COBOL è vivo!

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Photo by Alex Motoc on Unsplash

Ricordo con terrore la prima volta in cui mi sono trovato ad avere a che fare con il linguaggio di programmazione COBOL. A quel tempo lavoravo in Fujitsu ICL ed un nostro cliente stava migrando da un sistema mainframe S35 ad una architettura AT&T Unix System V DRS 6000.

Tutto il suo software era proprietario e scritto nel dialetto COBOL utilizzato dal suo mainframe. Ovviamente lo stesso dialetto non era disponibile sul DRS 6000 che invece utilizzava Microfocus COBOL.

Mi fu quindi chiesto di scrivere un aggeggio che traducesse il codice sorgente da un dialetto all’altro.

Credo che fosse il 1995 e quindi gli strumenti a disposizioni erano veramente pochi. Ricordo che mi misi al lavoro e dopo qualche settiman di lavoro con lex e yacc (per la cronaca, grandissimi strumenti) arrivai a produrre qualcosa che aeva un senso e che funzionava bene nel 99% dei casi. Credo che da qualche parte devo ancora avere la grammatica di yacc.

Nel 2020 la situazione non è molto cambiata. Leggendo questo articolo di IDG si scopre che sono ancora moltissime le istituzioni che fanno uso intensivo del COBOLO, sopratutto in ambito governativo.

Non mi sorprende affatto. Purtroppo le persone che sono in grado di maneggiare quel linguaggio sono oramai molto poche e, diciamoci la verità, non è nemmeno un linguaggio grandemente eccitante. Credo che dopo il Pascal sia il linguaggio di programmazione più prolisso del mondo.

Rimane estremamente buffo il fatto che un linguaggio nato alla fine degli anni 50 continui a tenere in ostaggio decine di istituzioni con budget milionari. La vendetta dei programmatori in pensione.

P.S. Io quei padelloni nella fotografia li ho maneggiati davvero! Erano l’equivalente dei dischi rigidi con una capacità di 10 Mb. Preistoria, quasi come me.

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