Nelle scorse settimane mia figlia si è trovata impegnata in un tema in classe. Niente di particolarmente eclatante per chiunque si ritrovi a frequentare la seconda media. Abbiamo avuto modo di parlarne e si è detta molto soddisfatta di quanto aveva scritto. Come tutti gli adolescenti non ha speso una grande quantità di parole sull’argomento. Si è limitata a dirmi che ne era soddisfatta e non ha fatto alcuna menzione sull’argomento.
Non ho chiesto. Mi piace che sia lei a parlare se lo desidera. Non desidero che si senta costretta a parlare quando non ne ha voglia. Questo ovviamente non riguarda argomenti dei quali si deve necessariamente parlare. Accaduto raramente, per fortuna o per merito nostro e suo.
Trascorre qualche tempo e ricevo un messaggio in cui mi rende edotto del fatto che nel tema ha preso nove. Entusiasta, ovviamente. Provo a chiedere qualche informazioni in più ma non si sbottona. Rinuncio.
Ieri pomeriggio, trascorsa qualche settimana mi invia un copia del tema che ha svolto.
Scopro che la traccia del tema era questa: scrivi una lettera ad una persona cara che si trova al fronte italiano nella prima guerra mondiale.
Me lo manda durante la giornata lavorativa e subito penso che non voglio infilare la lettura del suo scritto tra una cosa e l’altra. Voglio dedicargli il tempo che si merita quando non corro il rischio di essere disturbato.
Lo leggo e lo rileggo. Molte volte.
Rimango senza parole. Uno scritto di una sensibilità unica. Toccante e molto intimo.
Ne stampo una copia con l’intento di tenerlo con me. In questo caso una copia elettronica non mi sembra abbastanza. Per una cosa così ci vuole la carta, quella vera.
Prendo il foglio dalla stampante. Leggo di nuovo, e poi ancora.
E’ scritto bene e la ragazza sa bene come usare le parole.
Le scrivo di quanto mi ha emozionato leggere le sue parole e di quanto le abbia trovate profonde sincere. Le dico che sono fiero di lei, ma questo lo dico spesso.
Lo leggo ancora.
E’ una meraviglia che illumina la serata a giorno.