Vacanze finite

Finite queste lunghe vacanze natalizie.

Concludo con un meraviglioso colpo della strega che mi ha bloccato a letto tutto il giorno. Per qualche arcano motivo a cavallo delle festività incorro sempre in qualche guaio fisico che poi si trascina per qualche settimana.

A questo giro è toccato alla schiena. Se non altro non rischio di rimetterci un braccio. Evidentemente la pausa dal quotidiano è difficile da sostenere per il mio organismo.

Continuo a leggere di buoni propositi per l’anno nuovo e, sinceramente, ne sono grandemente infastidito.

Per me il 2020 sarà un anno come un altro. Si prosegue con le consuete sfide giornaliere, la logistica complessa, i pensieri, le paure ed un sacco di sogni.

Sì, perché a cinquantadue anni suonati ho molti più sogni di quanti non ne avessi da ragazzo. Sono tutti molto raggiungibili a differenza di quelli di allora. La sostanziale differenza è una maggiore consapevolezza unita ad un cinismo che aumenta giorno dopo giorno.

Forse cinismo non è la parola giusta. Forse sarebbe più corretto usare il termine realisimo. Consapevolezza del fatto che la maggior parte delle persone deluderanno le tue aspettative. Piena convinzione del fatto che la stupidità, la scarsa ragionevolezza, l’egoismo rispettano pienamente la seconda legge della termodinamica.

Una decisa mancanza di aspettative nei confronti degli altri.

Per il resto sarò quello di sempre. Più presente dal vero, meno presente virtualmente in una realtà che non mi rappresenta.

E adesso vado a mettere le mani su una delle mie chitarre che sono giorni che non suono. Schiena permettendo.

Ai fornelli

Con i ragazzi ancora per casa, ieri sera abbiamo deciso che questa mattina non avremmo messo la sveglia per regalarci qualche ora di sonno in più.

Intorno alle otto del mattino vengo risvegliato da rumori che provengono dalla cucina. Il classico suono dei piatti che vengono rimossi dalla lavastavoglie e che vengono impilati prima di essere messi a posto. Il clangore delle posate che sbattono una contro l’altra prima di finire nel casetto. Lo sportello del frigorifero che si apre.

Rumore di uova che vengono rotte e poi sbattute.

Non mi preoccupo più di tanto e lascio fare. Mi alzo con calma e vado a farmi una doccia subito seguita da una bella rasatura.

Dopo una ventina di minuti scendo in cucina.

Trovo Lorenzo ancora in pigiama davanti ai fornelli.

Questa mattina ha deciso di preparare la colazione per tutti e si è messo a cucinare delle crepes. Mi stupisce per due ordini di motivi.

Il primo è che non ho idea di come lui possa sapere come cucinare delle crepes. In realtà si è cercato in cucina tutti gli ingredienti ed è stato anche piuttosto abile a trovare delle alternative per ingredienti che mancavano. Da tempo non più zucchero raffinato ma solo zucchero di canna. Lui ha sostituito lo zucchero raffinato con lo zucchero di canna comprendendo anche che doveva dosarane un pochino di più perché è meno dolce dello zucchero normale.

La seconda cosa che mi stupisce sta nel fatto che ha preparato la colazione per tutti e non solo per lui. Fino a qualche tempo fa questo non sarebbe successo. Lui si sarebbe preparato la sua colazione e gli altri si sarebbero dovuti arrangiare.

Ora è ancora in cucina e sono curioso di vedere il risultato finale.

Vediamo se il mio sogno si realizza: sistemerà tutto in lavastoviglie alla fine dell’impresa?

Service Design…

Mi trovo costretto a recarmi presso una istituzione che rilascia visti di ingresso per un paese arabo. Il sito online è di una lentezza inenarrabile ma, dopo diverse traversie, arrivi alla fine e riesci ad ottenere il tuo appuntamento.

La lettera finale ti ricorda di presentarsi almeno quindici minuti prima dell’appuntamento ma non con un anticipo superiore ai trenta minuti. Ci sta. Giusto non sovraffollare la sala di attesa.

Manca un piccolo particolare… mi avete fatto scegliere la città dove richiedere il visto ma nella lettera con l’orario dell’appuntamento, la lista dei documenti necessari e diverse altre informazioni, manca il luogo nel quale mi devo recare.

Ricerca nel sito web e deduzione che quello potrebbe essere l’indirizzo giusto.

Arrivo con venti minuti di anticipo e quindi esattamente nella finestra richiesta. Un simpaticissimo totem all’ingresso dell’ufficio mi chiede di fargli leggere il codice a barre della prenotazione per emettere il bigliettino che attesta che sono arrivato nel posto giusto e per farmi capire quando sarà il mio turno.

Sottopongo il mio bellissimo codice a barre ed il totem risponde: “Non è possibile la stampa del ticket con un anticipo superiore ai quindici minuti rispetto al proprio appuntamento”.

Ecco…

Perché???

E comunque per la seconda volta non sono riuscito ad ottenere il mio visto.

Pasta alla carbonara

Il periodo di festa oramai volge al termine.

Sono stato molto con i miei figli in questi giorni e ci siamo divertiti un sacco.

Il maggiore, e più soddisfacente, traguardo è stato insegnare a Lorenzo a cucinare una egregia pasta alla carbonara.

Stranamente il ragazzo è particolarmente attratto dalla cucina e devo ammettere che gli riesce anche bene. Ha cucinato in totale autonomia un risotto allo zafferano e salsiccia di tutto rilievo.

Grandi soddisfazioni!

Anno nuovo?

In occasione del nuovo anno ho deciso che non è affatto tempo di bilanci, programmi, buoni propositi od altro.

Da tempo mi sono sottratto a qualsiasi condivisione virtuale e ho dedicato la maggior parte delle mie energie ad incontri reali piuttosto che a chiacchiere via tastiera.

Nonostante tutto, ogni tanto, qualche giro ce lo faccio ancora e in questi giorni vedo feste, facce sorridenti, proclami di grandi iniziative per il nuovo anno, grandi amori e un buonismo diffuso che oramai fatico a tollerare.

Dirò solo che il mio 2019 è per la maggior parte un anno da dimenticare. Senza infamia e senza lode e quindi del tutto neutro. Tutto dovrebbe avere un carattere più marcato e non semplicemente qualcosa che scorre giorno dopo giorno.

Personalmente e professionalmente non sono soddisfatto di quello che è accaduto. Occasioni perdute, rabbia, rimorsi, confronti più o meno accesi.

Mi sono proprio stufato di tutto questo.

Adesso salgo in camera, mi infilo le mie scarpe da corsa e mi vado a fare la prima corsa dell’anno. Un’ora sul lungolago di Laglio pensando agli affari miei e alle cose di cui mi prenderò cura da qui in avanti.

E che i coglioni rimangano i coglioni di sempre. Abbiamo capito che non vi è alcuna speranza di redenzione.

Roma

E poi ti ritrovi a dovere spendere dieci giorni consecutivi a Roma. Deicidi che non hai voglia di tornare a casa per il fine settimana. E’ Ottobre, questo fine settimana i ragazzi staranno con la mamma ed il clima è semplicemente fantastico. Jeans e t-shirt sono la norma.

Decici quindi di spendere il tuo tempo camminando per la città senza una meta precisa. Dalla periferia al centro e viceversa per due giorni. In totale quasi quaranta chilometri passo dopo passo per questa città incredibile.

Ritorni vero quei luoghi in cui sei stato felice. Qualcuno scrisse: “Non tornare mai in quei luoghi dove sei stato felice. Non sarà mai la stessa cosa”. Ecco, non è vero. Ritornare in quei luoghi ti permette di fare pace con il passato. Annulla tutto e ti permette di tenerti la parte buona di quello che è stato. Se non altro posso dire che per me è stato così.

E poi cammini, e cammini, e cammini. Ti fermi ad osservare particolari. Quelli piccoli. Quelli che ti sfuggono quando sei in macchina. Ogni angolo ha un suo fascino.

Ti fermi ad ascoltare le persone che chiacchierano. Osservi una città in movimento più o meno lento e te ne innamori, nuovamente.

Roma è una città che ha una incredibile forza. Quelli fighi direbbero che è un luogo dotato di una resilienza naturale. Nonostante tutto quello che accade di negativo nel suo ecosistema, comunque resiste. In qualche modo reagisce. A modo suo.

E se è vero che i manti stradali sono un disastro, i rifiuti si accumulano, il traffico è impazzito e altre decine di cose fastidiosissime per la quotidianità ò altrettanto vero che c’è una forza che sostiene la città. Non ne riesco a percepire la natura ma la sento.

E così cammino ancora, e ancora.

Il sole comincia a tramontare e la luce diminuisce.

Ci sei stato dentro per due giorni. Due giorni veri. Due giorni come ce ne sono pochi perché ci dimentichiamo di viverli e semplicemente ci facciamo trasportare dalla nostra agenda personale e lavorativa.

Sono stanco ma questa notte dormirò come un fanciullo. E più sereno di quando ero arrivato.

Grazie Roma!

 

Sicurezza…

In questi ultimi giorni leggo molto di cybersecurity. E’ un argomento che mi ha sempre molto affascinato e che in passato ho praticato. Oggi la quantità di strumenti a disposizione è esponenzialmente più alta rispetto ad una quindicina di anni fa.

Rimane il fatto che la sicurezza fisica è forse una delle falle maggiormente sfruttabili da un attaccante e una delle cose maggiormente sottovalutata dalle aziende. Questo è dovuto al fatto che non è un tema legato alla tecnologia ma, piuttosto, alla cultura. Tutti sappiamo come cambiare la cultura aziendale riguardo un argomento sia un tema duro come il ferro.

Questa sera devo parlare in un luogo fighetto e sono stato invitato a presenziare all’evento per tutta la sua durata. Niente di che. Normale amministrazione.

Durante la pausa per il pranzo in una bellissima location storica mi avvicino alla finestra di un ufficio e vedo appoggiata contro il vetro la statola di un router. Il lato esposto alla finestra è quello con la classicissima etichetta di prodotto. Nome del vendor, modello del router, serial number, ESSID e, magia, password WiFi.

Prendo nota della password. Una password assolutamente sicura. Una sequenza decisamente casuale di lettere maiuscole e minuscole e numeri. Perfetta secondo i crismi della creazione di una password sicura.

Con il telefono in mano comincio a girare intorno e non ci metto molto a trovare la rete WiFi in questione. 5 secondi dopo sono collegato alla rete WiFi usando le credenziali di cui sopra. Ovviamente non mi sono spinto oltre per non finire in gattabuia ma da lì in avanti uno capace avrebbe potuto trovare cose interessanti sulla rete.

Ecco un perfetto esempio di come un semplice gesto come appoggiare una scatola sul davanzale di una finestra possa diventare un rischio per la sicurezza dei proprio sistemi. Ovviamente non c’è robustezza o sicurezza che tenga quando ci sono errori di questo genere. Giusto per la cronaca ricordo di avere visto diversi video che mostravano red teams all’opera e, molto spesso, il loro lavoro partiva dall’aspetto fisico e sociale delle azienda prima ancora che con la solidità dei sistemi informativi.

Ancora una volta: la cultura fallisce molto più spesso della tecnologia.

Eventi

Ieri ho partecipato ad un evento per il quale mi è stato chiesto un intervento. Chiacchiere sul design e sulle cause del fallimento di progetti di design. Argomento interessante anche se non proprio strappamutande.

L’evento aveva, credo, sei stream paralleli con temi molto diversi. Alla fine nella sala in cui ero io ci saranno state una ventina di persone ad ascoltare le mie fregnacce. Poche.

Al termine dell’intervento tutti sono volati via.

Mi sono chiesto se questo genere di cose abbiano ancora un qualche genere di senso. Mi spiego meglio. Oramai gli eventi sono talmente tanti che, volendo, potresti non passare una singola giornata in ufficio e, spesso, mangiare e bere gratis. C’è una offerta enorme.

A questo punto viene da domandarsi se esista davvero una mole di speaker di alta qualità tale da soddisfare questa enorme richiesta di chiacchiere. Mi ci metto dentro anche io, ovviamente. Io, personalmente, cerco di ridurre al minimo gli interventi tra loro diversi. Generalmente ogni hanno sforno al massimo due presentazioni serie da usare in tutti gli eventi ai quali partecipo. Questo perché ci voglio mettere pensiero dentro e metterci pensiero richiede tempo e sudore. Non è parlare per parlare o soddisfare il proprio ego. E’ parlare per dire qualcosa di utile.

C’è da domandarsi se non sia il caso di cambiare la forma con la quale i programmi di questi eventi vengono comunicati. Forse non basta più il titolo dell’intervento, il nome dello speaker e la sua biografia. Bisognerebbe entrare più in profondità. Forse pubblicare il materiale in anticipo aiuterebbe le persone a capire se davvero quell’intervento vale il loro tempo. Idealmente mi immagino un programma interattivo con il quale le persone e lo speaker possono interagire prima dell’evento. Una forma nuova di ingaggio che non sia totalmente passiva come lo è oggi.

Credo che sia il caso di utilizzare in maniera migliore il tempo che abbiamo a disposizione ed io, in qualità di speaker, ho sempre molto rispetto del tempo che le persone mi dedicano.

Forse per questa ragione faccio un pochino il prezioso riguardo alla mia presenza.

Hack the box!

Una pioggia leggera mi toglie ogni desiderio di uscire di casa nella serata di ieri. Ho il computer sul tavolino davanti al divano e decido di farmi un giretto su YouTube.

Mi guardo un paio di talk dell’ultima edizione di Blackhat e mi dico che tutto sommato ci si potrebbe divertire un pochino. Data la responsabilità che l’età impone decido che è meglio evitare di trovarsi la Polizia Postale alla parta di casa e per questo cerco qualche alternativa altrettanto divertente ma che non richieda il compimento di nessun reato.

Dopo cinque minuti di ricerche mi ritrovo su hackthebox.eu. Esattamente quello che cercavo. Esploro il sito per qualche tempo e decido che sembra abbastanza divertente e, sopratutto, sicuro dal punto di vista legale.

A questo punto clicco sul link “Join” e subito la cosa diventa molto divertente. Per potersi iscrivere al sito è necessario un codice di invito. Ricordando gli insegnamenti del passato leggo la pagina con attenzione ed infatti: “Feel free to hack your way in :)”

Chiarissimo.

Dopo circa quindici minuti avevo il mio codice di invito per registrarmi. Alla fine per rendere le cose un pochino più divertenti, almeno per questa prima challenge, ho scritto l’algoritmo per la decodifica di una stringa Base64 in Python. Dopo tantissimi anni andare a rileggersi un RFC per capire come funziona una cosa mi ha dato grande soddisfazione. (Per la cronaca: https://tools.ietf.org/html/rfc4648)

Livello di difficoltà 0–

Una mezz’ora di relax e distanza dalle menate quotidiane.

Se domani sera trovo qualche oretta, e la voglia, comincio a mettere le mani sulla mia prima “machine”.

Comunque capisco, un argomento decisamente “scacciafiga“. Tollerate con pazienza un nerd anziano.

P.S. Il sito ha un tier free che trovo perfettamente adatto al mio desiderio di giocare. In caso contrario dovete smollare 10 GBP al mese.

La password

Sono anni che uso una applicazione per gestire tutte le mie password e l’insieme dei miei dati sensibili. Questo mi permette di dovermi ricordare una sola parola chiave per avere accesso alle quasi 2500 password che nel corso degli anni si sono accumulate. Data l’età anagrafica non è poco.

Proprio per via della età ogni tanto faccio comunque casino e mi perdo qualche cosa. Oggi mi sono trovato nella condizione di dovere fare un pagamento dal mio conto Widiba e la password memorizzata nel mio password manager non era corretta. Evidentemente devo avere compiuto un accesso da mobile tempo addietro, mi deve essere stato richiesto un cambio di password e lo ho fatto senza utilizzare la mia applicazione per la gestione delle password. Sintesi: non posso accedere al mio conto proprio nel momento in cui devo fare un pagamento entro oggi.

Ho sempre considerato Widiba come un servizio ottimamente progettato e una sorta di benchmark in Italia per la categoria. Questo sino a che non ho dovuto recuperare la password.

Procedimento:

  • Vai sul sito di Widiba e dalla finestra del login selezioni “Recupera dati di accesso”.
  • Ti viene chiesto di inserire il tuo codice fiscale e, una volta fatto, vieni informato che la tua richiesta di recupero della password è iniziata.
  • Non ricevi nulla via posta elettronica.
  • Ricevi una telefonata da un numero che non hai in rubrica. (Va detto che è mio costume non rispondere mai a numeri che non ho in rubrica).
  • Il signore, o la signorina in questo caso, ti dice che per eseguire un cambio della password devi mandare un messaggio (ho scelto WhatsApp) al numero che lei ti fornisce e che contenga la parola chiave segretissima che lei ti dice.
  • Una volta che qualcuno avrà visto questo video ti verranno inviate le istruzioni per cambiare la password.

Non vi sembra un pochino complicato? Va bene la trasformazione digitale e che tutti abbiamo WhatsApp e ci piace un casino fare video e siamo tutti molto gggiovani e cazzi e mazzi… Sta di fatto che nel 2019 per cambiare password non ci posso mettere 8 ore…

Oltretutto cara Widiba sai benissimo quale è il mio numero di cellulare e quindi uno straccio di OTP me lo puoi anche mandare là senza tutte queste menate.

Anche nelle cose migliori manca sempre quel quid che potrebbe renderle perfette.

Cara INPS, se non pago i contributi della babysitter entro stasera è colpa di Widiba, non mia. Sappilo!

Compiti

Aiuto Beatrice con i suoi compiti.

Questa settimana abbiamo a che fare con il completamento di un esercizio per l’Ora di Codice e con la creazione di grafici sul computer.

Arriva con il suo portatile e la vedo scioltissima nel collegarsi al sito sul quale deve eseguire l’esercizio sull’Ora di Codice. E’ venuta da me chiedendomi aiuto ma vedo che procede spedita in autonomia nella soluzione dei problemi che le vengono sottoposti. Evidentemente il lavoro che ha fatto durante i vari eventi Coderdojo cui ha partecipato in passato ha dato i suoi frutti. Completa il tutto in una decina di minuti. Non ha mai avuto bisogno di aiuto e le riconosco delle discrete doti di astrazione nella soluzione dei problemi. Qualche osservazione ben fatta mi fa sorridere.

Ai miei tempi queste cose non c’erano e chi appartiene alla mia generazione ha seguito tutt’altre strade per arrivare, con grandissimo ritardo rispetto ai coetanei di Beatrice, alla stessa consapevolezza. Io ho consumato tre o quattro copie del Kernighan e Ritchie qualche anno dopo la sua età e con difficoltà molto maggiori. Questo senza contare il fatto che avere a portata di mano un compilatore nel 1980 non era proprio una cosa facilissima.

Stessa scioltezza con la creazione dei grafici. Il libro di testo è evidentemente orientato a realizzare il compito usando Excel ma Beatrice usa un Mac. Si è quindi mossa per capire come gli stessi concetti potessero essere trasposti su Numbers. Rimango stupito anche in questo caso. Sciolta e veloce. Oltretutto con un discreto senso estetico e una chiara consapevolezza del valore degli spazi negativi.

Non mi ha mai chiesto aiuto ma mi ha solo voluto vicino in caso di necessità. Tutto sommato dovrebbe questa la funzione di un padre.

 

Leggerezza perduta, forse.

E poi ti svegli tardi in una mattina di Ottobre. Gli ultimi quattro giorni spesi a letto con la febbre alta, la bronchite e troppo, troppo tempo per pensare.

Una di quelle mattine in cui ti piacerebbe risentire la voce di tua madre dal piano di sotto che ti esorta a darti da fare: “Alessandro, non sarebbe il caso di alzarsi e fare qualcosa di utile?”.

Scendere in cucina per fare una colazione tardiva, quasi un brunch come direbbero quelli fighi. Incrociare lo sguardo di tuo padre in salotto nella sua solita poltrona ed il suo solito giornale. Il sopracciglio alzato, massimo segno della sua disapprovazione.

Assenza di consapevolezza nei riguardi delle proprie responsabilità. O, forse, totale assenza di responsabilità che non siano quelle di portarsi a casa un anno scolastico con dei voti decenti. Nulla di più. La leggerezza di questa situazione e, ancora, l’infinita serie di opzioni che hai davanti a te. Tu non lo sai.

Avere la consapevolezza dei miei 52 anni e la leggerezza dei miei 18 anni.

Un abbraccio in più a mio padre che, troppo spesso, aveva ragione e non lo ho mai riconosciuto. Piuttosto, il contrario. La determinazione di mia madre nei nostri confronti che ho troppo spesso confuso con troppo rigore.

Eppure non tutto è perduto. Quella leggerezza è ancora lì. E’ semplicemente sepolta nel quotidiano, nei doveri più o meno stringenti. Nella normalizzazione che ci viene imposta dai ruoli e dalla società.

E infine ti ritrovi a cucinare una crostata con tua figlia ascoltando i rumori del lago. La farina, il burro e lo zucchero che si spargono sul tavolo e sul pavimento. Sporcano i nostri vestiti e noi ce ne freghiamo ridendo come due ragazzini. Lei una ragazzina lo è. Io sono tornato indietro a quella leggerezza che pensavo perduta per sempre. In fondo, è solo una convenzione imposta. Nulla di più, nulla di meno. E’ davvero tutto inventato.

E anche il pensiero dei coglioni che ti circondano diventa più leggero. Non sanno, non sapranno mai. E va bene così.

Ora vado, ché la crostata è quasi pronta.

Metterla giù dura…

“… l’importante è sapersi prendere in giro come faceva Jacques Tati e anche non metterla giù troppo dura con questo design, prendere la società com’è.” – Achille Castiglioni

Ecco! Questa è esattamente la sintesi del mio pensiero quando penso al design, qualunque tipo di design.

Da un lato la necessità di fare le cose per bene. A regola d’arte come si usava dire un tempo. Essere dei professionisti con delle basi solide che poco lasciano alla improvvisazione.

Al centro la necessità di non prendersi mai troppo sul serio. Chi mi conosce mi ha spesso sentito affermare che “non faccio il neurochirurgo. Non salvo la vita a nessuno”. Questo mi lascia lo spazio necessario, e abbondante, per non prendermi troppo sul serio e per non prendere troppo sul serio quello che faccio.

All’altro confine di Achille Castiglioni: “… non metterla giù troppo dura con questo design.”

Lo dico con cognizione di causa. Ho avuto modo di lavorare con qualcuno che la metteva veramente giù dura, durissima, con il design. Vi assicuro non porta nulla di buono se non una insana esaltazione del proprio ego. Ripeto. Non facciamo i neurochirurghi e non salviamo la vita di nessuno. Avrei dovuto lasciare una stele: “Alexander hic fuit”.

Abbiamo la grande fortuna di fare un lavoro affascinante e non vedo per quale motivo dobbiamo vestirlo di qualcosa che non è. Perché dobbiamo renderlo greve e difficile?

Quindi: “in medio stat virtus”

Ricerca della bellezza, della utilità, della funzione, della leggerezza e dell’equilibrio.

Tutto il resto sono cazzate, davvero.

Malsane abitudini

Ho avuto uno scontro piuttosto acceso, almeno per quanta riguarda la mia controparte, sull’uso di uno strumento di e-banking.

Use Case: Sono una delle due persone che ha credenziali dispositive sui nostri conti aziendali in Svizzera ed in Italia. In Italia usiamo una banca, di cui non farò il nome, che ha uno strumento di e-banking tanto usabile quanto un carro armato in un negozio di cristallerie ungheresi. Per questa ragione ricevo messaggi dalla mia amministrazione che mi chiede di eseguire dei pagamenti più o meno programmati. Ogni volta perdo tra i quindici e i trenta minuti alla ricerca dei pagamenti in questione. Questo perché i pagamenti sono divisi in una ventina di categorie diverse sepolte in altrettanti voci di menu.

Siamo nel 2019 e la mia osservazione è stata che questo è inaccettabile. Ho chiesto al mio CFO di mettersi in modo per trovare un altro istituto di credito che mettesse gli utenti in grado di creare valore con il loro tempo invece di perderlo navigando nei loro sistemi.

Dall’altro lato della barricata abbiamo i nostri azionisti di maggioranza che con l’istituto di credito esistente hanno sempre convissuto felicemente.

Alla mia rimostranza mi è stato detto che se non in grado di capire dove si trova un pagamento forse sarebbe il caso che lo facessi fare a che ne è capace.

Mi è cresciuta una grande rabbia e confesso di avere risposto male.

Ripensando a quanto accaduto ho riflettuto su degli aspetti che sono chiave nel mondo fisico/digitale di oggi.

1. Ci sono persone che sono nate con una certa ondata digitale, più o meno vecchia, ed il cui cervello ha imparato a superare tutti gli errori di progettazione commessi. Il loro cervello ha oramai imparato dei percorsi standard e si limita a replicarli.

2. Questo li rende assolutamente impermeabili al fatto che è possibile una progettazione intorno all’utente e non intorno al servizio. Qualsiasi iniziativa digitale ed esperienzale è un fallimento con questi soggetti. Il rischio di un rigetto totale rispetto alle abitudini consolidate è enorme.

3. Sorge il sospetto che una certa farraginosità sia costruita ad arte per fare in modo che il processo sia lungo e tortuoso. Una sorta di job generator.

4. L’abitudine che si crea a questi orrori di usabilità è da combattere con tutte le forze e tu, da utente, la combatti con il tuo portafoglio e le tue scelte. Se l’usabilità di un servizio fa cagare, fallo notare e cambia fornitore. Se continuiamo a giustificare questi orrori non cambierà mai nulla. (Considerazione di carattere più generale, ovviamente)

5. Cazzo, un pagamento è un pagamento. Per quale motivo me li devi frammentare in settecento opzioni diverse. Il mio cervello assume semplicemente che devo dare dei quattrini a qualcuno e poco mi frega del tecnicismo relativo al pagamento. Di questo si occupi la piattaforma.

Fine della tirata.