Uber e il tempismo

Quando si parla di comunicazione, sebbene io non sia un esperto assoluto del settore, credo che il tempismo giochi un ruolo fondamentale.

Se sei una compagnia aerea che offre voli low cost, pubblicare un annuncio pubblicitario sui quotidiani il giorno successivo ad un disastro aereo non è una idea brillante. Questo al di là di qualsiasi media planning tu abbia costruito mesi prima.

Qualsiasi piano è fatto per essere cambiato.

Nei giorni scorsi è apparsa sui media l’agitazione organizzata dalle persone che si occupano delle consegne per la startup Foodora. Giusto per darvi una idea ecco un link ad uno dei tanti articoli: Testa bassa e pedalare? No, i lavoratori di Foodora meritano rispetto.

Personalmente ritengo che la protesta abbia il suo fondamento ma non è questo il tema centrale.

Oggi Uber pubblica su Facebook un messaggio pubblicitario teso alla ricerca di persone che abbiano voglia di consegnare merce per loro utilizzando la loro bicicletta od il loro motorino. Tutto questo dietro compenso, ovviamente.

Il messaggio pubblicitario punta a questa pagina: Fai consegne con Uber. Guadagna seguendo i tuoi tempi.

Ovviamente non hanno, per ora, raccolto grandi entusiasmi nei commenti.

Diciamo che il timing non era proprio perfetto.

Best luck next time.

 

 

Razzista!

Nel novero degli insulti che mi è capitato di ricevere, alcuni meritati, altri meno, quello di razzista ancora mancava all’appello.

Grazie a tre gradi e mezzo di separazione gentilmente offerti da Facebook ora posso riempire anche questa casella nel mio cursus honorum.

Prima che vi racconti del fatto vale la pena ricordare che da qualche tempo ho disabilitato qualsiasi tipo di notifica sul mio pc e sui miei telefoni. Sono veramente poche le persone che sono in grado di fare emettere suoni molesti ai miei apparecchi elettronici.

Se mi permettete una piccola divagazione ve lo consiglio. Fatelo e vivrete una vita, sia fisica che digitale, più serena, tranquilla e rilassata.

Tra le notifiche che ho disabilitato c’è anche Facebook Messenger. Per questa ragione è già difficile per i miei collegamenti farmi leggere un loro messaggio istantaneo, figuriamo per coloro che non appartengono alla mia cerchia di amicizie.

Facebook Messenger relega i messagi di coloro che non sono tuoi collegamenti in un’area nascostissima che sul telefono si chiama “Richieste di messaggio”. Io la ho trovata per caso giusto perchè stavo giocherellando con le impostazioni della applicazione.

Ecco tra questi messaggi ci sono spesso delle perle.

Una di queste era la seguente

ciao di Algeri,
voilà, tu e io mando diversi messaggi e mi avete dato nessun pronti contro termine, il è ciò che ogni rassistes italiani sono a questo punto

Va precisato, a scanso di equivoci, che io generalmente non do pronti contro termine a nessuno, in particolare sconosciuti.

Ecco, senza saperlo sono diventato razzista semplicemente disattivando le notifiche di una applicazione. Mark, perchè non me lo hai detto?

Ma, citando Guzzanti, “Algerì, ma io e te che c…o se dovemo dì?”

Il cinema a luci rosse

In fondo a via Giambellino a Milano, più o meno all’altezza del numero 155, c’è un cinema a luci rosse.

Il nome è piuttosto evocativo. Si chiama Pussycat.

Sono tantissimi anni che lo vedo passandoci davanti. Rispetto a dove abito via Giambellino è una delle strade di ingresso in Milano che mi tornano più comode.

Osservandolo dall’esterno è decisamente malmesso. Le vetrine, per ovvie ragioni oscurate, sono sporche e rotte in alcuni punti. Rappezzate da nastro adesivo dove possibile. L’insegna è fatiscente e molto spesso qualche lettera al neon non si illumina. Di questo ti rendi conto solo quando ci passi di sera.

Dell’interno non si scorge nulla. Nessun avventore staziona nei paraggi e non mi è mai capitato di vedere qualcuno entrare od uscire. Nemmeno una maschera non in grado di resistere alla tentazione di una sigaretta.

Certo la vita di un cinema a luci rosse nel 2016 non deve essere facile. L’offerta su internet di merce simile deve essere travolgente rispetto al passato.

Eppure, incessantemente e costantemente, il cinema Pussycat rimane aperto. Nonostante tutto.

Io cerco di immaginarmi il proprietario. Me lo vedo come un tipo tragressivo che intorno agli anni 80 decide di aprire questa impresa complicata per l’epoca. Lo osservo mentre cavalca il momento d’oro dei suoi affari, ammesso che mai ci sia stato. Me lo aspetto invecchiare dietro al banco dal quale stacca i biglietti per gli spettacoli e lo immagino ora, invecchiato, a resistere nonostante tutto.

Quasi una figura romantica, sicuramente fuori tempo ma che, nonostante tutto, continua a riuscire a sbarcare il lunario o, semplicemente, a resistere alla constatazione di essere fuori dal tempo.

Un giorno o l’altro vorrei provare a varcare quella soglia oramai invecchiata e conoscerlo.

L’innovazione

Chi mi conosce personalmente sa benissimo che la parola innovazione mi fa venire l’orticaria al solo sentirla.

Questo è particolarmente vero se essa è contestualizzata.

Se è vero che è necessario ripensare a modelli organizzativi, modelli di business, reazione con il cliente è altrettanto vero che tutte queste iniziative si devono calare in una visione organica della propria evoluzione aziendale e, perché no, personale.

Io ritengo che l’innovazione vada misurata in termini relativi e non assoluti.

Vi faccio un esempio”agricolo” come diceva la mia professoressa di analisi all’università.

Se la tua azienda non si è mai occupata di analizzare il customer journey dei tuoi clienti cercando di capire dove questi si incastrano nella navigazione della tua complessità è inutile che tu faccia partite un progetto per la realizzazione di un BOT per l’esistenza on-line.

Nella migliore delle ipotesi butti i tuoi quattrini dalla finestra. Nella peggiore continui a torturare i tuoi clienti con un’altra cosa di cui non hanno, ancora, bisogno.

Non esiste quindi una innovazione assoluta ma solo un delta di innovazione che è relativo rispetto al tuo status quo.

Per questo il primo passo è cercare di comprendere lo status quo e solo dopo lanciare un programma di innovazione.

Se poi si riuscisse a non chiamarlo programma di innovazione sarebbe meglio anche se, in fondo, è solo una etichetta.

Come sappiamo con le etichette non si pagano gli stipendi.

La mensa scolastica

Io ho due bambini che frequentano la scuola elementare. In realtà ora si chiama scuola primaria, giusto per confondermi le idee.

L’orario scolastico si estende dalle 8.30 alle 16.30 e per questo motivo i bambini mangiano a scuola. Mangiare a scuola implica il fatto che tu debba pagare per il loro pranzo. La gestione del pranzo viene appaltata ad una società esterna, nel nostro caso Gemeaz.

Per controllare le presenze dei bambini e la relativa erogazione dei pasti si viene indirizzati su un portale dedicato. Sempre attraverso il portale è possibile utilizzare la carta di credito per pagare il servizio di refezione.

Il portale in oggetto è questo: http://server4.acmeitalia.it/utenza/buccinascoweb/login.asp?vcmn=11

A parte il fatto che non vedevo qualcosa di questo genere più o meno dal 2000 il vero problema si scopre solo accedendo ai servizi.

L’usabilità del portale è pari alla manovrabilità di un dirigibile sgonfio. Lasciamo stare. Tutto sommato non tutti fanno il nostro lavoro. Non si può pretendere che siano geni di usabilità, di interaction design e visual design. Lo posso sopportare.

Quello che non posso sopportare è che tu mi crei dei problemi quando mi metti le mano nel portfogli, ovvero quando ti devo pagare. Deve essere una cosa efficace e veloce altrimenti mi girano le scatole.

Qualche genio del male, probabilmente single a causa della sua bruttezza interiore ed esteriore, non ha realizzato che un genitore potesse avere due figli e che potesse nell’arco di pochi minuti fare due pagamenti con carta di credito.

Il risultato di questo è che puoi fare un pagamento con carta di credito per un figlio e devi aspettare quattro ore per potere fare un’altro pagamento con carta di credito per un altro figlio.

Geniale, semplicemente geniale.

Gemeaz, se lo desideri ti inoltro i miei contatti così ti spiego come si potrebbe fare funzionare il portale, ed i pagamenti, senza generare negli utenti il desiderio di spararti con un obice da 150 mm.

Umanità a Lampedusa

Questa mattina stavo ascoltando Radio24 nel mio tragitto quotidiano verso la Svizzera.

Pietro Bartolo era ospite della trasmissione in onda. Per chi non lo sapesse Pietro Bartolo è un medico che presta i suoi servizi a Lampedusa e dal 1992 è una delle persone che presta i primi soccorsi ai migranti che sbarcano sull’isola.

Il racconto di ciò che lui vede ogni giorno è struggente. Il suo linguaggio è semplice e diretto.

Durante il suo intervento mi hanno colpito diverse cose.

Nella sua narrazione non esiste alcun tipo di valutazione politca del fenomeno degli sbarchi. Egli si “limita” a svolgere il suo dovere di medico e a salvare vite umane.

Essere messi di fronte ad un racconto nudo e crudo di ciò che egli vede con i suoi occhi ogni giorno che Dio comanda è un pugno nello stomaco. La riflessione laterale è che è troppo semplice esprimere giudizi di merito su una situazione che non si vive personalmente. Scrivere che si dovrebbe respingerli e rimandarli tutti a casa è semplice se non hai mai visto di persona che cosa succede davvero.

Ho riflettuto sul fatto che prima di esprimere giudizi su una qualsiasi situazione si dovrebbe conoscerla, possibilmente in prima persona. Se non fai così sono solo chiacchiere.

La cosa inquietante è che, subito dopo il suo intervento, la trasmissione ha ospitato un ascoltatore che ha espresso una considerazione che mi ha lasciato molto perplesso.

Ha iniziato la conversazione dicendo che in passato aveva provato molte volte ad intervenire in trasmissione senza mai riuscirci. Pare che oggi abbia detto al centralino della radio che voleva complimentarsi con il dottore e con le forze dell’ordine per il lavoro che svolgono quotidianamente nel salvataggio dei migranti a Lampedusa. Sosteneva che questo suo messaggio positivo gli ha parto le porte della diretta.

Diceva anche che i media stanno cercando volontariamente di creare empatia con i migranti per interessi economici. In particolare la radio, di proprietà di Confindustria avrebbe degli interessi sui migranti dato che eroga dei corsi formazioni ai migranti.

Il conduttore lo ha molto gentilmente invitato a fare mercimonio del proprio sedere e, confesso, avrei fatto lo stesso.

Detesto questo atteggiamento tipicamente Italiano secondo il quale qualsiasi azione viene compiuta per un interesse personale. Non riusciamo davvero a concepire il fatto che le persone possano donare il prorio tempo e la propria personalità semplicemente per sentirsi utili, per servire una causa più grande o anche solo per stare bene con sè stessi e potersi guardare allo specchio la mattina?

Io non salvo vite ma dono il mio tempo per fare lezione di codice nelle scuole e durante gli eventi del CoderDojo. Lo faccio perchè mi diverte e mi fa sentire bene con me stesso. Nonostante questo, anche in una cosa piccola e banale come questa, qualcuno insinua che io ne tragga una qualche forma di beneficio.

In effetti hanno ragione. Ne traggo un enorme beneficio. La notte dopo un evento CoderDojo dormo come un angioletto. Gratis.

 

Trasparenza

Che Sketchin si trovi in un momento di grande trasformazione è una cosa che oramai è sotto gli occhi di tutti. Di fatto Sketchin è in continua e costante trasformazione da tutti i punti di vista.

Il nostro metodo di lavoro evolve continuamente. Lo stesso avviene per i metodi e gli strumenti che utilizziamo giornalmente.

La trasformazione di Sketchin è causata da diversi driver:

  • Vogliamo sempre essere in grado di consegnare ai nostri clienti il migliore prodotto possibile e con la più alta qualità possibile. Questo è il motivo che ci spinge a modificare e adattare continuamente il nostro metodo di lavoro.
  • Le sfide progettuali che ci troviamo ad affrontare oggi sono di diversi ordini di grandezza più grandi rispetto al passato. Questo impone un cambiamente ed un adattamento del modo in cui Sketchin funziona.
  • Abbiamo sempre più bisogno di talenti assoluti nella loro disciplina. Questo impone un disegno particolare degli spazi di lavoro e del modo in cui la persona vive Sketchin ogni giorno.

Un paio di giorni fa abbiamo pubblicato una nuova policy per la gestione di ferie, permessi e note spese.

Il motivo per cui lo abbiamo fatto è che desideriamo rendere pubblico e partecipato il nostro percorso di trasformazione.

Rendere pubblica questa attività impone un’altra cosa: la trasparenza

Non è possibile cambiare radicalmente i proprio metodi e processi se non si rendono evidenti le dinamiche che conducono alle decisioni che insistono sui metodi e sui processi.

Per questo motivo abbiamo deciso contestualmente al rilascio della nuova policy di rendere aperti e disponibili a tutti i componenti di Sketchin tutti i documenti che governano l’azienda in tutti i suoi aspetti. Tutti i documenti su Google Drive sono accessibili, tutti i canali su Slack sono pubblici e chiunque può leggere e commentare.

Allo stesso modo abbiamo pubblicizzato e reso aperti tutti gli incontri che avvengono all’interno di Sketchin, anche i più sensibile come quello che noi chiamiamo Business Review per arrivare sino ai Board Meeting. Chiunque, se lo desidera, può partecipare ed intervenire.

Quello che io vedo in questa attività è il fatto che stiamo creando e plasmando un nuovo ecosistema, molto più salutare di quanto possa essere uno stagno. (Questa pochi la possono capire)

Metropolitana

Il mezzo più veloce che io posso usare per raggiungere il centro di Milano dal posto in cui abito è la metropolitana. Dopo diversi anni ho ricominciato a frequentarla con una certa assiduità.

Come sempre mi dedico alla osservazione delle persone quando non posso fare altro di produttivo.

Diciamo che la prima cosa che è evidente è il fatto che gli smartphone la fanno da padrone. Già, è vero. Non questo granchè come osservazione.

C’è gente che ascolta musica. Chi con gli auricolari, chi con cuffie più o meno appariscenti ed ingombranti. Ci sono persone che leggono quotidiani online, chi si guarda un film e chi scrive messaggi.

Ecco questi ultimi sono la categoria più affascinante.

In questi ultimi mesi si parla sempre più spesso di Internet of Things come di un trend destinato a diventare solido nel prossimo futuro. Diciamo che è qualcosa di cui si parla da decenni anche se lo abbiamo chiamato diversamente in passato.

In tempi non sospetti parlavo di Internet of Humans e, ancora di più, di Internet of Emotions. La capacità che hanno questi oggetti di veicolare emozioni in tempo reale. Emozioni che si consumano in secondi e che si generano con pochi tocchi dei polpastrelli su uno schermo sensibile al tatto.

Io trovo che questa cosa sia incredibile.

Osservavo le persone scambiarsi messaggi e rilevavo le osservazioni sui loro volti. Un sorriso aperto immediatamente dopo la notifica di un messaggio. Le labbra che si stringono in una smorfia forse dopo un messaggio non molto apprezzato. La testa che annuisce o si muove lentamente da destra a sinistra in un gesto di diniego.

L’emozione che nasce e si esaurisce nello spazio di qualche secondo per lasciare spazio alla creazione di una risposta destinata a generare altre emozioni.

Ecco, questo continuo scambio di emozioni in tempo reale, seppure nella sua brevità ed incosistenza, trovo che sia estremamente affascinante.

Al tempo stesso è uno dei maggiori pericoli. Tutto diventa transitorio e transiente. Molto di più di quando non eri a casa ed immaginavi che il tuo telefono fisso squillasse portandoti una emozione.

Cambiamenti

Qualche tempo fa avevo scritto del “ritiro spirituale” di Sketchin. E’ stata una occasione per reinventare il modo in cui lavoriamo con i nostri clienti e tra di noi.

Oggi, in occasione del nostro Sketchin Party, ho presentato uno dei risultati del lavoro che abbiamo svolto a valle del nostro incontro.

Il tema poteva apparire particolarmente noioso dato che si sarebbe dovuto parlare di come avremmo gestito ferie, permessi e note spese.

Dai, confessate, siete tutti ingessati in processi complessi e articolati che vi sottraggono energie fisiche e mentali.

Quello che oggi ho presentato credo che sia una delle cose più innovative che io abbia mai visto e creato.

Abbiamo deciso di concedere assoluta libertà alle persone superando il concetto di straordinario e di ferie in numero limitato. Abbiamo dato alle persone la possibilità di spendere il denaro di Sketchin in funzione delle loro necessità. Abbiamo confermato che le necessità personali vengono prima di qualsiasi regola, impengo, incontro o cliente. Abbiamo deciso che ci sarà una persona che aiuterà le persone nella gestione di tutta la logistica che gravita intorno a loro lasciando spazio alla loro creatività.

Come avevo promesso renderemo pubblico il nostro approccio. Datemi il tempo fisico di pubblicare la presentazione e darò il link a coloro che sono interessati a saperne di più.

Come avevo detto mi piacerebbe che ci fosse un circolo virtuoso che ci permettesse di raccogliere feedback anche dall’esterno in modo che si possa migliorare insieme.

Davvero. Si può!

Aggiornamento: ecco la presentazione che ho usato quest’oggi.

“Regalo due anni all’Italia”

“Regalo due anni all’Italia”. Queste sono le parole di Diego Piacentini in relazione alla sua nomina a Commisario Straordinario per il Digitale. Io ho letto questa cosa qui: Piacentini, da Apple e Amazon all’Agenda Digitale.

Leggendo l’articolo si capisce che l’impegno è totalmente a titolo gratuito:

… senza alcun tipo di stipendio: ho rinunciato anche ai rimborsi spese, niente vitto e alloggio, pago tutto con la mia carta di credito personale.

Ora questo è senza dubbio lodevole e come dice egli stesso frutto di una cultura che Diego Piacentini ha assorbito durante la sua permanenza negli Stati Uniti:

… nei miei 16 anni negli Stati Uniti sono stato contagiato da un’idea forte, quella di restituire al proprio Paese, alla propria scuola, alla propria università.

Avendo frequentato per molto tempo quel paese è un tratto che riconosco e, per certi versi, ammiro. Lo trovo ammirevole. Lo trovo ammirevole particolarmente perchè è un atteggiamento estremamente diffuso e comune.

Qui dai noi molto, molto, meno.

Bertol Brecht faceva dire al suo Galileo:

Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi.

In questo caso particolare io trovo che Diego Piacentini si trovi a sostenere il ruolo dell’eroe di cui parlava Brecht. Io gli auguro la miglior fortuna ma ho il sospetto che, facendo un altro paragone letterario, si ritrovi come Don Chisciotte a combattere contro i mulini a vento.

Già il suo titolo ha qualcosa di sinistro e molto Italiano: Commissario Straordinario per il Digitale. Straordinario… Come dire: con l’ordinario ci abbiamo provato e non siamo riusciti a combinare nulla. E’ ora di pensare ad un intervento straordinario, salvifico.

Se da un alto apprezzo la scelta di Piacentini di offrire i suoi servigi a titolo gratuito dall’altro mi sento in imbarazzo per un governo che non è in grado di retribuire un eccellenza come si meriterebbe. Forse questa scelta gli darà maggiore autonomia e minore dipendendenza dai suoi datori di lavoro.

Ribadisco che per gli interventi straordinari i quattrini non ci sono mentre per l’ordinario, come ad esempio l’ultima geniale campagna di comunicazione sul Fertility Day, i quattrini li abbiamo trovati.

Benvenuto eroe. Io spero di poterti celebrare insieme ai tuoi successi.

 

Come funziona Corrente Debole

Pare che a diverse persone piaccia quello che scrivo qui sopra. La cosa mi sorprende alquanto dato che non mi sono mai ritenuto grandemente efficace nel metter le in file le parole.

Diverse persone mi hanno chiesto come funziona Corrente Debole e ora ve lo racconto.

Tecnicamente Corrente Debole vive su WordPress, sì, con la p maiuscola come Wolly correggerebbe immediatamente se lo scrivessi diversamente.

È ancora il CMS che mi piace di più. Sicuramente sovradimensionato in termini di capacità rispetto a quello di cui Corrente Debole ha bisogno.

Perché si chiama Corrente Debole?

Un giorno stavo andando ad una riunione con un cliente in Svizzera e camminando lungo il corridoio che portava alla sala riunione ho letto una targa su una porta chiusa: Locale Corrente Debole. La cosa mi ha incuriosito è uscito da quella riunione ho cercato il significato. In Svizzera gli impianti elettrici si dividono in Corrente Debole e Corrente Forte.

Ho trovato il concetto di Corrente Debole affascinante e qualche giorno dopo ho registrato il dominio lasciandolo inutilizzato per qualche tempo in attesa di capire che cosa farci.

Mesi dopo, forse più di anno, ho deciso di utilizzarlo per quello che state leggendo ora.

Un’altra caratteristica di Corrente Debole è che non ha in backlog di post già scritti. L’idea originale è quella di scrivere un post al giorno partendo da una pagina bianca. Sono cinque o dieci minuti che mi prendo ogni giorno senza un orario preciso.

Mi capita di scrivere alla mia scrivania, in taxi, in treno, in aereo e generalmente la scrittura avviene sempre di getto senza grandi revisioni se non una veloce rilettura prima di Prenere il bottone “Pubblica”.

I commenti sul blog sono chiuso. In primo luogo perché non ho alcuna voglia di moderarli, in secondo luogo perché il contenuto viene postato automaticamente anche su Facebook, ed infine perché, ancora una volta, questa è una cosa che serve più a me che ad altri.

Non esiste alcuna regola riguardo il contenuto. È solo ciò che mi passa per la testa in quel particolare momento.

Vi lascio dicendo che è un esperimento interessante ed estremamente efficace. Vi esorto a provarlo perché i benefici superano di gran lunga gli effetti collaterali non desiderati.

UXCon16

Oggi ho speso la mia giornata facendo da maestro di cerimonie alla UX Conference, un evento che viene organizzato da Sketchin.

Per la prima volta abbiamo parlato di come il mondo dell’industria sia ormai indissolubilmente legato al mondo del design.

Ho sentito parlare delle persone davvero in grado di avere un impatto e cambiare le cose per il meglio.

Ogni volta che lascio un evento come questo sono tormentato da una energia assoluta dovuta alla quantità di stimoli ricevuti.

Credo succeda così per tutti.

Tra poco ci sarà la mia chiacchera di chiusura e dirò questo: “avete probabilmente decine di idee da portare a casa. Non disperdete la vostra energia. Prendete quella che trovate essere la più promettente per il vostro lavoro o per voi stessi e fatela vostra. Coltivatela e fatela nascere. Diffondetela in modo che il suo effetto sia esponenziale “

CoderDojo, si riparte

Anche quest’anno dedicherò parte del mio tempo libero durante il fine settimana a fare il tutor durante gli eventi del CoderDojoMiSo.

Ogni volta apriamo le iscrizioni per 50 posti e in meno di cinque minuti i posti si esauriscono nemmeno fosse un concerto di una rockstar. Di questo sono molto orgoglioso.

Avendone la possibilità ho scelto di seguite quei bambini che noi classifichiamo White Belt. Sono quei bambini che partecipano per la prima volta ad uno dei nostri eventi e che non hanno mai avuto alcuno contatto con il mondo della programmazione.

La soddisfazione che vedo nei loro occhi quando questi bambini fanno eseguire per la prima volta un programma che hanno scritto loro è una sensazione che desidero continuare a provare. Vedere per la prima volta accadere qualcosa sulla quale loro hanno il controllo è il mio premio durante quella giornata.

Per la prima volta non sono soggetti passivi davanti ad uno schermo. Sono loro che fanno accadere le cose, ne hanno il controllo e le governano. Comprendono come lo strumento che usano possa essere usato per esprimere la loro creatività.

Loro non lo sanno ma quando arriviamo in fondo alla giornata applicano anche dei concetti base della metodologia Agile e anche questo gli tornerà utile in futuro.

Se ne avete la possibilità offritevi di fare il tutor in uno di questi eventi. Non è necessario avere esperienza di programmazione. Basta avere del tempo disponibile e volontà di donarlo ai bambini.

Purtroppo il numero di bambini che possiamo accettare dipende molto da quanti tutor possono seguirli. Ce ne servono tanti.

Venite a trovarci e guardate di cosa si tratta. Sarà per voi una esperienza eccitante tanto quanto lo è per noi. E se non sapete programmare avrete l’occasione di imparare anche voi.

Infinito, ma la mamma è sempre la mamma

Qualche sera fa ero sdraiato sul letto della cameretta di Lorenzo e stavo parlando con Beatrice. Ci capita abbastanza spesso di fare queste chiacchierate tra di noi. Giochiamo, ci raccontiamo cosa è successo durante la giornata, ci diciamo la cosa che ci è piaciuta di più e quella che ci è piaciuta di meno e così via.

Ad un certo punto Beatrice si è fatta serissima e ha iniziato un discorso. Quando comincia questo genere di conversazioni assume sempre una espressione che oramai riconosco e capisco che sta per dire qualcosa che le preme veramente.

B: “Papà, tu non hai davvero idea di quanto bene ti voglio.”

A: “Davvero? Prova a dirmelo.”

B: “Infinito.”

Un attimo di sussulto da padre che gongola. Quel genere di momenti nei quali tua figlia, o tuo figlio, potrebbero chiederti qualsiasi cosa e tu cederesti senza la minima esitazione.

Beatrice non si ferma e prosegue nel suo ragionamento.

B: “Anche se so che infinito non finisce mai, anche a mamma voglio un bene infinito.”

A: “Mi sembra giusto.”

B: “Anche se due infinito sono uguali ti devo dire che a mamma voglio un pochino più di bene, ma solo un pochino.”

Ecco in questo momento ho capito che le mie quotazioni non possono salire oltre un certo livello fisiologico.

A: “Ma certo Bea, capisco quello che vuoi dire. Mi puoi spiegare per quale motivo a mamma vuoi un pochino più di bene? Non sono geloso ma mi piacerebbe capire meglio cosa vuoi dire.”

B: “Ma papà, io sono cresciuta nella pancia di mamma e poi la mamma è sempre la mamma.”

Definitivo.

Torniamo a giocare a MilleStorie.

Per chi non conosce MilleStorie. MilleStorie è un gioco che abbiamo inventato anni fa con Lorenzo e Beatrice. Si può giocare a MilleStorie in tanti. Un partecipante inizia una storia di pura fantasia con una frase. Il giocatore successivo continua la storia con un’altra frase e si continua sino a che non si arriva ad una conclusione della storia.

Il grillo

Quest’oggi sono salito in metropolitana intorno alle 13.00 per andare a salutare gli amici del CreativityDay che stanno tenendo la tappa milanese della loro fighissima conferenza.

La metropolitana a quell’ora non è molto frequentata ed ho trovato agevolmente posto a sedere in una fila di 4 posti. Io mi sono seduto all’estremo sinistro, in mezzo c’erano due ragazze sulla ventina, e sul lato opposo sedeva un bimbo piccino, direi di sei o sette anni, con la sua mamma davanti.

La mamma stava giocando con il suo bambino tenendo qualcosa nel palmo della sua mano. Sia lei che il bambino accarezzavano questa cosa molto delicatamente e giocavano passandoselo da una mano all’altra.

Mentre la metropolitana si stava muovendo le due ragazze si sono alzate di scatto con un grido che ha attirato la mia attenzione. In genere sono piuttosto vigile quando mi muovo sui mezzi pubblici e non sono riuscito a capire che cosa potesse avere causato una reazione così scomposta.

Le due ragazze si sono allontanate di qualche metro liberandomi così la visuale verso la mamma ed il bimbo.

La mamma sorridendo alle due ragazze ha chiesto: “Ma avete paura del grillo?”. Le due ragazze hanno annuito con una espressione schifata.

Ecco scoperto che cosa stavano accarezzando. Un grillo. Un grillo decisamente grosso.

La mamma si è quindi rivolta a me e mi ha chiesto se avevo paura del grillo. Le ho risposto che mi fanno paura molte cose ma che il grillo non è una di queste.

Il piccolo si è quindi avvicinato a me per farmelo vedere e mi ha detto che se volevo potevo accarezzarlo e tenerlo in mano. Mi ha anche avvisato che non avrei potuto tenerlo con me quando loro fossero arrivati a destinazione perchè il grillo è un suo amico e non se ne poteva separare.

Per qualche minuto ci siamo passati questo docile grillo da una mano all’altra mentre discutevamo del bellissimo colore della sua pelle (ma i grilli hanno la pelle? Non importa. Per il bambino i grilli hanno la pelle!) e di come fosse in grado di compiere salti prodigiosi una volta deposto a terra.

Un breve momento fuori dal tempo e distante anni luce da quel mondo che avevo lasciato in superficie.

Ecco, io da San Babila a Cadorna mi sono divertito un sacco!