Le notifiche

Qualche tempo addietro scrissi di come decisi di disabilitare tutte le notifiche sui miei telefoni cellulari e sul mio personal computer. Tutto da allora viene consumato solo quando lo desidero.

Solo la mia famiglia ha accesso diretto alla mia attenzione da allora.

Riflettevo recentemente sul significato personale delle notifiche e sono giunto alla conclusione che si tratta di un meccanismo di gratificazione istantanea per chi le riceve.

Mi spiego meglio.

Un notifica di un commento su Facebook, un like su un post, un mi piace su una fotografia sono una affermazione dell’essere, una conferma dell’esistenza e della rilevanza di chi le riceve.

Sono uno strumento per darci l’impressione che c’è qualcuno che sta pensando a noi. Ho scritto “darci l’impressione” a proposito.

Io penso che ci siano diversi aspetti da considerare in relazione a questa dinamica.

La prima considerazione riguarda il fatto che la notifica vive solo ed esclusivamente su un substrato di silicio ed in un mondo totalmente virtuale. Non è il mondo reale, non esiste se non in qualche data center che lo ospita.

La seconda considerazione riguarda il fatto che ogni notifica trascina con sè un effetto secondario che spesso è più rilevante dell’effetto primario. Chi mette un like sembra dirci “hey, ho apprezzato questa cosa” ma in realtà ci comunica anche “… adesso dammi la tua attenzione e confermami che esisto anche io”. Quante volte vi è capitato di mettere un link ad un commento su un vostro intervento_

Infine è importante considerare una notifica come un “interrupt non mascherabile” rispetto a qualsiasi cosa tu stia facendo nella vita reale. E’ impossibile resistere al richiamo di questa sirena che ha l’effetto di farci lasciare il mondo reale per immergerci in un mondo virtuale spesso viziato dalle sue stesse dinamiche.

Le mie notifiche continuano ad essere completamente disabilitate. Il mondo reale mi piace ancora molto di più di quello virtuale, anche se lì sembra che invecchi meno velocemente.

La presentazione

In questo fine settimana mi sono dovuto occupare della finalizzazione di una proposta molto importante. Il progetto a cui è legata ha subito una accelerazione talmente forte che non si poteva evitare.

A questo si aggiunge che sono da solo con i bambini per un impegno di mia moglie e quindi tra tutto mi sono trovato a dovere incastrare tutta la logistica del fine settimana.

Pochi minuti fa ho terminato il primo draft che sostanzialmente sono i contenuti e la sequenza logica della proposta e un minimo, ma proprio un minimo di forma.

C’è ancora molto lavoro da fare prima che sia condivisibile con chi la deve ricevere.

Nel frattempo arriva Lorenzo che mi chiede di aiutarlo con il suo nuovo video su Minecraft per YouTube. Per qualche secondo ho pensato di dirgli che non avevo tempo da dedicargli per questa sua passione ma ho immediatamente cambiato idea.

Ho chiuso Keynote, ed il suo fratello minore PowerPoint,  e ho lanciato iMovie per aiutarlo nel montaggio del suo video. Abbiamo passato un’oretta insieme a decidere come tagliare il video, quale frame scegliere per la copertina e a decidere cosa mettere dovre.

Abbiamo pubblicato il video su YouTube e dopo qualche minuti è tornato trionfante da me dicendomi che aveva già dodici visualizzazioni e cinque like.

Il sorriso che aveva sul volto vale il tempo che spenderò stanotte per finalizzare la presentazione.

Tutto questo per dire che loro hanno la precedenza su tutto e che, nonostante la tentazione, non si deve cedere.

In subordine è importante il fatto che ci sia qualcuno che abbia il desiderio di darti una mano. In questo caso Luca, il luminoso leader, che si è offerto di darmi una mano, in questo caso direi due, sul lato estetico della presentazione.

E poi ti chiedono per quale motivo lavori in Sketchin.

La leggerezza della comunicazione

Che comunicare sia un’arte è fuori di dubbio.

Già coloro che sono esperti in quest’arte si ritrovano a gestire degli sfondoni di tanto in tanto, figuriamoci quelli che si sentono addosso la pressione di dovere comunicare fantastiche iniziative che rompano con il passato.

La giunta capitolina annuncia che grazie ad un accordo di co-marketing con Atac:

D’ora in poi l’abbonamento annuale del trasporto pubblico, per i perseguitati razziali sopravvissuti ai campi di sterminio e residenti a Roma, è gratuito.

L’annuncio, scarno, qui.

Diciamo innanzitutto che in sé e per sé la cosa è lodevole.

Peccato che nel contesto sia una vera e propria manifestazione di ingenuità e voglia di strafare con annunci roboanti.

Il numero di dei perseguitati razziali sopravvissuti ai campi di sterminio e residenti a Roma si stima in meno di dieci unità. Grazie alle leggi esistenti questi dieci già potrebbero viaggiare a costo zero, ammesso che vogliano farlo con i mezzi dell’Atac.

Se si tratta di una operazione di co-marketing fatta come si deve sul sito di Atac dovrebbe esserci qualche genere di comunicazione a supporto dell’iniziativa.

Ora, a parte il sito che mi fa lacrimare le pupille, ci ho girato per una quindicina di minuti senza riuscire a trovare una sola parola su questa iniziativa. Anche una ricerca sul sito non porta a nessuna nota o comunicazione.

Dilettanti allo sbaraglio.

Non entro nemmeno nel merito del mio desiderio di sapere come si articola questa operazione di co-marketing dato che sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

E questo sarebbe il tanto atteso cambiamento?

“Io faccio l’AD”

Questo pomeriggio girellavo per LinkedIn alla ricerca di un paio di informazioni su dei miei contatti di cui non ricordavo più i riferimenti e con i quali ho bisogno di rimettermi in contatto.

Dopo avere fatto questo mi sono fatto il mio consueto giro in home page e mi sono imbattuto in una interessante polemica.

Sostanzialmente un amministratore delegato di una azienda che si trova in una provincia non proprio allettante lamenta il fatto che non riesce a trovare personale per coprire posizione aperte e adduce come motivazione il fatto che, semplifico, le persone non hanno voglia di sbattersi anche se non hanno lavoro.

Ovviamente segue il consueto putiferio con schieramenti a favore o contro la presa di posizione.

Tra i commenti si scorge anche qualcuno che dice che si è candidato ma che, non avendo mai ricevuto risposta, chiede spiegazioni all’amministratore delegato.

Lesa maestà. L’AD risponde che lui di lavoro fa l’amministratore delegato e che esiste una funzione dedicata, le risorse umane, per occuparsi di queste questioni.

Ecco, caro amministratore delegato, hai appena dimostrato per quale motivi non vale la pena lavorare per te.

Hai appena dimostrato diverse cosette che mi preme farti notare qualora ti fossero sfuggite:

  • Hai appena dato del mentecatto alle tue persone che lavorano nelle risorse umane. Secondo il tuo commento loro si occupano di questioni che sono troppo leggere per essere gestire dall’AD.
  • Hai brillantemente dimostrato che per te essere AD è uno status quo e che, di conseguenza, te la tiri.
  • Hai dimostrato che possiedi un titolo ma non il carisma per essere un amministratore delegato degno di questo nome. Uno che il carisma lo possiede avrebbe preso il telefono, verificato la situazione e dato una risposta.

Vero è che ormai tendo ad essere puntacazzista su questi temi e magari sono anche troppo pignolo ma a me questa faccenda dei titoli comincia veramente a rompere le palle.

Noto anche che ho scritto troppe parolacce. Che ci volete fare, la settimana va così.

La solitudine del panino

Chi fa un lavoro come il mio si ritrova spesso fermo in un’area di servizio per addentare un panino e rimettersi in viaggio per l’appuntamento successivo.

Considero le aree di servizio come dei non luoghi di una tristezza assoluta e per questo motivo tendo a rimanerci il meno possibile. Spesso evito anche di pranzare o cenare per riuscire ad evitarli.

Al di là della fauna peculiare che li frequenta, tra cui non possiamo non annoverare anche il sottoscritto ciò che mi rende profondamente triste è la qualità di ciò che viene offerto. Attenzione, qualità espositiva, non di materie prime di cui non saprei dirvi proprio nulla.

Oggi a mezzogiorno mi sono nutrito con il grande classico: Camogli e acqua naturale.

Il Camogli è una istituzione per chiunque frequenti le aree di servizio appartenenti ad una notissima catena. E’ come la torta di mele di Nonna Papera o l’hamburger di Poldo. Ovunque lo trovi sei in quel posto. Vive solo lì, non viene esportato al di fuori della rete autostradale. Poche e rare sono le sue manifestazioni al di fuori dei caselli.

Un tempo era decisamente meglio, più accattivante, più farcito e poteva quasi piacere nella sua semplicità. Voi non lo sapete ma il panino Camogli è nato nel 1981 ed in assoluto è il panino più venduto con almeno 4 milioni di pezzi all’anno. Tanta roba.

Oggi ho contato una misera fettina di prosciutto sovrastata da due fettine di formaggio dello spessore di un foglio di carta velina. Il tutto riposto tra due sproporzionati strati di focaccia.

La solitudine del panino, davvero.

Non che i suoi colleghi di fianco brillasero maggiormente, purtroppo.

Mi sono accontentato della tradizione in attesa di tempi migliori.

Un confronto acceso

Questo pomeriggio ho avuto un confronto piuttosto acceso con il nostro locatore.

Il motivo del contendere consiste nella sua intenzione di introdurre una modifica unilaterale al contratto di locazione senza che questo sia previsto dal contratto in essere e senza alcuna base ragionevole che mi possa indurre ad accettarla.

Per i curiosi stavamo parlando della, oramai memorabile, Tassa di Collegamento che è stata introdotta nel Canton Ticino e che, per il momento, si trova sotto l’analisi del Tribunale Federale. Questo suo status la rende inapplicabile sino a che il tribunale non si sarà pronunciato.

Confesso che per la prima volta dopo circa dieci anni ho veramente perso la pazienza tanto che ad un certo punto della conversazione ho detto che potevamo ritenere conclusa la discussione senza avere raggiunto un accordo.

Ecco, questo è un errore grave.

A coloro che mi leggono e che sono in tenera età mi sento di dire che dovrebbero cercare di non commettere mai errori di questo genere.

Non mi rammarico affatto della durezza del confronto. Questa ci sta tutta e, tutto sommato, mi diverte anche.

L’errore risiede nel fatto non si deve mai abbandonare un tavolo di trattativa chiudendo le porte. Si deve sempre e comunque lascire uno spiraglio attraverso il quale la trattativa, per quanto dura e complessa, possa riprendere.

Reagendo in questo modo mi sono posto in situazione di svantaggio. Una situazione nella quale non vorreste mai trovarvi durante una trattativa.

Certo che è stato piuttosto divertente.

Scrivere una proposta

Con il tema pressante della integrazione con BIP sono diversi mesi che non mi ritrovavo nella situazione di dovere scrivere una proposta commerciale.

Al massimo sino ad ora ho dovuto parlare di qualcosa scritto da altri.

Nei mesi passati su questa attività ero un vero fulmine di guerra. Ero in grado di scrivere proposte, sensate, in tempi rapidissimi ed era una cosa che mi riusciva particolarmente facile.

Oggi mi sono trovato a doverne scrivere una ex novo. Diciamo che non era assolutamente una cosa complessa ma, piuttosto, il nostro bread and butter.

Ho incontrato una difficoltà che non mi aspettavo. Ho faticato a navigare tra la stima e la rappresentazione della strategia di progetto. Ho impiegato una valanga di tempo a selezionare le giuste immagini e a scrivere sul contesto di riferimento. La fase di review è stata lunga e faticosa.

In sostanza, non sono più abituato.

Come qualsiasi altra abilità anche quella di scrivere proposte commerciali è un’arte che va praticata e su cui bisogna esercitarsi per non perdere la padronanza del tema e l’agilità nella creazione.

Oggi mi sono sentito veramente molto arrugginito.

LinkedIn (reprise)

Ho già scritto recentemente sugli orrori che ricevo su LinkedIn.

Oggi, purtroppo, ne devo aggiungere uno nuovo…

Tre richieste di contatto a distanza di settimana da persone che ritengo essere “vere”, nel senso che hanno una rete di contatti che non sembra essere campata in aria.

Faccio il mio solito test sociale e accetto.

Ecco, tutte e tre che mi inviano lo stesso, preciso, identico, medesimo messaggio con il quale tentano di vendermi qualcosa.

A tutti e tre ho risposto con copia del messaggio con intestazione “Scopri le differenze”.

Stupefacente.

Skipping a beat

Fino ad ora sono stato molto diligente con questo esperimento. Sino a ieri non avevo mai mancato un appuntamento.

La giornata di ieri è stata molto intensa così come lo è stata quella precedente.

Due giorni spesi con una incredibile quantità di persone brillanti ed intelligenti che mi hanno lasciato con decine di spunti e riflessioni da fare.

Le discussioni sono continuate anche durante il viaggio e una volta arrivato a casa il mio cervello ha continuato ad elaborare quanto era stato detto durante questi giorni. E’ stata una cosa che mi ha preso completamente tanto da farmi dimenticare molte cose.

Tra queste anche il fatto di avere questo appuntamento con Corrente Debole.

Da un lato ho rotto una promessa, almeno per un giorno, dall’altra sono veramnente soddisfatto di avere così tante cose su cui lavorare nei prossimi mesi.

*****S

Mi trovo in questo albergo fighissimo in quel di Rapallo.

Ogni cosa all’interno della stanza ha il logo dell’hotel con tanto di cinque stelle e lettera S ben in evidenza. Sono circondato da pezzi di antiquariato che ad ogni piè sospinto mi ricordano la storia secolare di queste mura.

Dalle finestre si gode una vista sul mare che lascia con il fiato sospeso. Sopratutto la sera quando il sole cala sul mare scomparendo all’orizzonte.

Tutto è molto curato e creato per creare il minor fastidio possibile agli ospiti cercando di anticipare ogni loro necessità per fargli vivere la migliore esperienza possibile durante il loro soggiorno.

Sono stato molto fortunato e ho frequentato molti di questi alberghi durante viaggi di lavoro.

Nonostante tutta questa attenzione ai dettagli ho sempre trovato delle cose che stonano con il contesto:

  • Spesso la doccia, ed in particolare l’erogatore della doccia, è tristemente sotto lo standard delle cinque stelle S. In questo caso particolare è piccolissimo e se apri completamente il rubinetto la pressione dell’acqua è vicina a quella di una condotta forzata di una centrale idroelettrica.
  • L’asciugapelli all’interno della stanza è in grado di erogare solo una leggera brezza calda invece di quel piacevole flusso di aria caldissima che mi piacerebbe avere.
  • Il controllo della temperatura della stanza è assolutamente inusabile. Passi dal caldo tropicale del deserto sahariano al freddo tipico del pack artico.
  • Detesto i letti matrimoniali che hanno due materassi. Quando ci dormo da solo finisco sempre per finire nella giunzione tra i due materassi.
  • Ho una repulsione totale per le grucce che non sono grucce. Mi riferisco a quelle grucce che hanno il sistema di aggancio “proprietario” per evitare che tu te le possa infilare in valigia.

Nonostante questo mi posso considerare un bambino fortunato.

LinkedIn

Continuo a rimanere convinto del fatto che ogni strumento debba essere conosciuto nelle sue dinamiche prima di poterlo usare. La conoscenza ti evita di fare degli sfondoni, nella migliore delle ipotesi. e di risultare assolutamente molesto nella peggiore.

LinkedIn non sfugge a questa regola.

In generale la mia politica su LinkedIn è piuttosto rigida. Difficilmente accetto richieste da persone alle quali non ho mai stretto la mano e scambiato due parole. Le eccezioni sono veramente poche.

Nonostante questo conduco i miei esperimenti sociali e molto spesso accetto richieste di collegamento da perfetti sconosciuti.

Ne nasce un bestiario di tutto rilievo.

Ecco i casi più eclatanti:

  • Conduco una ricerca per una figura da inserire nel mio team. Mi scrive una gentile signorina che si è candidata seguendo le vie tradizionali e testuale: “Buongiorno Dott. Galetto, sono xxx yyy e mi sono candidata per la posizione zzz. Mi chiedevo se fosse possibile vederci per un pranzo per approfondire alcuni aspetti della posizione, ma solo per il pranzo”. Ora, mia cara signorina, mi hai appena dato dell’assatanato e non mi figuro come tu possa esserti fatta questa idea. Soprassiedo e rispondo che è impossibile vedersi per pranzo, ma solo per il pranzo, dato che se pranzassi con tutti i 150 candidati dovrei mettermi in lista d’attesa per un trapianto di fegato.
  • Un’altra gentile signorina mi scrive da una società che si occupa di recruiting e che vuole propormi i servigi della sua società. “Buongiorno Dott. Galletta…”. No, il mio cognome è Galetto, non Galletta. Risposta: “Sono mortificata Dott. Galletto…”. Ci siamo quasi ma non ancora. “Spero che questo non la faccia pensare di non volere parlare con me”. Mah, vedi tu.
  • Un recruiter Inglese mi dice di avere letto il mio profilo e di essere perfetto per una posizione in Vietnam. Bene, facciamoci due chiacchiere. Dopo quaranta minuti di chiacchiere telefoniche mi chiede: “La posizione prevede che lei parli Vietnamita…”. Ora, tesoro mio, dal mio profilo risulta abbastanza evidente che io Vietnamita non parlo nè posso dire che sia una delle lingue insegnate a scuola in Italia. Ma secondo te questa domanda me la devi fare dopo quaranta minuti di chiacchiere?
  • Decine di persone che venti secondi dopo avere accettato il collegamento tentano di venderti la qualunque.
  • Ad oggi conto quattro escort con un profilo LinkedIn molto nascosto in un comune job title. Inutile che cerchiate, sono state immediatamente rimosse. Ora che ci penso questo fa il paio con quella del pranzo. Comincio ad intravedere un pattern. Devo indagare.
  • Tre richieste di collegamento da persone che hanno come foto del profilo quella del loro animale domestico.
  • Due richieste di collegamento da persone che hanno come foto del profilo quella di un supereroe.
  • Una richiesta di collegamento da una persona che ha come foto del profilo la maschera di Guy Fawkes. Ok, questa la stavo per accettare.

Sangue giovane

Io pensavo di averle viste quasi tutte nel rutilante mondo delle startup. Da quella che manda messaggi di posta elettronica quando sarò passato a miglior vita a quella che, nella stessa occasione, promette di trasformarmi in concime per alberi o, cosa molto più fashion, in un diamante che possa essere indossato da uno dei miei cari.

Mi devo ricredere.

Sappiate che esiste una startup che esiste una startup che si chiama Ambrosia che promette trasfusioni di sangue proveniente da donatori con una età compresa tra i 16 ed i 25 anni.

Ambrosia sostiene che una trasfusione di sangue giovane  avrebbe i seguenti effetti positivi:

  • Young blood reverses age-related impairments in cognitive function and synaptic plasticity in mice. Si, per il momento lo studio si limita ai topi ma noi siamo fiduciosi.

  • Young Blood May Hold Key to Reversing Aging. In questo caso si riporta sotto il paragrafo “Science” un articolo del NY Times. Ora io ritengo che NY Times sia una fonte autorevole ma non credo che metterei la mia vita nelle mani di un editore.

  • Efficacy and Safety of Young Health Plasma on Acute Stroke.

  • Young Plasma Transfusions for Progressive Supranuclear Palsy.

  • Young Donor Plasma Transfusion and Age-Related Biomarkers.

Io quasi quasi mi iscrivo. Hai visto mai.

Il perito

Dopo mille peripezie sono finalmente riuscito ad incontrare il perito per la riconsegna della mia macchina giunta, bontà sua, a fine leasing.

Quando mi capitano queste occasioni non posso mai fare a meno di osservare il modo di lavorare di coloro con i quali ho a che fare. È una sorta di deformazione professionale che mi spinge a valutare il lavoro che le persone fanno nell’ottica del Service ed Experience Design.

Diciamo innanzitutto che il perito si è rivelato essere persona gentilissima e molto cortese nei modi nonostante si trovi a dovere svolgere un compito spiacevole. Deve valutare i danni alla vettura e mettermi le mani nel portafogli.

Si è presentato con la sua borsa con un personal computer e per un brevissimo istante ho immaginato che usasse il personal computer per eseguire la perizia. È stato un istante che è durato un battito d’ali. Dopo pochi secondi ha estratto un modulo di carta ed ha usato quello durante tutta la analisi della vettura. In parallelo ha scattato qualche milione di fotografie che neanche la nuova macchina di Formula 1 della Ferrari.

Ovviamente ha dovuto saltare dalla carta alla macchina ad ogni piè sospinto e gli ho visto compiere dei gesti acrobatici degni del Cirque du Soleil.

Una volta terminata l’ispezione mi ha invitato a seguirlo all’interno del concessionario. Ha tirato fuori il suo personal computer e ha cominciato a ricopiare la scheda  cartacea sul suo sitema online. Diciamo che ha speso una ventina di minuti buoni per compiere questa operazione.

Alla fine l’oracolo applicazione sul personal computer ha prodotto un numero che rappresenta l’importo che devo pagare per i danni che lui ha rilevato.

In questo caso mi verrebbe da dire che, tecnicamente, il perito è l’applicazione e lui, al massimo, si è comportato come un rilevatore.

Al termine del processo ho firmato il foglio di carta redatto in sei copie…

Diciamo che anche in questo caso molto si potrebbe fare…

Noleggiare un auto

Devo noleggiare un auto… ovviamente lo faccio online in modo da cercare di risparmiare tempo.

Comincio a cercare la mia auto e finalmente trovo quello che mi piace. Confermo la scelta ed il sito si muove verso il checkout.

Ovviamente mi viene richiesto il nome della persona che condurrà la vettura. Mi viene anche fatto notare che il nome deve ASSOLUTAMENTE essere quello che è riportato sulla patente di guida. Mi sembra una richiesta ragionevole.

Ora molti di voi non sanno che i miei genitori mi hanno affibbiato tre nomi di battesimo. Alessandro, Attilio e Dante e ognuno di essi è riportato su tutti i miei documenti, patente compresa. Provo ad inserire questa pletora di nomi ed il campo della form me lo impedisce limitando la lunghezza a 12 caratteri. Non c’è che dire bravi.

A questo punto inserisco solo Alessandro e mi dico che risolverò il problema quando andrò a ritirare la macchina.

Proseguo nella compilazione del form e mi viene chiesto se voglio accreditare i punti raccolti dal noleggio su un programma di loyalty di una compagnia aerea. Naturalmente sì. mi sembra una ottima idea. Peccato, Alitala non è compresa nella lista.. Nessun problema mi dico, vado avanti.

No, non vado avanti dato che non posso proseguire nella form se non inserisco un partner ed un codice. Per proseguire me ne invento uno.

Alla fine riesco anche a comunicare i dati di pagamento e, forse, a prenotare una macchina per questo pomeriggio.

Che strazio.

Resistere al cambiamento

Di qualsiasi cambiamento si tratti, personale o professionale, c’è sempre resistenza al cambiamento.

La realtà delle cose è che tendiamo sempre a rimanere nella nostra zona confortevole e non vediamo di buon occhio qualsiasi cosa ci allontani da essa.

Questo vale anche per le organizzazioni. Quando due organizzazioni si incontrato entrambe tenderanno ad uniformare l’altra ai propri strumenti e processi.

È quindi naturale che in questi momenti si generi frizione tra i due organismi. È come quando due corpi celesti si avvicinano troppo. Il risultato è sempre catastrofico nei primi momenti ed in seguito i sistemi trovano un loro equilibrio.

Trovo che l’unico modo di evitare questo genere di frizioni sia cercare di spiegare perchè si agisce in un certo modo. Questo elemento è particolarmente critico quando una delle due entità ha una sua cultura che intende preservare ad ogni costo.

Going to the mattresses” non è mai una buona idea in questa casi. Ci si rimette entrambi e, per certo, si lasciano dei cadaveri sul campo.

Certo è che se insisti in un atteggiamento distruttivo non rimane che sfoderare la Thompson.