Ma che bel titolo!

Mi capita spesso di essere attirato da un titolo di un link sulla timeline di Facebook o di Twitter e di cominciare la lettura della pagina verso la quale sono stato trasportato.

Tipicamente, ad un terzo della pagina, scatta il momento WTF. Ma che genere di composti chimici ha ingerito chi ha scritto il titolo? Scopro in quel momento che il contenuto della pagina è una versione molto più soft di quanto espresso nel titolo. Altre volte l’attinenza è pressochè nulla.

Io lo so che voi non vi drogate e che per un click vendereste anche i vostri genitori con la formula prendi due paghi uno, ma siamo davvero arrivati al limite.

Io mi immagino che presto un algoritmo di machine learning sarà in grado di verificare in tempo reale che siete dei minchioni e che vi seppellirà nella terza pagina dei risultati organici di una ricerca su Google (se vi va bene) o vi nasconderà per sempre dalla mia ed altrui timeline.

Nel frattempo ho sviluppato un meccanismo protezionistico autonomo che mi spinge a fare un hide istantaneo del contenuto “fregnaccia”. Magari mi perdo qualcosa di veramente interessante ma sicuramente evito di perdere il mio tempo con degli imbroglioni.

Andiamo al cinema

Questo pomeriggio sono andato al cinema con Beatrice.

Giorno di pioggia a Milano ed era quindi lecito aspettarsi una affluenza superiore alla media.

Quando progetti un servizio nel mondo fisico dovresti tenere in considerazione questi aspetti e, oltre a questi, dovresti fare in modo che tutto ciò che costruisci intorno al tuo punto di fruizione sia orchestrato nella maniera corretta.

La gestione delle code, complice la tipica attitudine Italiana di interpretare le code ad apparato riproduttivo di canide, non funziona oltre un certo limite. I corridoi che dovrebbero indicare le file sono troppo corti per assorbire, e gestire, un grande numero di persone. Il risultato è che al di fuori delle corsie c’è l’anarchia dove tende a vincere il prepotente. Il prepotente spesso si accompagna con i pargoli i quali cresceranno con lo stesso approccio.

Arrivi alle case più o meno integro e lì osservi che non ci metti i venti secondi che ci dovresti mettere:

  1. Buongiorno, due biglietti per Trolls, per cortesia.
  2. Ecco a lei, sono 19 Euro.
  3. Allunghi la banconota da 20 Euro.
  4. Prendi un Euro di resto.
  5. Ti accomodi in sala.

No, non funziona così. Ci sono quelli che hanno un biglietto gratis grazie al programma di loyalty di 3, quelli che usano i buoni dell’Esselunga, chi ha prenotato da casa ma non usa l’applicazione e via con almeno altri due casi di cui non sono riuscito ad identificare il meccanismo. Per ognuno di questi casi l’operatore si deve districare tra processi diversi. Chi con un lettore di carte magnetiche, chi con un lettore di codice a barre ecc. ecc.

Il risultato è che per emettere un biglietto ci vogliono circa 90 secondi se ti va bene.

Ora, da un punto di vista di business trovo che siglare partnership con i programmi di loyalty di altre aziende sia una grandissima idea. Dall’altra dovresti cercare di armonizzare i processi per non fare soffrire tutta la catena di fruizione del servizio. Oltre a questo dovresti anche evitare di fare sentire i tuoi operatori come dei burattini dietro un bancone.

L’affluenza è grande e tu metti una sola persona a controllare i biglietti. Siamo nel 2016, siamo sicuri che quella persona sia utile lì e n0n, invece, a gestire un’altra cassa. Ci sono oramai decine di soluzioni automatiche per gestire questa cosa.

Non mi addentro nella organizzazione del punto vendita di cibi e bevande ma è certamente un altro punto su cui molto potrebbe essere fatto.

Insomma, a me questa cosa del tiriamo a campare comincia a dare un pochino fastidio. Ci sono enormi finestre di opportunità che potrebbero essere sfruttate e che avrebbero un impatto positivo sia sui numeri del business che sulla qualità dell’esperienza che consegni ai tuoi clienti.

Non sarebbe il caso di comincare a darsi da fare?

Una slide al giorno

Oramai su Corrente Debole siamo arrivati a 117 posts, questo compreso.

Diciamo che l’esperimento continua con successo e non avrei immaginato che così tante persone mi avrebbero dedicato il loro tempo per leggere le mie parole giorno dopo giorno. Se vogliamo questo è uno degli elementi che, nonostante tutto, mi spinge a continuare l’esperimento.

Ci sono stati davvero giorni in cui avrei davvero voluto solo andare a dormire senza occuparmi di null’altro.

Tra le persone che commentavano positivamente questo giochetto c’era Tiziano che mi raccontava dell’esperimento di un altro suo amico. Non un post al giorno, ma, piuttosto, una slide al giorno.

Mi diceva che alla fine, e con una certa regolarità, la persona che sta facendo questo esperimento si ritrova con una quantità di cose di valore che potrà riorganizzare in contenuto di valore da poter comunicare.

Trasferire valore. Questo dovrebbe essere il fine ultimo di ogni cosa che facciamo.

Ammetto che l’idea mi affascina anche se, forse, è la versione moderna del quadernino delle idee su cui tutti annotiamo le cose che ci colpiscono o delle quali non ci vogliamo dimenticare.

Io quasi quasi provo anche con questa cosa. Magari con meno assiduità rispetto a Corrente Debole.

 

Ha vinto Trump

Interessante come si è evoluta la narrazione sui social network durante le ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Trump non vincerà mai. Clinton vincerà a mani basse. Attenzione alla sorpresa di Trump e a quelli che mentono nei sondaggi.

Cose false, bugie, ipotesi, complottismi e via dicendo.

Altrettanto interessante quello che è avvenuto dopo la vittoria di Trump.

Una quantià enorme di “Io l’avevo detto…”. Tra questi un insieme di aziende che si occupano di analisi del sentiment sui social networks che dicono di avere predetto tutto in anticipo.

Ecco, io ora mi prendo una vagonata di tweet e status da Facebook, mi invento un algoritmo di sentiment analysis che mi dica che vincerà Trump e poi, ex post, dico a tutti quanto sono stato figo e prometto che sarò figo anche in futuro.

La verità è che questo genere di analisi sono roba seria come sanno bene i miei amici di Teia Technologies Antonio, Mauro e Massimo.

In ultima analisi confermo come sia facile fare i predittori del passato spacciandolo per futuro. Eccheppalle.

Sbagliare è concesso

Come ho scritto ieri abbiamo avuto in studio questo contest per selezionare due praticanti.

Sono molto felice della scelta che abbiamo fatto e sono sicuro che abbiamo trovato due persone di grande valore che potranno pienamente esprimersi all’interno del nostro studio.

I partecipanti al contest avevano a disposizione cinque minuti per presentare davanti a tutti gli altri partecipanti e a tutto lo studio il frutto della loro giornata di lavoro. Ovviamente si tratta di una cosa complessa e che può certamente generare preoccupazione, sopratutto in coloro che ancora non sono abituati a parlare in pubblico.

Una delle persone partecipanti ha cominciato la sua presentazione ma dopo pochi secondi l’emozione la ha sopraffatta e non è riuscita a proseguire nella sua esposizione. Le abbiamo detto di prendersi il tempo necessario a tranquillizzarsi e le abbiamo detto che avrebbe potuto presentare il suo lavoro in coda alle presentazioni degli altri partecipanti.

Prima osservazione: chiunque si merita una seconda chance, quale che sia lo sbaglio che ha commesso.

Mentre la persona abbandonava la scena la ho osservata e ho letto nei suoi occhi la delusione. Sono assolutamente sicuro che in quel momento lei ha pensato di essere fuori dai giochi e che il suo errore sarebbe bastato ad escluderla quale che fosse il risultato del suo lavoro.

E’ arrivato nuovamente il suo turno e la presentazione è andata molto bene. Mi è molto piaciuta la sua capacità di analizzare il problema ed il percorso che ha compiuto nel trovare una soluzione. Un lavoro di ottimo livello se consideriamo che era stato eseguito nell’arco di una sola giornata.

Ci siamo ritirati in camera caritatis per decidere chi fossero le due persone che avremmo voluto al nostro fianco e abbiamo scelto anche lei.

Abbiamo scelto lei perchè il suo lavoro era ottimo e di profondità maggiore rispetto ad altri lavori che abbiamo visto durante la giornata.

Quando ho comunicato i nomi delle delle due persone ho letto lo stupore sul suo volto. Questa era la conferma che lei comunque si considerava già fuori dai giochi.

Seconda considerazione: non sei mai fuori dai giochi fino a che la partita non è finita.

Con il tempo puoi imparare a gestire le emozioni e fare in modo che la pressione sia un utile strumento per dare il meglio di sé. Se non possiedi la scintilla ed il talento non puoi imparare.

Questo è il motivo per cui quella persona è stata scelta.

Giovani virgulti

Abbiamo la possibilità di assumere dei praticanti designer in studio. Al contrario di quanto avviene molto spesso in Italia in Svizzera il praticante viene assunto e riceve una retribuzione di tutto rispetto.

In passato tutti i praticanti che sono transitati da Sketchin sono stati tutti assunti e sono tra noi ancora oggi.

Per questa ragione oggi ci sono in studio quindici giovani promesse del design. Avremmo potuto fare il classico giro di colloqui, una attenta osservazione del loro portfolio e decidere come avrebbe fatto qualsiasi altra azienda.

Io penso che il design sia un lavoro che richiede ispirazione, sudore e tanta manualità, sebbene su strumenti digitali.

Se dovessi assumere un meccanico lo metterei al lavoro su un motore che non funziona per capire in che modo analizza il problema ed osservare come lo risolve praticamente.

I quindici giovani virgulti sono al lavoro su una ipotesi di progetto che abbiamo inventato per loro. Spenderanno la giornata lavorandoci sopra e faranno un pitch di presentazione del lavoro eseguito. Dovranno spiegare quale approccio hanno usato e come hanno progettato il servizio che gli abbiamo richiesto di progettare.

Alla fine decideremo chi saranno coloro che entreranno a fare parte della nostra squadra.

E’ una giornata molto eccitante e piena di spunti positivi. Mi piace osservare la passione che tutti mettono in quello che fanno. E’ lo spirito o, se vogliamo, il sacro fuoco che anima chiunque si ritrovi a fare questo genere di lavoro. Peccato rendersi conto che in tante persone questa fiamma si affievolisce con il tempo trasformandole in ometti senza un perchè ma con un ego smisurato.

Nel frattempo mi presto ad essere intervistato come potenziale utente. L’unica cosa fastidiosa è che vengo intervistato come un utente “anziano”.

Il bottone della camicia

Mentre stavo indossando la camicia questa mattina uno dei bottoni ha ceduto e mi sono trovato nelle condizioni di dovere attaccare un bottone.

Sono sicuro che in quasi ogni casa esiste la stessa scatoletta che mi sono ritrovato a cercare io. E’ quella scatoletta in cui si trova tutto il necessario per affrontare questo genere di emergenze.

La nostra scatoletta è in realtà una scatola di cartone. Un cartone piuttosto robusto rivestito di fiori. Al suo interno ci sono un quantità di aghi delle più diverse dimensioni, rocchetti di filo di colori diversi, spille da balia, bottoni sfusi, forbici.

C’è anche il mitologico ditale che io non ho mai imparato ad usare. Le scatole più antiche contengono anche quell’oggetto a forma di uovo, generalmente fatto di legno, che serve a rammendare le calze.

Ditemi la verità: voi ne conoscevate l’esistenza. Sappiate che io ho fatto un corso con mia nonna a riguardo e sono piuttosto esperto nell’uso dell’uovo per rammendo.

Mentre stavo a ricucire il bottone caduto mi sono soffermato a pensare che in più di dieci anni che vedo in giro quella scatola nessuno di noi si è mai occupato di rifornirla.

E’ quasi un oggetto che si tramanda di generazione in generazione e che possiede dei poteri magici. Il suo contenuto non si esaurisce mai.

Sembra che il suo contenuto si rigeneri automaticamente nel corso del tempo senza che i proprietari se ne debbano occupare.

Molto più probabilmente qualcuno se ne occupa senza che mi venga fatto notare.

Pubblicità ingannevole

Tempo addietro rimasi molto stupito dal copy di alcune campagne pubblicitarie settembrini che mi spingevano ad iscrivermi in palestra. Ovviamente non mi sono affatto iscritto in palestra.

Da qualche settimana mi sono ritrovato un paio di campagne pubblicitarie in radio che mi hanno lasciato abbastanza perplesso.

Se non bastasse la popolazione di Facebook a sovvertire le leggi della fisica oggi possiamo parlare di un nuovo divulgatore scientifico in radio. Ecco quello che ho ascoltato:

… ha una intellingenza che usa al meglio l’aria, l’energia rinnovabile più disponibile..

Ecco, abbiamo risolto i problemi energetici della terra, ed era tutto così a portata di mano!

Degli altri invece mi offrono una meravigliosa opportunità di business:

… crea la tua bellissima piantagione dei bambù giganti …

Ovviamente si tratta di una opportunità da cogliere al volo. Oltre ai chiarissimi vantaggi economici mi offre l’opportunità di vivere in campagna dato che immagino di non potere avere una piantagione di bambù in centro a Milano. Già mi vedo nella mia piantagione con il mio Panama ben calzato sulla testa a governare il lavoro dei famigli.

Se combinassi le due proposte avrei anche dei costi operativi bassissimi dato che potrei prelevare tutta l’energia dall’aria.

Io credo proprio che questa piantagione la creo per davvero.

Fare spazio

Oggi ho sentito una riflessione che mi ha fatto molto riflettere. Fare spazio all’interno della propria vita.

Negli ultimi anni sono diventato sempre più minimalista. Sono sempre meno le cose che reputo assolutamente necessarie nella mia vita quotidiana e lavorativa. Per questo motivo mi ritrovo in una continua tensione verso la semplificazione.

Questo è uno dei motivi per cui detesto perdere tempo in cose ed attività totalmente inutili. Riunioni, conference call, proposte che non portano da nessuna parte. Sono diventato assolutamente selettivo. In tutto.

Il tema del fare spazio ha assunto una connotazione molto diversa negli ultimi tempi.

Negli anni passati avrei desiderato fare spazio nella mia giornata per poterlo riempire con decine di altre cose.

Oggi il mio desiderio è quello di fare spazio per avere dei vuoti. Vuoti significativi ma sempre vuoti. Vuoti che possono essere riempiti con l’impulso del momento ma che hanno comunque la caratteristica di non essere pianificati.

Forse anche nella vita di ogni giorni esiste il concetto di spazio negativo così come esiste nel design. E come nel design ha un senso, così lo ha anche nella vita di tutti i giorni.

Presentazioni

Credo che una delle attività che mi capita di svolgere con maggiore frequenza nel corso delle mie giornate lavorative sia quella di creare presentazioni.

Può trattarsi di presentazioni per conferenze alle quali devo parlare, ipotesi di progetto per nuovi clienti, presentazioni per un uso interno e tante altre forme.

Negli scorsi giorni mi è capitato di guardare cose su cui avevo lavorato anni fa e per pura curiosità ho messo in fila alcune slides separate tra loro da diversi mesi creando una sorta di timeline.

Mi sono reso conto che il mio stile è molto cambiato in questi ultimi anni. Le slides sono diventato assolutamente meno dense di contenuto, più semplici e con un solo messaggi chiave per ogni slide. Le immagini e le icone svolgono per me un ruolo di sempre maggiore rilevanza.

Diciamo che la tendo a semplificare le cose che devo dire in maniera assoluta cercando di andare al cuore del problema evitando qualsiasi tipo di supercazzola autocelebrativa o inutile nel contesto di cui sto parlando.

Ho più interesse a fare in modo che le persone ascoltino me mentre parlo piuttosto che siano distratte dalla lettura del contenuto delle mie presentazioni.

L’effetto collaterale è che la classica richiesta di lasciare il documento alla fine della presentazione lascia un pò il tempo che trova.

In questi giorni sto ragionando su alcune ipotesi di lavoro:

  • Utilizzare in maniera più complessa le presenter notes in modo che possano rappresentare una sintesi del mio pensiero.
  • Affiancare la presentazione ad un documento scritto che approfondisca il contenuto della presentazione.
  • Registrare la presentazione e dare la possibilità di riascoltarla quando necessario.

Tutte e tre queste ipotesi hanno vantaggi e svantaggi. Probabilmente, come in tutte le cose, non esiste una soluzione che vada bene per tutti i casi.

Fiera e congresso

Oggi ho partecipato ad un evento per il quale sostituivo una collega che aveva un altro impegno. Si è parlato di pagamenti ed affini.

In genere cerco di evitare questo genere di appuntamenti cercando di dedicarmi ad attività più produttive.

Qualche spunto interessante qui e là ma tutto sommato le solite cose.

In ordine sparso:

  • Se sul tuo badge capeggia il titolo General Manager sei un obiettivo ricercato da tutti gli account partecipanti all’evento e, vi assicuro, erano tanti.
  • Nonostante la tanto decantata emancipazione noto con tristezza che il tema delle hostess e relativo broccolaggio è sempre vivo e vegeto. Tristezza infinita.
  • I bar delle organizzazioni fieristiche sono sempre e comunque deprimenti nonostante la qualità del cibo tenda ad elevarsi.
  • Cosa interessante per un evento che si chiama Salone dei Pagamenti. Alla cassa del bar il pagamento in contanti era più o meno cinque volte più veloce del pagamento con moneta elettronica ed aveva una sua linea dedicata.
  • Se la presentazione del tuo intervento è fatta con Keynote non hai nessuna speranza di poterla utilizzare. L’unica alternativa è esportarla in PDF ed usare quello. Ammetto che lo ho fatto volontariamente per mostrare un punto sulla necessità di pensare il Customer Journey end to end e non su un solo touchpoint. Ha funzionato.
  • Fare pagare 2.50 EUR per il guardaroba è un furto. Ancora di più se hai l’ombrello e devi pagare 3.50 EUR.
  • Le dinamiche agli stand sono quelle di sempre. La maggior parte delle persone scazzatissime ed in attesa solo della pausa pranzo e della chiusura della giornata. Per fortuna al giorno d’oggi ci sono gli smarphone che ti concedono una rapidissima evasione e puoi anche fare finta di telefonare.
  • Se mi avessero dato un euro per ognuna di quelle persone che mi ha detto “sentiamoci e vediamo se possiamo collaborare” credo potrei pagarmi le prossime vacanze estive. Per fortuna avevo dimenticato i biglietti da visita a casa.
  • In giro ci sono delle persone assolutamente preparate e molto professionali, purtroppo circodante da orde di cialtroni.
  • Ogni tanto capita di incontrare qualche faccia conosciuta che ti fa piacere rivedere.

Come direbbe Riccardo Garrone: “E anche questo Salone dei Pagamenti…”

Viaggiare

C’è stato un tempo in cui viaggiavo moltissimo per motivi di lavoro. Allora non avevo ancora una famiglia ed in quel particolare momento non avevo nemmeno una fidanzata.

Mi capitava spesso di spendere ore in una lounge di un aeroporto in attesa del prossimo volo, in una stazione in attesa di una coincidenza o nella lobby di un hotel aspettando che qualcuno mi venisse a prendere per andare da qualche parte.

A quei tempi non esistevano ancora gli smarthphone ed anzi io stavo lavorando proprio perchè fossibile avere degli smartphone.

Per questa ragione io spendevo il mio tempo facendo due cose: osservavo e scrivevo.

Nascosti da qualche parte in casa mia ci sono ancora quei quaderni. Un flusso ininterrotto di pensieri senza grosse riflessioni e con scarsa cura di grammatica e sintassi. Chissà che emozioni riuscirei a riesumare se provassi a rileggere oggi quelle righe.

Mi piaceva moltissimo osservare le persone intorno a me. Forse erano un presagio di quanto sarebbe diventata rilevante questo genere di attività nel mio futuro lavorativo. Mi piace osservare le persone nel loro quotidiano  e quando lo facevo avevo sempre l’impressione di invadere impunemente uno spazio molto privato. Lo faccio ancora oggi.

Ho pensato a queste cose due giorni fa su un aereo che stava viaggiando da Roma a Milano.

Mi piace costruire storie fantastiche intorno a quello che le persone fanno mentre le osservo. Immaginare motivazioni misteriose per le loro azioni.

Ero circondato da diversi personaggi che facevano cose particolari e che ho notato.

C’era un manager con una penna stilografica Mont Blanc che stava sottolineando passaggi di un documento stampato prendendo note a margine,

C’era una persona che dal momento del decollo stava compulsivamente scorrendo le immagini immagazzinate nella memoria del suo cellulare. Le scorre, avvicina il telefono al viso, fa uno zoom e osserva alcuni particolari e ricomincia a scorrere le fotografie.

Il passeggero davanti a me non fa altro che guardare fuori del finestrino come a volersi assicurare che il velivolo sia integro e che sobbalza ad ogni minima turbolenza sofferta dal nostro aereo.

Un signore anziano sfoglia un quotidiano troppo velocemente perchè si possa dire che lo sta realmente leggendo.

Due persone parlano di lavoro da quando sono partiti e mi dispiace essere troppo lontano da loro per riuscire a comprendere qualcosa della conversazione.

C’è la superfiga che se la tira sin dal momento che è arrivata nell’area dell’imbarco ma che ora, sopraffatta dalla stanchezza, dorme con la testa reclinata in una posa innaturale, la bocca aperta e una smorfia buffa sul volto.

Cerco di immaginarmi storie fantastiche per ognuno di loro e lascio che il tempo del volo passi dolcemente.

C’è un mondo là fuori. Forse è tornato il momento di tornare a goderselo.

Raccomandate

Capita a chiunque di ricevere delle raccomandate. Molto spesso si tratta di multe o di notifiche da parte di qualche ente. Altre volte sono gli invii di una carta di credito o di un bancomat.

Non so se sia pratica comune e diffusa ma dove abito io il postino non compila nessuno dei campi presenti sul modulo di notifica. Non hai nessuna informazione sull mittente e sul contenuto.

Il risultato è che tu vivi nell’ansia sino al momento in cui ti rechi nell’ufficio postale e ritiri il plico a te indirizzato. E’ un pò come quando a Monopoli ti viene chiesto di pescare una carta dal mazzetto degli Imprevisti.

Armonia

Mi capita spesso di condurre dei workshop con i nostri clienti. Molto spesso sono dei workshop cui partecipano diverse funzioni aziendali in rappresentanza dei rispettivi uffici.

Al di là dell’obiettivo specifico del workshop emergono sempre comportamenti interessanti e dinamiche che varebbe la pena riuscire a replicare in maniera più frequente all’interno delle aziende.

Uno degli effetti di maggiore beneficio è che l’attività del workshop serve molto spesso ad allineare tutti i partecipanti sullo status quo. Sembra quasi che la comunicazione tradizionale sia così frammentata da evitare che tutti siano sulla stessa pagina. Ovviamente non si tratta di un effetto che mi stupisce. Tutti loro vivono nel loro silos e nel loro quotidiano si occupano solo ed esclusivamente di quello che gli compete. Io chiamo questa cosa la sindrome della torre d’avorio.

Quando ci troviamo a progettare qualcosa dobbiamo essere coscenti dell’ecosistema che circonda l’artefatto. Per questo motivo generalmente dico ai nostri clienti che concentrarsi su un unico artefatto spesso si rivela essere uno sforzo inutile se non orchestrato in maniera efficace con il resto dell’ecosistema.

Perchè questo avvenga è necessario che noi si sia in grado di esporre ai nostri clienti persone di talento assoluto che siano in grado di interpretare i bisogni dei nostri clienti e dei clienti dei nostri clienti.

Se è vero che il talento è una dote fondamentale per condurre un progetto di successo vorrei porre l’attenzione su altri due fattori.

Il primo è l’ego. L’ego è generalmente strettamente collegato a persone di talento. L’ego è un elemento di disturbo assoluto e causa primaria di fallimento di un progetto. Se lasci che il tuo ego guidi il tuo progetto potrai stare certo che il risultato finale sarà un disastro. Mi è capitato di trovarmi in aziende in cui l’ego governava su ogni cosa. Non è finita bene.

Il secondo elemento chiave è l’armonia. La capacità di creare armonia deriva dal talento ma è una caratteristica che non puoi coltivare. O ce l’hai o non ce l’hai. Il successo di un progetto deriva direttamente dalla capacità degli attori di creare armonia tra le parti.

Se volete condurre un progetto di successo evitate come la peste persone dotate di ego smisurato e circondatevi di persone in grado di creare armonia.

4 anni

E ridendo e scherzando sono passati quattro anno da quando ho deciso di lavorare in Sketchin.

Quattro anni che sono volati in un soffio. Un soffio leggero ed eccitante come continua ad essere oggi. Mai come in questi giorni mi considero molto fortunato di avere incrociato sulla mia strada Luca e di avere deciso di seguirlo nella sua avventura.

Quattro anni che sono stati facili nonostante tutto e che hanno portato Sketchin a traguardi importanti. Quando sei circondato dal talento è una passeggiata di salute.

Quattro anni in cui non abbiamo torturato nessuno per raggiungere questi risultati.  Perchè il talento non basta per potersi definire una azienda di successo. Ci vuole anche una dose di umanità. Una umanità vera che non è quella cazzata colossale della azienda come grande famiglia. Una umanità che si occupa delle persone, veramente. Una comprensione del tuo ruolo che ti spinge a rinunciare al tuo stipendio per un mese perchè c’e’ un cliente che non ti paga e devi comunque pagari gli stipendi a persone che ne hanno bisogno.

No, Sketchin non è una grande famiglia. E’ qualcosa di molto più grande. E’ un laboratorio in cui si sperimentano nuovi modi di lavorare ma dove le persone continuano a rivestire un ruolo chiave e centrale.

Avremmo potuto ottenere risultati dieci volte superiori se ci fossimo uniformati al comportamento di altre entità simile alla nostra. Sfruttare le persone, giocare con la vita delle persone, raccontare bugie e mostrarci diversi da quello che eravamo. Accettare compromessi, costruire compromessi, vivere di compromessi.

La realtà è che questo non è accaduto e abbiamo avuto comunque successo. Forse non abbiamo un pedegree vecchio di vent’anni ma ce lo stiamo costruendo. Chi ha quel pedegree si ricordi che oramai si sta scolorendo ed è costruito sulla pelle delle persone. Tutti oramai si accorgono in fretta che stai vivendo di glorie del passato e che il tuo ego ha oramai dimensioni sproporzionate tanto è vero che subito dopo i tuoi casini arriviamo noi a fare funzionare le cose come si deve.

Ci saranno sempre aziende come quelle. Ci sono sempre state. Noi siamo fieri di essere diversi e molto presto godremo della stessa fama. Questa, però, guadagnata da noi e non dai nostri predecessori.

Io, per il momento, continuo a scommettere che Sketchin è qui per restare e vi suggerisco vivamente di provare ad entrare a farne parte. Tutto il resto sono chiacchiere.

 

Parole Sparse - Il podcast di Corrente Debole

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