Progettare servizi

La prossima settimana scade il mio contratto di leasing per l’auto e quindi mi devo riorganizzare per la riconsegna.

Ancora una volta tutti i servizi sono costruiti per fare in modo che i problemi di operations dell’azienda vengano risolti dai clienti.

Chiami l’azienda con la quale hai stipulato il contratto di leasing e ti viene detto che loro non si occupano direttamente della riconsegna e che quindi devo contattare il concessionario.

Provo a contattare il concessionario per la riconsegna. Il centralino ti fornisce tutto le opzioni possibili e immaginabili. Premi uno per le vendite, due per l’officina, tre per questa marca, quattro per le moto ma niente che ti metta in contatto con un essere umano che si occupi dei contratti di leasing.

Rinunci e scrivi un messaggio di posta elettronica. Dopo tre giorni viene contattato da una persona, assolutamente gentilissima, che ti dice che per riconsegnare l’auto devi prendere appuntamento con una agenzia esterna che si occuperà della perizia. In linea di principio la cosa è assolutamente ragionevole. Fare periziare l’auto da una terza parte dovrebbe servire a proteggere il cliente. Non approfondisco ma immagino che sia il concessionario a pagare la perizia e quindi tutta questa protezione nei miei confronti non la vedo.

Il signore mi dice di inviargli i dati con la targa dell’autoveicolo, il modello e il numero di telaio della vettura in modo che possa attivare la pratica e fissare l’appuntamento… No, davvero? Il numero di telaio? Io non so nemmeno dove si trova il numero di telaio… mi ricordo che da qualche parte nel sito dove ho registrato la mia vettura c’era un numero che si chiama VIN, vehicle identification number, che penso possa essere il numero di telaio. Ho ragione, il VIN è il numero di telaio.

Quindi tu fai recuperare a me clienti dei dati che sono certamente immagazzinati il almeno tre sistemi della tua azienda. Considerazione che tengo per me, ovviamente.

Ok, abbiamo tutti i dati per prendere un appuntamento.

No, non è così veloce. Bisogna mandate la richiesta alla società che fa le perizie ma che non rilascia mai appuntamenti prima di cinque giorni dalla richiesta… nemmeno stessi chiedendo di essere ricevuto dal Santo Padre.

Per fortuna in questo caso scrivono loro… e questo è un errore perchè si innesca una negoziazione tramite la triangolazione del concessionario. La società che fa le perizie è flessibile come un muro di cemento armato e alla fine prenoto l’appuntamento.

Confermato l’appuntamento arriva un messaggio di posta elettronica dal perito scritto in uno stile che nemmeno Adolf Hitlee quando stava di cattivo umore. Tutti imperativi. Fai questo, porta quest’altro, non dimenticare di e via dicendo.

Inutile dire che già mi sono girate le scatole e presumo che l’appuntamento di Lunedì sarà un bagno di sangue.

Ma quando riusciremo a capire che i servizi devono essere costruiti intorno ai clienti e che dei clienti non puoi abusare.

Avevo già deciso per un altro brand ma questa è un ulteriore conferma. Non che mi aspetti nulla di diverso, sia chiaro.

Carta e penna

È un dato di fatto che la mia memoria non è più quella di una volta. Non si tratta della usuale lamentela sull’avanzare dell’età ma di una pura e semplice constatazione.

Mi ritrovo sempre più spesso a pensare a qualcosa che ritengo sia interessante, che valga la pena esplorare con più attenzione o di cui valga la pena scrivere.

Ore dopo mi ritrovo a fissare l’infinito cercando di rircordare di che cosa si trattava e, nonostante gli sforzi, non ne vengo a capo.

Questo è il motivo per cui ho sempre a portata di mano carta e penna. In questo modo ho la possibilità di salvare le mie idee dall’oblio.

Un giorno che dura una settimana

Ci sono dei giorni che durano una settimana o, in altre parole, ti danno l’idea di avere ottentuto quello che di solito impieghi una settimana ad ottenere.

Oggi è stato uno di quei giorni.

Una sveglia all’alba per prendere un treno per Roma. Tre ore spese a rivedere in maniera certosina un executive summary per una presentazione ad un CEO alle 17.30. Essere puntacazzisti non aiuta in questi casi.

Il solito flusso di messaggi di posta elettronica con cose più o meno importanti. Trovare il modo di litigare virtualmente con il tuo locatore per qualcosa che io ho ritenuto essere un vero e proprio ricatto.

Provare a fare una telefonata importante, purtroppo senza successo.

Arrivare a Roma e fiondarsi in centro per la revisione del materiale per l’incontro con un altro CEO nel primo pomeriggio. Avere il tempo di stupirsi del fatto che a Roma piova.

Saltare in taxi e andare a parlare di chi sei e di quello che fai con il solito entusiasmo che mi travolge quando mi capita di fare queste cose.

Sapere che c’è un team di persone di talento che si sta facendo un mazzo tanto perchè tu possa andare a fare il tuo show. Saltare in taxi consapevole di avere giusto il tempo necessario per il prossimo appuntamento.

Guardo l’orologio e sono già le quattro e mezza del pomeriggio.

Osservare il traffico che scorre lentamente mentre sei al telefono con un’altra persona di talento per definire insieme come dividerci il materiale da illustrare.

Scendere dal taxi con giusto il tempo necessario per farsi annunciare e poi via in due ore e mezza di review finale di un progetto importante. Ancora una volta notare come ti stai accalorando nel raccontare perchè hai fatto certe scelte, perchè le cose sono strutturate in un certo modo e perchè la strategia è stata costruita secondo questi razionali.

Lasciare la parola alla persona che è con te e rendersi conto che, cavoli se è brava, se la cava meglio di te nella sua parte.

Terminare l’incontro con il CEO alle otto di sera e fermarsi per le ultime chiacchiere.

Chiedere esplicitamente al tuo cliente “Sei contenta?” e sentirsi rispondere “Sono molto contenta!”.

Uscire dal palazzo alle otto e mezza e vedere che quel piazzale che nel primo pomeriggio era pieno di auto ora è completamente vuoto. Aspettare il taxi che ti porta in albergo.

Parlare con il conducente di moto e di quanto sei ancora affezionato alla tua Yamaha SuperTenerè. Arrivare in albergo e ordinare qualcosa in camera perchè, genio, nell’albergo che hai prenotato il ristorante è a due chilometri di distanza.

Scrivere queste poche righe e rendersi conto di due cose.

La prima è rendersi conto che tutto questo non sarebbe possibile se insieme a te non lavorassero persone che ogni giorno danno tutto quello che hanno per i progetti su cui lavorano. Persone che ti danno l’opportunità di brillare, ma di luce riflessa. Ci metti del tuo ma senza l’insieme non potresti illuminare nemmeno uno sgabuzzino.

La seconda è constatare che fai tutto questo perchè ti piace e ti fa sentire vivo come non mai.

I servizi gratuiti del Marriott

Per un evento aziendale oggi ho speso la mia giornata presso un hotel della catena Marriott in centro a Milano.

Le nostre sale riunioni si trovavano al primo piano e, dato che sono di una pigrizia assoluta, ho usato l’ascensore per raggiungerle.

All’interno dell’ascensore era pubblicizzato un servizio dell’hotel tramite il quale gli ospiti avrebbero potuto leggere le più diffuse testate nazionali ed internazionali gratuitamente durante il loro soggiorno presso l’hotel. Offerta interessante. Per poterlo fare dovevi semplicemente scaricare l’applicazione sul tuo device e regalare una carrettata di dati personali. Cosa che comunque avevi già fatto essendo cliente dell’hotel.

Oltretutto l’applicazione era rilasciata per iOS, Android, Windows Mobile e, per non farci mancare nulla, anche Amazon. Sono daccordo che Amazon rientra in una delle categorie di cui sopra, ma non rileva.

Fighissimo.

Peccato che il WiFi all’interno dell’hotel è gratùito solo nella lobby. In tutto il resto dell’hotel il WiFi costa 12,00 EUR a device.

Se vuoi leggere il tuo giornale gratis lo puoi fare solo nella lobby.

Dieta informativa

Se è vero che la dieta vera e propria non è ancora cominciata devo dire che la mia dieta informativa è ormai entrata a pieno regime.

L’eliminazione del superfluo dalle mie letture comincia a dare i suoi esiti positivi ed il rapporto segnale/rumore sta assumendo proporzioni decisamente gestibili.

Si tratta comunque di un processo continuo e senza fine, chè un somaro qualsiasi si può insinuare nei tuoi feed senza che tu nemmeno te ne accorga.

Anche per quello che riguarda i miei feed di notizie il numero è decisamente diminuito rispetto all’anno scorso.

Si sono affiancate diverse fonti che provengono da YouTube come ad esempio le registrazioni delle sessioni delle conferenze BlackHat e 3C che sono fonte continua di ispirazione per chi ha tendenze nerd come me.

Aumentato anche il numero di fonti che non appartengono al mio mondo professionale o a quello strettamente tecnologico. Questa è aria nuova che mi distrae dalle incombenze quotidiane liberando il mio cervello dalle solite menate.

Tutto questo per dire che ogni tanto una sana revisione e razionalizzazione di quello che si legge ha il suo grandissimo perchè.

Il gruppo della caserma

Io sono molto affezionato al tempo che ho trascorso facendo il mio servizio militare. Era il 1989 e per un anno sono stato ospite del 26º Reggimento di Fanteria “Bergamo” di stanza a Diano Marina.

E’ stato un anno in cui ho imparato moltissimo. Uscendo dall’ambiente universitario ho avuto modo di rendermi conto di quanto fossi stato fortunato ad avere la possibilità di studiare. (Non ci siete più ma, grazie mamma, grazie papà)

Ero un furiere. Un furiere in un centro addestramento reclute. Da noi ogni mese o poco più passava un migliaio di ragazzi che sarebbero poi stati inviati ai rispettivi reparti di destinazione una volta terminato l’addestramento base.

Io ero convinto che si fosse tutti all’università. Tutti i miei amici frequentavano l’università e avevo solo una piccola percezione di quanto vasta, e diversa, fosse la realtà.

Facevo statistiche. Scoprii che il numero di laureati era inferiore a quello degli analfabeti. Ho conosciuto persone che non parlavano Italiano ma solo il loro dialetto. Ho incontrato ragazzi che avevano preso il treno per la prima volta per arrivare in caserma. C’erano persone che non eseguivano gli ordini semplicemente perchè non erano in grado di capire quello che gli stavi dicendo.

Ho avuto la fortuna di avere degli ufficiali che, nella loro formalità, mi hanno permesso di comprendere alcuni meccanismi e dinamiche che avrei poi ritrovato nella vita reale, nel mondo del lavoro.

E’ stato un grande bagno di umiltà di cui, sinceramente, ringrazio lo Stato Italiano.

E’ stato un anno perso? Forse sotto certi aspetti.

E’ stato un anno utile? Moltissimo sotto altri aspetti.

Ovviamente su Facebook c’e’ il gruppo formato da tutti coloro che negli anni hanno frequentato la caserma. Ormai su Facebook c’è un gruppo per ogni evento o trascorso.

Io mi ci sono iscritto perchè ogni tanto mi piace ricordare quell’anno attraverso le fotografie ed i racconti delle altre persone che hanno speso un anno della loro vita nello stesso posto nel quale io ho speso il mio.

C’è solo un tipo di post che non riesco a farmi piacere. I post per “uomini veri”, o supposti tali. Cose del tipo “Solo chi ha guidato un ACM è un duro, un massiccio ed un vero uomo”. Davvero, nel 2017?

Ora a parte che io non ho mai guidato un ACM in vita mia ma mi sento un discreto esemplare di uomo. Non vero o finto, non duro o molle, massiccio poi non ne parliamo. Ma davvero dobbiamo misurarci con questi parametri per stabilire se uno è un uomo o no. E poi, è davvero strettamente necessario misurarlo? Io nemmeno negli spogliatoi della palestra mi sono mai misurato.

Giocattoli moderni

Rispetto a quando ero bambino oggi c’è una varietà enorme di giocattoli per i miei bambini. Nel paese in cui vivevo c’era un unico negozio di giocattoli e, per quanto grande, la varietà era molto modesta.

Oggi ci sono giocattoli fantastici. Cose che mi sarebbe davvero piaciuto avere nella mia dotazione di bambino.

C’è una differenza fondamentale rispetto ad allora: la durevolezza.

I giocattoli che avevo io da bambino duravano una eternità. Non si rompevano praticamente mai nonostante le sollecitazioni che ricevevano. L’unico oggetto che ricordo si rompeva con estrema facilità era il mio Big Jim. Ve lo ricordate? Era quel giocattolo con un grosso bottone sulla schiena che, quando premuto, simulava una mossa di karate. In quel gioco la giuntura tra la gamba ed i fianchi era snodabile ma debolissima. Credo di averne rotti diversi in quello specifico punto.

I giocattoli di oggi sono caratterizzati da due elementi.

Il primo è che sono costruito con una attenzione totale al risparmio sulla fattura. Decono costare poco altrimenti non si vendono. La conseguenza è che la vita media di questio giocattoli è brevissima.

Il secondo elemento è che quando ti trovi davanti a dei giochi che prevedono materiali di consumo come ad esempio la penna 3D questi sono progettati per non essere riutilizzati. Terminato il ciclo d’uso li devi buttare via e comprarne un altro se desideri continuare a giocare.

Questo è lo stato delle cose ma non mi piace affatto. Tutti tendono alla gratificazione istantanea e ti abituano ad un consumo continuo e velocissimo. Diciamo che non sono proprio il genere di messaggi che tu vorresti proporre ai tuoi figli.

A tutti questi giochi si affianca comunque un brand che invece è assolutamente indistruttibile: i modelli di Bruder. Questi giocattoli sono fantastici e durano secoli.

Ecco, questa marca si avvicina decisamente al mio ricordo di giocattolo.

La cantina

Ho avuto la fortuna di crescere in una belissima casa. La villa dei miei genitori nel piccolo paese in cui vivevamo era unica nel suo genere. Era stata progettata interamente da papà e ne aveva davvero curato ogni piccolo dettaglio.

Non era il classico parallelipedo così comune nei paesi come il nostro. Aveva una geometria veramente particolare ed io la ho amata moltissimo.

Avevamo un grande giardino che papà curava con certosia attenzione. Le piante erano una delle sue grandi passioni. Quando ero piccolo papà viaggiava molto. Brasile, Iran, Giappone, Corea e tanti altri posti che allora mi sembravano così esotici e pieni di potenziali avventure. Ogni volta che tornava da un viaggio portava con sè dei semi o delle piante che in Italia ed in Europa non si trovavano. Cosa che oggi sarebbe impossibili dati i regolamenti esistenti. Allo stesso si serviva di una azienda Belga che gli forniva bulbi e piante introvabili in Italia. Questo fece sì che il nostro giardino fu uno dei più esotici del paesello.

In quella casa c’era una cantina piuttosto grande. Era il posto in cui papà teneva i suoi attrezzi da lavoro. Dalla piccola carpenteria ai saldatori, cacciaviti e lenti di ingrandimento, una quantità infinita di minuteria meccanica. Fu il mio paradiso per tantissimo tempo. Credo che la mia passione di capire come funzionano le cose smontandole nacque proprio grazie a quella cantina.

Lì sotto ho smontato praticamente ogni cosa che si potesse smontare e ho passato tantissimo tempo costruendo cose, spesso senza senso, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Allora non c’era Internet e ricercare informazioni era una cosa difficile e oltremodo lenta. Anche il mio inglese comincia a migliorare da allora. Alla ricerca continua di informazioni per creare qualcosa di nuovo.

Quella casa oggi non è più nostra e quando ho firmato il compromesso insieme ai miei fratelli ho detto ai nuovi proprietari: spero che in questa casa siate felici quanto lo sono stato io.

Non ne hanno fatto ancora nulla e la villa sta andando in rovina. Questa, però è un’altra storia.

Oggi vivo in una casa grande e molto bella. Purtroppo non ha quella cantina e non ha uno spazio che possa essere considerato simile.

Ecco, quello spazio mi manca moltissimo. Così come mi manca potere raccontare dei miei progetti farlocchi a mio padre.

Las Vegas

In questi giorni si tiene a Las Vegas il Consumer Electronic Show, una delle più grandi fiere dell’elettronica di consumo.

L’evento si tiene a Las Vegas e devo ammettere che non esiste città migliore per ospitare un evento di questo genere. Ad un Europeo Las Vegas appare come un continuo susseguirsi di cose di poco senso.

Las Vegas è una città che ho frequentato molto. In parte per via del CES, in parte perchè era la sede in cui si tenevano gli eventi di una azienda per cui ho lavorato per una decina d’anni.

Sono sempre rimasto esterrefatto dall’entusiasmo che i miei colleghi americani dimostravano per questa accozzaglia di artefatti copiati da tutto il mondo, dal mondo delle favole o dai miti del passato.

Una città in cui tutto mi sembrava finto ed artificiale. Quel microclima e quegli ambienti costruiti per rendere il giorno uguale alla notte. Il modo migliore per tenere incollate le persone alle slot machines o costringerle a vagare all’interno di un casinò come se il tempo si fosse fermato.

Una città strana, quasi un non luogo.

Per certi versi è una città stupefacente in termini di accoglienza. Ci sono posti in cui puoi ospitare migliaia di persone per farle assistere ad un unico evento. La prima volta mi stupii di queste enormi ballroom piene di sedie, una fila dopo l’altra. Mi sono abituato in fretta a queste dimensioni.

Mi piaceva osservare. Mi sono ritrovato ad osservare lavoranti travestiti da centurioni che fumavano una sigaretta nel parcheggio di un albergo. Ho visto spogliarelliste uscire dai locali patinati in cui ballavano vestite in tuta e felpa. Ho osservato la quantità di lavoro necessario dietro le quinte per rendere tutto così splendente agli occhi dei turisti.

Per tenere insieme un artificio come quello c’è bisogno di tanto sudore, ma deve essere sudore che non si vede altrimenti il sogno dorato si infrange.

C’è la promessa di sbancare un casinò e tornare a casa con un assegno che ti risolve la vita. Durante un viaggio aereo verso Las Vegas da New York mi capitò di avere di fianco una persona che si occupava dell’industria dei casinò. Mi ha raccontato di come tutto si costruisce per trattenere i clienti all’interno dell’edificio. Vieni servito di cibo e bevande davanti alle slot machines od ai tavoli da giochi non perchè si desideri prendersi cura di te ma perchè devi continuare a spendere il tuo denaro senza distrazioni. La casa non perde mai, il bilancio è sempre a sfavore del giocatore.

Io gli dissi che ogni tanto si legge di qualcuno che torna a casa con una grande vittoria e lui mi disse una cosa che mi colpì molto: è vero, ma è gente che non è abituata al denaro e finisce sempre male. Credo che avesse ragione.

E’ la città dell’eccesso. In generale gli Stati Uniti sono una nazione di eccessi ma Las Vegas è particolare. Prendete ad esempio le porzioni dei ristoranti. Sono enormi. Io non credo di essere mai riuscito a finire un piatto in un ristorante di Las Vegas. Nemmeno quando ero un trentenne in forma e dal grande appetito.

E’ una città in mezzo al deserto. Costruita dove il buon senso avrebbe suggerito di non farlo. Eppure sta lì e le sue luci si dice si vedano dallo spazio.

Quasi quasi ne sento la mancanza.

Pensare una presentazione

In questi ultimi tre giorni mi sono dovuto dedicare alla stesura di un documento importante per un nostro cliente. Ovviamante, come spesso accade, il documento in questione doveva avere la forma di una presentazione.

Quando mi trovo di fronte a questo genere di attività io mi trovo sempre in difficoltà. Non si tratta di una difficoltà nel produrre il documento in sé e per sé dato che si tratta di argomenti che ormai maneggio da anni. Si tratta proprio dell’atto fisico di creazione del documento, della presentazione in questo caso specifico.

Io non riesco ad iniziare a scrivere il documento fino a che non riesco a visualizzarlo completamente nella mia testa. Mi riesce assolutamente difficile riuscire a cominciare ad esprimere concetti in forma di bozza per poi rimaneggiarli mentre il documento evolve.

Almeno nella sua forma ad alto livello la storia deve essere già formata nelle sue parti e nella sua sequenza nel mio cervello. Se non faccio così impiego secoli ad arrivare a qualcosa di compiuto.

Questo è anche il motivo per mi capita spesso di liquidare il mio luminoso leader, alias Luca, dicendogli che devo “fare girare” qualcosa prima di parlargliene.

L’effetto si manifestava anche quando dovevo scrivere del codice o lavorare su un algoritmo. Sino a che non funzionava nella mia testa non scrivevo una riga di codice.

Polizia stradale

Questa sera stavo guidando verso casa. Guidavo a velocità molto moderata, diciamo intorno agli ottanta chilometri orari mentre mi trovavo in tangenziale.

Data la mia velocità mi trovavo nella corsia dell’infamia, ovver la corsia più a destra.

Il traffico era poco e molto scorrevole tanto che la corsia alla mia sinistra era praticamente vuota cosà come lo era la corsia che stavo percorrendo.

Vedo nello specchietto una Mini che si avvicina sulla corsia di sorpasso e lentamente mi sorpassa. Dietro di lei una macchina della polizia stradale che la segue ad un paio di centinaia di metri di distanza.

La Mini passa e continua a rimanere nella corsia alla mia sinitra ad una velocità di circa novanta chilometri orari. Ovviamente non andava più veloce perchè tallonato dalla macchina della polizia.

Io mi stupisco del fatto che non si sposti nella corsia di destra dato che è assolutamente libera il che, ovviamente, è una infrazione del codice stradale. Non faccio in tempo a fare passare questo pensiero che la macchina della polizia accende i lampeggianti, accelera ed intima alla Mini di accostare.

Ecco, vedi, la corsia dell’infamia non è poi così male.

 

L’incubo dei cavi

In questi giorni sono passato alla nuova generazione di MacBook Pro. Sì, quella versione da 15″ con la tanto discussa touchbar.

Ho avuto la pessima idea di clonare il mio vecchio Mac usando Time Machine ed una connessione WiFi. Il tutto è risultato in una operazione che è durata 18 ore suonate. Decisamente troppo anche se si è trattato di un errore mio. Avrei dovuto scegliere una operazione più veloce.

Oltretutto il mio caso era macchinoso dal momento che, per colpa di Luca, su questa macchina gira sempre l’ultima versione beta del sistema operativo. Lo so, lo so. Un errore usare un sistema operativo beta su una macchina di produzione ma che ci volete fare, non riesco a resistere. Per questo ho dovuto prima aggiornare la macchina all’ultima versione del sistema operativo beta prima di potere procedere alla operazione di ripristino. Questo ha aggiunto un’altra ora buona alla già lunga operazione di ripristino.

Finalmente mi sono ritrovato con una macchina che era la copia speculare della precedente e questa è una gran cosa.

A questo punto il nuovo sitema era pronto.

Piccolo particolare. Tutte le connessioni sono USB-C. Tutti i miei cavi sono Thunderbolt oltre ad avere usato la connessione nativa HDMI.

Comincia il festival di ricerca della soluzione migliore.

Vediamo cosa serve:

  • Tutti i clienti hanno sistemi di proiezione HDMI o, nel caso peggiore, VGA. Questo implica la necessità di avere i due distinti cavi dedicati HDMI e VGA per la modica cifra di 59 Euro più 59 Euro. Al momento non ci sono altre alternative per la connessione VGA.
  • Devo potere riutilizzare i miei vecchi accessori e periferiche USB come ad esempio Ableton Push, hard disk USB ed altre cosette. Per fare questo hai necessità di un cavo che trasformi USB-C in USB tradizionale. Sommiamo altri 9 Euro al totale.
  • Ho bisogno anche di un altro alimentatore. La mia schiena comincia a soffrire e non voglio fare avanti e indietro dallo studio con l’alimentatore nella borsa. Vero, questo si potrebbe evitare ma, per me, è necessario. Alimentatore da 87W per Macbook Pro per un importo pari a 89 Euro.
  • Sorpresa. Il nuovo alimentatore non contiene il cavo che lo collega al MacBook Pro. L’alimentatore da solo non serve ad un tubazzo se non hai anche il cavo. Anche in questo caso non voglio portarmi appresso il cavo perchè tanto sono sicuro che me lo dimenticherei sempre da qualche parte. Cavo di connessione per un importo di 25 Euro.

Quindi per tornare alla connettività che avevo prima ho dovuto sborsare la modica cifra di 241 Euro che sono circa il 7% del valore della macchina con la mia configurazione.

Cara Apple, io capisco il passaggio ad una nuova tecnologia e sostengo a spada tratta il fatto che il cambiamento sia sempre una cosa di valore ma, sinceramente, questo mi sembra un pochino eccessivo.

E per fortuna che, recentemente, hanno anche abbassato i prezzi dei cavi.

Apple haters siete liberi di insultare e sostenere il ritorno al magico mondo Microsoft. Non parlo di Linux perchè Adobe ancora non ci offre la possibilità di avere la suite su quella piattaforma e per noi la suite Adone è strumento fondamentale.

 

Tempo rimanente…

Pensiamo ai progressi che l’informatica ha fatto negli ultimi dieci anni. Sono stati raggiunti traguardi impensabili solo qualche tempo addietro. Oggi abbiamo sistemi poco più grandi di una carta di credito che sono in grado di riconoscere i nostri volti. Ci sono sistemi in grado di prevedere i nostri comportamenti con preoccupante precisione. Siamo stati in grado di creare autoveicoli che si guidano da soli grazie ai programmi che sono stati sviluppati.

Nonostante tutti questi progressi c’è un’area nella quale ancora non siamo in grado di dare risposte definitive.

Questa area è la stima del tempo rimanente per una installazione di una applicazione, l’aggiornamento di un sistema operativo o il download di un patch da internet.

Stai ad osservare l’oracolo che ogni secondo ti fornisce una informazione diversa. 10 minuti, 3 ore e 14 minuti, meno di un minuto, 276 giorni…

Ecco, 276 giorni è il tempo che ora il mio Mac mi suggerisce per il ripristino di una copia di backup da Time Machine.

Come dire, potrei preparare lo spumante e brindare per il prossimo anno nuovo contestualmente al termine del ripristino dei dati del mio Mac. 

Son cose.

Al cinema con Lorenzo

Lorenzo ed io siamo andati al cinema questo pomeriggio. Abbiamo deciso che era il caso di andare a vedere Rogue One ora che le sale sarebbero state meno affollate rispetto a qualche giorno fa. E’ stata una sua scelta e, confesso, mi ha fatto molto piacere.

Mi piace quando andiamo al cinema da soli. Lorenzo quando è da solo cambia il registro del suo dialogo con me e parla molto più volentieri. Nel tempo che passiamo insieme mi racconta del suo mondo e io potrei passare ore ad ascoltarlo.

Il cinema gli piace moltissimo. Nel tragitto tra casa ed il cinema mi racconta delle sue aspettative sulla pellicola e lo ascolto mentre costruisce le sue ipotesi sulla trama e sui personaggi. Avere l’occasione di osservare la sua fantasia al lavoro è una cosa che mi riempie di gioia.

Lo guardo mentre la pellicola scorre e leggo le emozioni sul suo volto. Così come per me il cinema è in grado di emozionarlo.

Nella pausa tra un tempo e l’altro chiacchieriamo su quanto è successo e facciamo delle ipotesi riguardo le possibili evoluzioni della trama e la conclusione del film. Nel caso di Rogue One Lorenzo ha fatto i dovuto collegamenti con tutti gli altri episodi e devo ammettere che è stato piuttosto preciso nelle sue conclusioni.

Finito il film ci incamminiamo verso casa e continuiamo a parlare. Oggi mi ha detto che avrebbe molte domande da fare sulla trama del film appena visto ma subito dopo mi ha detto che prima di farle avrebbe voluto pensarci su.

Che ore preziose sono state.

Il 2016 è finito

Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.

Jep Gambardella – La grande bellezza – 2013

Ho scritto qualche giorno fa che mi sarei astenuto dal redarre una lista di buoni propositi per il 2017 e ne sono tuttora fermamente convinto.

C’è solo una cosa che mi sento di ribadire in maniera decisa.

Mi sono veramente rotto le palle di leggere fregnacce il cui unico scopo è il tornaconto personale o, peggio, a favore di questo o quell’altro gruppo. Sono stanco di osservare persone che leggono commenti ed interventi con l’unico scopo di potere replicare invece che di comprendere e confrontarsi.

Per questo l’unica e sola risoluzione per il 2017 sarà una cura dimagrante per la mia dieta informativa. Solo poche e selezionate fonti che mi danno piacere e mi aiutano ad imparare cose nuove. Eliminare tutto il rumore di fondo e usare senza ritegno l’arma della sepoltura dei profili, delle notizie e dei gruppi che non servono a nulla. Ovviamente a mio insindacabile giudizio.

Citando ancora Jep Gambardella:

La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

Io questa scoperta l’ho fatta qualche anno fa e quindi molto prima del raggiungimento del mio sessantacinquesimo gentlìaco.

La risoluzione è già in atto. Ho eliminato la mia iscrizione ai gruppi locali e per farmi un favore mi sono iscritto alla pagina di Artribune. Ma volete mettere?

Buon 2017.