Superare i limiti

Quando di parla di realtà azienda si sente molto spesso di come sia necessario superare i limiti per potere crescere nel tempo.

Ci possono essere diverse motivazioni che ti spingono a crescere. Alcune delle motivazioni sono positive, altre meno, altre ancora molto, molto meno.

Può essere una spinta che deriva dalla proprietà o, alternativa, dagli azionisti della tua società che sono interessati a guadagnare di più dalla propria attività inprenditoriale. Puoi semplicemente reagire ad una maggiore richiesta del mercato. Oppure puoi volere crescere perchè vuoi fare cose sempre più divertenti e di valore.

In tempi non sospetti dissi durante una riunione che il nostro obiettivo principale non era guadagnare denaro e che il denaro era un effetto collaterale del lavoro che facciamo. Se avessimo prodotto cose di qualità il denaro sarebbe arrivato senza doverci troppo preoccupare. Pecatto che questa affermazione fu fatta in un ambiente assolutamente non pronto a riceverla. Un ambiente la cui dinamica era alimentata da interessi personali e non comuni.

In Sketchin questo finalmente diventa la realtà.

Se osservo il mio mercato e gli azionisti mi dovessero chiedere di aumentare fatturato e margini come unico obiettivo il tutto sarebbe molto facile. Potrei assumere un mare di giovani virgulti, prendere qualsiasi progetto mi capitasse sotto mano, non direi mai di no e spremere le risorse sino allo stremo. È un esercizio facile che vedo ogni giorno da parte di tante aziende che si dicono simili alla nostra. In questo modo potrei crescere velocemente senza grossi problemi.

La velocità sarebbe di un paio di grandezze più grande di quella che posso esprimere adesso.

Per fortuna non mi trovo in questa condizione.

Stiamo crescendo, e stiamo crescendo velocemente e nonostante questo vedo che continuiamo a superare tutti i limiti.

In tutte le recenti occasioni ho visto le persone di Sketchin superare sè stesse in temini di qualità e di pensiero. Cose veramente eccezionali che non era nemmeno immaginabili quattro anni fa.

Strategia, pensiero creativo, soluzioni, metodi di lavoro; tutti armonizzati in un insieme di artefatti dalla qualità stupefacente.

Ogni volta mi dico che abbiamo raggiunto il limite e che non è possibile fare di più. Vengo smentito ogni singolo giorno.

 

L’idraulico

Credo bisognerebbe tenere sempre le orecchie bene aperte verso quei mercati, settori o cose che non sono direttamente affini al lavoro che fai.

Questa è la ragione per la quale seguo una valanga di persone su Twitter e tra questi ci sono cartomanti, editor, elettricisti, infermieri, medici e chi più ne ha più ne metta. Quando voglio distrarmi mi dirigo verso il mio account twitter e cerco qualcosa di inusuale da leggere.

In forma minore seguo questo approccio anche su LinkedIn.

L’altro giorno mi è capitato sott’occhio questo status di Danny Santoro, proprietario di una azienda che si occupa di idraulica residenziale,  che diceva:

Young lad on site asked today ‘why are you piping up so neat, it’s all going to be boxed’… My reply is ‘boxed or not boxed kid, I’ve told you before, always showcase your skills, respect the area your working in and treat every job as if you were working in you own home’ 👍

Non è forse questo che dovremmo cercare di fare tutti nel nostro lavoro?

Per chi fa un lavoro come il mio: cercare il modo migliore di rappresentare un pensiero che sia in grado di risolvere un problema, trovare il modo di raccontarlo il più chiaramente possibile, e porre una attenzione ad ogni singolo dettaglio prima di dire “ho finito.”.

 

La valigia cappotto

Kikstarter è sempre fonte di grandi soddisfazioni e, talvolta, di grandi risate.

Oggi mi è capitato sott’occhio questa iniziativa per la quale una valigia può trasformarsi in un cappotto. Stupefacente.

L’idea è veramente fantastica.

Secondo i promotori della iniziativa questi sono i vantaggi:

  • Fino a 15 Kg di bagaglio da “indossare”
  • Eliminare la coda al ritiro dei bagagli
  • Eliminare il rischio di perdita del bagaglio
  • Riduzione del costo per il peso del bagaglio in eccesso

Potrebbe anche sembrare una cosa geniale.

Diciamo che mi viene in mente qualche punto per non utilizzare i miei quattrini per rendere questa cosa una realtà:

  • L’idea di usare il cappotto per ospitare delle cose non è affatto nuova. Purtroppo il concetto è sempre stato usato per nascondere prodotti mentre si tentava di rubarli. Pensandoci bene potrebbe essere un uso non previsto dell’artefatto o, quantomeno, non reso esplicito.
  • Indossare in un aereoporto un indumento che contiene quindici chilogrammi di cose non è affatto una buona idea. Nella migliore delle ipotesi corri il rischio di essere scambiato per un corriere della droga del cartello di Medellin e spendere il tuo tempo in piacevole compagnia con qualche rappresentante delle forze dell’ordine. Nella peggiore delle ipotesi potresti sembrare un terrorista con intenti suicidi e diciamo che il risultato finale non sarebbe piacevole.
  • Diciamoci la verità. Quindici chili di cappotto non sono affatto pochi. Io alla mia tenera età non sarei in grado di sopportarli.

A sensazione, in qualche cosa talvolta si esagera.

Un organizzazione che cresce

In questi mesi di grandi cambiamenti per noi mi sono spesso fermato a riflettere sulla crescita di una organizzazione.

Non si tratta di un tema facile, sopratutto perchè non esistono regole universali da applicare. Ogni organizzazione è un organismo più o meno evoluto e cresce o decresce secondo le regole del proprio ecosistema.

Si possono applicare dei princìpi generali ma questi devono sempre essere adattati al tuo particolare contesto.

Credo che non sia passato giorno negli ultimi quattro anni che Luca ed io ci dicessimo qualcosa del tipo: dai; teniamo duro; si tratta solo di un momento che dobbiamo superare.

La realtà delle cose è che quando ti trovi in una situazione di forte crescita hai davanti una continua successione di momenti che devi superare per passare allo stadio successivo.

Il dolore della crescita è endemico e devi imparare a conviverci nel tuo quotidiano.

Il timone che ti guida deve sempre essere orientato al risultato che vuoi ottenere così come devi essere in grado di mantenere una velocità che sia in grado di tenere tutti a bordo senza che nessuno si ritrovi sbalzato fuori dalla barca senza salvagente.

Questa è la cosa più critica che mi trovo a dovere gestire ultimamente. Non è un esercizio facile dato che compromette pesantemente il mio tempo e le mie relazioni ma è una cosa necessaria per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati.

La lista delle cose da fare

Ecco un’altra cosa dalla quale non riesco a stare lontano ed alla quale mi avvicino costantemente e sempre con nuovi approcci senza mai riuscire a trovare quello che mi soddisfa pienamente.

Finora ho sempre saltellato tra:

  • La pura e semplice lista costruita con carta e penna sul mio taccuino. Funzionicchia tranne quando mi dimentico di aggiornarla e torno ad affidarmi al mio cervello. Questo perchè in ufficio saltello sempre da una parte all’altra e non sempre ho con me quello che mi serve.
  • Applicazioni varie su smartphone. Fino ad ora non ho trovato mai nulla che mi soddisfacesse abbastanza anche perchè in genere quello che faccio richiede una catena di azioni che spesso rende l’aggiornamento una vera e proprio rottura.
  • Applicazioni su computer portatile. Sino ad ora la forma di lista delle cose da fare elettronica che trovo più vicina al mio modo di pensare sopratutto quando strumenti diversi si integrano tra di loro. L’applicazione base è Todoist sul desktop che si integra con Airmail, Fantastical e un pochino a spinta con Pipedrive e Slack. Ha una sua versione per iOS e Android e funziona anche su Apple Watch. Per ora sembra funzionare anche se siamo ben lontani dalla perfezione.

Quello che noto è che per differenziarsi tutte queste applicazioni tendono ad introdurre un numero enorme di funzioni assolutamente inutili che mi distraggono e mi complicano l’esistenza. Todoist con la sua interfaccia minimale e quel minimo di interpretazione del linguaggio naturale per il momento stravince su tutto il resto.

Ovviamente sino a che non mi si scarica il personal computer.

Forse quel quadrante che usava un mio vecchio capo era una soluzione ideale: importante, non importante, urgente, non urgente era la classificazione ideale piuttosto che un singolo numero che identifichi la priorità. Lui ce lo aveva sulla parete con dei postit, tipo le striscie dei controllori di volo.

 

Il regolo calcolatore

Oltre al Manuale dell’Ingegnere c’era una cosa nello studio di mio padre dalla quale non riuscivo a stare lontano: il regolo calcolatore.

Mio padre li teneva sul suo scrittoio e ne aveva quattro. Ognuno aveva scale e dimensioni diverse e mi attraevano come poche altre cose in casa. Erano gli anni 70 e certamente non avevamo un computer; credo che non avessimo nemmeno una calcolatrice.

Quegli oggetti erano affascinanti per un ragazzino di dieci anni. Tutte quelle scale, il movimento dei cursori e quei piccoli manuali che contenevano formule per me del tutto incomprensibili.

Anche mio padre ne era gelosissimo e gli riservava una cura quasi ossessiva.

Quando divenni più grande riuscii a farmi spiegare il loro funzionamento e, oltre al fatto di avere speso del tempo con mio padre, imparai finalmente ad usarli, sebbene per le operazioni più semplici.

Io ricordo che rimasi impressionato dalla velocità con la quale mio padre riusciva a fare calcoli anche complessi. Dopo la sua scomparsa ho ereditato dei suoi quaderni scritti a mano che riportavano alcune delle cose che lui faceva durante il suo lavoro. Fogli e fogli di calcoli espressi nella sua precisissima scrittura. Solo in quel momento capii il valore che per lui aveva il regolo calcolatore.

Oggi quei regoli calcolatori sono nel cassetto della scrivania del nostro studio ed io sono ancora capace di usarli e ogni tanto ci giocherello per quale minuto.

La bambola

C’è un bellissimo giocattolo che si chiama “My friend Cayla”. E’ una bambola in grado di ascoltare quello che i bambini dicono e, per mezzo di una applicazione sullo Smartphone, rispondere alle domande, leggere storie ed interagire.

La bambola chiacchiera con lo Smartphone attraverso una connessione Bluetooth.

Se andate sul loro sito (myfriendcayla.co.uk) c’è una sezione che si chiama Terms and Conditions. 

Per un oggetto come questo mi aspetto che mi venga raccontato qualcosa riguardo il trattamento dei dati che la bambola raccoglie. Nulla di tutto questo.

Tutto ciò che viene detto è questo:

  • Cayla and Chloe will search on the internet for the answers to many questions. We cannot take responsibility for the accuracy of this 3rd party infomatio.
  • Users of the iOS app can ask up to 3,000 questions which require an internet connection– approximately 50 continuous hours back-to-back! An add-on can be purchased for a small fee. There’s no limit to how much Cayla can talk about herself, play games, and so on. Android users have unlimited use.

Non è dato quindi sapere che cosa viene fatto di questi dati. Vengono distrutti una volta terminata l’interazione, vengono conservati? Chi ha accesso a queste informazioni? Per quali scopi?

Niente. Ho provato a scaricare l’applicazione per iPhone ma non è ancora disponibile sullo store Italiano.

Questo sarebbe già un problema sufficientemente grave per farmi desistere da un potenziale acquisto.

Oltre a questo pare che la connessione Bluetooth non sia protetta in alcun modo e quindi chiunque potrebbe collegarsi alla bambola per ascoltare quello che avviene nell’ambiente circostante.

Questo renderebbe la bambola una spia.

Non ci siamo davvero.

Concediamo il beneficio dell’inventario a chi la produce e crediamo che non ci siano secondi fini nella raccolta dei dati. Rimane comunque il problema che hai progettato un oggetto che maneggia informazioni sensibili, è male protetto ed è mascherato da oggetto innocente.

Il sistema perfetto.

Apollo 11 Flight Plan

Qualche mese fa, durante le mie giornaliere scorribande su Kickstater, mi sono imbattuto in un progetto che voleva ristampare una copia dei piani originali del piano di volo dell’Apollo 11.

Credo di averci messo meno di un minuto a finanziare quel progetto. Queste sono il genere di cose a cui non riesco a resistere.

Il progetto originale è ancora visualizzabile a questo link.

Questa era la descrizione:

In honor of this achievement we have set out to produce the highest quality reproduction of the Apollo 11 Final Flight Manual that was used by Mission Control, Flight Controllers, Astronauts and supporting personnel around the globe throughout the Apollo 11 mission.

La cosa che mi aveva affascinato era la volontà di riprodurre il più fedelmente possibile il materiale originale. Riprodurre ogni pagina con i font corretti, il corretto spacing ed anche la qualità della carta originale insieme al binder che venne usato nel 1969.

L’altra cosa che mi aveva affascinato era il fatto che non si sarebbe trattato di una riproduzione di file esistenti in formato elettronico. Piuttosto ogni pagina sarebbe stata ricreata manualmente ed il più fedelmente possibile all’originale.

Oggi finalmente mi è stato consegnato e ho passato la mia intera pausa pranzo a scorrere tra le pagine ed è una vera meraviglia. Un pezzo di storia fedelmente riprodotto.

Per chi volesse avere una idea di che cosa si tratta può andare sul sito della NASA e scaricare un file PDF. La riproduzione non è di altissima qualità ma sufficiente a divertirsi un pochino se il genere vi piace. Questo è il link.

Soddisfazioni

In un momento del tutto inaspettato questa mattina ho ricevuto un messaggio di posta elettronica da un nostro cliente.

In questo messagio ci informava del fatto che il lavoro che avevamo svolto per lui era andato online e si complimentava con noi per la professionalità e la qualità del risultato.

Io sono di natura immodesto ma alla qualità di Sketchin oramai mi sono abituato e, sbagliando, la riconosco come scontata.

Nel suo messaggio di posta elettronica c’era il link del prodotto che abbiamo progettato e ci ho subito cliccato sopra. Ho passato i successivi dieci minuti a guardare la home page come ipnotizzato.

Una delle maggiori soddisfazioni del mio lavoro è vedere accadere le cose. In particolare vedere realizzato quello che le nostre persone hanno immaginato.

L’altra cosa che mi ha fatto particolarmente piacere è stato realizzare che c’è ancora qualcuno che si prende la briga di dirti grazie. Un grazie che sorpassa la normale relazione cliente/fornitore ma che porta il livello del rapporto ad un livello più sano e naturale. Il fatto che poi provenisse da una grande organizzazione rendere il tutto ancora più soddisfacente.

Realizzare ancora una volta che sei circodato da persone dal talento straordinario e che non hanno paura di dire “ho sbagliato” è tuttora un privilegio che ritengo essere molto raro nel mondo lavorativo di oggi.

Tutto sommato una buona giornata. Ce ne fossero.

E ora torniamo a quella presentazione…

Viva Adelmar!

Sono ormai un paio d’anni che ricevo messaggi di posta elettronica diretti ad un certo Adelmar Galetto.

Vi domanderete quale ne sia il motivo. Semplicemente Adelmar deve avere un indirizzo di posta elettronica molto simile al mio indirizzo gmail personale.

Adelmar deve essere un funzionario pubblico che veste interesse nella costruzione di edifici per la sua comunità. Sono mesi che ricevo progetti, business plan, fatture e proposte.

Io oramai so tutto dello sviluppo urbanistico della città in cui Adelmar vive.

In un paio di occasioni sono stato anche tentato di dargli dei consigli sulle presentazioni che avevo ricevuto ma mi sono sempre trattenuto.

Ho scritto diverse volte ai suoi corrispondenti indicandogli l’errore ma questi pare essersi propagato oltre ogni misura.

Io mi immagino anche Adelmar incazzatissimo perchè nessuno gli manda quello che lui richiede con urgenza e che pare evere concordato per telefono.

Adelmar, io ci ho provato.

The big Kahuna

Chiunque, come me, si trovi ad avere a che fare con dei clienti e che, di conseguenza, si trovi attaccato ai proprio risulati il raggiungimento di un obiettivo come booking, o revenue, o margine, potrà capire di cosa sto parlando.

Quando mi ritrovai per la prima volta in questa situazione cominciai a pensare al grande deal; quello che ti faceva svoltare l’anno fiscale e chiudeva in un solo colpo tutti gli obiettivi dell’anno facendoti respirare.

Negli anni il sogno di questa chimera è rimasto sempre presente e si è amplificato. Era diventato il deal che non riguardava più solo te, ma tutta la tua azienda.

Ovviamente non è mai successo, se non in una occasione nel lontano 2012.

Consiglio a tutti di guardarsi il film “The big Kahuna”, con Kevin Spacey e Danny DeVito. Due venditori, oggi più nobilmente si direbbe Key Account Manager, che nel corso di una convention della loro azienda danno la caccia al più grande il cliente. Il cliente che tutti vorrebbero avere. Naturalmente la caccia non si conclude con una cattura, ma questo credo che tutti lo avete immaginato.

Perfetta rappresentazione di un certo modo di fare affari. Grandemente istruttivo e grandemente consigliato.

In realtà nel corso degli anni il mio atteggiamento è cambiato.

Non sono più alla ricerca del long shot o del blue bird come potremmo chiamarlo usando terminologia che in realtà non mi appartiene.

Sono alla ricerca continua e disperata di cose belle da fare. Di progetti che diano soddisfazione a me e alle persone che ci lavorano.

Se da un lato perdi necessariamente la tranquillità che potrebbe darti un grande deal, dall’altro ne guadagni in qualità del lavoro ed in varietà.

Ecco, la varietà è ciò che oggi maggiormente mi spinge in territori poco conosciuti. Qualche volta con piena consapevolezza, altre con l’incoscienza di un bambino che compie i gesti più spericolati incurante del potenziale pericolo. Pericolo comunque a lui del tutto sconosciuto.

B-Corp

Oggi abbiamo avuto in ufficio un amico che, tra le altre cose molto fighe che fa, si occupa anche di B-Corp.

Tu sai che cosa è una B-Corp, vero?

Magari non lo sai e ora te lo dico io:

B Corp is to business what Fair Trade certification is to coffee or USDA Organic certification is to milk.

B Corps are for-profit companies certified by the nonprofit B Lab to meet rigorous standards of social and environmental performance, accountability, and transparency.

Se vuoi approfondire ti consiglio di cliccare qui. Ti assicuro che sarà una lettura interessante.

A noi di Sketchin questi temi sono sempre molto cari e per questo motivo abbiamo deciso di provare ad ottenere la certificazione B-Corp.

Insieme a Tiziano abbiamo fatto il primo assessment online. Si tratta di un esercizio utilissimo che ti guida attraverso cinque aree chiave di ogni azienda e per ognuna di questa viene valutato il tuo impatto sociale ed ambientale.

Le cinque aree principali sono: Governance, Workers, Community, Envrionment e Customers.

La valutazione ti fornisce un punteggio compreso tra 0 e 200 e devi ottenere un punteggio di almeno 80 per ottenere la certificazione.

Allo stato attuale Sketchin ha ottenuto un punteggio di 50,2.  E’ un pò pochino.

Devo dire che l’esercizio è stato utilissimo in termini di consapevolezza.

Oggi ho scoperto che Sketchin è una azienda con un punteggio altissimo sui Workers, discreto sulla Governance e assolutamente deficitario su Community, Environment e Customers.

In poche parole siamo una B-Corp per quanto riguarda il nostro interno ma è come se fossimo un organismo a sé stante per quanto riguarda le relazione con il tessuto sociale esterno e la consapevolezza del nostro impatto ambientale.

Consiglio a tutti di provare a fare questo esercizio, se non altro per rendersi conto di dove la vostra azienda sta in relazione a questi temi che stanno sempre più centrali.

Noi cercheremo di colmare questo gap di 30 punti che ci permette di raggiungere la certificazione. Non perchè ci interessi la certificazione in sé e per sé ma piuttosto perchè vogliamo essere una azienda migliore e più consapevole.

La banalità del mercato

Accade che due rapper si recano in un luogo per firmare autografi ai proprio fan. Accade che le due star firmano gli autografi solo a coloro che hanno acquistato il loro recente capolavoro. Seguono fan giovanissimi in lacrime.

Il giorno dopo uno dei due afferma che i giovanissimi fan dovrebbero prendersela con i loro genitori che non gli hanno acquistato il compact disc.

Qualche anno fa Musician Davey D scrisse:

“Keep in mind when brothas start flexing the verbal skillz,
it always reflects what’s going on politically, socially,
and economically.”

C’è una bellissima serie su Netflix che si chiama “Hip-Hop evolution” che narra della nascita di questo genere musicale e che consiglio a chiunque di guardare se vi interessa comprendere la matrice culturale in cui essa nasce.

Questi due pinguini fanno finta di rifarsi a questa matrice culturale in termini musicali, ma fino ad un certo punto, e ne copiano l’iconografia, ma non vedo nulla di più lontano da loro dal senso e dalle origini.

Tutto questo rende i personaggi falsi e fasulli per coloro che hanno voglia di fare girare un paio di neuroni.

Che si voglia fare cassa con il proprio successo lo capisco benissimo. Che si tenti di travestirsi di buone intenzioni di denuncia per poi fare quello che hanno fatto, un pochino meno.

Come nota a margine vale anche la pena dire che tra le tanti declinazioni di educazione che oggi mancano, anche quella musicale manca.

In questo senso l’affermazione di Musician Davey D diventa vera se applicata al comportamento dei due rapper. Una rappresentazione veritiera di quanto accade politicamente, socialmente ed economicamente.

Leggiamo l’episodio per quello che è.

La libreria 

Sono ormai anni che uso quasi esclusivamente il Kindle per le mie letture e ne sono assolutamente soddisfatto.

Nonostante questo c’è una cosa che mi manca delle librerie e che il Kindle non sarà mai in grado di sostituire.

No, non si tratta della menata della assenza della fisicità o del fantomatico profumo della carta.

Vuoi mettere portarsi in vacanza, od in viaggio, duecento grammi di Kindle rispetto a qualche chilo di carta?

Quello che mi manca è la serendipità della libreria. Il fatto di potere passeggiare tra le scansie e venire catturati da una copertina, sfogliare qualche pagina a caso, farsi sedurre da qualche frase e portare il libro a casa.

Questo caso d’uso non è riproducibile su un oggetto digitale o, almeno, lo è solo in parte.

Oggi molti dei miei acquisti mi vengono suggeriti dalla mia rete sociale e questo porta inevitabilmente a rimanere nel contesto culturale delle persone che conosco.

È raro che io possa incappare in qualcosa di completamente estraneo agli argomenti di cui parlo.

Succede ancora nelle relazioni personali ma sempre più raramente.

L’effetto collaterale è che spendo comunque del tempo in libreria. Lo spendo per la scoperta, non per l’acquisto. Quando trovo qualcosa che mi interessa, scatto una fotografia e poi lo compro sul Kindle.

Velocità

Molti anni fa, scendendo le scale della azienda per la quale lavoravo per andare a fumare, trovai una delle persone del mio gruppo in lacrime.

Mi fermai immediatamente e mi misi a parlare con lei cercando di capire per quale motivo stesse piangendo.

Mi disse che si sentiva pressata da una serie di cose urgenti. In realtà mi disse che tutto era urgente, tanto da non riuscire a capire di che cosa occuparsi e, sopratutto, di come occuparsene.

Io ricordo che le dissi che per nessun motivo si dovrebbe permettere ad un lavoro di farti piangere e che, in ultima analisi, se tutto è urgente, nulla è urgente.

Questa è la verità delle cose.

Ricordiamoci anche che la maggior parte di noi non fa il neurochirurgo e salva vite umane e per questa ragione il concetto di urgenza è veramente molto relativo. Io al massimo, oggi, la vita delle persone la complico.

Ricordo che la persona si sentì in qualche modo rincuorata da quella affermazione ed ebbi la sensazione che il suggerimento venne adottato. Diciamo che questo potrebbe rivelarsi wishful thinking ma tant’è.

Ora quella persona ha delle grandi responsabilità, è una persona dal talento assoluto, ed io mi auguro di averle insegnato qualche cosa non strettamente legatoa alla sua sfera professionale ma che le sia tornato utile. Sopratutto che sia tornato utile alle persone che lavorano per lei.

Oggi sono io ad avere l’impressione che tutto sia urgente e che non abbia sufficiente spazio per fare tutto al meglio. Ecco, oggi vorrei che ci fosse qualcuno a dire a me la stessa cosa. Aspetta un attimo… C’è! Sono io!

Niente è urgente.