggiungimento di un obiettivo come booking, o revenue, o margine, potrà capire di cosa sto parlando.

Quando mi ritrovai per la prima volta in questa situazione cominciai a pensare al grande deal; quello che ti faceva svoltare l’anno fiscale e chiudeva in un solo colpo tutti gli obiettivi dell’anno facendoti respirare.

Negli anni il sogno di questa chimera è rimasto sempre presente e si è amplificato. Era diventato il deal che non riguardava più solo te, ma tutta la tua azienda.

Ovviamente non è mai successo, se non in una occasione nel lontano 2012.

Consiglio a tutti di guardarsi il film “The big Kahuna”, con Kevin Spacey e Danny DeVito. Due venditori, oggi più nobilmente si direbbe Key Account Manager, che nel corso di una convention della loro azienda danno la caccia al più grande il cliente. Il cliente che tutti vorrebbero avere. Naturalmente la caccia non si conclude con una cattura, ma questo credo che tutti lo avete immaginato.

Perfetta rappresentazione di un certo modo di fare affari. Grandemente istruttivo e grandemente consigliato.

In realtà nel corso degli anni il mio atteggiamento è cambiato.

Non sono più alla ricerca del long shot o del blue bird come potremmo chiamarlo usando terminologia che in realtà non mi appartiene.

Sono alla ricerca continua e disperata di cose belle da fare. Di progetti che diano soddisfazione a me e alle persone che ci lavorano.

Se da un lato perdi necessariamente la tranquillità che potrebbe darti un grande deal, dall’altro ne guadagni in qualità del lavoro ed in varietà.

Ecco, la varietà è ciò che oggi maggiormente mi spinge in territori poco conosciuti. Qualche volta con piena consapevolezza, altre con l’incoscienza di un bambino che compie i gesti più spericolati incurante del potenziale pericolo. Pericolo comunque a lui del tutto sconosciuto.

B-Corp

Oggi abbiamo avuto in ufficio un amico che, tra le altre cose molto fighe che fa, si occupa anche di B-Corp.

Tu sai che cosa è una B-Corp, vero?

Magari non lo sai e ora te lo dico io:

B Corp is to business what Fair Trade certification is to coffee or USDA Organic certification is to milk.

B Corps are for-profit companies certified by the nonprofit B Lab to meet rigorous standards of social and environmental performance, accountability, and transparency.

Se vuoi approfondire ti consiglio di cliccare qui. Ti assicuro che sarà una lettura interessante.

A noi di Sketchin questi temi sono sempre molto cari e per questo motivo abbiamo deciso di provare ad ottenere la certificazione B-Corp.

Insieme a Tiziano abbiamo fatto il primo assessment online. Si tratta di un esercizio utilissimo che ti guida attraverso cinque aree chiave di ogni azienda e per ognuna di questa viene valutato il tuo impatto sociale ed ambientale.

Le cinque aree principali sono: Governance, Workers, Community, Envrionment e Customers.

La valutazione ti fornisce un punteggio compreso tra 0 e 200 e devi ottenere un punteggio di almeno 80 per ottenere la certificazione.

Allo stato attuale Sketchin ha ottenuto un punteggio di 50,2.  E’ un pò pochino.

Devo dire che l’esercizio è stato utilissimo in termini di consapevolezza.

Oggi ho scoperto che Sketchin è una azienda con un punteggio altissimo sui Workers, discreto sulla Governance e assolutamente deficitario su Community, Environment e Customers.

In poche parole siamo una B-Corp per quanto riguarda il nostro interno ma è come se fossimo un organismo a sé stante per quanto riguarda le relazione con il tessuto sociale esterno e la consapevolezza del nostro impatto ambientale.

Consiglio a tutti di provare a fare questo esercizio, se non altro per rendersi conto di dove la vostra azienda sta in relazione a questi temi che stanno sempre più centrali.

Noi cercheremo di colmare questo gap di 30 punti che ci permette di raggiungere la certificazione. Non perchè ci interessi la certificazione in sé e per sé ma piuttosto perchè vogliamo essere una azienda migliore e più consapevole.

La banalità del mercato

Accade che due rapper si recano in un luogo per firmare autografi ai proprio fan. Accade che le due star firmano gli autografi solo a coloro che hanno acquistato il loro recente capolavoro. Seguono fan giovanissimi in lacrime.

Il giorno dopo uno dei due afferma che i giovanissimi fan dovrebbero prendersela con i loro genitori che non gli hanno acquistato il compact disc.

Qualche anno fa Musician Davey D scrisse:

“Keep in mind when brothas start flexing the verbal skillz,
it always reflects what’s going on politically, socially,
and economically.”

C’è una bellissima serie su Netflix che si chiama “Hip-Hop evolution” che narra della nascita di questo genere musicale e che consiglio a chiunque di guardare se vi interessa comprendere la matrice culturale in cui essa nasce.

Questi due pinguini fanno finta di rifarsi a questa matrice culturale in termini musicali, ma fino ad un certo punto, e ne copiano l’iconografia, ma non vedo nulla di più lontano da loro dal senso e dalle origini.

Tutto questo rende i personaggi falsi e fasulli per coloro che hanno voglia di fare girare un paio di neuroni.

Che si voglia fare cassa con il proprio successo lo capisco benissimo. Che si tenti di travestirsi di buone intenzioni di denuncia per poi fare quello che hanno fatto, un pochino meno.

Come nota a margine vale anche la pena dire che tra le tanti declinazioni di educazione che oggi mancano, anche quella musicale manca.

In questo senso l’affermazione di Musician Davey D diventa vera se applicata al comportamento dei due rapper. Una rappresentazione veritiera di quanto accade politicamente, socialmente ed economicamente.

Leggiamo l’episodio per quello che è.

La libreria 

Sono ormai anni che uso quasi esclusivamente il Kindle per le mie letture e ne sono assolutamente soddisfatto.

Nonostante questo c’è una cosa che mi manca delle librerie e che il Kindle non sarà mai in grado di sostituire.

No, non si tratta della menata della assenza della fisicità o del fantomatico profumo della carta.

Vuoi mettere portarsi in vacanza, od in viaggio, duecento grammi di Kindle rispetto a qualche chilo di carta?

Quello che mi manca è la serendipità della libreria. Il fatto di potere passeggiare tra le scansie e venire catturati da una copertina, sfogliare qualche pagina a caso, farsi sedurre da qualche frase e portare il libro a casa.

Questo caso d’uso non è riproducibile su un oggetto digitale o, almeno, lo è solo in parte.

Oggi molti dei miei acquisti mi vengono suggeriti dalla mia rete sociale e questo porta inevitabilmente a rimanere nel contesto culturale delle persone che conosco.

È raro che io possa incappare in qualcosa di completamente estraneo agli argomenti di cui parlo.

Succede ancora nelle relazioni personali ma sempre più raramente.

L’effetto collaterale è che spendo comunque del tempo in libreria. Lo spendo per la scoperta, non per l’acquisto. Quando trovo qualcosa che mi interessa, scatto una fotografia e poi lo compro sul Kindle.

Velocità

Molti anni fa, scendendo le scale della azienda per la quale lavoravo per andare a fumare, trovai una delle persone del mio gruppo in lacrime.

Mi fermai immediatamente e mi misi a parlare con lei cercando di capire per quale motivo stesse piangendo.

Mi disse che si sentiva pressata da una serie di cose urgenti. In realtà mi disse che tutto era urgente, tanto da non riuscire a capire di che cosa occuparsi e, sopratutto, di come occuparsene.

Io ricordo che le dissi che per nessun motivo si dovrebbe permettere ad un lavoro di farti piangere e che, in ultima analisi, se tutto è urgente, nulla è urgente.

Questa è la verità delle cose.

Ricordiamoci anche che la maggior parte di noi non fa il neurochirurgo e salva vite umane e per questa ragione il concetto di urgenza è veramente molto relativo. Io al massimo, oggi, la vita delle persone la complico.

Ricordo che la persona si sentì in qualche modo rincuorata da quella affermazione ed ebbi la sensazione che il suggerimento venne adottato. Diciamo che questo potrebbe rivelarsi wishful thinking ma tant’è.

Ora quella persona ha delle grandi responsabilità, è una persona dal talento assoluto, ed io mi auguro di averle insegnato qualche cosa non strettamente legatoa alla sua sfera professionale ma che le sia tornato utile. Sopratutto che sia tornato utile alle persone che lavorano per lei.

Oggi sono io ad avere l’impressione che tutto sia urgente e che non abbia sufficiente spazio per fare tutto al meglio. Ecco, oggi vorrei che ci fosse qualcuno a dire a me la stessa cosa. Aspetta un attimo… C’è! Sono io!

Niente è urgente.

Consapevolezza

Sono oramai prossimo al compimento del mio cinquantesimo anno di età.

No, non sto per comprarmi una moto, una macchina decappottàbile o una serie di vestiti che mi trasformino in un hipster.

Piuttosto mi sto rendendo conto con sempre maggiore chiarezza di una infinità di cose che per la velocità avevo sempre trascurato.

Il valore della lentezza in primo luogo. Lentezza non frutto di inerzia, ma composta dalla consapevolezza del valore del tempo. Il piacere di dedicare alle cose il tempo che si meritano.

La consapevolezza di voler scegliere dove e come spendere il mio tempo. Al di là della semplice regola che mi fa scansare tutte le rotture di balle, la scelta tra due cose che possono egualmente darti piacere. E, sopratutto, la capacità di non avere rimpianti a valle della scelta. La memoria che diventa più sottile aiuta molto.

Avere capito che le persone in grado di insegnarti qualcosa sono molte, molte di più di quelle a cui io sono in grado di insegnare qualcosa. Conseguenza di questo è la decisione di spendere molto più tempo ad ascoltare che a parlare. Prestare attenzione è il regalo più grande che mi sia possibile fare in questo momento.

Fare i conti con delle mancanze e delle assenze che ormai non è più possibile colmare, forse.

Il fatto che ho un continuo bisogno di conoscere cose che non appartengono alla mia sfera personale o professionale, ovvero la volontà di colmare la mia curiosità di cose sempre diverse e sempre più lontane.

La precisa scelta di non perdonare mai alcune persone. Poche, molto poche, in verità, ma che, davvero, non desidero proprio riportare nel novero delle persone che rispetto.

Il piacere del silenzio e della solitudine in dosi non tossiche.

Riconoscere il fatto che ho sviluppato una naturale intolleranza alle stronzate e che impiego veramente molto poco tempo a renderlo manifesto al mio interlocutore.

Avere imparato, finalmente, a dire subito di no. Senza ripensamenti.

Insomma, sto invecchiando male. Sopratutto per gli altri.

Sketching – The basics

Uno degli effetti positivi di Corrente Debole è che dopo molti post ricevo feedback in forma più o meno privata.

Ieri scrivevo della mia totale incapacità di disegnare qualasiasi cosa che non sia un omino antropomorfo.

Ho ricevuto un sacco di feedback utili.

Una persona in studio mi ha fatto notare che nella nostra nutrita biblioteca ci sono due testi che parlano proprio di quello e che sono “abbastanza” accessibili. Diciamo che “abbastanza” accessibili detto da un designer significa che più o meno devi essere parente di Michelangelo per tirarci fuori qualcosa.

Altre persone mi hanno scritto su Facebook consigliandomi percorsi più o meno complessi per provarci.

Altri mi hanno raggiunto su WhatsApp sempre con consigli molto utili. Sullo stesso tono ho ricevuto un paio di messaggi di posta elettronica.

Diciamo che in alcune occasioni il risvolto positivo della rete mi affascina. Oltre a questo capisco anche che qualcuno legge delle fregnacce che scrivo e, incredibile dictu, a qualcuno interessa anche.

Detto questo mi sono ripromesso che un altro tentativo lo faccio.

Disegnare

C’è una cosa per la quale non sono assolutamente portato. Questa cosa è il disegno a mano libera.

Questa cosa mi rode veramente tantissimo perchè disegnare è proprio una delle cose che mi piacerebbe sapere fare.

Oltretutto va detto che mio padre era un grande disegnatore. Conservo gelosamente dei suoi disegni fatti a china e appesi nel mio studio. Sono dei disegni meravigliosi e non saprei dirvi quanto sarei disposto a dare per essere in grado di poterli fare.

Nel trasferimento di materiale genetico che ha condotto alla mia nascita il patrimonio della abilità nel disegno non mi ha raggiunto. Ho ereditato molto da lui, nel bene e nel male, ma il disegno proprio no.

Io ciclicamente ci provo. Compro il mio sketchbook, una matita nuova ed il risultato è sempre una raccolta impresentabile di schifezze. Pochi giorni, ultimamente ore, e abbandono lo sketchbook nel cimitero delle passioni non soddisfatte sino al tentativo successivo.

Io nutro una ammirazione totale per coloro che sono in grado di disegnare. Io mi fermo agli omini antropoformi o poco più.

Molte persone mi hanno detto che disegnare è disciplina. Dai, non ci credo. C’è indubbiamente una dose di talento che devi avere.

Io questo talento, purtroppo, non ce l’ho.

Sei mesi

A occhio e croce siamo a metà dell’esperimento. Sono sei mesi che giornalmente scrivo qualcosa su queste pagine.

In sei mesi ho saltato solo un giorno e vi confesso che per me è una costanza veramente fuori dal comune dato che il mio commitment tende a scemare esponenzialmente con il progredire del tempo.

L’esperimento funziona.

È spesso una occasione per prendermi una pausa dal quaotidiano e allontanarmi per qualche minuto da tutte le menate che mi circondano.

Ho la sensazione che la mia scrittura ne abbia tratto dei benefici, seppur non troppo evidenti.

La verità è che non c’è una qualità costante nei miei scritti e spesso, molto spesso, sono piuttosto correlati al mio umore o alla quantità di stanchezza accumulata durante il giorno.

Facendoci sopra un pochino di analisi semantica ci sarebbe probabilmente l’opportunità di avere qualche insight interessante legato alla sfera emotiva, sopratutto se l’osservazione venisse correlata al mio calendario, al contachilometri della mia macchina, alla mia casella di posta elettronica e al numero di slides prodotte.

Ora si tratta di vedere se riuscirò a resistere per i prossimi sei mesi come da impegno preso o se mi stuferò prima.

Annunci di lavoro

Frequento sempre LinkedIn con una certa assiduità. Mi piace cercare di capire che cosa accade al di fuori del mondo che conosco e mi piace cercare di comprendere che cosa LinkedIn ritenga essere una posizione adatta a me.

Raramente, molto raramente, ci prende.

In realtà ultimamente riflettevo sulla qualità degli annunci di lavoro che vengono pubblicati.

Ovviamente non mi stupisce ma mi colpisce il fatto che si tratti sempre di posizioni sfavillanti e che offrono significativi sbocchi professionali. Si tratta sempre di opportunità uniche che non puoi lasciarti sfuggire.

Anche il linguaggio utilizzato è peculiare. Se, ad esempio, devi passare la tua giornata al telefono cercando di convincere qualcuno a comprare il tuo prodotto sei un “dialogatore”. Eccezionale.

L’altra cosa che mi lascia perplesso è che chiunque viene sempre inserito in una azienda “dinamica ed in forte crescita”, spesso in un ambiente di lavoro “stimolante e coinvolgente” dove avrai tutte le possibilità di “essere premiato per la tua competenza”.

Un mio vecchio collega, ed amico, diceva spesso che “è falso come i soldi del Monopoli” riferendosi ad aziende o persone.

Sicuramente ci sono posizione ed aziende come quelle descritte ma dubito che la totalità delle posizioni e delle azienda possano risultare veritiere alla prova dei fatti.

L’orologeria

Ho una vera passione per gli orologi, ed in particolare per gli orologi da polso meccanici. Spendo una quantità di tempo enorme guardando video sulla costruzione degli orologi e sulla loro storia. Io la trovo una perfetta fusione tra arte e tecnologia che si conclude con la realizzazione di un artefatto perfetto e tangibile.

Da moltissimi anni mi servo da un’orologeria a Milano che mi regala sempre grandi emozioni.

È un posto piccolissimo. Quando ci sono più di tre clienti si fatica a muoversi all’interno degli spazi del negozio. È un posto fuori dal tempo dove puoi trovare delle vere rarità e dove, cosa oramai rarissima, non ti viene messa alcuna fretta ed anzi se ne hai la possibilità puoi spendere del tempo discorrendo di orologi con i due proprietari.

I due proprietari sono dei personaggi fantastici. Sono due persone anziane con una insana cultura sugli orologi e con una passione che è ancora quella di giovanotto. Sono sempre vestiti in maniera molto elegante e un pochino fuori dal tempo e con un vocabolario sempre molto attento e ricercato.

All’interno del negozio hanno due scrivanie che si dividono. La prima cosa che ti colpisce di quel posto è che sembra un salotto di una casa nobile. Mobili d’epoca che lo arredano, stampe antiche alle pareti. Pochissime vetrine.

L’altra cosa che ti colpisce è che non c’è nessuno oggetto elettronico a vista d’occhio. Il registratore di cassa, un obbligo, è nascosto sotto una delle due scrivanie. Il POS è nascosto nel retro del negozio.

In quel negozio non si parla mai in piedi. Non appena entri ti fanno accomodare su una delle poltrone all’interno e dopo qualche chiacchiera puoi cominciare a parlare del motivo che ti ha portato lì dentro. Spesso la discussione scivola sugli orologi ed in quel momento cominciano ad estrarre dalla cassaforte delle vere meraviglie che non potrò mai permettermi.

Hanno come assistente un altro signore anziano che li aiuta prendendo cose dai cassetti, dalla cassaforte e dagli spazi nascosti del negozio. Anche lui è vestito sempre in maniera molto elegante sebbene un pochino più dimessa rispetto ai proprietari. Quello che mi ha sempre colpito è che si rivolgono sempre a lui dandgoli del lei e chiedendo ogni cosa con estrema cortesia. Cose d’altri tempi.

Ci sono persone che amano il loro lavoro e tu, come cliente, lo percepisci chiaramente.

A me quel posto piace tantissimo e cerco sempre di andarci in momenti nei quali sono sicuro che c’è poco traffico all’interno in maniera da potere spendere con loro qualche momento piacevole.

Ecco, se avessi mai un negozio mi piacerebbe che fosse come quello.

Distrazioni necessarie

Sono ormai molti anni che convivo con la responsabilità di pagare gli stipendi ad un discreto numero di persone.

All’inizio questa cosa mi faceva dormire veramente poco. Sapere che una mia scelta potrebbe avere avuto conseguenze rilevanti sulla loro vita e su quella dei loro cari mi creava un’ansia talvolta difficile da sopportare.

Con gli anni questo peso si è affievolito e la maggior parte delle notti dormo tranquillo.

Ci sono dei momenti in cui sento comunque la necessità di sgomberare il mio cervello da questi pensieri.

Ci sono diverse cose che aiutano a distaccarsi da tutto:

  • Le serie televisive, sopratutto se consumate al ritmo di tre, quattro episodi alla volta.
  • Scrivere codice.
  • Dedicarmi ai giochi con i miei figli.
  • La lettura compulsiva.
  • Suonare uno strumento ed in particolare studiare un nuovo brano.

Queste sono le mie vie di fuga dalla realtà.

Sto creando Luis

Nelle ultime serate sto lavorando ad un piccolo progetto personale.

Il soggetto su cui sto lavorando si chiama Luis, che in dialetto milanese sta per Luigi. Chi di voi lavora su temi semili potrebbe riuscire a capire di cosa si tratta.

Per il momento sto mettendo insieme un concept che prende dati che mi appartengono da fonti diverse, come ad esempio i social network, e li rende disponibili a chiunque ne faccia richiesta.

Tutto questo in un modo un pochino particolare.

Sino ad ora sto cercando di fare parlare cose e sistemi tra di loro e dalla serata di ieri pare che comincino a capire e a relazionarsi a dovere.

Il tutto terminerà su una tecnologia di cui si fa un gran parlare e che volevo sperimentare in prima persona.

Luis sarà un personaggio non troppo serio, un pochino come il sottoscritto.

Insomma, non ho detto nulla ma volevo scriverlo.

Dati personali

Nelle scorse settimane ho riconsegnato la mia autovettura per il termine del contratto di leasing.

Pochi giorni prima ho pensato a quali dati personali fossero presenti all’interno del sistema dell’autovettura e al modo attraverso il quale avrei potutto cancellarli.

Mi ero fatto una lista:

  • I miei contatti telefonici salvati nella rubrica dell’auto.
  • La lista delle ultime chiamate ricevute.
  • La lista delle ultime chiamate effettuate.
  • Gli sms salvati.
  • La lista delle destinazioni salvate all’interno del navigatore.
  • La lista delle ultime destinazioni.
  • La lista dei viaggi preferiti (il cui concetto continua a sfuggirmi)
  • La lista delle stazioni radio memorizzate. Sì, daccordo, cosa di poco conto ma comunque un informazioni.

Ho provato a consultare il manuale della autovettura ma non ho trovato nulla che mi permettesse di ripristinare in una sola azione il software di bordo.

Ho invece scoperto che quando si rimuove un device bluetooth viene anche cancellata la rubrica associata a quel device. Facile.

Gli sms vengono rimossi automaticaente anch’essi quando un telefono viene disassociato.

Sul navigatore devi manualmente cancellare tutti i dati uno per uno. Non ho trovato il modo di cancellare i “viaggi preferiti”.

Anche per le stazioni radio devi fare tutto a mano.

Sicuramente all’interno dell’autovettura c’è tutto un altro insieme di dati che riguardano lo stile con il quale l’auto è stata condotta. Non ho idea di che profondità temporale possa avere questo genere di memoria.

Sempre di più a bordo abbiamo un computer e, in quanto tale, egli è a conoscenza di una enorme quantità di informazioni personali dell’utilizzatore.

Io credo che sarebbe il caso che ci si cominci a pensare.

Terms and Conditions

Quanti di voi leggono attentamente i Termini e Condizioni  di un servizio quando lo sottoscrivete o la End User License Agreement di una applicazione quando la comprate?

Io praticamente mai.

Una decina di anni fa era famoso il caso di un prodotto shareware di cui non ricordo più il nome il cui sviluppatore inserì nell’End User License Agreement una frase che diceva avrebbe donato 500 dollari al primo utente che li avrebbe reclamati.

La frase era posta in fondo all’End User License Agreement e per questa ragione nessun utente mai reclamò quella cifra e fu lo stesso sviluppatore a rivelare il suo intento per dimostrare la completa inutilità di quell’accordo.

La verità è che fior di avvocati vengono pagati per scrivere i Termini e Condizioni e le End User License Agreement.

Con i Social Network che spingono si cominciato a notare Termini e Condizioni che provano a limitare la libertà delle persone di parlare male di un prodotto o servizio.

L’ultimo caso di cui ho letto è i-Geniuses, una società Americana che si occupa di riparazioni di computer Apple. i-Geniuses scrive:

Customers agree not to attack/criticize/disparage/defame i-Geniuses.com or any of its employees, associates or partners publicly (on public forums, blogs, social networks etc)… Similarly you agree not to seek any SEO advice on SEO forums, blogs, community groups or any social media in a way which brings bad name to i-Geniuses.com or any of its employees, associates or partners. In case of breach of this clause, you agree to pay a flat fee of $2500.00 per instance to cover the cost associated with the restoration of i-Geniuses.com’s reputation and any and all business losses as directly related to your actions or actions of those directly or indirectly influenced by your prohibited action.

Ovviamente uno dei clienti che ha ricevuto un pessimo servizio da loro ha scritto recensioni negative su Yelp e su Google ed ha quindi ricevuto una fattura per un totale di 5000 dollari e rotti.

Ovviamente Internet si attiva e si scatena il più classico degli shit storm, in questo caso pienamente a ragione.

La vicenda è piuttosto buffa, anche nella sua esecuzione come si può leggere nel pezzo originale su Techdirt (qui).

La cosa buffa è che questo articolo è ora nella prima pagina dei risultati di ricerca di Google per il termine i-Geniuses.

La realtà delle cose è che se tenti di proteggere una porcheria ai tempi dei Social Network non c’è modo di sfuggire e l’effetto che ne ottieni è che il danno aumenta di qualche ordine di grandezza.