E’ diventata una abitudine da oramai più di vent’anni.
In qualunque posto io vada ho sempre con me un piccolo taccuino, tipicamente di piccolo formato e con la cortina non rigida. Insieme al taccuino una penna o, più spesso, una matita.
Forse per deformazione professionale mi considero un grande osservatore, sopratutto di comportamenti delle altre persone. Quando mi capita di notare qualcosa che mi colpisce ne prendo nota.
All’inizio di questa mia abitudine ero un maniaco dell’ordine dei miei taccuini. Tutto doveva essere perfetto e perfettamente allineamento. E’ vero. Era un comportamento un pochino maniacale e quello è certamente uno dei tratti del mio carattere che con il tempo ho decisamente smussato.
Abbracciare l’imperfezione ed accettarla come un dato di fatto della realtà che mi circonda.
Per questa ragione ora i miei appunti sono più sciolti. Non solo scrittura ma anche disegni, assolutamente imperfetti. Prima non avrei mai disegnato non reputandomi all’altezza. Ora è un grande chissenefrega e mi lascio andare quando ne sento il bisogno.
Appunti di riflessioni, idee, fantasie su potenziali progetti che mi piacerebbe portare avanti, ricordi e comunque tutto quello che non mi va di perdere dopo il pensiero del momento.
La sera me lo metto sul comodino perché non raramente mi capitare di pensare qualcosa che ritengo possa essere utile anche di notte e mi piacere sapere di poterlo fissare e di non lasciarlo scivolare via inutilizzato.
Li conservo tutti in un anta di una libreria. Ogni tanto mi capita di domandarmi che fine faranno quando non ci sarò più. Pochi secondi dopo mi dico che è una domande del tutto irrilevante. Quei taccuini servono solo a me.