Questa mattina mi sono svegliato con il ricordo di te, papà. Credo che sia per via della giornata di festa che oggi è dedicata a noi papà.
Ho un ricordo di quando, ragazzino, ti vedevo nello studio chino sui tuoi libri di ingegneria a prendere appunti con quella calligrafia minuta e scrupolosa che poi è diventata anche la mia. Certo, la mia è un pochino meno scrupolosa. Più veloce e nervosa rispetto alla tua.
Ricordo quel libro che stava sempre in cima. E’ buffo come mi sia rimasto impresso questo ricordo. “Strenghts of materials” era il titolo e, pensa, tanto mi colpì in quegli anni che ricordo anche il nome dell’autore: Stephen Timoshenko. Fu il libro che ti portasti in ospedale anche in quegli ultimi giorni.
Un giorno mi dissi che se nasci ingegnere, morirai ingegnere. Credo tu avessi ragione.
Questa mattina ho ripreso lo scatolone con i tuoi appunti. Non c’erano ancora i computer e facevi tutti i tuoi calcoli a mano. Li ho scorsi lentamente dal primo all’ultimo anche se non sono in grado di comprenderne il contenuto e, sopratutto lo scopo.
Ancora una volta avrei voluto essere come te.
Ricordo di come ti raggiungevo appena scendevi dallo studio chiedendoti di darmi carta e matita perché dovevo progettare qualcosa e ricordo la tua pazienza mentre mi ascoltavi raccontare delle macchine fantastiche che disegnavo. La matita. Tu mi dissi che si usa la matita finché le idee non sono fissate e pronte per essere condivise. Solo quello è il momento della penna.
Abbiamo litigato. Spesse volte in maniera molto dura e mi rincresce non avere l’opportunità di dirti che su alcuni temi avevi ragione. Mi dispiace non poterti dimostrare che su altre faccende avevo ragione io. Questo confronto da adulti mi manca ed è il più grande rimorso che ho.
Volevo essere come te.
Alle elementari raccontavo ai miei compagni di classe che il mio papà faceva un lavoro così importante da permettere a tutti di accendere le luci in casa propria. Anche io volevo fare qualcosa che facesse accendere le luci. Oggi non faccio accendere le luci ma credo di fare un lavoro in cui costruisco qualcosa, sebbene di meno tangibile della corrente elettrica.
Oggi mi piacerebbe portarti con me in studio e farti vedere quello che faccio e quello che ho fatto. Sono certo che tu saresti asciutto come tuo solito ma vivo con la convinzione che saresti fiero di me o, almeno, della maggior parte di me.
Perché sai, papà, ci sono delle parti di me di cui non sono affatto fiero e mi manca l’opportunità di parlartene.
Eri grande, papà. Non te lo ho mai detto, ma eri grande.
Spero che solleverai lo sguardo dal luogo in cui ti trovi ora e che tu sorrida.
Ho fatto del mio meglio come tu mi hai sempre chiesto,