In linea di principio il concetto di Software As A Service non mi disturba affatto e, tutto sommato, mi sembra anche un concetto molto interessante.
Se lo osservo dal punto di vista puramente professionale credo che alla fine dei conti ci permetta di risparmiare del denaro rimanendo sempre comunque aggiornati alle ultime versione delle software suite che usiamo sui nostri computer.
Sì, in questo post sto parlando solo ed esclusivamente di software che vive sui nostri computer aziendali o personali.
Quello che invece mi disturba molto riguarda il software che uso per i miei interessi personali e sopratutto quell’insieme di utility che magari non uso giornalmente ma con una frequenza molto più rara.
In questo caso mi urta il concetto di SAAS.
Non sopporto il fatto che io debba pagare una somma annuale per usare, ad esempio, un client di posta elettronica od una applicazione per prendere delle note. Capisco se l’applicazione è cloud based e quindi ha dei costi di gestione dal lato dello sviluppatore ma per il resto non ha proprio senso.
Dove è finito quel software che io compro ed, alla fine, possiedo una volta per tutte? Magari per il mio uso non mi interessa granché avere sempre l’ultima versione disponibile con tutti i frizzi e lazzi disponibili.
Altra cose che mi urta di questo modello è che tutti, ma proprio tutti, impostano un rinnovo automatico della sottoscrizione. Chiaro è che si fa leva sulla pigrizia degli utente ma io credo che il default dovrebbe essere una sottoscrizione che non si rinnova automaticamente.
Insomma, questo approccio non mi piace proprio per niente.
Shameless self promotion ahead…
Nel caso non ve ne foste accorti qui in giro c’è anche un podcast con il quale potrete intrattenervi.
Quello di seguito è l’ultimo episodio.
Qui, invece tutti gli episodi pubblicati sino ad ora: Parole Sparse – Il Podcast