Eri grande, papà

Questa mattina mi sono svegliato con il ricordo di te, papà. Credo che sia per via della giornata di festa che oggi è dedicata a noi papà.

Ho un ricordo di quando, ragazzino, ti vedevo nello studio chino sui tuoi libri di ingegneria a prendere appunti con quella calligrafia minuta e scrupolosa che poi è diventata anche la mia. Certo, la mia è un pochino meno scrupolosa. Più veloce e nervosa rispetto alla tua.

Ricordo quel libro che stava sempre in cima. E’ buffo come mi sia rimasto impresso questo ricordo. “Strenghts of materials” era il titolo e, pensa, tanto mi colpì in quegli anni che ricordo anche il nome dell’autore: Stephen Timoshenko. Fu il libro che ti portasti in ospedale anche in quegli ultimi giorni.

Un giorno mi dissi che se nasci ingegnere, morirai ingegnere. Credo tu avessi ragione.

Questa mattina ho ripreso lo scatolone con i tuoi appunti. Non c’erano ancora i computer e facevi tutti i tuoi calcoli a mano. Li ho scorsi lentamente dal primo all’ultimo anche se non sono in grado di comprenderne il contenuto e, sopratutto lo scopo.

Ancora una volta avrei voluto essere come te.

Ricordo di come ti raggiungevo appena scendevi dallo studio chiedendoti di darmi carta e matita perché dovevo progettare qualcosa e ricordo la tua pazienza mentre mi ascoltavi raccontare delle macchine fantastiche che disegnavo. La matita. Tu mi dissi che si usa la matita finché le idee non sono fissate e pronte per essere condivise. Solo quello è il momento della penna.

Abbiamo litigato. Spesse volte in maniera molto dura e mi rincresce non avere l’opportunità di dirti che su alcuni temi avevi ragione. Mi dispiace non poterti dimostrare che su altre faccende avevo ragione io. Questo confronto da adulti mi manca ed è il più grande rimorso che ho.

Volevo essere come te.

Alle elementari raccontavo ai miei compagni di classe che il mio papà faceva un lavoro così importante da permettere a tutti di accendere le luci in casa propria. Anche io volevo fare qualcosa che facesse accendere le luci. Oggi non faccio accendere le luci ma credo di fare un lavoro in cui costruisco qualcosa, sebbene di meno tangibile della corrente elettrica.

Oggi mi piacerebbe portarti con me in studio e farti vedere quello che faccio e quello che ho fatto. Sono certo che tu saresti asciutto come tuo solito ma vivo con la convinzione che saresti fiero di me o, almeno, della maggior parte di me.

Perché sai, papà, ci sono delle parti di me di cui non sono affatto fiero e mi manca l’opportunità di parlartene.

Eri grande, papà. Non te lo ho mai detto, ma eri grande.

Spero che solleverai lo sguardo dal luogo in cui ti trovi ora e che tu sorrida.

Ho fatto del mio meglio come tu mi hai sempre chiesto,

Isolato?

A seguito della mia decisione di allontanarmi dai Social Media mi è stato fatto notare che in questo modo mi sono isolato dal mondo.

Affermazione interessante, ed in parte assolutamente vera.

É vero. Mi sono isolato. Mi sono isolato da quella parte di relazioni deboli che, o non mi interessa approfondire o che reputo, nella mia personalissima opinione, del tutto inutili, se non dannose per il mio equilibrio.

Sono anche piuttosto stanco di continuare a fare a gara a chi ce l’ha più lungo a suon di like, followers, retweet e affini. Fidatevi, ce l’ho lungo a sufficienza.

Mi prendo grande cura delle relazioni personali a cui tengo e mi accorgo di essere maggiormente in grado di ascoltare le persone e, da un certo punto di vista, anche me stesso. La quasi totale assenza di interruzioni rende la mia giornata più fluida e molto più efficiente che non in passato.

Il rapporto con il mio smartphone è oramai orientato solo ed esclusivamente ad una modalità pull. Le interruzioni sono veramente poche e strettamente necessarie.

No. Non sono isolato. Sono solo maggiormente consapevole di quanto vale il mio tempo e al mia attenzione.

 

Early Adopter

Da sempre sono un grande entusiasta riguardo ogni cosa che abbia a che vedere con la tecnologia, per quanto immatura possa essere.

Ho la casa, quella nuova, piena di oggetti che hanno visto la luce su Kickstarter, Indiegogo e simili. Chi di voi si ricorda di Nabaztag? Ecco, io ne ho ancora un paio in giro per casa.

Da sempre ho ritenuto che il costo si essere un early adopter, come dicono quelli fighi, fosse puramente economico. Mi sbagliavo.

L’illuminazione è arrivata quando ieri sera ho spento la luce della mia camera da letto usando Alexa. Tutta la mia casa è ora controllata da Alex e tutti i devices sono a lei collegati e da lei controllati.

Ecco, ieri sera ho realizzato che tutta la mia casa è mappata su Alexa. Tutte le mie luci, il sistema Sonos in tutte le stanze, la PlayStation, il televisono, la lavatrice, la bilancia e via discorrendo.

Nel momento in cui ho pronunciato la frase “Alexa, spegni la luce della camera da letto, per favore.” ho realizzato che stavo comunicando ad Amazon una serie di informazioni personali di tutto rilievo. In prima sostanza il fatto che ho più camere da letto. Subito dopo che possiedo delle luci che sono automatizzate da Alexa. Lo stesso vale per il fatto che nella camera da letto c’è un device Sonos dato che il comando è stato impartito a quel sistema. Infine stavo comunicando ad Amazono l’ora esatta in cui avrei tentato di cominciare a riposare.

Il costo dell’essere un early adopter si sta spostando dall’essere puramente economico ad un insieme più rilevante che consiste nella cessione di informazioni personali con maggiore o minore profondità a seconda della tecnologia con la quale si giocherella.

Ho fatto un rapido conto dei sistemi che potenzialmente mi stanno ascoltando quando sono in casa e sono arrivato alla lista seguente:

  • I miei telefoni cellulari.
  • Il mio computer.
  • Le mie IP Cameras.
  • Tutti i devices Sonos in tutte le stanze di casa.
  • Il mio iPad.
  • Il mio televisore Sony.
  • La mia Playstation.

Certamente mi dimentico qualcosa nella lista. Vero è che nella configurazione attuale c’è un gran silenzio quando sono in casa ma è vera la considerazione sulla adozione delle nuove tecnologie.

Secondo me è una riflessione che va fatta, sopratutto quando queste tecnologie sono tra loro strettamente interconnesse da un “legante” come Alexa che è certamente in grado di permettere ad Amazon di inferire i miei comportamenti dalle interazioni con i vari oggetti presenti in casa.

Io, comunque, Alexa per il momento me lo tengo. Che si ammazzi di pizzichi chi mi ascolta.

FOMO?

Fear Of Missing Out? Actually not!

È arrivato il momento di riprendere questo esperimento con un nuovo approccio. Come ho sostenuto in passato questo gioco serve più che altro a me e quindi lo utilizzo come meglio credo.

Ho deciso che per il momento questa sarà la mia unica presenza online degna di un certo peso.

Questa decisione ha un respiro molto più ampio. In primo luogo ho intrapreso una dieta digitale molto radicale. Ho cancellato quasi tutte le applicazioni dal mio telefono cellulare. Sono spariti tutti i Social Network e tutte quelle applicazioni che sono una distrazione dal mondo reale. Resistono quelle applicazioni che sono vitali per il mio lavoro, alcune che sono vitali per la mia informazione personale, ad esempio Medium, e tutte quelle applicazioni che mi permettono di avere un contatto uno a uno con coloro che conosco.

Allo stesso tempo ho disabilitato tutte le notifiche esistenti fatte salve quelle critiche come quelle che arrivano dai miei figli e da qualche altro contatto che considero vitale per la mia esistenza quotidiana.

Lo schermo del telefono cellulare non si attiva nemmeno più quando lo sollevo dalla scrivania o lo prendo dalla tasca. Anche questa deve essere una azione determinata e non dettata dal caso.

In altre parole, tutte le informazioni che ho sul telefono cellulare devono essere fruite in modalità pull e non push. Niente interruzioni, niente stronzate. Solo quello che mi serve e quando lo decido io.

Per quanto riguarda i Social Network il discorso è più complesso. Oramai mi sono persuaso del fatto che non stavo interagendo con la persona ma con il contenuto. Il risultato è che è una falsa interazione. Oltre a questo mi sono decisamente stancato delle infinite stronzate che oramai popolano la mia timeline e quindo posso tranquillamente farne a meno. Rimane LinkedIn che svolge più una funzione istituzionale che altro.

Oramai è più di un mese che ho adottato questo regime e devo dire che mi trovo perfettamente a mio agio. Non soffro affato di FOMA e mi sento maggiormente focalizzato su quello che mi interessa.

Conseguenza di questo è che non ci sarà più alcun cross post su Facebook, Twitter e affini. Se mi volete leggere mi trovate qui.

Baci e abbracci.

P.S. Ovviamente per favorire coloro i quali vogliono commentare mi trovo a dovere abilitare i commenti ai post su questo sito. Un male minore che rende possibile il cambiamento di approccio.

Il Valore della Esperienza

Passo gran parte del mio tempo lavorativo cercando di fare comprendere alle persone quanto beneficio possano ottenere nel costruire delle esperienze di valore per i loro utenti. É il modo più semplice per ottenere risultati di valore.

Osservo altri professionisti all’opera e, spesso, mi rendo conto che il loro unico scopo è quello di vendere un prodotto od un servizio. C’è poco altro.

Io non ci sono mai riuscito. Non sono mai riuscito nemmeno a vendermi per quello che sono.

Mi rendo conto che a 51 anni non provo più la necessità di raccontare bugie o di addomesticare la realtà. Le cose sono quelle che sono. Le relazioni professionali, e quelle personali, esistono se sono di valore per entrambi. In caso contrario è meglio lasciare perdere.

Mi rendo conto di un radicale cambiamento personale. Ho perso totalmente l’interesse per le cose inutili e non in grado di farmi provare una esperienza di valore. Mi piace l’interazione fisica con le cose che mi interessano. Voglio toccare, provare sensazioni, ascoltare i rumori, sentire i profumi, ascoltare i suoni.

Questo è il motivo per cui ho ripreso a panificare. Mi piace fermarmi a osservare la pasta madre che è lievitata. Osservarne l’aspetto e sentirne il profumo. Vedere crescere l’impasto. Aspettare che il forno termini il suo lavoro e riempirmi le narici del profumo della farina. Lentamente. Evitando la corsa veloce del lievito di birra ma imparando a conoscere il tuo lievito, la tua farina, la casa in cui panifichi.

Mi piace il rasoio a mano libera perché richiede cura e attenzione. Va affilato di tanto in tanto e puoi ascolare il rumore della lama che scorre su una pietra che ha decine di migliaia di anni. Ogni lama ha un comportamento diverso, sia sulla pietra che sulla tua pelle. Devi ascoltarla e conoscerla.

Mi prendo cura delle mie scarpe e provo cere e panni diversi. Spazzole di foggia e manifattura diversa. Le vedo riprendere il loro splendore originale nonostante i passi che hanno sostenuto. Sento il profumo del cuoio che si mescola con quello della cera.

Colleziono chitarre perché sono in grado di produrre suoni e rispondono in maniera diversa alle sollecitazioni delle tue dita. Cambiano negli anni e cambiano in funzione del luogo in cui si trovano. Il legno invecchia insieme a te e la fisicità dello strumento è incredibile.

Leggo. Moltissimo. Ascolto tanta musica. Il mio modo di viaggiare, e di fuggire, rimanendo seduto sul mio divano. Faccio mie fantasie ed esperienze di altre persone che mi accompagnano per qualche ora.

Coltivo poche e selezionate relazioni personali. Molte, sebbene importanti, riconosco di trascurarle più del dovuto. Anche in questo caso sono fortunato.

Mi rendo conto che ai miei clienti non racconto bugie. In fondo racconto solo quello che sono o, meglio, quello che sono diventato. Nonostante tutto si può evolvere e cambiare in meglio. Spesso è necessario uno scossone devastante e spesso ci si ritrova dove non si voleva essere. Dicono che si chiami vita. Accade, e basta. Il resto sono veramente solo stronzate.

Ecco, io, a 51 anni suonati, sono proprio stanco di stronzate. Ho solo bisogno di cose vere e poche chiacchiere.

E no, il coglione totale non ci arriva. Gli basta il suo piccolo mondo.

Open Day

Open Day della scuola media di Lorenzo.

Per la prima volta Lorenzo,  insieme ai suoi compagni,  ha preso in mano un microfono e ha guidato i visitatori in un breve workshop che li ha condotti alla scrittura di un articolo per il giornale della scuola.

Quest’anno non sono state asettiche presentazioni ma hanno tentato di coinvolgere i partecipanti nei diversi laboratori.

Vederlo presentare il lavoro svolto e “facilitare” il lavoro dei genitori al tavolo mi ha fatto tenerezza. In macchina mi ha detto che si è comportato come faccio io quando mi trovo nella stessa situazione. Credo che averlo fatto partecipare a presentazioni e workshop abbia già dato i suoi frutti.

Lacrimuccia.

 

È tardi

Esco dal parcheggio di Piazza Meda a Milano e mi immergo nel traffico caotico e complesso della fine della giornata lavorativa.

Osservo le persone all’interno degli abitacoli dei loro veicoli. Facce scure, sguardo vacuo, sorrisi tirati, poca felicità. Mi sembra.

I passanti non sono poi molto diversi. Molti di loro con il volto illuminato dal bagliore dello schermo del loro smartphone. Il timido tentativo di fare svoltare la giornata. La speranza di una serata migliore. La possibilità. finalmente, di un sorriso, di un morso di felicità.

Lentamente mi muovo nel traffico e l’entrata dell’autostrada è sempre più vicina. Comincio a spostarmi con maggiore velocità. Il paesaggio si dirada insieme al traffico.

Da lontano cominciano a comparire le montagne. Le cime sono già innevate. Spingi leggermente sull’acceleratore e loro si fanno più vicine. Il trillo del Telepass risuona nel silenzio e realizzi che sei vicino a casa. Ancora pochi chilometri e comincerai a vedere il lago.

Sì, eccolo. È alla mia destra e la sua superficie riflette le luci della sera. C’è la luna all’orizzonte. Questa sera è piena.

Arrivo a casa e, mentre il cancello si apre, volgo lo sguardo dietro di me e osservo il lago. Lascio l’auto nel parcheggio e salgo in ascensore. Un ascensore moderno, ma lento. È come se volesse darti il tempo di staccare da quello che c’era prima. Le porte si aprono e mi incammino verso la porta di casa.

Incontro i miei vicini e mi fermo a scambiare qualche parole. Parole convinte, non di cortesia. Un “come stai?” che suona vero, interessato, consapevole. La dimensione di questo piccolo paese mi affascina. Mi riporta a quando ero piccolo e ci si conosceva tutti. Ecco, qui è come allora. Sono diventato amico di diverse persone in questi pochi mesi di permanenza e la cosa mi rende felice. Una dimensione umana che avevo dimenticato.

Entro in casa. I miei sistemi si sono già accorti che sono arrivato. Le luci si sono accese e una delle mie playlist preferite è partita e già riempe il silenzio della casa. Sono le mie cose quelle che ho intorno. Quelle che ho scelto io e che mi piacciono.

Lascio lo zaino e la giacca recuperando sigarette e accendino.

Scendo le scale e apro la porta finestra che mi porta in giardino. Spengo le luci e mi accendo una sigaretta. Mi gusto il primo tiro. Profondo e gustoso.

Appoggio una spalla allo stipite e chiudo gli occhi.

Si sente il rumore delle onde che sbattono sulla chiglia di una barca. Il resto è silenzio.

Pace. Finalmente.

Il Primo Ricordo

Spiaggiato sul divano con un film terribile che scorre lentamente fotogramma dopo fotogramma.

Una domanda in un dialogo si fa largo nel torpore: “Quale è il tuo primo ricordo?”

La domanda si fa largo nel mio cervello. Provo a scorrere i miei ricordi cercando di arrivare al primo.

Si forma una immagine. Cerco di tornare ancora più indietro ma non trovo altro.

Ci sono mia madre e mio padre in cucina. I miei fratelli ed io siamo seduti sul pavimento. Siamo eccitati per quel nuovo oggetto che mio padre ha appena portato a casa. Lo guardiamo ridendo. È un televisore in bianco e nero; il primo della nostra nuova casa.

Il ricordo che mi intenerisce non è il televisore. Sono mamma e papà che si abbracciano e si baciano.

Sembravano, meglio, erano felici.

Questo prima che la sfera su quel piano leggermente inclinato cominciasse a rotolare senza che la si potesse fermare.

Questo è il mio primo ricordo.

Sembra che si sia destinati a commettere gli stessi errori.

Il Coglione Totale

Negli anni ho incontrato diverse persone che sostenevano che tutti nascondono un lato positivo che, in fondo, le rende degne di essere frequentate.

Ora, io ho da poco compiuto 51 anni e per indole, carattere, formazione e vissuto, la mia attitudine verso il cinismo è andata via via aumentando e quindi non fatico a sostenere che quanto espresso nel paragrafo precedente è assolutamente falso.

Nella realtà quotidiana esiste il “coglione totale”.

La prima caratteristica del coglione totale risiede nel fatto che è un animale dalle doti mimetiche straordinarie. Poche, ed illuminate, persone si rendono conto di trovarsi di fronte ad un coglione totale. Questo perché il coglione totale è un mutaforma che si adatta istantaneamente all’interlocutore. Cogliere in fatto un coglione totale in una conversazione faccia a faccia è estremamente complesso mentre, al contrario, esso si trova in maggiore difficoltà quando è in compagnia di più persone.

Il coglione totale è un essere assolutamente empatico. Si mimetizza assumendo i contorni del suo interlocutore.

Il coglione totale si nutrei dei sentimenti altrui non essendo in grado di manifestarne di propri, esclusione fatta per il proprio narcisismo. Va detto che si tratta sempre e comunque di narcisismo riflesso non essendo lui in grado di esprimerne uno proprio.

Il coglione totale è spesso poco avvezzo all’uso proprio della lingua Italiana. Non è raro sentirlo esordire con degli svarioni degni di tripla sottolineatura con matita blu. Non sa scrivere ma è assolutamente convinto di essere uno dalla penna ispirata. Tenta di essere poetico nelle sue frasi ma il risultato è sempre patetico. Cifra principe del coglione totale è il fatto che non sia in grado di esprimere concetti di senso compiuto e per questo motivo abusa grandemente di metafore per sostenere le sue tesi. Metafore, una dietro l’altra in un incomprensibile turbinio di nullità. Il suo obiettivo è quello di ammaliare il lettore, il risultato è quello di indurre conati di vomito. Vero è che se siete stati ammaliati dal coglione totale prima di avere letto qualcosa vergato da lui non vi renderete conto della pochezza ed, anzi, lo considerete un novello Philip Roth.

Il coglione totale non prende mai posizione e aborrisce lo scontro. Una volta raggiunto lo scopo di essersi nutrito dei sentimenti altrui non farà altro che tentare di preservare lo status quo appena conquistato. “Perché cambiare?” vi dirà quando comincerete a rendervi conto di essere davanti ad un coglione totale.

Il coglione totale ha bisogno di continue conferme e di un grande pubblico. Per questo farà di tutto per non perderlo. Il coglione totale non tiene il piede in due scarpe ma, piusttosto, in una intera scarpiera.

Il coglione totale ti illude di essere un tuo amico, un confidente, un partner ma, in realtà, è pronto a defilarsi quando realizza di non avere più nutrimento sentimentale a disposizione da parte vostra.

Il coglione totale ha bisogno di soddisfare i suoi bisogni ed usa voi per farlo.

Diffidate dai coglioni totali. Si nascondono bene, ma non è impossibile stanarli.

Nota a margine: la violenza fisica è ammessa con i coglioni totali.

Di visionari e ciarlatani

É un dato di fatto. Il design va di gran moda e tutti si danno da fare per salire sul treno in corsa.

Diciamo subito che il design, quello vero, è sempre andato di moda. Quello che facciamo noi aiuta i nostri clienti a risolvere concreti problemi di business e, allo stesso, tempo funge da ufficiale di collegamento tra l’azienda e l’utente finale.

Detto questo è necessario ammettere che non tutti sanno fare questo lavoro.

Cerchiamo di esaminare i trend di questo mercato:

  • Tutti vogliono acquisire aziende di design. Trend non recente che si è manifestato almeno un paio di anni fa ma che non esaurisce. Proprio ieri Accenture acquisisce deisgnaffairs. Tutto perfetto, ma solo se riesci a mantenere la tua autonomia e visione. In caso contrario hai venduto l’anima al diavolo. Per carità, ci può stare, ma almeno si sia così onesti da ammetterlo.
  • Tutti vogliono designer all’interno delle loro aziende. Anche questo un trend non nuovo ma le cui dimensioni aumentano giorno dopo giorno. Anche questa non una cattiva idea ammesso che non affoghi queste persone all’interno della tua organizzazione come emanazione da scantinato del tuo marketing, spesso digitale. O sono in posizione rilevante nell’organigramma e gli viene conferito potere o non serve a nulla. La cosa migliore che ti può capitare è che tu abbia enormi problemi di retention. I designer vogliono fare i designer.
  • Tutti vogliono creare Design Studio all’interno della propria azienda. Questo è un trend più recente ma altrettanto solido. Perfettamente ragionevole, e, forse, la cosa più giusta da fare. Peccato che hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a farlo nel modo giusto, che infonda una cultura di design ed un metodo. Se non lo fai ti porti in casa delle persone di talento senza un piano ed una strategia. Raramente una buona idea.
  • Tutte le aziende che nel passato si sono occupate di “design” si buttano a capofitto sul treno in corsa. Anche quelli che fino al giorno prima hanno fatto banner a nastro spremendo come limoni stagisti e personale sottopagato e sfruttato.

Ecco, questi ultimi sono il male assoluto. Il cliente finale che non sa comprare design cade nelle mani di questi ciarlatani e non ottiene quello che ha in mente di ottenere.

É necessario creare cultura di design diffusa che permetta alle aziende di comprendere chi ha fatto del design la propria funzione chiave, chi ha anni ed anni di progetti di successo alle spalle, chi coltiva e cresce talenti. Solo in questo modo potremo salvare questo universo magico.

La linea che divide un visionario da un ciarlatana è spesso molto sottile ma, in fondo, perfettamente visibile per coloro che hanno gli occhi per vederla.

Non fatevi ingannare. Anche voi designer, neh.

Troppo digitale

Mi rendo conto del fatto che la quasi totalità delle persone che conosco usa un computer per svolgere il proprio lavoro. Io stesso spendo la maggior parte del mio tempo davanti allo schermo del mio laptop.

Altrettanto vero che la totalità delle persone che conosco ha uno smartphone in tasca.

Sono giunto alla conclusione che il nostro modo di fare le cose ci allontana dalla manualità. Ormai faccio fatica a stringere un bullone in maniera efficace.

Questo è il motivo per cui ho deciso di riprendere a scrivere appunti con carta e matita dopo un breve periodo in cui avevo deciso di provare un approccio “full digital”.

Allo stesso tempo sto facendo un corso online per migliorare la mia capacità di disegnare. In questo momento i miei disegni assomigliano a quelli prodotti dai bambini dell’asilo ma sono confidente di poter migliore.

Mi sono messo a restaurare antichi rasoi solo con l’ausilio di carte abrasive ed olio di gomito.

Sto facendo un corso di teatro che si rivela essere molto più complesso di quanto avessi mai potuto immaginare.

Ho bisogno di questa dimensione fisica in contrapposizione alla non materialità dell’universo digitale.

L’equilibrio tra le due cose mi fa stare bene oltre che fornirmi nuovi canali di espressione.

Suoni

Farmi la barba è oramai diventato un rito mattutino irrinunciabile. In realtà lo è sempre stato ma con la nuova passione per il rasoio a mano libera ha assunto una nuova, più complessa, e più strutturata, forma.

È il momento in cui inizia la giornata. Molto spesso all’alba quando ancora tutti sono sotto le coperte.

Il primo suono. Il rumore dell’acqua calda che scorre nel lavandino sino a raggiungere la temperatura giusta. Dolce, sottile, pieno. Tutto sta per cominciare.

Il secondo suono. Il montaggio del sapone da barba nella ciotola da barbiere. Un suono pieno e ovattato. Il sapone che comincia a montare ed il pennello che si gonfia di schiuma pronto ad accarezzare la pelle per prepararla alla rasatura.

Il terzo suono. Il rumore del pennello da barba sul viso. Il suono delle setole che si scontrano con i peli della barba nel tentativo di ammorbidirli e piegarli alla fine che presto faranno.

Il quarto suono. Il rumore, inconfondibile, della lama del rasosio sulla pella. E’ un suono metallico ma dolce. Accompagna lo scorrere della lama sul viso come se fosse un orchestra che accompagna una rappresentazione teatrale.

È quello il momento nel quale non ti puoi distrarre. Il rasoio è dolce ma richiede rispetto ed attenzione come una bella donna. Se ti distrai non esiterà ad affondare nella tua pelle. Lo devi assecondare. Lasciare che sia il suo peso a fare tutto il lavoro e non la pressione della tua mano.

Richiede concentrazione. Una concentrazione che ha l’effetto positivo di allontanarti da qualsiasi cosa facendoti trascorrere qualche minuto in una bolla spazio-temporale. È il primo momento della gioranta in cui ti devi concentrare su qualcosa di importante e definisce il resto della giornata. Il mio cervello è pronto al resto.

Secondo me dovreste provare.

Agressività

Ultimamente coltivo una passione smisurata per i rasoi a mano libera. Ne ho già parlato in passato per cui non credo sia necessario dilungarsi sull’argomento.

Per questo motivo ho cominciato a frequentare qualche forum sull’argomento. Diciamo che erano decenni che non mi avvicinavo a luoghi di questo tipo. Non voglio direi che il mio ultimo contatto fu Usenet ma ci siamo molto vicini. (Chi si ricorda di Usenet?)

Confesso che sono molto perplesso. C’è un livello pazzesco di aggressività.

E’ vero che oramai esiste una specializzazione smodata in qualsiasi hobby od interesse tu possa avere. Sia questo il rasoio a mano libera, la corsa, i francobolli o le campane tibetane.

Dall’altro lato fatico a comprendere come tutti siano esperti dell’argomento che si sta trattando. La barriera di ingresso è elevatissima ed il rischio di venire trattato come un deficiente è altissimo. Non ci si confronta e non si discute. La verità discende dall’alto, tipicamente da chi ha una appartenenza di lungo corso.

Non trovo arricchimento in quello che una volta era un vero e proprio luogo di confronto. Non parliamo poi di quella che era la Netiquette che era una formalizzazione della buona educazione che è andata completamente perduta.

Nel caso specifico si parla di argomenti leggerissimi, come i rasoi ad esempio, come se stessimo parlano del tentativo di salvare l’umanità dalla catastrofe.

Nel caso specifico mi piace pensare che alla fine stiamo parlando di un pezzo di metallo che scorre sulla pelle. Oppure, nel caso della controversa pratica della affilatura, di un pezzo di metallo che si consuma sfregando su una pietra.

Lo stesso si potrebbe dire della corsa. Alla fine stai parlando di un esercizio fisico che si compie dalla notte dei tempi e che serve a spostarsi da un punto A ad un punto B in un tempo inferiore a quello che si spenderebbe camminando per il puro piacere di farlo.

Credo che la sintesi sia questa. I forum sono diventati l’ennesimo luogo dove avere ragione piuttosto che ascoltare le ragioni degli altri e confrontarsi per crescere insieme.

Tristezza.

Le cose

Il buon Cesare mi fa leggere un articolo che contrappone il materialismo al consumismo.

Il secondo è quello stile di vita che trae gioia dalla semplice azione di acquistare delle cose.

Il secondo deriva la sua gioia dal possesso, e dal conseguente uso, di un particolare oggetto.

A coloro cui interessa questo è il link all’articolo originale.

Io sono decisamente un materialista.

Le mie chitarre ne sono un perfetto esempio o la mia ultima passione per i rasoi a mano libera.

Sono oggetti che hanno una funzione, qualcuno li ha prodotti con passione e rappresentano le cose migliori nella loro categoria.

Rispetto a quanto scritto nell’articolo originale io aggiungo due fattori.

Il primo è il tema della manifattura. A me piacciono in maniera assoluta quegli oggetti che sono una rappresentazione della abilità di qualcuno. Ad esempio il fatto che il rasoio a mano libera sia stato forgiato a mano in un tempo più o meno lungo. Non quindi il risultato del lavoro di una macchina eseguito in pochi secondi ma, piuttosto, la perizia di un artigiano che ha speso tempo e fatica per produrre quell’oggetto.

Il secondo aspetti rilevante è la funzione dell’oggetto. Ad esempio una chitarra può produrre note e quindi musica. Il lavoro fatto dall’artigiano si estende con l’uso dell’oggetto e si completa.

Libri

Ci sono dei libri che ti capitano tra le mani in maniera del tutto inaspettata ma che sono perfetti nella loro natura per il momento che stai vivendo.

La presenza di un personaggio che ti sembra di conoscere. Luoghi che hai visitato e di cui ricordi esattamente le stesse sfumature di cui stai leggendo. Nomi di persone. Situazioni che hai vissuto o che hai immaginato di vivere. Relazioni, amori, litigi. sconfitte e vittorie.

Tutto sembra allinearsi in maniera precisa pagina dopo pagina.

É in quel moento che vivi sentimenti contrastanti. Il libro in sé è un oggetto finito. Contiene un numero finito di pagine. Ha un inizio ed una fine.

Per questa ragione quando ti capita uno di questi libri magici non riesci a staccarti dalle sue pagine. Allo stesso tempo sai che ogni pagina letta ti avvicina alla fine del piacere di quella lettura.

Vorresti che non finisse mai. Ti piacerebbe continuare a librarti in quella atmosfera all’infinito. Sei sbucato in un altro mondo attraverso un qualche incantesimo e non vorresti tornare più indietro.

Purtroppo è una illusione ed il libro termina, come tutte le cose. In quel momento chiudi gli occhi e per qualche istante riesci ancora a sentirti parte di quel mondo. Poi, lentamente, tutto comincia a svanire sino a scomparire del tutto.

Ti auguri che l’autore stia già lavorando al libro successivo. Speri che si tratti di una serie e non di un singolo evento. Preghi affinchè nella penna dello scrittore ci siano ancora parole capaci di riportarti a quelle sensazioni.