Il bottone della camicia

Mentre stavo indossando la camicia questa mattina uno dei bottoni ha ceduto e mi sono trovato nelle condizioni di dovere attaccare un bottone.

Sono sicuro che in quasi ogni casa esiste la stessa scatoletta che mi sono ritrovato a cercare io. E’ quella scatoletta in cui si trova tutto il necessario per affrontare questo genere di emergenze.

La nostra scatoletta è in realtà una scatola di cartone. Un cartone piuttosto robusto rivestito di fiori. Al suo interno ci sono un quantità di aghi delle più diverse dimensioni, rocchetti di filo di colori diversi, spille da balia, bottoni sfusi, forbici.

C’è anche il mitologico ditale che io non ho mai imparato ad usare. Le scatole più antiche contengono anche quell’oggetto a forma di uovo, generalmente fatto di legno, che serve a rammendare le calze.

Ditemi la verità: voi ne conoscevate l’esistenza. Sappiate che io ho fatto un corso con mia nonna a riguardo e sono piuttosto esperto nell’uso dell’uovo per rammendo.

Mentre stavo a ricucire il bottone caduto mi sono soffermato a pensare che in più di dieci anni che vedo in giro quella scatola nessuno di noi si è mai occupato di rifornirla.

E’ quasi un oggetto che si tramanda di generazione in generazione e che possiede dei poteri magici. Il suo contenuto non si esaurisce mai.

Sembra che il suo contenuto si rigeneri automaticamente nel corso del tempo senza che i proprietari se ne debbano occupare.

Molto più probabilmente qualcuno se ne occupa senza che mi venga fatto notare.

Pubblicità ingannevole

Tempo addietro rimasi molto stupito dal copy di alcune campagne pubblicitarie settembrini che mi spingevano ad iscrivermi in palestra. Ovviamente non mi sono affatto iscritto in palestra.

Da qualche settimana mi sono ritrovato un paio di campagne pubblicitarie in radio che mi hanno lasciato abbastanza perplesso.

Se non bastasse la popolazione di Facebook a sovvertire le leggi della fisica oggi possiamo parlare di un nuovo divulgatore scientifico in radio. Ecco quello che ho ascoltato:

… ha una intellingenza che usa al meglio l’aria, l’energia rinnovabile più disponibile..

Ecco, abbiamo risolto i problemi energetici della terra, ed era tutto così a portata di mano!

Degli altri invece mi offrono una meravigliosa opportunità di business:

… crea la tua bellissima piantagione dei bambù giganti …

Ovviamente si tratta di una opportunità da cogliere al volo. Oltre ai chiarissimi vantaggi economici mi offre l’opportunità di vivere in campagna dato che immagino di non potere avere una piantagione di bambù in centro a Milano. Già mi vedo nella mia piantagione con il mio Panama ben calzato sulla testa a governare il lavoro dei famigli.

Se combinassi le due proposte avrei anche dei costi operativi bassissimi dato che potrei prelevare tutta l’energia dall’aria.

Io credo proprio che questa piantagione la creo per davvero.

Fare spazio

Oggi ho sentito una riflessione che mi ha fatto molto riflettere. Fare spazio all’interno della propria vita.

Negli ultimi anni sono diventato sempre più minimalista. Sono sempre meno le cose che reputo assolutamente necessarie nella mia vita quotidiana e lavorativa. Per questo motivo mi ritrovo in una continua tensione verso la semplificazione.

Questo è uno dei motivi per cui detesto perdere tempo in cose ed attività totalmente inutili. Riunioni, conference call, proposte che non portano da nessuna parte. Sono diventato assolutamente selettivo. In tutto.

Il tema del fare spazio ha assunto una connotazione molto diversa negli ultimi tempi.

Negli anni passati avrei desiderato fare spazio nella mia giornata per poterlo riempire con decine di altre cose.

Oggi il mio desiderio è quello di fare spazio per avere dei vuoti. Vuoti significativi ma sempre vuoti. Vuoti che possono essere riempiti con l’impulso del momento ma che hanno comunque la caratteristica di non essere pianificati.

Forse anche nella vita di ogni giorni esiste il concetto di spazio negativo così come esiste nel design. E come nel design ha un senso, così lo ha anche nella vita di tutti i giorni.

Presentazioni

Credo che una delle attività che mi capita di svolgere con maggiore frequenza nel corso delle mie giornate lavorative sia quella di creare presentazioni.

Può trattarsi di presentazioni per conferenze alle quali devo parlare, ipotesi di progetto per nuovi clienti, presentazioni per un uso interno e tante altre forme.

Negli scorsi giorni mi è capitato di guardare cose su cui avevo lavorato anni fa e per pura curiosità ho messo in fila alcune slides separate tra loro da diversi mesi creando una sorta di timeline.

Mi sono reso conto che il mio stile è molto cambiato in questi ultimi anni. Le slides sono diventato assolutamente meno dense di contenuto, più semplici e con un solo messaggi chiave per ogni slide. Le immagini e le icone svolgono per me un ruolo di sempre maggiore rilevanza.

Diciamo che la tendo a semplificare le cose che devo dire in maniera assoluta cercando di andare al cuore del problema evitando qualsiasi tipo di supercazzola autocelebrativa o inutile nel contesto di cui sto parlando.

Ho più interesse a fare in modo che le persone ascoltino me mentre parlo piuttosto che siano distratte dalla lettura del contenuto delle mie presentazioni.

L’effetto collaterale è che la classica richiesta di lasciare il documento alla fine della presentazione lascia un pò il tempo che trova.

In questi giorni sto ragionando su alcune ipotesi di lavoro:

  • Utilizzare in maniera più complessa le presenter notes in modo che possano rappresentare una sintesi del mio pensiero.
  • Affiancare la presentazione ad un documento scritto che approfondisca il contenuto della presentazione.
  • Registrare la presentazione e dare la possibilità di riascoltarla quando necessario.

Tutte e tre queste ipotesi hanno vantaggi e svantaggi. Probabilmente, come in tutte le cose, non esiste una soluzione che vada bene per tutti i casi.

Fiera e congresso

Oggi ho partecipato ad un evento per il quale sostituivo una collega che aveva un altro impegno. Si è parlato di pagamenti ed affini.

In genere cerco di evitare questo genere di appuntamenti cercando di dedicarmi ad attività più produttive.

Qualche spunto interessante qui e là ma tutto sommato le solite cose.

In ordine sparso:

  • Se sul tuo badge capeggia il titolo General Manager sei un obiettivo ricercato da tutti gli account partecipanti all’evento e, vi assicuro, erano tanti.
  • Nonostante la tanto decantata emancipazione noto con tristezza che il tema delle hostess e relativo broccolaggio è sempre vivo e vegeto. Tristezza infinita.
  • I bar delle organizzazioni fieristiche sono sempre e comunque deprimenti nonostante la qualità del cibo tenda ad elevarsi.
  • Cosa interessante per un evento che si chiama Salone dei Pagamenti. Alla cassa del bar il pagamento in contanti era più o meno cinque volte più veloce del pagamento con moneta elettronica ed aveva una sua linea dedicata.
  • Se la presentazione del tuo intervento è fatta con Keynote non hai nessuna speranza di poterla utilizzare. L’unica alternativa è esportarla in PDF ed usare quello. Ammetto che lo ho fatto volontariamente per mostrare un punto sulla necessità di pensare il Customer Journey end to end e non su un solo touchpoint. Ha funzionato.
  • Fare pagare 2.50 EUR per il guardaroba è un furto. Ancora di più se hai l’ombrello e devi pagare 3.50 EUR.
  • Le dinamiche agli stand sono quelle di sempre. La maggior parte delle persone scazzatissime ed in attesa solo della pausa pranzo e della chiusura della giornata. Per fortuna al giorno d’oggi ci sono gli smarphone che ti concedono una rapidissima evasione e puoi anche fare finta di telefonare.
  • Se mi avessero dato un euro per ognuna di quelle persone che mi ha detto “sentiamoci e vediamo se possiamo collaborare” credo potrei pagarmi le prossime vacanze estive. Per fortuna avevo dimenticato i biglietti da visita a casa.
  • In giro ci sono delle persone assolutamente preparate e molto professionali, purtroppo circodante da orde di cialtroni.
  • Ogni tanto capita di incontrare qualche faccia conosciuta che ti fa piacere rivedere.

Come direbbe Riccardo Garrone: “E anche questo Salone dei Pagamenti…”

Viaggiare

C’è stato un tempo in cui viaggiavo moltissimo per motivi di lavoro. Allora non avevo ancora una famiglia ed in quel particolare momento non avevo nemmeno una fidanzata.

Mi capitava spesso di spendere ore in una lounge di un aeroporto in attesa del prossimo volo, in una stazione in attesa di una coincidenza o nella lobby di un hotel aspettando che qualcuno mi venisse a prendere per andare da qualche parte.

A quei tempi non esistevano ancora gli smarthphone ed anzi io stavo lavorando proprio perchè fossibile avere degli smartphone.

Per questa ragione io spendevo il mio tempo facendo due cose: osservavo e scrivevo.

Nascosti da qualche parte in casa mia ci sono ancora quei quaderni. Un flusso ininterrotto di pensieri senza grosse riflessioni e con scarsa cura di grammatica e sintassi. Chissà che emozioni riuscirei a riesumare se provassi a rileggere oggi quelle righe.

Mi piaceva moltissimo osservare le persone intorno a me. Forse erano un presagio di quanto sarebbe diventata rilevante questo genere di attività nel mio futuro lavorativo. Mi piace osservare le persone nel loro quotidiano  e quando lo facevo avevo sempre l’impressione di invadere impunemente uno spazio molto privato. Lo faccio ancora oggi.

Ho pensato a queste cose due giorni fa su un aereo che stava viaggiando da Roma a Milano.

Mi piace costruire storie fantastiche intorno a quello che le persone fanno mentre le osservo. Immaginare motivazioni misteriose per le loro azioni.

Ero circondato da diversi personaggi che facevano cose particolari e che ho notato.

C’era un manager con una penna stilografica Mont Blanc che stava sottolineando passaggi di un documento stampato prendendo note a margine,

C’era una persona che dal momento del decollo stava compulsivamente scorrendo le immagini immagazzinate nella memoria del suo cellulare. Le scorre, avvicina il telefono al viso, fa uno zoom e osserva alcuni particolari e ricomincia a scorrere le fotografie.

Il passeggero davanti a me non fa altro che guardare fuori del finestrino come a volersi assicurare che il velivolo sia integro e che sobbalza ad ogni minima turbolenza sofferta dal nostro aereo.

Un signore anziano sfoglia un quotidiano troppo velocemente perchè si possa dire che lo sta realmente leggendo.

Due persone parlano di lavoro da quando sono partiti e mi dispiace essere troppo lontano da loro per riuscire a comprendere qualcosa della conversazione.

C’è la superfiga che se la tira sin dal momento che è arrivata nell’area dell’imbarco ma che ora, sopraffatta dalla stanchezza, dorme con la testa reclinata in una posa innaturale, la bocca aperta e una smorfia buffa sul volto.

Cerco di immaginarmi storie fantastiche per ognuno di loro e lascio che il tempo del volo passi dolcemente.

C’è un mondo là fuori. Forse è tornato il momento di tornare a goderselo.

Raccomandate

Capita a chiunque di ricevere delle raccomandate. Molto spesso si tratta di multe o di notifiche da parte di qualche ente. Altre volte sono gli invii di una carta di credito o di un bancomat.

Non so se sia pratica comune e diffusa ma dove abito io il postino non compila nessuno dei campi presenti sul modulo di notifica. Non hai nessuna informazione sull mittente e sul contenuto.

Il risultato è che tu vivi nell’ansia sino al momento in cui ti rechi nell’ufficio postale e ritiri il plico a te indirizzato. E’ un pò come quando a Monopoli ti viene chiesto di pescare una carta dal mazzetto degli Imprevisti.

Armonia

Mi capita spesso di condurre dei workshop con i nostri clienti. Molto spesso sono dei workshop cui partecipano diverse funzioni aziendali in rappresentanza dei rispettivi uffici.

Al di là dell’obiettivo specifico del workshop emergono sempre comportamenti interessanti e dinamiche che varebbe la pena riuscire a replicare in maniera più frequente all’interno delle aziende.

Uno degli effetti di maggiore beneficio è che l’attività del workshop serve molto spesso ad allineare tutti i partecipanti sullo status quo. Sembra quasi che la comunicazione tradizionale sia così frammentata da evitare che tutti siano sulla stessa pagina. Ovviamente non si tratta di un effetto che mi stupisce. Tutti loro vivono nel loro silos e nel loro quotidiano si occupano solo ed esclusivamente di quello che gli compete. Io chiamo questa cosa la sindrome della torre d’avorio.

Quando ci troviamo a progettare qualcosa dobbiamo essere coscenti dell’ecosistema che circonda l’artefatto. Per questo motivo generalmente dico ai nostri clienti che concentrarsi su un unico artefatto spesso si rivela essere uno sforzo inutile se non orchestrato in maniera efficace con il resto dell’ecosistema.

Perchè questo avvenga è necessario che noi si sia in grado di esporre ai nostri clienti persone di talento assoluto che siano in grado di interpretare i bisogni dei nostri clienti e dei clienti dei nostri clienti.

Se è vero che il talento è una dote fondamentale per condurre un progetto di successo vorrei porre l’attenzione su altri due fattori.

Il primo è l’ego. L’ego è generalmente strettamente collegato a persone di talento. L’ego è un elemento di disturbo assoluto e causa primaria di fallimento di un progetto. Se lasci che il tuo ego guidi il tuo progetto potrai stare certo che il risultato finale sarà un disastro. Mi è capitato di trovarmi in aziende in cui l’ego governava su ogni cosa. Non è finita bene.

Il secondo elemento chiave è l’armonia. La capacità di creare armonia deriva dal talento ma è una caratteristica che non puoi coltivare. O ce l’hai o non ce l’hai. Il successo di un progetto deriva direttamente dalla capacità degli attori di creare armonia tra le parti.

Se volete condurre un progetto di successo evitate come la peste persone dotate di ego smisurato e circondatevi di persone in grado di creare armonia.

4 anni

E ridendo e scherzando sono passati quattro anno da quando ho deciso di lavorare in Sketchin.

Quattro anni che sono volati in un soffio. Un soffio leggero ed eccitante come continua ad essere oggi. Mai come in questi giorni mi considero molto fortunato di avere incrociato sulla mia strada Luca e di avere deciso di seguirlo nella sua avventura.

Quattro anni che sono stati facili nonostante tutto e che hanno portato Sketchin a traguardi importanti. Quando sei circondato dal talento è una passeggiata di salute.

Quattro anni in cui non abbiamo torturato nessuno per raggiungere questi risultati.  Perchè il talento non basta per potersi definire una azienda di successo. Ci vuole anche una dose di umanità. Una umanità vera che non è quella cazzata colossale della azienda come grande famiglia. Una umanità che si occupa delle persone, veramente. Una comprensione del tuo ruolo che ti spinge a rinunciare al tuo stipendio per un mese perchè c’e’ un cliente che non ti paga e devi comunque pagari gli stipendi a persone che ne hanno bisogno.

No, Sketchin non è una grande famiglia. E’ qualcosa di molto più grande. E’ un laboratorio in cui si sperimentano nuovi modi di lavorare ma dove le persone continuano a rivestire un ruolo chiave e centrale.

Avremmo potuto ottenere risultati dieci volte superiori se ci fossimo uniformati al comportamento di altre entità simile alla nostra. Sfruttare le persone, giocare con la vita delle persone, raccontare bugie e mostrarci diversi da quello che eravamo. Accettare compromessi, costruire compromessi, vivere di compromessi.

La realtà è che questo non è accaduto e abbiamo avuto comunque successo. Forse non abbiamo un pedegree vecchio di vent’anni ma ce lo stiamo costruendo. Chi ha quel pedegree si ricordi che oramai si sta scolorendo ed è costruito sulla pelle delle persone. Tutti oramai si accorgono in fretta che stai vivendo di glorie del passato e che il tuo ego ha oramai dimensioni sproporzionate tanto è vero che subito dopo i tuoi casini arriviamo noi a fare funzionare le cose come si deve.

Ci saranno sempre aziende come quelle. Ci sono sempre state. Noi siamo fieri di essere diversi e molto presto godremo della stessa fama. Questa, però, guadagnata da noi e non dai nostri predecessori.

Io, per il momento, continuo a scommettere che Sketchin è qui per restare e vi suggerisco vivamente di provare ad entrare a farne parte. Tutto il resto sono chiacchiere.

 

Basic Country Bread

Oggi Bubbles, il mio lievito madre ha dato il meglio di sè.

Complice una giornata uggiosa e la necessità di distrarmi un pò mi sono avventurato nella preparazione di un pane che richiede una preparazione piuttosto lunga.

La ricetta che ho utilizzato è quella del Basic Country Bread di Chad Robertson. Se non lo conoscete vi consiglio di informarvi e se vi piace panificare il suo libro Tartine Bread è una delle letture migliori che mi sento di consigliare.

Non solo è un libro che vi insegna a panificare ma vi racconta la storia di Chad che è veramente peculiare.

Oltretutto volevo provare anche un nuovo acquisto. Un dutch oven di Emil Henry che avevo ordinato qualche giorno fa.

Direi che oggi ho prodotto in casa il mio pane migliore di sempre. Idratazione ottimale, lievitazione perfetta, alveolatura da urlo e sapore senza pari. Mi dispiace solo essere in partenza per Roma e non poterlo mangiare nuovamente domani sera.

Anche il dutch oven si è comportato perfettamente e la cottura è risultata decisamente migliore della soluzione che adottavo in precedenza. Diciamo che sono stati dei quattrini ben spesi.

Sfornare un chilo di pane e portarlo in tavola alla tua famiglia ha sempre un sapore del tutto particolare.

La luce negli occhi

Ho speso il mio pomeriggio con un gruppo di bambini aiutandoli a creare il loro primo programma per computer.

Oggi c’erano otto bambini di età piuttosto diverse. I gruppi sono sempre piuttosto eterogenei e anche il livello di interesse varia moltissimo da bambino a bambino.

C’è quel bimbo che è naturalmente portato e che ti anticipa in ogni tua spiegazione. Ci sono quelli che sono spinti dai genitori ma che probabilmente avrebbero preferito una partita a calcio alla tastiera del computer. Ci sono i bravi esecutori che non si spingono avanti in autonomia ma che ti seguono passo passo sino alla fine delle tue spiegazioni.

In ogni gruppo ce ne è sempre uno particolare.

C’è quel bambino che quando vede il suo primo pezzo di codice funzionare e fare accadere qualcosa sul suo computer si illumina. Vedi sul suo volto un sorriso sincero e puoi leggere distintamente il suo stupore nell’essere riuscito a fare qualcosa tutto da solo. Essere riuscito a non subire passivamente una tecnologia ma averla fatta propria e piegata ai propri desideri.

Oggi era una bimba piccola di non più di sei sette anni. Nel momento in cui ha fatto eseguire il suo primo programma ha sorriso e ha abbracciato la mamma che le stava vicino.

Questo è il motivo per cui dedico il mio tempo a queste cose. Quel sorriso, quel bambino sono in grado di lasciarti addosso una gioia incontenibile e, allo stesso tempo, allontanare da te tutte le brutture che ti stai trascinando addosso.

Oggi avevo proprio bisogno di quel sorriso.

Sopratutto dopo avere saputo che se ne era spento un altro, per sempre.

Ora solare

Questa cosa dell’ora solare non mi piace affatto.

Nonostante l’ora legale sia una invenzione, io, personalmente la trovo una grande trovata.

L’arrivo dell’autunno, la discesa delle temperature e la mancanza di luce mi rendono molto poco disponibile verso il prossimo.

Non so se si nota, ma anche la quantità di parole che sono disposto a spendere diminuisce sensibilmente.

Nonostante questo più tardi si va in sala prove a fare un pochino di rumore.

E’ già domani

Ci sono dei giorni che ti travolgono con la loro intensità.

Ti svegli la mattina e dopo avere dato una occhiata alla tua agenda ti figuri che tutto sommato potrebbe essere una giornata tranquilla. Un workshop con un cliente, qualche chiamata di routine, una conference call di allineamento con il team.

La giornata prende invece una piega diversa. Ti ritrovi a moderare un workshop che non immaginavi essere così complesso sebbene denso di contenuti. Il telefono non smette di squillare e la tua casella di posta elettronica si riempi di messaggi cui, prima o poi, dovrai rispondere.

Arrivi alla fine della giornata con la netta sensazione di avere fatto un sacco di cose ma con un retrogusto amaro di anticipazione. Nessuna di queste cose ha chiuso nulla di serio. Sono tutte attività che conducono da qualche parte ma la meta è ancora lontana.

Come diceva un mio collega anni fa: è già domani.

Per fortuna a casa ti fai un ripasso sulla Comunità Europea con il decenne e trovi scritto che l’Unione Europea ha 28 stati membri e ti chiedi per quanto durerà. Ma questo te lo tieni per te.

Il rumore del terremoto

Nonostante ci trovassimo a circa cento chilometri dall’epicentro della scossa dei giorni scossi ci sono tante cose che mi hanno colpito profondamente.

La prima è la forza potente che si sprigiona durante uno di questi eventi. Ho visto una casa possente tremare come se fosse una foglia. Intonaco spesso una decina di centimetri che si sbriciolava come se fosse neve e armadi di legno massiccio spostati come se fossero stati costruiti di carta velina.

Anche il rumore ti colpisce. E’ un rombo possente e difficilissimo da descrivere. Non avevo mai udito nulla di simile in vita mia. Forte e crescente per poi scomparire quasi istantaneamente.

La continuità degli eventi è un altro elemento importante. La forte scossa non è sola. Si trascina una infinità di altri eventi che si susseguono incessantemente sebbene di minore intensità. Non riesci ad abituarti. Credo che sia impossibile farlo.

Per me è stata una grande paura ma non un evento catastrofico. Nonostante questo continui a dormire con un occhio aperto. Ogni piccolo rumore ti fa sobbalzare dal letto. Ogni tremore ti riporta alla scossa originale e sei sempre pronto a preciparti in un posto sicuro, ammesso che ce ne siano.

Siamo tornati a casa in quella pianura Padana nebbiosa ed un pochino triste ma, se non altro, decisamente meno a rischio sismico. Nonostante questo continuo a pensare a quelle persone che sono là e che continueranno a dormire con un occhio aperto non potendo fuggire da casa loro.