Che io sia una persona molto attenta alle parole che usa è oramai un fatto conclamato e per questa ragione vorrei fare qualche osservazione riguardo alla narrativa che in questi giorni si legge intorno al tema smart working.
Su LinkedIn è tutto un fiorire di post sul tema e, tutto sommato, mi sembra anche giusto. Lo smart working è uno strumento che in questi giorni si rivela particolarmente utile.
La prima considerazione da fare è che è vero che si tratti di uno strumento utile. Altrettanto vero è che si applica solo ed esclusivamente ad un certo insieme di attività. Se fai il social media manager è evidente che puoi lavorare anche a Timbuktu, ammesso che tu abbia uno straccio di connessione internet. Se lavori alla catena di montaggio della FIAT e il tuo lavoro consiste nell’assemblare motori, lo smart working risulta essere un pochino più complesso da gestire.
La seconda considerazione riguarda il fatto che in genere per fare smart working devi possedere una connessione internet che sia di qualità. Ecco, se leggete le lamentele relative alla qualità di alcune connessioni Internet capirete che il tema non è affatto banale.
Figlio della considerazione di cui sopra è il tema della possibilità di accedere agli strumenti ed ai dati che utilizzi in azienda. Non tutte le aziende sono strutturate affinche i propri dipendenti possano accedere da remoto ai sistemi ed ai dati di cui hanno bisogno per lavorare. Questo è sopratutto vero se lo smart working non è mai stato praticato in azienda. In secondo ordine si deve anche considerare il fatto che sebbene esistano una varietà enorme di strumenti di collaborazione remota non è detto che le aziende siano pronte ad utilizzarli dal giorno zero.
Arriviamo infine alla narrativa. Fate una veloce ricerca su LinkedIn con il temine telelavoro, smart working e affini.
Il verbo che più spesso compare in tutti i post è “concedere”. Consultiamo il dizionario Treccani:
concèdere v. tr. e intr. [dal lat. concedĕre «ritirarsi dinanzi a qualcuno, cedere, concedere», comp. di con– e cedĕre «cedere»] (pass. rem. io concèssi o concedéi o concedètti, tu concedésti, ecc.; part. pass. concèsso, meno com. conceduto). – 1. tr. Dare, per grazia, per favore, per generosità o consentendo a un desiderio di altri; ha sign. più ampio di accordare, in quanto non sempre presuppone una domanda: c. il perdono, un sussidio, un diritto, una proroga; c. la grazia a un detenuto; c. un aumento dello stipendio; concedimi un po’ di tempo per riflettere; la conferenza avrà luogo nella sala del circolo Verdi gentilmente concessa (anche abbr.: g. c.). Con si rifl., come compl. di termine: concedersi un po’ di riposo, qualche giorno di svago; come vero e proprio rifl., concedersi, darsi, consentire a un rapporto sessuale: si è concessa al suo amante. 2. tr. Seguito da che o di: a. Permettere: maestro, or mi concedi Ch’i’ sappia quali sono (Dante); mi ha concesso di rientrare un’ora più tardi. b. Ammettere come cosa vera: concedo di aver torto; devi c. di avere esagerato (meno com. di ammettere o riconoscere). Con questo senso, è spesso usato il part. pass. concesso, in costruzione assoluta: anche concesso che lui riceva la lettera, sei sicuro che risponderà?; e nella formula ammesso e non concesso (o anche, meno com., dato e non concesso), quando si ammette momentaneamente come vera un’ipotesi ritenuta improbabile, al solo scopo di poter controbattere le ragioni dell’avversario o per aver modo di sviluppare un ragionamento: ammesso e non concesso che ti abbia offeso, non avevi diritto di reagire così; dato e non concesso che nella luna fusse chi di là potesse rimirar la terra (Galilei). 3. intr. (aus. avere), ant. o letter. Cedere, arrendersi: c. al fato, soccombere, morire: se tu vivi, o misero, Se non concedi al fato (Leopardi). ◆ Part. pres. concedènte, anche come agg. e sost. (v. la voce).
Bene, leggete con attenzione il punto 1: Dare per grazia, per favore, per generosità o consentendo ad un desiderio di altri.
Immagino che possiate cogliere il punto. Nonostante le buone intenzioni si usa il verbo concedere. Nel retrocranio c’è sempre il timore che il dipendente abusi e che comunque si tratta di una grazia o di un favore.
A me sembra evidente che si faccia ricorso allo smar working obtorto collo. Un compromesso reso necessario dalla situazione di emergenza in essere ma non proprio della cultura aziendale che, appunto, lo concede.
Interessante anche il fatto che vengano fatti questi “proclami”. Chi ha usato quello strumento da decenni, come noi per esempio, non ha sentito il bisogno di comunicarlo. E’ talmente interiorizzato nella cultura aziendale che per noi è la normalità. E così dovrebbe essere ovunque.
Rimane il fatto che è comunque una cosa positiva. Ci metterà a disposizione dei dati oggettivi per dimostrare a tutti che è uno strumento valido e che funziona egregiamente. Naturalemente ci saranno degli abusi, ma niente di diverso dagli abusi che possiamo osservare ogni giorno in tanti uffici.