Usabilità, questa sconosciuta

Il mio smartphone scarica l’ultima versione della applicazione della Protezione Civile lombarda. L’applicazione si chiama AllertaLOM e mi astengo da qualsiasi commento.

All’interno della applicazione è possibile inviare informazioni sul proprio stato di salute all’interno di una area dedicata.

In questa nuova versione è possibile inserire anche dati di altri familiari mentre nella versione precedente era possibile inviare solo ed esclusivamente i propri dati.

Ecco che cosa mi viene presentato sulla schermo:

Non sono proprio di primo pelo per quanto riguarda il digitale e quindi ho sempre ritenuto di essere in grado di barcamenarmi in maniera efficace tra le più diverse applicazioni.

Con questa non ci sono proprio riuscito.

La mia user story è questa: “Come utente voglio inserire i dati del questionario per me stesso ed inviarli alla Protezione Civile”. Sembrerebbe semplice.

In questo caso a me viene istintivamente di premere sul bottone “Compila questionario”.

Sbagliato! Se si preme su quel bottone ecco che cosa accade:

Dopo qualche tentativo scopro che per potere compilare i dati devo premere sulla label “Me stesso – 53 anni” che tutto sembra tranne che una affordance.

Insomma, un verso disastro.

La Briciola

Io ho fatto il servizio militare tra il 1989 ed il 1990 a Diano Marina. Nonostante provenga da una famiglia ad alta densità di militari, e molti di questi alti ufficiali, non ho chiesto alcun tipo di trattamento di favore. Il Giugno del 1989 sono arrivato come fante e come tale me ne sono andato trascorso un anno.

Diversamente da altre persone quell’anno è stato uno degli anni più belli e spensierati della mia vita. Niente università, nulla a cui pensare e, tutto sommato, il tempo speso in una bello località di mare.

Ho fatto il furiere in 1a Compagnia per tutto l’anno e ho speso tanto tempo a scrivere codice per automatizzare alcuni processi della caserma. Assegnazione dei turni di servizio, incorporamento ed altre casette. Sì, alcune mie fisse sulla automatizzazione dei processi nacquero proprio allora.

Se fosse possibile non esiterei un secondo a tornare indietro per ripetere quella esperienza. Amicizie vere, alcune delle quali continuano con la stessa intensità a distanza di più di trenta anni.

Il furiere passa gran parte del suo tempo in un ufficio e quando sei di turno ci passi anche il pranzo e la cena.

Purtroppo non ho mai ritenuto la mensa della caserma grandemente stimolante ed è questo il motivo per cui ho scoperto “La Briciola”.

La Briciola era una paninoteca nel centro di Diano dove potevi trovare dei panini incredibile a prezzi convenientissimo per noi militari che venivamo retribuiti con 3.500 Lire al giorno. La Briciola era un ancora di salvezza ed un porto sicuro dove riparare quando avevi fame e non volevi andare in mensa.

Non riesco nemmeno a ricordare quanti panini mi sono fatto portare quando ero di turno in fureria. Mi ricordo solo che li aspettavo con ansia perché erano di una bontà assoluta. In particolare me ne ricordo uno per il quale andavo matto: maionese, e del formaggio all’interno di alcune fette di prosciutto cotto. Quando arrivava ancora caldo nelle mie mani era una goduria. Purtroppo non ne ricordo il nome ma il solo pensiero rievoca profumi e sapori.

Oggi La Briciola ha una pagina su Facebook, questa. Con grande tristezza leggo che con le restrizioni che verranno imposte alla riapertura corrono il serio rischio di chiudere. Leggo l’accorato appello del proprietario e mi viene il magone. Chiaro è che come Lello, tanti altri commercianti si trovano nelle medesime condizioni. Ancora più triste scoprire che qualcuno che conosci e che è stato parte della tua vita per un anno intero corre il rischio di scomparire.

La Briciola era una istituzione per i militari di Diano Marina. Mi auguro davvero che riescano a farcela e mi riprometto di andarci non appena sarà possibile.

Se poi fate ancora quel panino fantastico sarà come ringiovanire di trent’anni.

Un enorme in bocca al lupo.

Ottusità

Alla veneranda età di cinquantatré anni sono diventato assolutamente insofferente alla ottusità delle persone, sopratutto se questa di affianca ad una elevata dose di paraculismo e coltivazione di interessi politici ed economici personali.

In ognuna di queste situazioni io mi metto di traverso in maniera decisa e non sono disposto a compromessi.

Sono stufo di vedere che processi ed attività che potrebbero funzionare in maniera semplice ed efficace non vengono conclusi per gli interessi di questo o quello o perché, semplicemente, qualcuno non è in grado di capire quali vantaggi ne possa ottenere una organizzazione.

Per coltivare il proprio orticello e conservare la propria, più o meno importante, poltrona si ostacola in ogni modo un processo di innovazione.

Non mi interessa, a costo di apparire come un bastian contrario, io non sono più disposto ad accettarlo.

Credo che tutti dovremmo lavorare in modo che le cose funzionino nel migliore dei modi nell’interesse delle aziende coinvolte e con il fine di fare il meglio per le persone che le compongono.

Basta stronzate. Davvero, basta stronzate.

Io resto qui!

Stavo leggendo la mia quotidiana rassegna stampa. I numeri che vengono giornalmente diffusi, la grande notizia della liberazione di Silvia Romano, le fregnacce di Arcuri, i tristi commenti del nostro ex ministro dell’interno e via dicendo.

Ho avuto la disgraziata idea di leggere anche i commenti su quelle notizie.

Confesso che non ho alcuna fretta di tornare a frequentare la socialità che mi circonda.

Tutto sommato sto bene qui.

Ci si abitua a tutto?

Credo che oramai siano due mesi pieni che limito in maniera totale i miei contatti sociali fatti salvi quelli con l’insalatina al supermercato.

Poche sono le volte in cui mi sono mosso da casa.

Nelle prime settimane mi è sembrato tutto veramente straniante ma ora sto vivendo una situazione totalmente diversa. Quelle poche volte che sono andato a prendere i miei figli per il fine settimana quella poca strada che ci divide, una sessantina di chilometri, mi sono sembrati un viaggio infinito.

Evidentemente non sono più abituato a stare a lungo in auto.

Ultimamente ho trovato il mio ritmo ideale in questo lavorare da casa. I ritmi sono più incessanti rispetto al tradizionale lavoro in ufficio. La concentrazione è diventata via via più alta ed ora credo di avere raggiunto un ottimo equilibrio. Mi rendo conto di essere più efficiente ma mi rendo conto di lavorare molto.

In fondo anche ritrovarmi tra tutte le cose che mi piacciono mi rende questo periodo tutto sommato accettabile se non piacevole. La cucina, le mie letture, le chitarre e la musica, la scrittura. C’è lo spazio necessario che non è inquinato dagli appuntamenti lontano da casa, dai viaggi, dalle riunioni inutili e via dicendo.

Dopo un picco negativo la settimana scorsa posso dire che sto bene in questa situazione. Tornare alla normalità sarà certamente più difficile di quanto potessi immaginare.

Una domenica bestiale

Questa mattina mi sono alzato dal letto e non ho trovato altro di meglio da fare che mettermi a pulire casa.

Oh, non una cosa da principianti, le classiche pulizie di primavera, sebbene con un leggero ritardo.

Ogni tanto mi prende questo spasmo da casalinga disperata, sopratutto ora che la signora che mi aiuta in queste faccende rimane, giustamente isolata a casa sua.

Inutile dire che a metà dell’opera ne avevo già piene le scatole. Mi sono dovuto imporre di arrivare in fondo e solo la batteria esausta del mio Dyson mi ha imposto qualche pausa.

Alla fine ne sono uscito con un discreto mal di schiena ma, se non altro, oggi posso saltare la sessione quotidiana di esercizi in casa.

Ora guardo la cesta dei panni da stirare e questo mi genera meno ansia. Stirare mi piace e mi rilassa.

Oggi niente di digitale su queste pagine. Solo una domenica come tante e, tutto sommato, non mi dispiace.

Evviva Nicola

Qualche anno fa ho avuto il grandissimo piacere di spendere due settimane di vacanze a Castellabate, nel Cilento. Sono state due settimane incredibili spese in uno dei luoghi più incantevoli d’Italia che io abbia mai avuto l’occasione di visitare.

Durante la mia permanenza ho cercato il modo di fare un giro in barca per godermi un po’ di mare ed è in questa occasione che ho conosciuto Nicola.

Come ho già avuto modo di scrivere in passato qui, Nicola è ora un imprenditore locale che non pur non sapendo molto di Service Design è stato in grado di costruire per i propri clienti una esperienza di viaggio indimenticabile.

E’ la persona che dirige Masaniello Tourist. E la dirige con il cuore e con la passione rendendola una impresa di successo. Questa combinazione è davvero molto rara e lo trovo uno dei casi di maggiore successo che io conosca in questo campo micro-imprenditoriale.

Con Nicola ci sentiamo raramente ma è una di quelle conoscenze preziose che si dovrebbe cercare di coltivare con maggiore intensità. Il caso ha voluto che ci sentissimo nei giorni scorsi.

Nicola mi ha raccontato di aver aperto sul suo sito un e-commerce che distribuisce prodotti locali di qualità. Ne sono stato subito incuriosito e mi sono fiondato a guardare.

Ne sono stato incuriosito in prima battuta per deformazione professionale. Volevo capire se sarebbe stato in grado di infondere nell’e-commerce quella stessa passione e innovazione con la quale era stato in grado di alimentare i servizi già esistenti. Allo stesso tempo ero molto incuriosito dalla varietà dei prodotti a disposizione e da come questi venissero raccontati.

Sono personalmente convinto che questo genere di iniziative digitali possano essere una cera ancora di salvezza, o di evoluzione, nel futuro che ci aspetta.

Confesso di essere rimasto particolarmente colpito dalla qualità di quello che Nicola ha realizzato. Non è certamente un professionista del digitale ma credo che sia riuscito a mettere in piedi qualcosa di tutto rispetto. Ci sono delle cose che possono essere migliorate, come tutto, ma mi ha fatto piacere constatare che l’anima originale della sua impresa non fosse andata perduta.

Inutile dire che ho saccheggiato il negozio e questa mattina, dopo solo quarantotto ore, il corriere mi ha consegnato il pacco.

Olio d’oliva di grande qualità, tonno rosso, marmellata di cipolle rosse di Vatolla, alici di Menaica, farina biologica e tanto altro. Prodotti incredibili che mi hanno venire istantaneamente l’acquolina in bocca mentre li riponevo nella mia dispensa.

Il packaging era impeccabile e Nicola mi ha sorpreso aggiungendo dei prodotti in omaggio che non erano compresi nel mio ordine. Non sapendolo ha applicato una delle regole chiave: underpromise and overdeliver.

Nicola è davvero un natural del Service Design.

Come se questo non bastasse quando gli ho scritto dicendogli che il pacco era arrivato a destinazione sano e salvo mi ha chiamato e mi ha dato qualche consiglio chiave sull’utilizzo dei prodotti e mi ha passato un paio di ricette locali ideali per esaltare il sapore dei prodotti.

Inutile dire che, secondo me, un giro sul suo negozio dovreste farlo.

Sketchin funziona

Nei giorni scorsi abbiamo avuto il nostro consueto consiglio di amministrazione. E’ il momento in cui ci prendiamo del tempo per valutare tutti gli aspetti che fanno funzionare la macchina di Sketchin.

Che il momento che stiamo tutti vivendo sia particolarmente complesso è un dato di fatto e questo consiglio di amministrazione era davvero chiave per comprendere come la struttura ha reagito alla situazione corrente.

Non ho difficoltà a confessare che il tema mi ha tolto il sonno per diverse notti. In queste settimane abbiamo disegnato una infinità di scenari possibili. Da quelli più rosei a quelli più drammatici. L’idea era quella di avere chiari tutti gli strumenti utilizzabili per garantire l’integrità della struttura.

Quando parlo di integrità della struttura non intendo alla integrità economica di Sketchin che è certamente importante ma che non è chiave. Con integrità della struttura mi riferisco alla garanzia del lavoro delle persona che la struttura la compongono.

Ho sempre sostenuto, molto spesso anche davanti ai nostri clienti, che in Sketchin vale il principio: First, people first. Da questo non si deroga.

Questo principio è ancora quello che ogni singolo giorno guida le mie e le nostre decisioni. Questo non significa che Sketchin sia un paradiso assoluto. Come tutte le organizzazioni, e specialmente in questi frangenti, tutti siamo chiamati a fare qualche deroga rispetto ad una situazione ideale. Questo è ancora il caso.

La struttura ha retto e continua a reggere.

Da un lato il metodo di design di Sketchin ha retto in maniera ideale l’impatto causato dal Coronavirus. Abbiamo dimostrato che siamo perfettamente in grado di eseguire progetti di design anche se non ci troviamo faccia a faccia con i nostri clienti. Anche quegli aspetti più critici, come ad esempio i workshop di co-design, hanno funzionato a meraviglia. Un insieme di strumenti nuovi che abbiamo selezionato, uno per tutto Miro, ci hanno aiutato a fare il nostro lavoro in maniera estremamente efficiente anche se non fisicamente vicini.

Se il metodo di design ha retto è altrettanto vero che abbiamo dovuto derogare alcuni degli aspetti che lo compongono. Ci siamo trovati nella condizione di dovere fare del reshuffling dei team per fare in modo che le persone potessero consumare le loro ferie e avendo quindi un impatto positivo sui numeri. Abbiamo dovuto spezzare delle pipe all’interno dei team per lavorare su progetti di dimensione più piccola rispetto a quando eravamo abituati.

Non è stato un esercizio facile e, sopratutto, non è stato facile per le persone che lo stanno implementando sul campo. Lo sappiamo e cercheremo di normalizzare la situazione non appena possibile.

Abbiamo creato un nuovo insieme di strumenti di reporting che ci permettessero di lavorare in tempo reale sui potenziali scenari ed in parallelo abbiamo creato un insieme di canali Slack dedicati a monitorare la situazione in tempo reale.

Abbiamo creato una war room che si riunisce ogni giorno alle 18.00 per prendere le decisioni chiave sugli scenari possibili.

Tutto questo non sarebbe stato possibile se a sostenere Sketchin non ci fossero state le persone che la compongono. Ho rilevato un livello di maturità e di committment assolutamente fuori dal comune. Ad di là delle strategie e degli scenari che puoi disegnare se non ci sono le persone in grado di realizzarli non si va da nessuna parte.

Anche in questo caso Sketchin ha reagito in maniera molto responsabile e veloce.

Guardo i numeri da qui alla fine dell’anno e non posso che essere soddisfatto. Chi mi conosce sa bene che ho sempre sostenuto che i numeri sono semplicemente un riflesso del lavoro che facciamo. Non sono l’unico obiettivo.

Sono contento del fatto che quei numeri continuano ad esserci senza avere dovuto fare ricordo a misure drastiche e draconiane come la cassa integrazione o, ancora peggio, i licenziamenti.

In maniera molto razionale sapevo che sarebbe stato così ma non ho mai potuto fare a meno di preoccuparmi della situazione.

Forse questa notte posso cercare di dormire un pochino più tranquillo rispetto alle settimane precedenti.

Il design, quello vero

Alberto Andreetto è un mio collega.

Alberto vanta diversi record. Uno di questi è che è stata l’assunzione di Sketchin più veloce della storia. Abbiamo fissato un colloquio un giorno per l’altro, abbiamo parlato per una mezz’ora e, terminata la telefonata, gli ho mandato un contratto di assunzione a tempo indeterminato quindici minuti dopo. Il giorno seguente era nei nostri uffici a Manno.

Non mi sono affatto sbagliato con questa assunzione.

Alberto è un designer, uno di quelli veramente bravi. Se chiedessimo ad ogni designer quale è lo scopo del design non dubito che la risposta sarebbe: “Avere un impatto positivo sulla vita delle persone”.

Lui ci riesce benissimo. Non sono sul lavoro che viene chiamato a fare in Sketchin ma anche nel suo tempo libero. Mi auguro di non metterlo troppo in imbarazzo con questo post.

Alberto ha realizzato che nella comunità in cui vive c’era bisogno di aiuto in questi mesi difficili per tutti. Persone che non sono in grado di procurarsi generi alimentari e che necessitano di qualcuno che li aiuti.

Da buon designer ha creato qualcosa di minimale per testare “il mercato” e ha utilizzato Google Forms come primo strumento. Il mercato ha reagito molto bene e quindi è stato necessario scalare.

Alberto ha fatto esattamente quello che consigliamo quasi sempre ai nostri clienti: scalare i prodotti e servizi in una modalità lena. Scelta azzeccatissima.

Con degli altri amici, designer e non, ha creato un sito per raccogliere domanda e offerta. Ha contratto terze parti, tipicamente organizzazioni non profit e l’amministratore della pagina Facebook della zona che voleva servire.

Sino ad oggi hanno distribuito 25k EUR di generi di prima necessità. Se questo non si chiama avere un impatto positivo sulla vita delle persone fatico ad immaginare cosa altro possa esserlo.

Questo “esperimento” dimostra tante cose.

La prima cosa è che in un universo di mercato guidato molto spesso solo ed esclusivamente da logiche di profitto, il mercato del design continua ad avere una grande eticità: “Il mio lavoro non serve solo a pagarmi uno stipendio ma serve a qualcosa di utile”.

La seconda cosa è la dimostrazione che in sole due settimane e avendo a disposizione solo il proprio talento e strumenti praticamente a costo zero puoi realizzare qualcosa di sensato e di valore.

Infine viene dimostrato quale sia il valore di una disciplina come il design. Il valore che questa disciplina è in grado di restituire rispetto all’investimento è altissimo e di grandissimo valore.

Mi sento molto onorato di avere Alberto come collega.

Se volete leggere cosa lui stesso scrive su questo esperimento vi rimando al suo articolo su Medium. Il sito che Alberto ed i suoi amici hanno progettato è Spesa Sospesa Nolo.

Una bomba!

Lavoro da remoto

Nella giornata di ieri ho avuto modo di leggere un report redatto dalle nostre persone e frutto di una indagine interna che abbiamo condotto per capire come il lavoro da remoto sta impattando le nostre operazioni e le nostre persone in quanto tali.

Credo che qualsiasi azienda debba cominciare a tirare le file su questo tema per comprendere quello che è accaduto in queste settimane così particolari.

Il risultato del report non mi ha stupito molto. La struttura di Sketchin è molto ridondante in termini di architettura e tutti i team, dalle Operations ai team di Design, applicano lo stesso metodo, le stesse cerimonie e lo stesso approccio.

Per questa ragione non ci sono grandissime differenze di risultato. Tutti sono stati impattati nella medesima maniera.

Il lato più positivo è che la qualità del lavoro e la nostra capacità di lavorare efficacemente sui progetti in essere non ha subito grandi impatti. Niente di nuovo. Si tratta solo di una prova scientifica della validità del metodo che abbiamo sempre predicato ma molto raramente applicato. Questo in termini di continuità di business ha giocato un ruolo fondamentale in queste settimane.

Quello che invece preoccupa maggiormente è la qualità della vita. Questa è l’area che ha subito maggiore impatto. Tutti, io stesso, ci siamo trovati a spendere giornate intere davanti ad uno schermo seguendo una conference call dopo l’altra. Nessuna pausa. La giornata lavorativa ovviamente si allunga oltre il normale e non esiste nemmeno il break dello spostamento tra casa e ufficio.

Questo è un tema fondamentale che ci deve servire da guida per fare fine tuning del metodo. E’ perfettamente chiaro che in questo modo non può funzionare.

Un altro lato sul quale siamo andati “bene, ma non benissimo” è quello della comunicazione. La capacità di mandare messaggi chiari ad una forza lavoro estremamente distribuita ci ha messo in grandi difficoltà e non siamo stati all’altezza degli standard che normalmente ci diamo.

Per concludere quello che mi è piaciuto di più. Sicuramente il fatto che i vari team sono in grado di sostenersi in maniera autonoma in caso di difficoltà. L’aiuto tra le diverse persone è stato fondamentale per tutti.

Quest’ultimo aspetto mi rende molto fiero delle persone con le quali ho l’opportunità di lavorare.

Anestetizzazione

Credo che queste settimane di isolamento sociale abbiano prodotto un effetto collaterale rilevante.

Il fatto di rinchiuderci dentro le mura di casa senza nessun contatto sociale rilevante ha creato un effetto anestetizzante rispetto a quello che sta succedendo. Questo è ancora più vero se nessuno di quelli che conosciamo è stato toccato da questi eventi.

Ci limitiamo a leggere i numeri sui giornali e ci adattiamo ai provvedimenti che ci vengono imposti dalle autorità.

Tutto sembra quindi così lontano da noi. Quasi impossibile da credersi.

Sono perplesso

E così è cominciata la tanto attesa Fase 2.

Leggo i documenti rilasciati dal governo e le relative risposte alle domande più frequenti in attesa di capire quali differenze la mia regione introdurrà rispetto alle indicazioni esistenti.

Non si tratta di un esercizio facile.

Allo stesso tempo ascolto le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri Conte che, tra le altre cose, dice:

Contiamo sul senso di responsabilità dei cittadini.

Io su questa affermazione nutro dei grandissimi dubbi. Non sono così convinto che si possa contare su questo senso di responsabilità. Forse per qualcuno di noi ma non per tutti. Ho il grande timore che tra tre settimane ci ritroveremo da capo a dodici con una situazione critica quanto la precedente.

Mi auguro di sbagliarmi ma, per non sapere né leggere né scrivere, io continuerò a comportarmi esattamente come nella Fase 1. Me ne sto rintanato tra le mura di casa in attesa di capire cosa sta succedendo.

Di pari passo salgono le critiche nei confronti del governo. In parte mi sembrano più che legittime ma poi mi fermo a riflettere. Al di là delle menate di pura posizione politica mi domando chi sarebbe stato in grado di gestire una situazione del genere.

Si tratta di una cosa che nessun paese al mondo si è mai trovato a dovere affrontare. Al di là della bandiera politica cosa avrebbe fatto chiunque altro?

Non mi sono ancora dato una risposta ma credo che sia un tema su cui dobbiamo riflettere.

Il giardino

Sono le due di notte e fatico ad addormentarmi.

Lascio la mia camera da letto e scendo in giardino a fumare una sigaretta. 
Il cielo è limpido e mi offre una quantità di stelle dalla luce incredibile. Qui al lago non c’é molto inquinamento luminoso ed il cielo di notte offre sempre degli spettacoli incredibili.

Il giardiniere è appena passato e posso sentire il profumo dell’erba appena tagliata. Torno alla mia infanzia quando ogni domenica mattina alle nove arrivava il giardiniere a sistemare il giardino della nostra casa. Papà lo seguiva passo passo perché il giardino era uno dei passatempi che maggiormente lo impegnava.

Papà viaggiava molto per lavoro. Giappone, America del sud, Iran, Argentina e tanti altri paesi. Quando ancora non era vietato tornava a casa con semi e piante che da noi non si trovavano. Li piantava nel nostro giardino e ne andava fierissimo.

Ogni domenica mattina quel profumo di erba tagliata si spandeva nell’aria ed io seguivo papà ed il giardiniere cercando di aiutarli in quello che facevano.

C’era un cane con noi. Abbiamo sempre avuto un cane ma quello che ricordo con maggiore intensità è stato Paulette, un pastore scozzese incredibilmente bello ed affettuoso, sopratutto con me.

A quei tempi intorno a casa nostra c’erano dei campi coltivati e quando la sera uscivi in giardino potevi sentire tutti i suoni della natura. I grilli sguli alberi, una civetta in lontananza, altri cani che abbaiavano. Potevo vedere le lucciole in giardino. In quel giardino non era raro incrociare dei ricci che, di tanto in tanto, lo abitavano.

Credo che il mio scarso interesse per le grandi città sia frutto del fatto che sono cresciuto in quel contesto.

Questo è il motivo per cui questa casa sul lago mi affascina e mi fa sentire bene. In un certo qual modo sono tornato a quel contesto che ho amato tanto.

Riempio i polmoni con un’altra bocca di fumo ed espire lentamente. L’aria è fresca ma piacevole.

Guardo le montagne che insistono sul lago. Non si scorgono i boschi ma solo il loro profilo che si staglia sul cielo illuminato dalla tenue luce della luna.
Non si vede la fitta vegetazione che le ricopre. Tutti intorno stanno dormendo ed il silenzio è assoluto. Si sentono, debolmente, solo le onde del lago.

Sto per terminare la mia sigaretta quando sento il rumore di una civetta che proviene dai boschi. Prima debolmente e poi sempre più forte.

Chiudo gli occhi e per qualche secondo torno indietro a quel giardino di casa che oggi non esiste più. Ha lasciato il posto da una palazzina con qualche appartamento. Circondato da altre case. I campi intorno sono scomparsi.

Chissà dove sono andate finire quelle civette oggi.

Un tuffo nel passato

Anche se quest’oggi non mi aspettavo nessuna consegna alle nove del mattino ha suonato il campanello. Un corriere mi avvisa che c’è un pacco per me. La consegna avviene con la solita procedura di queste settimane. Il pacco lasciato dietro il cancello di casa.

Mi sono appena svegliato. Mi infilo sotto la doccia, mi faccio la barva, mi vesto e poi scendo a ritirare il pacco con una certa curiosità.

Con tutte le precauzioni del caso lo apro e dentro trovo una grande sorpresa.

In passato ho scritto di come le persone che lavorano con me sono straordinarie e hanno un varietà di interessi e talenti diversi oltre a quello per il quale percepiscono una retribuzione. Una di queste è Claudio Pustorino, grandissimo appassionato di giochi di ruolo.

Qualche tempo addietro Claudio ha lanciato una campagna su Kickstarter per pubblicare un gioco di ruolo da lui ideato: Not the end. Da quello che mi raccontava Claudio una delle campagne Kickstarter di maggiore successo per una iniziativa come la sua. Nessun dubbio sul successo dato che il progetto era stato completamente finanziato poche ore dopo il suo inizio.

La consegna imprevista era proprio quella relativa al fatto che avessi partecipato a quella campagna.

Prendo in mano il manuale e me lo porto in giardino. Comincio a leggere e rimango assolutamente stupefatto dalla qualità del prodotto. Una cura assolutamente fuori dal comune ed illustrazioni che sono una bomba.

Mi fermo un secondo per fumare una sigaretta e mi tornano in mente tante immagini di un passato che oramai è veramente molto lontano.

Sono sempre stato appassionato di giochi di ruolo e non riesco nemmeno a contare le ore che ho speso con Dungeons and Dragons ai tempi dell’università. Un nerd fatto e finito, direi.

Se mi ritrovo tra le mani la capacità di inventare, e raccontarie, storie lo devo essenzialmente a due cose: la lettura ed i giochi di ruolo.

Entrambe le cose ti conducono in mondi diversi. Storie, personaggi, sfide, emozioni. L’unica vera differenza tra i due è che un libro ti porta in un universo inventato dall’autore e lui ha già deciso come è fatto, come evolve e come termina. I giochi di ruolo, al contrario, sono mondi molto più aperti che, in un certo qual modo, puoi fare evolvere secondo il tuo desiderio.

Per questo sfogliare il libro di Not the end mi ha fatto tornare indietro negli anni e crescere il desiderio di provare a giocare di nuovo.

Se i giochi di ruolo significano qualcosa per voi vi assicuro che Not the end è un prodotto superlativo.

Claudio, chapeau!

La fine dei rituali

Tra le tante conseguenze che questo periodo di isolamento sociale ce ne è una che credo sia passata mlto inosservata: la fine dei rituali.

Questa conseguenza riguarda da vicino sia la nostra sfera personale che la nostra vita personale.

Faccio una premessa. Negli ultimi dieci anni circa sono diventato assolutamente insofferente a qualsiasi forma di rituale. La parola chiave è proprio “forma”. E’ ben evidente che ogni rituale deve avere la sua forma.

fórma s. f. [lat. fōrma]. – 1.a. L’aspetto esteriore con cui si configura ogni oggetto corporeo o fantastico, o una sua rappresentazione.

3. In senso più astratto, modo di essere, di presentarsi; così, con riferimento alla struttura, all’ordinamento, alla costituzione politica.

4.a. In molti casi, il concetto di forma si chiarisce nella sua diretta contrapposizione a quello di materia o di contenuto.

La ragione per cui fatico a tollerare la maggior parte dei rituali è legata proprio alla definizione di cui sopra. Se alla forma non è strettamente legato un contenuto la cosa mi irrita oltre ogni misura.

La forma stessa di molti rituali ha lo scopo di mascherare la totale assenza di contenuti tramite una rappresentazione teatrale che sostituisce il contenuto, e quindi il valore.

Prendiamo ad esempio il pranzo con i colleghi. In questo caso parlo di colleghi nella forma più algida della definizione. Persone che lavorano nello stesso luogo senza condividero altro che non sia chi, alla fine del mese, gli corrisponde una retribuzione. Il pranzo con i colleghi è un rituale spesso privo di contenuti. E’ qualcosa che il fare comune ti spinge a dovere fare per non essere considerato un asociale ma il pranzo in sé è spesso privo di contenuti. Si parla solo ed esclusivamente di lavoro o, se non è lavoro, si parla di facezie come l’ultima partita di pallone.

In queste settimane tutti questi rituali vuoti sono venuti a mancare. Scendiamo a prendere un caffè. Pranziamo insieme. L’abitudine, per molti ma non per me, di vestire un abito con la cravatta.

Rituali sociali e professionali che sono una sorta di codice comportamentale nel modo in cui facciamo affari oggi. Tutto codificato in un codice che tutte le parti, o la maggior parte di esse, rispettano per convenzione e per comodità.

Anche nella sfera personale sono venuti meno questi rituali. La partita di calcetto, il pranzo o la cena con i parenti e via dicendo.

Tutto è venuto meno.

Il lato positivo è che dovrebbe essere rimasto solo il contenuto a farla da padrone in questo momento.

Chi possiede contenuto e valore è stato certamente in grado di consegnarlo ai propri interlocutori. Chi ne è assolutamente privo, come ad esempio il coglione totale (vedi un post del passato per la definizione), si ritrova perso in un limbo dal quale fatica ad uscire.

Per molti potrebbe essere, finalmente, l’opportunità per uscire dagli schemi e mostrare una volta per tutte chi sono veramente e quanto valgono al di fuori dell’insieme dei rituali protettivi.

Sì perché, in fondo, il rituale è anche una forma di protezione ed in queste settimane tutti ci siamo sentiti indifesi nei confronti di un nemico intangibile.

Nella giornata di ieri ho parlato di un libro che si intitola “wabi sabi – for artists, designers, poets and philosophers” di Leonard Koren. E’ certamente una lettura consigliata che vi potrà fare riflettere sul contenuto di queste poche righe.

Una forma ridotta all’esenziale ma dall’enorme contenuto estetico e intellettuale.

A questo dovremmo aspirare.