Come mi drovrei vestire?

Da qualche mese a questa parte mi ritrovo a frequentare il centro di Milano in maniera molto più assidua rispetto al passato. Ritrovarsi a trascorrere la pausa pranzo in un luogo che offre qualche distrazione in più rispetto alla ridente Manno comincia ad assumere un suo valore.

Dopo pranzo ho preso l’abitudine di fare una mezz’oretta di cammino per le prestigiose vie del centro.

Era davvero molto tempo che non avevo l’occasione di osservare da vicino il rutilante mondo della alta moda. Senza soluzione di continuità incontri griffe del calibro di Missoni, Cavalli, Armani e tante altre nuove di cui non avevo nemmeno conoscenza.

Confesso che il mio concetto di eleganza è probabilmente rimasto ancorato al passato. La mia alta uniforme consiste tuttora in un abito a tre bottoni stirato a due, una camicia bianca od azzurra con polsino alla Francese, accessori coordinati con calzini e cravatta e quest’ultima tendenzialmente di Marinella in colori scuri. No big deal.

Oggi facendo scorrere il mio sguardo sul contenuto delle vetrine ho provato a verificare come i grandi stilisti immaginano io debba vestire. Una sola osservazione: “Ma che davero?”

Non sono una grande frequentatore delle notizie e dei trend dell’alta moda ma in questi anni qualcosa deve essere andato decisamente storto.

Ho sempre rifuggito le camicie slim fit, come va di moda chiamarle ora, ma queste non sono camicie slim fit, sono uno strumento di tortura degno della Santa Inquisizione. Dubito che si possa respirare quando indossi una di queste. Al massimo puoi boccheggiare.

Sul colore delle camicie non mi pronuncio. Il bianco e l’azzurro sono banditi da qualsiasi proposizione ed offerta. Sembra che tu debba essere coloratissimo a tutti i costi.

Lo stesso principio si applica ai pantaloni. Strettissimi! Ora, io laggiù ospito qualcosa a cui tengo molto e a cui sono molto affezionato. L’idea di costringere il mio impianto idraulico in un pantalone così stretto non mi attira affatto, senza considerare il fatto che mi verrebbe una voce che Farinelli, lèvati.

Le cravatte sono altrettanto terrificanti e sembrano una esplosione sulla tavolozza di Picasso, lui di per sé già abbastanza complesso in termini di colori.

Anche il tema delle scarpe risulta essere particolarmente articolato. Enorme varietà di stili che non conosco. La zeppa va, comunque, per la maggiore. Il problema è che per portare una zeppa io dovrei probabilmente allenarmi tanto quanto mi servirebbe per attraversare un dirupo su una fune tesa tra le due sponde.

Abbandonando il classico e passando al casual, noto questo stile post-atomico che mi crea una certa ansia. Il suo opposto pare essere altrettanto di moda. Stile minimalista assoluto con orli grezzi, colli alla coreana e colori tenui. Niente da fare. Anche sul casual non ce la facico.

Non mi azzardo nemmeno a parlare di quando è destinato alle signore perchè non è davvero il mio campo.

Guardo queste vetrine e poi mi guardo intorno. In fondo sono tutti vestiti come me. Rivolgo di nuovo il mio sguardo alla vetrina cercando di sbirciare all’interno. Dentro ci sono davvero dei clienti, e credo anche che stiano comprando.

La mia curiosità mi spingerebbe a fermarli all’uscita del negozio e chiedergli quando li mettono quesi vestiti.

Mi astengo perchè di sta facendo tardi.

Insomma, io non ho idea di come questi pensano io mi debba vestire ma credo proprio che, per il momento mi tengo stretti i miei vestiti.

Le scrivo una mail

Complice la giornata di sole abbiamo deciso di saltare in macchina e trascorrere la giornata in montagna. La scelta è ricaduto verso la Val d’Ayas.

Girando per Brusson, Champoluc e Antagndo ci è venuto il desiderio di affittare una casa per il periodo invernale e ci siamo messi a raccogliere numeri di telefono da contattare al nostro ritorno a Milano.

Tra i vari cartelli che abbiamo notato camminando uno ha attirato la nostra attenzione tanto da spingerci a chiamare subito quello che pensavamo essere il proprietario.

Persona gentilissima. Ci ha raccontato la struttura dell’appartamento, la posizione ed i periodi durante i quali sarebbe stato disposto ad affittarlo.

Insomma, normale amministrazione.

Dato che si tratta di cosa che non abbiamo mai fatto abbiamo chiesto il prezzo per farci una idea del mercato degli affitti.

La persona al telefono ci ha risposto: “Mi dia il suo indirizzo di posta elettronica e le mando tutte le informazioni, prezzo compreso”.

Nonostante la nostra insistenza non siamo riusciti a farci dire il costo dell’affitto al telefono. Ci abbiamo provato più volte senza successo.

Questo comportamento mi ha lasciato piuttosto perplesso.

Quali possono essere i motivi che ti spingono a non dare informazioni sul prezzo durante una conversazione telefonica? Non dovrebbe essere tuo interesse eliminare subito dai potenziali clienti tutti quelli che non sono interessati al tuo immobile per motivi di prezzo?

Ci penso e non riesco a capire il motivo.

In generale avrei detto che avrebbe preferito dirci il prezzo per telefono piuttosto che scriverlo in un messaggio di posta elettronica e lasciarne imperitura traccia.

Un’altra possibilità è che volesse verificare attraverso l’indirizzo di posta elettronica che noi si fosse un cliente davvero interessato piuttosto che un perdigiorno o, in alternativa, che si fosse di una agenzia immobiliare che stave semplicemente sondando il mercato per posizionare i suoi appartamenti.

Mistero.

Vedremo nelle prossime telefonate se si tratta di comportamento comune nella valle.

Comunque non ha ancora scritto…

I libri di testo

L’arrivo dei libri di testo a casa è sempre un momento molto emozionante. Io stesso ricordo che passavo i primi tre giorni passando da un libro all’altro ansioso di sapere che cosa avrei imparato in quell’anno scolastico.

Lo stesso avviene per Lorenzo e Beatrice, i miei due figli.

Quest’anno non mi sono voluto fare cogliere impreparato. Ogni genitore con figli nell’arco di età tra i 6 ed i 10 anni sa che la probabilità che i loro figli lascino i libri a scuola nel momento in cui gli serviranno per fare i compiti è pari alla probabilità di spiaccicare un moscerino in un viaggio autostradale tra Milano e Roma.

E’ una certezza assoluta.

Per questo motivo ho deciso di scaricarmi le versioni PDF di tutti i libri di testo.

Povero illuso…

In primo luogo ti devi rendere conto che gli editori dei libri sono tre, Gruppo Editoriale Il Capitello, Rizzoli Education e Mondadori Education.

Ovviamente ti devi registrare su tutti e tre i siti e con procedure più o meno barbare.

In ordine sparso:

  • Il Capitello ti permette di registrare i libri da una applicazione mobile. Figata… Peccato che per farlo ti viene richiesto di dimostrare che sei davvero in possesso del libro fisico. Questo può avvenire in due modi diversi. Puoi usare il bollino della SIAE di cui parlerò dopo oppure puoi inserire i titoli di tre pagine diverse… °Ma che, davero?”… Ora immagino che ci sia un enorme commercio clandestino di libri di testo per le elementari da ostacolare.
  • Dalla applicazione mobile del Capitello non puoi consultare il libro di testo ma per farlo devi scaricare una applicazione sul tuo computer, nel mio caso un Mac. L’applicazione non è firmata per cui ti devi destreggiare tra le impostazioni di sicurezza per fare in modo che si installi.
  • Ovviamente non puoi scaricare il libro in formato PDF ma in un formato proprietario che può essere letto dalla applicazione sul PC di Capitello. Torniamo ancora al timore che tu possa contrabbandare il file PDF sul mercato nero.
  • Anche su Mondadori ti devi registrare e dimostrare di essere in possesso del libro fisico. In questo caso devi usare il bollino della SIAE. Per farlo devi inserire il codice ISBN del libro, il codice contrassegno che consta di 15 caratteri ed il codice seriale fatto di 13 caratteri. Il problema è che il codice è scritto con un fonto corpo 6 ed io sono presbite… Vai alla caccia della lente di ingrandimento per leggere quegli accidenti di numeri.
  • Rizzoli Education ti spinge ovviamente alla registrazione e per loro è sufficiente inserire un PIN che trovi all’interno del libro. Il metodo migliore dei tre. L’unico problema è che non ti dicono che il codice deve essere inserito in maiuscolo.
  • Il libro di Rizzoli lo puoi comunque leggere su una applicazione per PC che devi scaricare ed installare. Anche questa non è firmata e quindi cadi negli stessi problemi di cui per Capitello. Oltre a questo l’applicazione è una accozzaglia male organizzata di bottoni a quadrettoni che non sarebbe neanche male peccato che… Alcuni di questi portano ad altre sezioni della applicazione su PC, altre aprono il browser web su pagine di Rizzoli.

Insomma se dovessi portare queste procedure in una sala test per un test di usabilità sarebbe un disastro totale.

Il disastro vero è che io ci ho perso un’ora del mio sabato pomeriggio!

 

Compila il timesheet!

E’ notizia recente che parte di Sketchin è stata acquisita da Business Integration Partners, dai più conosciuta come BIP.

Nonostante le speculazioni che si fanno intorno a questa novità io rimango convinto del fatto che per noi sia una enorme opportunità.

Come parte delle operazioni di integrazione che sto seguendo mi è stato assegnato un indirizzo di posta elettronica sul dominio di BIP. Niente di particolare, direi routine.

Il problema è che questa semplice cosa ha scatenato una serie di processi collaterali che mi hanno stupito.

Mi è stato assegnato un codice di accesso agli uffici ed insieme a questo un codice di accesso alle code di stampa all’interno degli uffici BIP. Le credenziali che uso per leggere la mia posta elettronica BIP sono le stesse che devo usare per autenticarmi sulla loro rete WiFI.

Mi viene ricordato che la password scade ogni 45 giorni e che deve seguire certe regole nella sostituzione con una nuova.

Per il momento nessuno conosce il mio indirizzo di posta elettronica e per questo motivo ricevo solo quelle mail che sono distribuite a tutta l’organizzazione.

Ora che si avvicina la fine del mese ho ricevuto un bellissimo messaggio di posta elettronica che mi invita a compilare il timesheet. Ovviamente non è un obbligo che ma, evidentemente, le business rules di BIP assumono che chiunque abbia un indirizzo di posta elettronica sul dominio BIP lo debba fare.

Va da sè che non compilerò il timesheet come richiesto.

Quando diversi mesi fa si comincio a lavorare insieme su questo progetto ricordo lo stupore delle persone di BIP nello scoprire che in Sketchin non si fa alcun tipo di timesheet personale, e da diverso tempo.

Ecco, ancora oggi, e per sempre, in Sketchin non si fa il timesheet. Tutto funziona perfettamente anche senza questo strumento. Il tipo di lavoro che facciamo ed il metodo di lavoro che abbiamo sviluppato ci hanno permesso di renderlo obsoleto.

Lo abbiamo usato in passato, ci siamo resi conto che non era più necessario, e lo abbiamo prontamente mandato in pensione.

Si può, davvero.

Le nostre pratiche vengono osservate e mi auguro che Sketchin possa influenzare culturalmente i nostri nuovi colleghi in maniera positiva ed efficace.

Noi siamo abituati a cambiare pelle ogni sei mesi. Non ci fa paura. E’ nel nostro DNA e sempre lo sarà. Siamo molto disponibile a condividere quello che facciamo e come lo facciamo. Se ne volete sapere di più e vivere felici fatevi avanti.

Sapete come trovarmi.

Il cliente “illuminato”

Ci sono occasioni durante le quali ti rendi conto che qualcosa sta davvero cambiando nel panorama lavorativo al quale sei abituato. Cambiamenti sottili, quasi impercettibili. Piccoli movimenti che si manifestano quasi inaspettati.

Capita sempre più spesso di parlare con clienti che sono preparati, sanno quello che vogliono e sono disponibili ad un confronto sano con i loro collaboratori e fonitori.

In alcuni momenti, purtroppo ancora molto rari, ho avuto la netta sensazione che mettendoti sotto contratto volessero davvero qualcuno con cui confrontarsi in maniera attiva sui loro problemi e sui loro progetti. Non più il fornitore che deve fare la pelle di leopardo al cospetto del cliente.

Questo cambiamento di ottica si riflette in maniera decisa sulla età media dei tuoi interlocutori. Finalmente l’età media si sta abbasando ed il Gran Cavalier Lup Mannar si incammina sul viale del tramonto.

Ecco, proprio adesso che io sto compiendo cinquanta anni?

Orario continuato

Ieri sera mi sono trovato nelle condizioni di avere necessità di fare degli acquisti per la logistica della classe di mio figlio in tarda serata.

Alle 20.30 l’unica opzione disponibile era un supermercato in un centro commerciale vicino casa che fa orario continuato sino alle ventiquattro.

Il caso ha voluto che io fossi ancora in alta uniforme. Giacca e pantaloni grigi e camicia azzurra d’ordinanza.

Il supermercato a quell’ora aveva un che di spettrale. Poche persone all’interno e quasi tutti dediti a piccoli acquisti. Giusto il necessario per svoltare la cena.

Un gran parte degli avventori era vestita come me con la differenza che sul loro volto era dipinta una espressione tristissima.

Nessuno di loro aveva un carrello della spesa ma tutti imbracciavano il piccolo cestello da utilizzare per una spesa modesta.

Confesso che la mia curiosità antropologica ha preso il sopravvento e mi sono messo a seguirli ed osservarli.

Il contenuto del cesto vedeva cibi precotti e pane. Qualche salutista aveva dell’Himalaya e della verdura. Spesso una bottiglia piccola di birra.

In almeno due casi su tre essi si muovevano all’interno del supermercato stando al telefono. Tipico caso di contestatore peripatetico.

Le conversazioni erano tutte di lavoro.

Mi sono immaginato questi single costretti ad alimentarsi alla bene è meglio avendo come unica compagnia a rallegrare la serata un collega di lavoro.

Oltretutto un collega di lavoro che ti parla di rogne perché alle nove di sera possono essere solo rogne.

In quel momento mi sono sentito molto fortunato. 

Se è vero che sono stato costretto ad uscire di nuovo la sera tardi per onorare i miei impegni di rappresentante di classe è altrettanto vero che dopo sarei tornato a casa a parlare di Minecraft e bambole.

E, vi assicuro, non è poco.

L’agenda

Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con la mia agenda, sopratutto quella lavorativa.

Giunto alla soglia delle cinquanta primavere il mio obiettivo primario è quello di risparmiare tempo da un lato e proteggere il mio tempo personale dall’altro.

Per questa ragione cerco di evitare il più possibile inutili perdite di tempo. Incontrarsi a tutti i costi non è più necessario. Abbiamo a disposizione strumenti che ci permettono di scambiarci informazioni, anche in tempo reale, estremamente efficienti.

Mi fa piacere stringerti la mano e bere un caffè insieme a te, ma solo se è strettamente necessario.

Se tu provi a fissarmi una riunione alle 19.00 è molto difficile che io accetti. Quello per me è già tempo per la mia famiglia. Le deroghe sono molto poche ed l’urgenza che mi potrebbe spingere ad accettare si avvicina a quella che avrebbe un potenziale colpo di stato per un presidente della Repubblica.

Ti assicuro che possiamo essere efficienti lo stesso e ottenere gli stessi risultati.

Ecco, se tu fossi così cortese da dirmi anche il motivo per il quale mi vuoi incontrare mi saresti estremamente d’aiuto nel prendere la mia decisione. La mia qualifica di fornitore non è sinonimo di schiavo al tuo servizio. Questo è ancora più vero se tendi a relegarmi negli interstizi della tua agenda.

Dai, il nostro tempo ha pari valore. Il mio è prezioso tanto quanto il tuo.

Ti assicuro che costruire un astronave con i Lego ha per me importanza assolutamente maggiore di qualsiasi progetto tu abbia in mente per la mia azienda.

Proviamo a lavorare in maniera diversa e più efficiente.

Funziona. Davvero.

 

La vita degli strumenti

Era una giornata di Novembre e avevo fatti tardi in ufficio non ricordo più per seguire quale stupidaggine.

Sono arrivato a casa e dopo avere abbandonato lo zaino a morire sulla sedia ho deciso che era il caso di distrarsi suonando un pochino di blues.

Mi sono avvicinato alla mia belissima Fender Telecaster e la ho osservata mentre la prendevo in mano. C’era qualcosa che non andava nella sua magnifica finitura butterscotch blonde. Va premesso che quella chitarra la avevo cercata per mesi sul mercato dell’usato. Una reissue dello strumento del 52 con una selezione di pickup del tutto peculiare. Una chitarra assolutamente versatile che può spaziare dal blues, al jazz e al rock senza alcun tipo di problema.

Ho guardato con più attenzione ed il danno era grave ed evidente.

Ho scoperto che la nostra babysitter lo aveva urtato con l’anta di una finestra durante i suoi lavori quotidiani. Un incidente, niente di più.

Ho immediatamente pensato a come fare per risolvere il problema. Avrei dovuto cercare un liutaio che fosse in grado di riverniciarla e portarla al suo stato originale.

Nei giorni successivi ho cominciato a cercare su Internet qualcuno che fosse in grado di aiutarmi ma, con il passare dei giorni, me ne sono quasi dimenticato.

Un sabato pomeriggio mi sono ritrovato ad osservare gli altri strumenti. Ognuno di loro aveva dei segni e delle imperfezioni. Dei piccoli urti dovuti all’usura o piccoli graffi per lo sfregamento. Nessuno di loro era nel suo stato originale.

Questa osservazione mi ha fatto riflettere.

Ho pensato che uno strumento ha una sua vita fatta di note, di utilizzo e di proprietari diversi. Il suo aspetto estetico è il risultato della sua vita e per questo ho pensato che dovesse essere rispettato.

Così come noi siamo nell’aspetto esteriore quello che abbiamo vissuto anche lo strumento manifesta il suo essere nella apparenza e questa apparenza non sarà mai perfetta come quando ha lasciato la fabbrica.

Per questo motivo ho deciso di non intervenire e di lasciare lo strumento così come si trova. Quella è stata la sua vita. Forse il suo valore economico diminuisce, ma la sua anima ne guadagna in esperienza.

La Telecaster fa ancora sfoggio di sè nella sua rastrelliera, insieme alle sue compagne, altrettanto vissute.

 

 

 

I buoni propositi

Insieme a Dicembre, Settembre è il mese dei buoni propositi.

Tutto il marketing dei corsi lo sa benissimo ed è in questo periodo che dà il meglio di se.

C’è una palesta che con soli 23 Euro al mese promette di farmi diventare Beh Hur. Mi piacerebbe conoscere il copy che ha concepito questa cosa. Non ho idea di quale sia il target demografico della palestra ma qualcosa non mi torna. Posso anche concedere che avere un fisico come quello di Carlton Heston possa essere un desiderio di tutto rilievo ma ciò non toglie che Ben Hur è un film del 1959. Vogliamo dire che chi lo ha visto all’epoca sognando il fisico del protagonista avesse almeno 16 anni? Ecco, oggi avrebbe 73 anni. Forse non esattamente il target per una palestra.

Sempre sullo stesso genere abbiamo “Sei brutto e grasso? Sii solo brutto”. Anche questo è un copy decisamente interessante per una palestra. Vero è che si può intervenire sul giro vita con una palestra mentre per tutto il resto serve, probabilmente, un chirurgo estetico di fama internazionale.

Non mancano all’appello i corsi di ballo. Nel caso specifico quasi tutti si affrettano a precisare che non è necessario essere in coppia per iscriversi ad un corso. Saranno loro a procurarti un partner alla bisogna.

Per i più esotici ci sono anche corsi di danza del ventre. In questo caso il partner è sconsigliato ma, per i single, si assicura accasamento in tempi brevissimi al termine della frequenza.

A seguire c’è tutta la corrente enogastronomica. Corsi per diventare sommelier che, se non altro, ti garantiscono di dimenticare i tuoi problemi quotidiani durante le ore di lezione grazie all’oblio dell’alcool. Potresti diventare anche un cucoco professionista e permetterti di competere a livello di Cracco e, magari, raggiungeere anche il suo livello di critica che non lascia scampo.

Non c’è che da scegliere.

Io oggi ho accompagnato la famiglia all’open day (ma non si può scrivere in Italiano che suona bello lo stesso?) di una nota associazione sportiva. Loro hanno provato diverse attività all’interno della struttura. Io no. Quando la signorina mi ha chiesto che cosa volessi provare, io ho risposto: “Il bar.”

Gear Acquisition Syndrome

Ho già confessato di non riuscire a resistere al continuo acquisto di nuovi strumenti musicali, in particolare chitarre.

Qualche giorno fa ho scritto del motivo sentimentale. Dovete sapere che non è il solo motivo che spinge un musicista all’acquisto.

In realtà mi fa molto sorridere definirmi un musicista. Diciamo piuttosto che sono maggiormente paragonabile ad un suonatore di organetto con una scimmietta sulla spalla. La differenza tra me e lui è che io non riesco nemmeno a racimolare quei pochi spiccioli che a lui permettono di sbarcare il lunario.

Se la mia sopravvivenza dipendesse dalle mie abilità come chitarrista sarei destinato ad una vita di stenti.

Il vero motivo per cui tanti musicisti non professionisti continuano a comprare strumenti e accessorri è un altro. E’ la convinzione che una nuova chitarra, un nuovo effetto, un nuovo pickup li renderà dei musicisti migliori.

Si tende a trasferire la causa della propria inabilità allo strumento e non a chi lo suona.

Come tutti sanno una nuova chitarra non ti rende un chitarrista migliore. Un nuovo effetto non rende più fluide le tue articolazioni. E’ la tua mente che te lo suggerisce ma non è così che funziona.

L’unico modo per diventare un musicista migliore è suonare e, se possibile, suonare in compagnia. In compagnia anche solo del proprio iPod e di una band che suona qualsiasi cosa. Suonare, suonare, suonare. Non c’è altra strada.

Se ti chiami Joe Bonamassa puoi suonare anche un asse da stiro.

Io, purtroppo, mi chiamo Alessandro e continuerò a comprare nuovi strumenti.

Lo stai facendo male (reprise)

Stiamo ancora cercando casa. Cercare casa in Svizzera è difficile.

Come ho scritto qualche giorno fa anche essere un locatore è difficile.

Mi hai ripreso per un parcheggio abusivo di cui si è macchiato un componente del nostro team.

Il nostro primo appuntamento non è andato molto bene. Entrando al ristorante hai palpeggiato le mie terga e non ti sei nemmeno scusato. Io sono una gran signora ed ho abbozzato.

Tutto sommato sei carino, hai del potenziale sebbene sepolto molto in profondità e da sgrezzare.

Per questa semplice ragione mi consulto con le amiche su WhatsApp scambiandomi qualche messaggio vocale e decido comunque di concederti una seconda possibilità.

Le mie cicatrici avrebbero dovuto insegnarmi che non si concede mai una seconda possibilità. Ma che ci vuoi fare. Sono una donna di buon cuore.

Purtroppo non ti sei rivelato in grado di sfruttare l’occasione.

Mi porti allo stesso ristorante del nostro ultimo appuntamento. Bello, si. Certo un pochino di iniziativa non avrebbe guastato.

Oggi mi hai fatto notare di essere in ritardo con un pagamento. Io lo so che tu hai ragione ma sei tu che mi devi pagare la cena se vuoi che io ti sposi, non il contrario.

Alzandoti dal tavolo ti sei scusato dicendomi che avevi bisogno del bagno. Non sei più tornato e ho dovuto subire l’umiliazione di pagare il conto da sola.

Mi dispiace. Ho il sospetto che questo matrimonio “non s’ha da fare”.

 

Le chitarre

Fin da ragazzo mi piace suonare la chitarra, specialmente la chitarra elettrica.

Mi piace così tanto da tenerne una in ufficio in compagnia di un piccolo, ma potente, amplificatore valvolare.

La raccolgo quando ho bisogno di distrarmi dalla quotidianità della vita in ufficio.

Ci confesso che non sono mai stato, e non sono nemmeno ora, un bravo chitarrista. Un pochino me la cavo ma non potrei mai nutrirci la mia famiglia.

Nonostante questo sono un acquisitore compulsivo di strumenti e accessori come effetti, plettri, cavi, schede audio.

Io davvero non resisto. C’è sempre quel bottone “Clicca per acquistare” al quale non riesco proprio a resistere.

Nonostante questo abbia un influsso decisamente negativo sui miei punti moglie confesso di avere, credo, almeno sette chitarre diverse.

Davvero, lo so benissimo. Sono troppe e in realtà non mi servirebbero affatto.

La verità è che mi piacciono da impazzire. Mi piace sentirne il peso diverso quando le prendo in mano, il colore e le venature del legno, la sensazione delle dita sulla tastiera ed loro suono distintivo quando le colleghi all’amplificatore.

Un paio di volte alle settimane le riprovo tutte e mi piace sentire il loro peso diverso, il tono dei differenti pickup e le sensazioni che il legno trasmette.

Sono comunque molte di più di quando io abbia realmente bisogno. Non riesco comunque a resistere quando incontro uno strumento che mi chiama, quando lo prendi tra le tue mani e capisci che c’è un feeling. Quello è il momento in cui le mie dita scivolano a prendere la carta di credito.

C’è sempre qualche altro strumento che vorrei aggiungere alla collezione.

Non resisto.

Ma, in fondo, perchè dovrei resistere?

Milano – Roma

La tratta Milano Roma è una tratta molto peculiare.

Che tu la faccia in treno od in aereo vale la stessa considerazione.

E’ una tratta ad altissima densità di fighetti e fighette. Tutti amministratori delegati perennemente al telefono per chiudere l’affare del secolo.

Molti di loro sono tiratissimi nei loro completi scuri e nei loro serissimi tailleur.

Una differenza tra il treno e l’aereo comunque esiste. Tipicamente la tratta in treno ha una durata almeno quattro volte superiore rispetto alla tratta in aereo. Questo fatto, unitamente al placido cullare dovuto al rollio dei binari, concilia il sonno.

Per questa ragione dopo circa un’oretta di viaggio alla maggior parte dei viaggiatori cala la palpebra. Questo è il momento in cui il fighetto, o la fighetta, perde il controllo.

Lui, o lei, prova a resistere alla cecagna ma la testa ciondola sempre più frequentemente sino a che scivolano definitivamente tra le braccia di Morfeo.

In quel momento lo standing subisce un crollo assoluto.

Bocca aperta, respirazione rumorosa e molesta e, nei casi peggiori un filo di bava che riga la guancia.

Molto poco amministratore delegato e molto più infante nel pieno ciclo NPC.

Il bambino di sei anni

Dite la verità e non siate timidi!

Anche voi va venire il latte alle ginocchia quando un cliente vi chiede di spiegargli qualcosa come se doveste farlo per un bambino di sei anni.

Se io e te siamo seduti allo stesso tavolo per discutere di qualcosa che abbia una qualche vicinanza con le rispettive attività professionali si suppone che tu abbia scelto me perchè ne so qualche e che ti abbiano messo in quella posizione perchè anche tu ne sai qualcosa.

Ora, caro cliente, i casi sono due.

O mi stai chiedendo di realizzare per te un progetto che ti porti alla realizzazione dell fusione fredda pur sapendo che io coltivo mele o mi stai chiedendo di comprare delle mele e mi domandi di che varietà sono quando, sino a ieri, hai comprato aspirapolveri.

Caro cliente, comprenderai che tra noi non c’è dialogo e, purtroppo, stiamo perdendo del tempo tutti e due.

Che poi io ho sempre pensato che quel bambino di sei anni le sa tutte. Fa solo finta di non capire per mettere in imbarazzo gli adulti. E’ certamente figlio di padre ignoto e madre dedita al mercimonio del proprio corpo.

Ecco, io a quel bambino di sei anni non spiego proprio nulla. Al massimo lo rimando a calci nel sedere a giocare con i Lego che sono cose che realmente gli competono.

E’ scoppiato!

Chiunque si ritrovi tra le mani una qualsiasi carriera professionale si ritrova, prima o poi, a pensare come sarebbe la sua vita se si trovasse a posare le sue terga sulla sedia di un amministratore delegato di una grande azienda del suo settore.

Dai, confessate. Lo avete fatto anche voi. Non c’è niente di cui vergognarsi.

Io confesso che in passato ho avuto delle fantasie, non erotiche, pensando di ritrovarmi ad essere amministratore delegato di Apple. In passato ho pensato anche a Nokia, giuro.

Posso, invece, affermare con tutta onestà che non vorrei mai essere amministratore delegato di Samsung.

Tu sei lì che amministri al tua bella multinazionale e le cose tutto sommato vanno bene. Per qualche semestre sei tra i primi player del mercato, in altri momenti sei secondo ma la verità è che gli azionisti sono contenti.

E per una trasposione del detto “Se mia moglie è contenta, io sono contento” pensi che “Se gli azionisti sono contenti, io sono contento”.

Una sera stai per andartene a casa dopo una dura giornata di lavoro quando qualcuno ti dice che dovresti guardare quello che sta dicendo un ex hippie californiano che mai nella sua vita si è occupato di telefoni cellulari.

Lo vedi sul palco che racconta ad una folla di fedelissimi che è arrivato il momento di cambiare le regole del gioco.

In fondo tu non ti preoccupi più di tanto. Ma chi sarà mai questo occhialuto spilungone che vuole entrare in un mercato difficile, complesso e sostanzialmente governato dalla tirannia delle compagnie telefoniche.

Già te lo vedi negoziare con l’amministratore delegato di quella grande compagnia telefonica che vuole un telefono verde fluo giusto perchè la sua amante si è colorata le unghie di quel colore la settimana prima.

Purtroppo per te non è così. Sono passati dieci anni e loro hanno venduto un miliardo di telefoni, hanno in banca 230 miliardi di dollari in contanti e ti hanno preso a schiaffi tanto che hai acquisito una azienda che produce crema idratante per curarti l’irritazione sulle guance.

In realtà hai provato a reagire e, diciamocelo, sei stato anche bravino. Negli ultimi due anni ve la giocate come numeri sebbene ci sia ancora molto da fare in termini di iconicità dell’azienda.

Gli azionisti si sono ripresi dallo shock e sono tornati a sorridere.

Sai che il tuo grande rivale sta per annunciare qualcosa di nuovo e tu lo anticipi. Chiami tutti i giornalisti in riunione offrendogli un buffet luculliano e annunci il tuo ultimo prodigioso prodotto.

Confesso, ho lavorato per molti anni in questo settore e ti confesso che io lo comprerei. Hai fatto un grande lavoro e sono davvero molto contento per te.

Almeno questa sera non ti ritroverai a piangere da solo davanti allo specchio del bagno come se ti avesse lasciato la tua prima fidanzata del liceo.

Senti il tuo telefono squillare.

Rispondi.

All’altro capo del telefono c’è un dipendente della tua azienda che è stato incaricato di chiamarti per darti una brutta notizia. E’ un kamikaze estratto a sorte con la tecnica dei legnetti. Nessuno voleva darti questa notizia.

Dipendete: “Capo…”

CEO: “Si?”

Dipendente: “Pare che il nostro ultimo prodotto esploda nelle mani dei nostri clienti….”

Segue silezio imbarazzato. La mentre del CEO fatica a razionalizzare l’informazione.

CEO: “Come?”

Dipendente: “…. Si… Pare che qualcuno abbia commesso un errore nella progettazione della batteria e questa esplode o, nella migliore delle ipotesi, prende fuoco.”

Ora io mi vedo il CEO che reagisce come Alex Drastico quando diventa consapevole del fatto che qualcuno gli ha rubato il suo motorino.

CEO: “Ma chi? Ma come? Ma che c….”

Ovviamente nel suo interloquire il dipendente ha saggiamente usato la locuzione “qualcuno ha commesso un errore”… non sono stato io… io ti sto solo rendendo nota la ferale notizia. Non c’entro nulla. Io mi ero occupato solo del buffet. Sono avanzate anche due tartine.

Così, dopo una rincorsa durata anni, quando ti trovi a pochi passi dall’affiancare il tuo più agguerrito avversario nella finale dei 100 metri alle olimpiadi, ecco che inciampi e cadi. Malamente.

E alla fine ti ritrovi davanti al tuo specchio a piangere, come negli ultimi dieci anni. Nulla è cambiato, si ricomincia, e gli azionisti non sono contenti.