E’ una domanda interessante e la risposta è complessa. In realtà non è complessa per chi si occupa della disciplina del design ma, molto spesso, è una domanda molto complessa per i nostri clienti.
Per i nostri clienti rispondere a questa domanda è molto complesso perché la loro naturale tendenza è focalizzarsi sul risultato finale di un progetto di design: gli artefatti.
Con artefatto intendiamo qualsiasi oggetto che sia, in qualche modo, tangibile, Una applicazione per smartphone, un sito web, eccetera eccetera.
Come dicevo molto spesso capita che il cliente si focalizzi sull’artefatto o sul touchpoint invece che sul sistema, od ecosistema, nel suo complesso.
Oggigiorno tutti gli studi di design, quelli seri, utilizzano varianti più o meno complesse di metodi che derivano dallo User Centered Design. Si progetta per soddisfare le aspirazioni e le necessità di un utente.
Ma chi è questo utente?
Certo un insieme di utenti è quello che andrà a fruire dei touchpoint che il designer progetterà. In generale sono i clienti dei nostri clienti. Nessuno nega che questi touchpoint devono essere progettati con tutti i sacri crismi affinché siano efficaci.
Nonostante questo progettare un touchpoint ha sicuramente un altro aspetto che ritengo essere ancora più importante dei touchpoint destinati all’utente finale.
Si tratta di tutto quello che coinvolge l’utente interno. Quella classe di utenti che deve mantenere la promessa fatta ai clienti finali attraverso i touchpoint.
Questa classe di utenti, ed i problemi ad essa collegati, sono molto spesso trascurati dai nostri clienti.
Faccio un esempio molto semplice. E’ perfettamente inutile progettare il migliore sistema di e-commerce per il tuo mercato se poi la tua struttura non è pronta a rispettare le promesse fatte. La tua logistica potrebbe non essere all’altezza. I tuoi sistemi o processi potrebbero non essere pronti a gestire ciò che viene offerto dall’e-commerce ad esempio in termini di assistenza post vendita.
Per questa ragione il designer deve progettare un sistema e non un artefatto. Si deve essere in grado di fare capire al cliente quali sono i limiti della sua struttura ed aiutarlo a raggiungere l’obiettivo finale: consegnare agli utenti finali la migliore esperienza possibile raggiungendo gli obiettivi di business che si sono previsti.
Il design diviene quindi un abilitatore fondamentale per raggiungere questi obiettivi. Ogni disciplina del design, Service Design, Business Design, Interaction Design e Visual Design, giusto per citare le principali, progetta un tassello del sistema finale.
E’ ben evidente che il design da solo non basta. Fare lo studio di design super figo ed altezzoso che pensa solo al design in senso stretto non funziona più. In realtà non ha mai funzionato. Sembrava funzionasse solo perché si potevano sprecare un botto di soldi senza davvero risolvere un problema e facendo dei bei disegnini che raramente diventavano realtà.
Ora il design deve parlare il linguaggio del business. Deve comprenderne le logiche e gli obiettivi e deve progettare tenendo bene in considerazioni questi elementi.
Allo stesso tempo deve conoscere e parlare con contezza della tecnologia.
Si devono progettare soluzioni possibili. Innovative quanto vogliamo ma possibili.
Attenzioni. Possibili non solo rispetto alla tecnologia ma anche rispetto alla maturità del cliente per il quale stai lavorando. One size DOES NOT fit all.
Non a tutti i designer questo nuovo approccio può piacere. E’ comprensibile. E non a tutti i clienti potrà piacere. Continuerà ad esistere sempre il cliente che ti chiede il sito web “accattivante”, qualunque cosa questo possa significare.
Ora più che mai il design si deve nutrire di altre discipline e deve nutrire le altre discipline con i suoi strumenti.
Concordo, spesso non vi è la visione complessiva di sistema. Ciao. Mauro.