Ho sempre provato un piacere enorme nello scrivere codice. Quando ho iniziato il mio primo lavoro mi è sembrato di realizzare il sogno che avevo da bambino.
C’è questo piacere nel vedere funzionare le cose che hai prima immaginato nella tua testa e che poi puoi osservare sotto forma di codice. In un certo qual modo ho vissuto questo aspetto come un rifugio. Nel codice tutto è chiaro e se qualcosa non funziona ne conosci perfettamente la ragione. Hai tutti gli strumenti per capire ed hai tutto sotto controllo. Diverso era il discorso con le persone, ma questa è un’altra storia.
In questi giorni sto sfruttando parte del mio tempo, e parte del mio tempo libero, per scrivere un pochino di codice che serve a Sketchin per automatizzare un pochino di cose. Senza entrare troppo nel merito c’è una applicazione Slack che recupera informazioni da Salesforce, Harvest, Expensifiy, gMail e dall’insieme dei Google Sheets sui quali vivono le nostre stime di progetto.
Tutti i colloqui tra questi sistemi avvengono tramite le rispettive API e a contorno c’è uno scheduler che esegue sequenze di task tramite una macchina a stati finiti, una dashboard che permette di verificare lo stato dei vari sistemi, dello scheduler e dei task programmati ed altre cosette che fanno da collante tra i vari pezzi.
Tutto è scritto in Python con il supporto di qualche script bash. Per comodità di deployment ho deciso di usare docker per ospitare le varie applicazioni che sono isolate in container atomici.
A questo stato del progetto i vari pezzi cominciano ad integrarsi abbastanza bene tra di loro e, per il momento, ne sono abbastanza soddisfatto.
Ora che sono a questo punto accorcio i vari tempi dello scheduler per verificare la presenza di eventuali errori e mi metto ad osservare il log centralizzato che scorre sullo schermo.
Mi rendo conto che osservando quello stream continuo di informazioni mi perdo nei suoi contenuti. Ne sono affascinato. Vedo i vari sistemi che si parlano tra di loro, il database che si popola, il client di Slack che riceve i messaggi che deve ricevere e ne sono incantato.
So da dove proviene ogni singolo messaggio, so per quale motivo lo sto visualizzando, so per quale motivo ho deciso di visualizzarlo e ne conosco il contenuto.
In questo momento potrei abbassare il livello di logging ma non lo faccio perché per me è una bellezza. Potrei stare ore a guardare quelle righe scorrere.
Forse mi accontento di poco ma a me piace da impazzire.
Non credo di essermi mai divertito tanto come quando facevo questo per dodici ore al giorno. In qualche occasione mi manca, molto. Avevo molte meno responsabilità e tutto iniziava e finiva lì. Sì, mi manca. Molto
Shameless self promotion ahead…
Nel caso non ve ne foste accorti qui in giro c’è anche un podcast con il quale potrete intrattenervi.
Quello di seguito è l’ultimo episodio.
Qui, invece tutti gli episodi pubblicati sino ad ora: Parole Sparse – Il Podcast
Quanto mi ritrovo in queste parole…
Capisco e condivido questa passione. A modo suo un programma è un piccolo mondo a volte chiuso a volte in contatto con altri mondi e i log che scorrono sono la prova che vive. Quando guardo i log degli ecommerce che sviluppiamo vedo il flusso delle frenesie da promozioni, l’indecisione degli utenti, gli attacchi dei bot, gli operatori al lavoro… a basso livello vedo tutto il movimento di quel mondo e ogni riga dice che qualcosa è successo.