Io ho imparato ad amare la lingua Italiana in tardissima età. Chiunque mi abbia conosciuto al tempo del liceo ricorderà benissimo i miei enormi problemi con la professoressa di Italiano.
Pur lavorando in un ambito densamente popolato di neologismi, inglesismi ed acronimi cerco sempre di usare la mia lingua ogniqualvolta sia possibile.
Io auguro “un buon fine settimana”, chiedo di “fissare una riunione” e domando di “fare una pausa”, ringrazio per “il messaggio di posta elettronica”. Quasi sempre.
Eppure la lingua Inglese la pratico, spesso e, tutto sommato, non sono neanche malaccio.
Non arrivo al livello dei nostri cugini francesi ma mi ci avvicino molto.
Spesso mi è stato fatto notare che uso termini oramai desueti nel mio eloquio e, giuro, non è per tirarsela. Si tratto solo di amore. Amore per i suoni, per i vocaboli. La ricerca della parola più adatta per esprimere un concetto. La fuga dalla banalità che regna sovrana, ovunque.
Leggo su Repubblica che è stata trovata una destinazione d’uso per l’area del trascorso Expo. Mi sembra una ottima notizia.
Poche righe sotto leggo che si intende chiamare quell’area West Gate.
Qualcuno è in grado di spiegarmi per quale motivo la dobbiamo chiamare West Gate? Fa più figo? Si vende ad un maggior prezzo per via della lingua della perfida Albione?
Tutto sommato ci si muove in continuità. Oggi quell’area si chiama Milano Innovation District. Stessa salsa, piatto diverso.