Consapevolezza

Sono oramai prossimo al compimento del mio cinquantesimo anno di età.

No, non sto per comprarmi una moto, una macchina decappottàbile o una serie di vestiti che mi trasformino in un hipster.

Piuttosto mi sto rendendo conto con sempre maggiore chiarezza di una infinità di cose che per la velocità avevo sempre trascurato.

Il valore della lentezza in primo luogo. Lentezza non frutto di inerzia, ma composta dalla consapevolezza del valore del tempo. Il piacere di dedicare alle cose il tempo che si meritano.

La consapevolezza di voler scegliere dove e come spendere il mio tempo. Al di là della semplice regola che mi fa scansare tutte le rotture di balle, la scelta tra due cose che possono egualmente darti piacere. E, sopratutto, la capacità di non avere rimpianti a valle della scelta. La memoria che diventa più sottile aiuta molto.

Avere capito che le persone in grado di insegnarti qualcosa sono molte, molte di più di quelle a cui io sono in grado di insegnare qualcosa. Conseguenza di questo è la decisione di spendere molto più tempo ad ascoltare che a parlare. Prestare attenzione è il regalo più grande che mi sia possibile fare in questo momento.

Fare i conti con delle mancanze e delle assenze che ormai non è più possibile colmare, forse.

Il fatto che ho un continuo bisogno di conoscere cose che non appartengono alla mia sfera personale o professionale, ovvero la volontà di colmare la mia curiosità di cose sempre diverse e sempre più lontane.

La precisa scelta di non perdonare mai alcune persone. Poche, molto poche, in verità, ma che, davvero, non desidero proprio riportare nel novero delle persone che rispetto.

Il piacere del silenzio e della solitudine in dosi non tossiche.

Riconoscere il fatto che ho sviluppato una naturale intolleranza alle stronzate e che impiego veramente molto poco tempo a renderlo manifesto al mio interlocutore.

Avere imparato, finalmente, a dire subito di no. Senza ripensamenti.

Insomma, sto invecchiando male. Sopratutto per gli altri.

Sketching – The basics

Uno degli effetti positivi di Corrente Debole è che dopo molti post ricevo feedback in forma più o meno privata.

Ieri scrivevo della mia totale incapacità di disegnare qualasiasi cosa che non sia un omino antropomorfo.

Ho ricevuto un sacco di feedback utili.

Una persona in studio mi ha fatto notare che nella nostra nutrita biblioteca ci sono due testi che parlano proprio di quello e che sono “abbastanza” accessibili. Diciamo che “abbastanza” accessibili detto da un designer significa che più o meno devi essere parente di Michelangelo per tirarci fuori qualcosa.

Altre persone mi hanno scritto su Facebook consigliandomi percorsi più o meno complessi per provarci.

Altri mi hanno raggiunto su WhatsApp sempre con consigli molto utili. Sullo stesso tono ho ricevuto un paio di messaggi di posta elettronica.

Diciamo che in alcune occasioni il risvolto positivo della rete mi affascina. Oltre a questo capisco anche che qualcuno legge delle fregnacce che scrivo e, incredibile dictu, a qualcuno interessa anche.

Detto questo mi sono ripromesso che un altro tentativo lo faccio.

Disegnare

C’è una cosa per la quale non sono assolutamente portato. Questa cosa è il disegno a mano libera.

Questa cosa mi rode veramente tantissimo perchè disegnare è proprio una delle cose che mi piacerebbe sapere fare.

Oltretutto va detto che mio padre era un grande disegnatore. Conservo gelosamente dei suoi disegni fatti a china e appesi nel mio studio. Sono dei disegni meravigliosi e non saprei dirvi quanto sarei disposto a dare per essere in grado di poterli fare.

Nel trasferimento di materiale genetico che ha condotto alla mia nascita il patrimonio della abilità nel disegno non mi ha raggiunto. Ho ereditato molto da lui, nel bene e nel male, ma il disegno proprio no.

Io ciclicamente ci provo. Compro il mio sketchbook, una matita nuova ed il risultato è sempre una raccolta impresentabile di schifezze. Pochi giorni, ultimamente ore, e abbandono lo sketchbook nel cimitero delle passioni non soddisfatte sino al tentativo successivo.

Io nutro una ammirazione totale per coloro che sono in grado di disegnare. Io mi fermo agli omini antropoformi o poco più.

Molte persone mi hanno detto che disegnare è disciplina. Dai, non ci credo. C’è indubbiamente una dose di talento che devi avere.

Io questo talento, purtroppo, non ce l’ho.

Sei mesi

A occhio e croce siamo a metà dell’esperimento. Sono sei mesi che giornalmente scrivo qualcosa su queste pagine.

In sei mesi ho saltato solo un giorno e vi confesso che per me è una costanza veramente fuori dal comune dato che il mio commitment tende a scemare esponenzialmente con il progredire del tempo.

L’esperimento funziona.

È spesso una occasione per prendermi una pausa dal quaotidiano e allontanarmi per qualche minuto da tutte le menate che mi circondano.

Ho la sensazione che la mia scrittura ne abbia tratto dei benefici, seppur non troppo evidenti.

La verità è che non c’è una qualità costante nei miei scritti e spesso, molto spesso, sono piuttosto correlati al mio umore o alla quantità di stanchezza accumulata durante il giorno.

Facendoci sopra un pochino di analisi semantica ci sarebbe probabilmente l’opportunità di avere qualche insight interessante legato alla sfera emotiva, sopratutto se l’osservazione venisse correlata al mio calendario, al contachilometri della mia macchina, alla mia casella di posta elettronica e al numero di slides prodotte.

Ora si tratta di vedere se riuscirò a resistere per i prossimi sei mesi come da impegno preso o se mi stuferò prima.

Annunci di lavoro

Frequento sempre LinkedIn con una certa assiduità. Mi piace cercare di capire che cosa accade al di fuori del mondo che conosco e mi piace cercare di comprendere che cosa LinkedIn ritenga essere una posizione adatta a me.

Raramente, molto raramente, ci prende.

In realtà ultimamente riflettevo sulla qualità degli annunci di lavoro che vengono pubblicati.

Ovviamente non mi stupisce ma mi colpisce il fatto che si tratti sempre di posizioni sfavillanti e che offrono significativi sbocchi professionali. Si tratta sempre di opportunità uniche che non puoi lasciarti sfuggire.

Anche il linguaggio utilizzato è peculiare. Se, ad esempio, devi passare la tua giornata al telefono cercando di convincere qualcuno a comprare il tuo prodotto sei un “dialogatore”. Eccezionale.

L’altra cosa che mi lascia perplesso è che chiunque viene sempre inserito in una azienda “dinamica ed in forte crescita”, spesso in un ambiente di lavoro “stimolante e coinvolgente” dove avrai tutte le possibilità di “essere premiato per la tua competenza”.

Un mio vecchio collega, ed amico, diceva spesso che “è falso come i soldi del Monopoli” riferendosi ad aziende o persone.

Sicuramente ci sono posizione ed aziende come quelle descritte ma dubito che la totalità delle posizioni e delle azienda possano risultare veritiere alla prova dei fatti.

L’orologeria

Ho una vera passione per gli orologi, ed in particolare per gli orologi da polso meccanici. Spendo una quantità di tempo enorme guardando video sulla costruzione degli orologi e sulla loro storia. Io la trovo una perfetta fusione tra arte e tecnologia che si conclude con la realizzazione di un artefatto perfetto e tangibile.

Da moltissimi anni mi servo da un’orologeria a Milano che mi regala sempre grandi emozioni.

È un posto piccolissimo. Quando ci sono più di tre clienti si fatica a muoversi all’interno degli spazi del negozio. È un posto fuori dal tempo dove puoi trovare delle vere rarità e dove, cosa oramai rarissima, non ti viene messa alcuna fretta ed anzi se ne hai la possibilità puoi spendere del tempo discorrendo di orologi con i due proprietari.

I due proprietari sono dei personaggi fantastici. Sono due persone anziane con una insana cultura sugli orologi e con una passione che è ancora quella di giovanotto. Sono sempre vestiti in maniera molto elegante e un pochino fuori dal tempo e con un vocabolario sempre molto attento e ricercato.

All’interno del negozio hanno due scrivanie che si dividono. La prima cosa che ti colpisce di quel posto è che sembra un salotto di una casa nobile. Mobili d’epoca che lo arredano, stampe antiche alle pareti. Pochissime vetrine.

L’altra cosa che ti colpisce è che non c’è nessuno oggetto elettronico a vista d’occhio. Il registratore di cassa, un obbligo, è nascosto sotto una delle due scrivanie. Il POS è nascosto nel retro del negozio.

In quel negozio non si parla mai in piedi. Non appena entri ti fanno accomodare su una delle poltrone all’interno e dopo qualche chiacchiera puoi cominciare a parlare del motivo che ti ha portato lì dentro. Spesso la discussione scivola sugli orologi ed in quel momento cominciano ad estrarre dalla cassaforte delle vere meraviglie che non potrò mai permettermi.

Hanno come assistente un altro signore anziano che li aiuta prendendo cose dai cassetti, dalla cassaforte e dagli spazi nascosti del negozio. Anche lui è vestito sempre in maniera molto elegante sebbene un pochino più dimessa rispetto ai proprietari. Quello che mi ha sempre colpito è che si rivolgono sempre a lui dandgoli del lei e chiedendo ogni cosa con estrema cortesia. Cose d’altri tempi.

Ci sono persone che amano il loro lavoro e tu, come cliente, lo percepisci chiaramente.

A me quel posto piace tantissimo e cerco sempre di andarci in momenti nei quali sono sicuro che c’è poco traffico all’interno in maniera da potere spendere con loro qualche momento piacevole.

Ecco, se avessi mai un negozio mi piacerebbe che fosse come quello.

Distrazioni necessarie

Sono ormai molti anni che convivo con la responsabilità di pagare gli stipendi ad un discreto numero di persone.

All’inizio questa cosa mi faceva dormire veramente poco. Sapere che una mia scelta potrebbe avere avuto conseguenze rilevanti sulla loro vita e su quella dei loro cari mi creava un’ansia talvolta difficile da sopportare.

Con gli anni questo peso si è affievolito e la maggior parte delle notti dormo tranquillo.

Ci sono dei momenti in cui sento comunque la necessità di sgomberare il mio cervello da questi pensieri.

Ci sono diverse cose che aiutano a distaccarsi da tutto:

  • Le serie televisive, sopratutto se consumate al ritmo di tre, quattro episodi alla volta.
  • Scrivere codice.
  • Dedicarmi ai giochi con i miei figli.
  • La lettura compulsiva.
  • Suonare uno strumento ed in particolare studiare un nuovo brano.

Queste sono le mie vie di fuga dalla realtà.

Sto creando Luis

Nelle ultime serate sto lavorando ad un piccolo progetto personale.

Il soggetto su cui sto lavorando si chiama Luis, che in dialetto milanese sta per Luigi. Chi di voi lavora su temi semili potrebbe riuscire a capire di cosa si tratta.

Per il momento sto mettendo insieme un concept che prende dati che mi appartengono da fonti diverse, come ad esempio i social network, e li rende disponibili a chiunque ne faccia richiesta.

Tutto questo in un modo un pochino particolare.

Sino ad ora sto cercando di fare parlare cose e sistemi tra di loro e dalla serata di ieri pare che comincino a capire e a relazionarsi a dovere.

Il tutto terminerà su una tecnologia di cui si fa un gran parlare e che volevo sperimentare in prima persona.

Luis sarà un personaggio non troppo serio, un pochino come il sottoscritto.

Insomma, non ho detto nulla ma volevo scriverlo.

Dati personali

Nelle scorse settimane ho riconsegnato la mia autovettura per il termine del contratto di leasing.

Pochi giorni prima ho pensato a quali dati personali fossero presenti all’interno del sistema dell’autovettura e al modo attraverso il quale avrei potutto cancellarli.

Mi ero fatto una lista:

  • I miei contatti telefonici salvati nella rubrica dell’auto.
  • La lista delle ultime chiamate ricevute.
  • La lista delle ultime chiamate effettuate.
  • Gli sms salvati.
  • La lista delle destinazioni salvate all’interno del navigatore.
  • La lista delle ultime destinazioni.
  • La lista dei viaggi preferiti (il cui concetto continua a sfuggirmi)
  • La lista delle stazioni radio memorizzate. Sì, daccordo, cosa di poco conto ma comunque un informazioni.

Ho provato a consultare il manuale della autovettura ma non ho trovato nulla che mi permettesse di ripristinare in una sola azione il software di bordo.

Ho invece scoperto che quando si rimuove un device bluetooth viene anche cancellata la rubrica associata a quel device. Facile.

Gli sms vengono rimossi automaticaente anch’essi quando un telefono viene disassociato.

Sul navigatore devi manualmente cancellare tutti i dati uno per uno. Non ho trovato il modo di cancellare i “viaggi preferiti”.

Anche per le stazioni radio devi fare tutto a mano.

Sicuramente all’interno dell’autovettura c’è tutto un altro insieme di dati che riguardano lo stile con il quale l’auto è stata condotta. Non ho idea di che profondità temporale possa avere questo genere di memoria.

Sempre di più a bordo abbiamo un computer e, in quanto tale, egli è a conoscenza di una enorme quantità di informazioni personali dell’utilizzatore.

Io credo che sarebbe il caso che ci si cominci a pensare.

Terms and Conditions

Quanti di voi leggono attentamente i Termini e Condizioni  di un servizio quando lo sottoscrivete o la End User License Agreement di una applicazione quando la comprate?

Io praticamente mai.

Una decina di anni fa era famoso il caso di un prodotto shareware di cui non ricordo più il nome il cui sviluppatore inserì nell’End User License Agreement una frase che diceva avrebbe donato 500 dollari al primo utente che li avrebbe reclamati.

La frase era posta in fondo all’End User License Agreement e per questa ragione nessun utente mai reclamò quella cifra e fu lo stesso sviluppatore a rivelare il suo intento per dimostrare la completa inutilità di quell’accordo.

La verità è che fior di avvocati vengono pagati per scrivere i Termini e Condizioni e le End User License Agreement.

Con i Social Network che spingono si cominciato a notare Termini e Condizioni che provano a limitare la libertà delle persone di parlare male di un prodotto o servizio.

L’ultimo caso di cui ho letto è i-Geniuses, una società Americana che si occupa di riparazioni di computer Apple. i-Geniuses scrive:

Customers agree not to attack/criticize/disparage/defame i-Geniuses.com or any of its employees, associates or partners publicly (on public forums, blogs, social networks etc)… Similarly you agree not to seek any SEO advice on SEO forums, blogs, community groups or any social media in a way which brings bad name to i-Geniuses.com or any of its employees, associates or partners. In case of breach of this clause, you agree to pay a flat fee of $2500.00 per instance to cover the cost associated with the restoration of i-Geniuses.com’s reputation and any and all business losses as directly related to your actions or actions of those directly or indirectly influenced by your prohibited action.

Ovviamente uno dei clienti che ha ricevuto un pessimo servizio da loro ha scritto recensioni negative su Yelp e su Google ed ha quindi ricevuto una fattura per un totale di 5000 dollari e rotti.

Ovviamente Internet si attiva e si scatena il più classico degli shit storm, in questo caso pienamente a ragione.

La vicenda è piuttosto buffa, anche nella sua esecuzione come si può leggere nel pezzo originale su Techdirt (qui).

La cosa buffa è che questo articolo è ora nella prima pagina dei risultati di ricerca di Google per il termine i-Geniuses.

La realtà delle cose è che se tenti di proteggere una porcheria ai tempi dei Social Network non c’è modo di sfuggire e l’effetto che ne ottieni è che il danno aumenta di qualche ordine di grandezza.

Le notifiche

Qualche tempo addietro scrissi di come decisi di disabilitare tutte le notifiche sui miei telefoni cellulari e sul mio personal computer. Tutto da allora viene consumato solo quando lo desidero.

Solo la mia famiglia ha accesso diretto alla mia attenzione da allora.

Riflettevo recentemente sul significato personale delle notifiche e sono giunto alla conclusione che si tratta di un meccanismo di gratificazione istantanea per chi le riceve.

Mi spiego meglio.

Un notifica di un commento su Facebook, un like su un post, un mi piace su una fotografia sono una affermazione dell’essere, una conferma dell’esistenza e della rilevanza di chi le riceve.

Sono uno strumento per darci l’impressione che c’è qualcuno che sta pensando a noi. Ho scritto “darci l’impressione” a proposito.

Io penso che ci siano diversi aspetti da considerare in relazione a questa dinamica.

La prima considerazione riguarda il fatto che la notifica vive solo ed esclusivamente su un substrato di silicio ed in un mondo totalmente virtuale. Non è il mondo reale, non esiste se non in qualche data center che lo ospita.

La seconda considerazione riguarda il fatto che ogni notifica trascina con sè un effetto secondario che spesso è più rilevante dell’effetto primario. Chi mette un like sembra dirci “hey, ho apprezzato questa cosa” ma in realtà ci comunica anche “… adesso dammi la tua attenzione e confermami che esisto anche io”. Quante volte vi è capitato di mettere un link ad un commento su un vostro intervento_

Infine è importante considerare una notifica come un “interrupt non mascherabile” rispetto a qualsiasi cosa tu stia facendo nella vita reale. E’ impossibile resistere al richiamo di questa sirena che ha l’effetto di farci lasciare il mondo reale per immergerci in un mondo virtuale spesso viziato dalle sue stesse dinamiche.

Le mie notifiche continuano ad essere completamente disabilitate. Il mondo reale mi piace ancora molto di più di quello virtuale, anche se lì sembra che invecchi meno velocemente.

La presentazione

In questo fine settimana mi sono dovuto occupare della finalizzazione di una proposta molto importante. Il progetto a cui è legata ha subito una accelerazione talmente forte che non si poteva evitare.

A questo si aggiunge che sono da solo con i bambini per un impegno di mia moglie e quindi tra tutto mi sono trovato a dovere incastrare tutta la logistica del fine settimana.

Pochi minuti fa ho terminato il primo draft che sostanzialmente sono i contenuti e la sequenza logica della proposta e un minimo, ma proprio un minimo di forma.

C’è ancora molto lavoro da fare prima che sia condivisibile con chi la deve ricevere.

Nel frattempo arriva Lorenzo che mi chiede di aiutarlo con il suo nuovo video su Minecraft per YouTube. Per qualche secondo ho pensato di dirgli che non avevo tempo da dedicargli per questa sua passione ma ho immediatamente cambiato idea.

Ho chiuso Keynote, ed il suo fratello minore PowerPoint,  e ho lanciato iMovie per aiutarlo nel montaggio del suo video. Abbiamo passato un’oretta insieme a decidere come tagliare il video, quale frame scegliere per la copertina e a decidere cosa mettere dovre.

Abbiamo pubblicato il video su YouTube e dopo qualche minuti è tornato trionfante da me dicendomi che aveva già dodici visualizzazioni e cinque like.

Il sorriso che aveva sul volto vale il tempo che spenderò stanotte per finalizzare la presentazione.

Tutto questo per dire che loro hanno la precedenza su tutto e che, nonostante la tentazione, non si deve cedere.

In subordine è importante il fatto che ci sia qualcuno che abbia il desiderio di darti una mano. In questo caso Luca, il luminoso leader, che si è offerto di darmi una mano, in questo caso direi due, sul lato estetico della presentazione.

E poi ti chiedono per quale motivo lavori in Sketchin.

La leggerezza della comunicazione

Che comunicare sia un’arte è fuori di dubbio.

Già coloro che sono esperti in quest’arte si ritrovano a gestire degli sfondoni di tanto in tanto, figuriamoci quelli che si sentono addosso la pressione di dovere comunicare fantastiche iniziative che rompano con il passato.

La giunta capitolina annuncia che grazie ad un accordo di co-marketing con Atac:

D’ora in poi l’abbonamento annuale del trasporto pubblico, per i perseguitati razziali sopravvissuti ai campi di sterminio e residenti a Roma, è gratuito.

L’annuncio, scarno, qui.

Diciamo innanzitutto che in sé e per sé la cosa è lodevole.

Peccato che nel contesto sia una vera e propria manifestazione di ingenuità e voglia di strafare con annunci roboanti.

Il numero di dei perseguitati razziali sopravvissuti ai campi di sterminio e residenti a Roma si stima in meno di dieci unità. Grazie alle leggi esistenti questi dieci già potrebbero viaggiare a costo zero, ammesso che vogliano farlo con i mezzi dell’Atac.

Se si tratta di una operazione di co-marketing fatta come si deve sul sito di Atac dovrebbe esserci qualche genere di comunicazione a supporto dell’iniziativa.

Ora, a parte il sito che mi fa lacrimare le pupille, ci ho girato per una quindicina di minuti senza riuscire a trovare una sola parola su questa iniziativa. Anche una ricerca sul sito non porta a nessuna nota o comunicazione.

Dilettanti allo sbaraglio.

Non entro nemmeno nel merito del mio desiderio di sapere come si articola questa operazione di co-marketing dato che sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

E questo sarebbe il tanto atteso cambiamento?

“Io faccio l’AD”

Questo pomeriggio girellavo per LinkedIn alla ricerca di un paio di informazioni su dei miei contatti di cui non ricordavo più i riferimenti e con i quali ho bisogno di rimettermi in contatto.

Dopo avere fatto questo mi sono fatto il mio consueto giro in home page e mi sono imbattuto in una interessante polemica.

Sostanzialmente un amministratore delegato di una azienda che si trova in una provincia non proprio allettante lamenta il fatto che non riesce a trovare personale per coprire posizione aperte e adduce come motivazione il fatto che, semplifico, le persone non hanno voglia di sbattersi anche se non hanno lavoro.

Ovviamente segue il consueto putiferio con schieramenti a favore o contro la presa di posizione.

Tra i commenti si scorge anche qualcuno che dice che si è candidato ma che, non avendo mai ricevuto risposta, chiede spiegazioni all’amministratore delegato.

Lesa maestà. L’AD risponde che lui di lavoro fa l’amministratore delegato e che esiste una funzione dedicata, le risorse umane, per occuparsi di queste questioni.

Ecco, caro amministratore delegato, hai appena dimostrato per quale motivi non vale la pena lavorare per te.

Hai appena dimostrato diverse cosette che mi preme farti notare qualora ti fossero sfuggite:

  • Hai appena dato del mentecatto alle tue persone che lavorano nelle risorse umane. Secondo il tuo commento loro si occupano di questioni che sono troppo leggere per essere gestire dall’AD.
  • Hai brillantemente dimostrato che per te essere AD è uno status quo e che, di conseguenza, te la tiri.
  • Hai dimostrato che possiedi un titolo ma non il carisma per essere un amministratore delegato degno di questo nome. Uno che il carisma lo possiede avrebbe preso il telefono, verificato la situazione e dato una risposta.

Vero è che ormai tendo ad essere puntacazzista su questi temi e magari sono anche troppo pignolo ma a me questa faccenda dei titoli comincia veramente a rompere le palle.

Noto anche che ho scritto troppe parolacce. Che ci volete fare, la settimana va così.

La solitudine del panino

Chi fa un lavoro come il mio si ritrova spesso fermo in un’area di servizio per addentare un panino e rimettersi in viaggio per l’appuntamento successivo.

Considero le aree di servizio come dei non luoghi di una tristezza assoluta e per questo motivo tendo a rimanerci il meno possibile. Spesso evito anche di pranzare o cenare per riuscire ad evitarli.

Al di là della fauna peculiare che li frequenta, tra cui non possiamo non annoverare anche il sottoscritto ciò che mi rende profondamente triste è la qualità di ciò che viene offerto. Attenzione, qualità espositiva, non di materie prime di cui non saprei dirvi proprio nulla.

Oggi a mezzogiorno mi sono nutrito con il grande classico: Camogli e acqua naturale.

Il Camogli è una istituzione per chiunque frequenti le aree di servizio appartenenti ad una notissima catena. E’ come la torta di mele di Nonna Papera o l’hamburger di Poldo. Ovunque lo trovi sei in quel posto. Vive solo lì, non viene esportato al di fuori della rete autostradale. Poche e rare sono le sue manifestazioni al di fuori dei caselli.

Un tempo era decisamente meglio, più accattivante, più farcito e poteva quasi piacere nella sua semplicità. Voi non lo sapete ma il panino Camogli è nato nel 1981 ed in assoluto è il panino più venduto con almeno 4 milioni di pezzi all’anno. Tanta roba.

Oggi ho contato una misera fettina di prosciutto sovrastata da due fettine di formaggio dello spessore di un foglio di carta velina. Il tutto riposto tra due sproporzionati strati di focaccia.

La solitudine del panino, davvero.

Non che i suoi colleghi di fianco brillasero maggiormente, purtroppo.

Mi sono accontentato della tradizione in attesa di tempi migliori.