Come spesso mi capita mi trovo in stazione in attesa di un treno che mi porterà a Roma. La stazione è il più classico dei nonluoghi. Un luogo in classica contrapposizione con i luoghi antropologici.
In stazione migliaia di persone incrociano le loro storie senza davvero mai entrare in relazione. Quei pochi scambi che si hanno sono parte della funzione del luogo. “Il treno 9935 arriva a questo binario?”. “Dove si trova la biglietteria?”.
Vero è che la definizione di nonluogo si applica solo marginalmente alla stazione Centrale di Milano. Scerbanenco scriveva che “La stazione Centrale di Milano è un pianeta a sé, come una riserva di pellerossa all’interno della città”.
Te ne rendi conto immediatamente non appena metti piede nel piazzale. Sei circondato da un universo di persone così diverse tra di loro da rimanere frastornato ed impaurito. Ci sono le forze dell’ordine davanti alle quasi passi sempre con un certo timore. Ci sono capannelli di persone che parlano una lingua straniera. Bevono, mangiano e chiacchierano tra di loro. Forse per loro la stazione smette di essere un nonluogo e si trasforma in un luogo di aggregazione per sentirsi più vicino a casa.
Ci sono le solite persone che ti chiedono una sigaretta od un euro ed ogni volta ti chiedi che cosa sia andato così storto nella loro vita per ritrovarsi in quelle condizioni. Si tratta di una scelta consapevole o è frutto di sfortuna o malasorte? Non sono mai riuscito a darmi una risposta e non ho mai trovato il coraggio di fermarmi e parlarci. Per capire.
Ci sono quelle persone che si muovono con il passo accelerato. Qualcuno perché deve necessariamente salire su un treno che non può perdere. Altri perché si sentono sempre in dovere di correre, di non perdere tempo. Di fare migliaia di cose per sentirsi vivi. E mentre corri tutto passa e non ti accorgi.
Ci sono le persone al telefono. Sempre divisi nelle due grandi categorie degli stanziali e dei peripatetici. I primi stanno fermi sulla mattonella per tutta la durata della conversazione mentre i secondi percorrono distanze incredibili mentre intrattengono i loro interlocutori.
Ci sono i bambini per i quali il treno è ancora un oggetto magico nella sua maestosità. Da piccolo io stesso lo ritenevo uno dei più grandi capolavori della ingegneria. Il mio sogni era incontrare chi lo aveva progettato per farmi raccontare come funziona. Nella mia ingenuità di bambino ho sempre pensato che fosse opera di una persona sola. Sicuramente un genio ed io lo volevo conoscere.
Ci sono le persone con un mazzo di fiori in mano. Da un lato questo mazzo di fiori e dall’altro il continuo sguardo all’orologio per vedere quanto manca all’arrivo della persona amata. Il telefono cellulare ha distrutto questa attesa. Non è raro sentire “A tra poco” quando l’altra persona ha certamente detto “Stiamo entrando in stazione”. Che peccato. Rovinare una attesa così incerta con la certezza dell’arrivo. Evidentemente si perdono anche quei momenti drammatici in cui la persona non arriva ed il mazzo di fiori ciondolava inerte in fondo al braccio avendo perso la sua funzione.
Ci sono le persone che si muovo in gruppo e che condividono la gioia di una vacanza. Come è naturale che sia sono gruppi più rumorosi degli altri ma, se non altro, sembrano essere più felici in quel momento.
Ci sono i grandi addi. Alla città, ad un lavoro, ad una persona e, per contro, ci sono i grandi ricongiungimenti.
Ci sono troppe storie in una stazione. Ne viene sopraffatto e arriva il momento in cui salire sul treno e partire ti restituisce una certa sicurezza.