Alla ricerca del CEO perduto

Photo by Dan Meyers on Unsplash

E’ notizia recente che Sandy Speicher, CEO di IDEO, abbandonerà il ruolo nell’immediato futuro dopo poco più di tre anni nel ruolo.

Sul sito di IDEO non trovo traccia dell’annuncio ma dal sito PRNewswire leggo questa affermazione:

IDEO, the global design and innovation company, today announced that by mutual agreement, Sandy Speicher has stepped down as Chief Executive Officer (CEO), and will be leaving the company. Paul Bennett, Chief Creative Officer, and Tim Brown, Executive Chair are assuming the responsibilities of interim co-CEOs in addition to their existing roles. They will lead a transition team with a mandate to design the next evolution of IDEO.

Direi, per esperienza diretta, che in questa frase c’è tutto.

Fare il CEO, od il General Manager, di una azienda non è di per sé un compito facile. Farlo di una azienda di design è ancora più complesso e delicato.

Sono fermamente convinto del fatto che farlo in un ambiente altamente tossico non sia possibile per una quantità di tempo superiore a quella dell’ex CEO di IDEO.

L’annuncio, in perfetto stile corporate, è molto equilibrato. Ci siamo lasciati di comune accordo anche se nella realtà ci siamo presi a pesci in faccia negli ultimi tre mesi. La transizione viene affidata al Chief Creative Officer perché, ricordatevi bene, questa è una azienda di design ed il CEO ce lo abbiamo giusto perché ce lo dobbiamo avere ma in realtà non conta una beata fava. E comunque stiamo cercando di capire quale è il passo successivo per l’evoluzione della azienda che altro non significa che rimarremo tali e quali sino al momento in cui non saremo in grado di sradicare la cultura tossica che ci pervade.

Già letto, già sentito e, sopratutto, già vissuto, purtroppo.

Uno studio di design è un organismo complesso da gestire. Lo è ancora di più nel momento in cui un qualsiasi studio supera le dimensioni di circa 30/40 persone. Credo che in Sketchin tutti ricordino una mia affermazioni, purtroppo poco delicata, ma che riporto fedelmente: “Qualsiasi studio di design più grande di trenta persone genera stronzi.”

Ne sono ancora assolutamente convinto.

E’ molto facile che superata quella dimensione si inneschino dinamiche molto poco virtuose che possono facilmente condurre ad un ambiente tossico, altamente tossico. A tutti è ben chiara la centralità della figura del designer all’interno di uno studio di design. In fin dei conti ai nostri clienti vendiamo proprio quella figura e le sue competenze.

Se sei parte di uno studio di design con un ben determinato pedigree da un lato e se sei gasato dal fatto che il design si è spostato dai confini dell’impero alle stanze dei bottoni, farsi prendere dall’entusiasmo è un attimo. Ti senti al centro del mondo e ti convinci di essere il salvatore della patria, deus ex machina che scende tra i comuni mortali a risolvere i problemi del mondo.

Ed ecco che il tuo ego deborda e concima il terreno per la crescita della cultura tossica. E questo sopratutto se, alla fine, un grande designer non sei ma stai solo cavalcando l’onda. Nani sulle spalle dei giganti.

Secoli professionali fa ero alla ricerca di un nuovo studio perché stavamo crescendo a dismisura e lo spazio fisico non bastava più. Naturalmente il mio capo di allora mi chiese il classico “business case” per mettere a budget i costi del nuovo studio. Nota a margine: i designer fanno i fighi ma i soldi per permettergli di fare i fighi li devono cercare il CEO ed il GM, mica loro. Fatto sta che nelle mie proiezioni di crescita stimavo circa 90 persone. Al mio capo mandai una ipotesi di uno studio che potesse contenere 180 persone. Era una provocazione. Mi chiamò pochi minuti dopo avere inviato quel messaggio di posta elettronica:
“Alessandro, perché 180 persone se stai proiettando un headcount di 90 persone nei prossimi dodici mesi?”
“Perché mi serve spazio per ospitare 90 persone insieme al loro ego”

Per un general manager l’ego è la cosa più difficile e complessa da gestire.

Attenzione, non voglio affatto sminuire il lavoro del designer. Sono assolutamente persuaso del fatto che con il design si possa cambiare il mondo. Deve essere, però, un design sano e non viziato e corrotto da ego, interessi personali e politica.

Gran parte del mio lavoro è cercare di fare capire alle persone che lavorano con me che il lavoro di tutti è importante. Non potrai fare il tuo lavoro di designer se non c’è qualcuno che tiene in piedi i nostri sistemi, che si occupa della contabilità, che porta a casa i progetti su cui lavorerai e via discorrendo.

Il nostro non è solo uno studio di design, è un ecosistema complesso che produce valore per i nostri clienti sotto forma di design.

Questa è la chiave di lettura sana e questa è la direttrice che ogni general manager di uno studio di design dovrebbe perseguire.

Quando lo racconto non ci crede nessuno ma fare il general manager di uno studio di design è un lavoro che ti consuma lentamente ma inesorabilmente. Oh, diciamo la verità, sempre meglio che andare ad avvitare bulloni in fabbrica o estrarre carbone in miniera. Mi sento comunque un privilegiato rispetto a tanti altri lavoratori.

Sei continuamente alla ricerca di un equilibrio tra la necessità di recuperare i fondi necessari per pagare gli stipendi alla fine del mese e creare il miglior ambiente dove si possa praticare design.

Non è un esercizio semplice.

In un certo qual modo è la classica lotta tra il cervello destro e quello sinistro che convivono nello stesso organismo e che si devono coordinare per farlo sopravvivere.

Quando una delle due parti si attiva per produrre tossine il general manager deve assumere la forma del sistema immunitario ed inviare i globuli bianchi a distruggere la tossina. Il più velocemente possibile, prima che la tossina possa aggredire in maniera irreparabile l’organismo. Questo ti rende impopolare, molto.

Naturalmente qualche tossina sfugge al controllo del sistema immunitario e comincia a minare l’integrità dell’organismo. Questo significa che il mio lavoro non è perfetto, non ho mai preteso che lo fosse.

E questo, sì, significa che anche da noi ci sono degli stronzi. E’ inevitabile.

Il sistema immunitario permette di identificarli e, prima o poi, di liberarsene più o meno “spintaneamente“.

Concludendo, cara Sandy, non sai quanto ti capisco in questo momento. In bocca al lupo. Vedrai che andrà meglio. Garantito al limone.

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