Perché si può fare

Photo: Andrew Liszewski – Gizmodo

Primo episodio della rubrica “Perché di può fare…” del 2022.

Negli anni passati uno dei maggiori impedimenti al raggiungimento di brillanti risultati scolastici fu sicuramente il lancio del gioco Prince of Persia.

Jordan Mechner ha scritto questo gioco incredibile quando ancora un videogioco poteva essere scritto da una persona o poco più. Io lo ho sempre ritenuto un vero capolavoro ed è sicuramente uno dei titoli sul quale ho speso la maggior parte del mio tempo dedicato ai videogiochi.

Tra l’alto per chi tra voi è un amante della storia dell’informatica va detto che Jordan Mechner ha pubblicato dei diari in cui si parla dei tempi dello sviluppo del gioco: The Making of King of Persia. Lettura fighissima.

Recentemente il gioco è stato portato su JavaScript da Oliver Klemenz che ha pubblicato il suo lavoro su github qui.

Ovviamente Oliver ha scritto il codice pensando al funzionamento del gioco su un personal computer.

La cosa fighissima è che Oliver ha scoperto che il gioco funziona perfettamente su un Apple Watch nella sua risoluzione originale.

Questo è il tweet in cui si annuncia la scoperta:

Tra l’atro è quasi perfettamente giocabile.

Io questa la trovo una cosa veramente incredibile.

Le grandi conquiste

Photo by Wolfgang Hasselmann on Unsplash

Diciamo la verità, invecchiare ha ben poco di piacevole.

Tra pochi mesi compirò cinquantacinque anni e solo scrivere quel numero mi fa venire i brividi. C’è molto poco di bello da raccontare riguardo l’invecchiamento.

Sono oramai perseguitato da acciacchi continui. Quando esco a correre mi ritrovo troppo spesso a percorrere una via crucis ed anche il caro vecchio Garmin di dice che i miei tempi di recupero stanno aumentando inesorabilmente. Lo stesso dicasi per qualsiasi fastidio di natura fisica. Il tempo necessario per ritornare ad una situazione di normalità diviene sempre più lungo.

Eppure ci sono delle cose che, innegabilmente, possono considerarsi dei grandi traguardi. Immagino che ognuno di noi abbia i propri tempi per quanto riguarda questa consapevolezza. Per me il tempo della consapevolezza risale al compimento del mio cinquantesimo anno di età.

Mica pizza e fichi.

La prima cosa che ho, finalmente, realizzato è che a nessuno importa di quello che fai, dici o scrivi. Davvero, è proprio così. A nessuno importa se non a quelle due o tre persone che ti sono veramente vicino. La realizzazione di questo fatto ti porta vicinissimo ad una forma di libertà assoluta che prima della illuminazione era impossibile anche solo immaginare. Puoi fare quello che ti pare, dire tutto quello che ti gira per la testa e fare altrettanto con la scrittura.

Il maggior pericolo è che tu possa correre è che qualcuno ti giudichi in quello specifico e particolare momento. Niente di più.

E qui arriva la seconda grande conquista. Anche del giudizio degli altri non te ne può fregar di meno. A questa età, se sei risolto, hai piena consapevolezza di quello che sei e di quello che vuoi. Fai quello che tu, personalmente, ritieni giusto e ti disinteressi completamente del giudizio degli altri.

Certo è che esiste sempre un confronto con le due o tre persone di cui ho già parlato prima perché solo del loro giudizio ti interessa.

Devi solo resistere alla tentazione di fornire consigli. Da questo punto di vista sono sempre stato daccordo con Buz Luhrmann:

“Advice is a form of nostalgia, dispensing it is a way of fishing the past from the disposal, wiping it off, painting over the ugly parts and recycling it for more than it’s worth”

Per il resto mi sembra di vivere in un contesto di assoluta libertà e questo credo sia uno dei più grandi vantaggi dell’età che avanza. Mi dispiace solo esserci arrivato un pochino tardi.

Scrivere, veloce!

Photo by Pedro Costa on Unsplash

Sin da quando ho iniziato ad utilizzare la tastiera di un personal computer, e parliamo oramai di decine di anni fa, ho cercato di utilizzare la tastiera senza guardarla ed utilizzando tutte le dieci dita che mi sono state date in dotazione.

Il risultato di questo è che sono sempre stato piuttosto veloce sulla tastiera.

Grazie, o accidenti, all’algoritmo di raccomandazione di YouTube mi sono imbattuto nel magico mondo delle tastiere meccaniche. Alla mia veneranda età non dovrei più stupirmi di niente ma in questo caso sono rimasto colpito dal fatto che esistono dei canali su YouTube dedicati esclusivamente a questo tema.

Il livello dei pipponi che vi si trovano raggiungono livelli inimmaginabili. Se volete sapere la qualunque sulle tastiere meccaniche immergetevi in questo magico mondo e ne rimarrete stupefatti.

Scoprirete che esistono decine di opzioni che riguardano la meccanica dei tasti, che i tasti possono essere lubrificati e che gli spacer sono un elemento “fondamentale” per la qualità di una tastiera meccanica. Un capitolo a parte è dedicato al suono che una tastiera produce quando viene utilizzata e per questo motivo vi verrà insegnato che foderare il case della tastiera produrrà un suono più piacevole e meno meccanico. Vi verrà proposto di utilizzare materiali fonoassorbenti, polistirolo e, non ci crederete, anche Play-Doh. Tutto questo per non parlare dei materiali di cui sono fatti i tasti stessi. Insomma, un universo parallelo abitato da veri impallinati del genere.

Il mondo delle tastiere meccaniche non ha limiti di prezzo superiori. E’ possibile spendere migliaia di euro per avere la tastiera “perfetta”.

Da sempre sono alla ricerca di una tastiera meccanica per il mio Mac che siede in studio. Provenendo dalla vecchia guardia io ho sempre rimpianto la tastiera meccanica dei terminali VT220. Sì. sono così vecchio.

Per questo mi sono messo alla ricerca della tastiera meccanica per il mio Mac con la decisa intenzione di non lasciare il mio rene destro per averla sulla mia scrivania.

A questo punto scopri che le tastiere per Mac non sono poi così diffuse e che la maggior parte delle tastiere meccaniche hanno un layout US, molto poche hanno un layout ISO ed ancora meno hanno un layout ISO italiano.

Alla fine ci sono sostanzialmente due produttori: Varmilo e WASD che ti permettono di avere una tastiera per Mac con layout ISO-IT. Ho deciso di acquistarne una da WASD.

Processo di customizzazione semplice e relativamente intuitivo. Unica pecca è il fatto che utilizzano USPS per la spedizione e ci va quasi un mesetto per avere la tastiera sulla vostra scrivania.

Ok, ma perché?

Come ho già detto il primo fattore è la nostalgia. Quel feeling meccanico a me manca moltissimo e la Magic Keyboard ha di fatto molto poco di magico nonostante non sia affatto male.

Il secondo fattore è che mi sono impallinato con la velocità di scrittura. Ho pensato che se riuscissi a scrivere ancora più velocemente di quanto non faccia adesso riuscirei a guadagnare tempo prezioso da un lato e trascrivere il mio pensiero in maniera molto più diretta dall’altro.

A questo punto era necessario capire il punto di partenza e, ovviamente, ci sono dei siti web dedicati per poterlo fare. I due che oramai frequento con una certa assiduità sono 10fastfingers e monkeytype con una leggera propensione per il secondo negli ultimi tempi.

Faccio qualche test e scopro che la mia velocità si aggira sulle 80 parole al minuto. Wikipedia sostiene che la media mondiale sia nell’intorno delle 45 parole al minuto. Tutto sommato mica male come punto di partenza. Decido comunque di cercare di migliorare e mi pongo come obiettivo un miglioramento del 50%, ovvero 120 parole al minuto. Le sfide facili non mi sono mai piaciute.

Scopro immediatamente che non è affatto facile. Ho cominciato a fare qualche esercizio intorno alla metà di Dicembre ed ora che siamo quasi alla metà di Gennaio riesco ad ottenere in maniera consistente 100 parole al minuto. Diciamo che sono a metà strada.

Nel frattempo la nuova tastiera è arrivata ed è una vera meraviglia. Ho guadagnato 4/5 parole al minuto semplicemente usando la nuova tastiera con la quale mi trovo maggiormente a mio agio per non parlare del magico click clack che mi mancava tantissimo. Faccio un casino inenarrabile ma qui al massimo posso dare fastidio a Buzz che non se ne cura affatto.

Sempre usando come riferimento Wikipedia scopro che il flusso del pensiero in genere si muove a 130 parole al minuto e quello dovrebbe essere l’obiettivo da raggiungere.

Una nuova chitarra, ed il Service Design

Alhambra 5P Classical Guitar

Era diverso tempo che non acquistavo una nuova chitarra per rimpolpare la mia oramai, forse troppo, vasta collezione di strumenti.

Ho iniziato a suonare la chitarra da ragazzino ed ovviamente ho iniziato suonando la chitarra classica. Arrivato al liceo ho abbandonato lo studio dello strumento per poi riprendere a suonare la chitarra elettrica nel momento in cui ho iniziato il mio primo lavoro serio.

Ricordo perfettamente il momento in cui ho comperato la mia prima Fender Stratocaster nel 1991. Era una American Standard cherry red che si trova ancora oggi tra i miei strumenti preferiti.

Negli ultimi mesi mi è tornato il desiderio di riprovare la chitarra classica e per questo ho deciso di comprarne una. Dato che mi sono trasferito a Laglio ho cercato un negozio di strumenti musicali che avesse delle discrete recensioni ed alla fine sono andato a visitare Bodo Strumenti Musicali a Cantù.

Come sempre mi capita di valutare l’esperienza di acquisto dal punto di vista del cliente ed in questo caso devo dire di avere vissuto una esperienza memorabile.

In primo luogo c’è una vastità di scelta enorme. Chitarre elettriche, acustiche e classiche in quantità e con un assortimento di modelli selezionati con cura. Mi piace questo approccio.

Non ti viene messa fretta e ti viene permesso di provare tutto quello che vuoi sino al momento della scelta del tuo strumento. Questo non è un aspetto banale. Al di là del modello verso il quale sei orientato deve necessariamente nascere un feeling tra te e lo strumento che comprerai. Perché questo accada è necessario mettere le mani sullo strumento e sentirlo. Ne provi diversi sino al momento in cui, se sei fortunato, trovi quello che è adatto a te. Quello che ti dice qualcosa mentre lo suoni. Sensazione difficile da spiegare ma se hai mai suonato un qualsiasi strumento sono sicuro che capisci quello che dici.

Questo feeling è assolutamente indipendente dal prezzo dello strumento. Ho avuto modo di provare strumenti molto costosi che non mi hanno trasmesso nessuna particolare emozione. Ci sono stati strumenti da poche centinaia di euro che sono stati eccezionali, almeno per me.

Ho scoperto dopo che il titolare del negozio si chiama Marco ed è una persona che è cento volte più impallinata di me per quanto riguarda le chitarre. Si vede che è una persona che ne sa, parecchio. Si percepisce una passione che trascende il fatto che si occupa di vendita di strumenti musicali. Una passione pura. Durante la mia permanenza in negozio abbiamo parlato di chitarre e avremmo potuto continuare a farlo per ore.

Alla fine mi sono portato a casa una Alhambra 5P. Strumento di fascia media adatto allo studio. Per l’uso che ne devo fare era del tutto inutile spendere di più. La ho provata per diverso tempo e mi è subito piaciuta anche se, ovviamente, le dita non era più abituate a quel tipo di tastiera e corde. Mi è piaciuta subito e ho deciso di acquistarla.

Ho vissuto una esperienza incredibilmente piacevole e mi sento di consigliare questo negozio a chiunque stia cercando una persona competente ed appassionata. Questa è l’esperienza che qualsiasi esercizio dovrebbe utilizzare come modello per il proprio lavoro.

Non credo che Marco abbia mai pensato in maniera precisa alla costruzione di una esperienza per i suoi clienti. Il risultato è un semplice, ma semplice non è, frutto della sua passione. Gli americani direbbero che è un natural. Mi è capitato diverse volte di imbattermi in persone come Marco ed ogni volta rimango stupito dalla loro capacità di costruire esperienze per i loro clienti pur non avendo nessuna nozione di Service ed Experience Design. Si tratta di un dono che loro sono in grado di fare fruttare al meglio senza nessuno sforzo.

Beati loro.

Chiaro è che un approccio di questo tipo è possibile solo per piccole entità. Dal singolo negozio alle piccole aziende. Entrambe possono fare leva sulla passione dei singoli e non necessariamente devono fare uso di strumenti di design specifici per essere in grado di costruire, e consegnare ai propri clienti, delle esperienze memorabili. Certo un aiuto in questo senso potrebbe aiutarli ad identificare eventuali momenti di frizione durante il customer journey ma possono comunque farcela da soli anche semplicemente leggendo qualche testo di qualità.

Diverso è il discorso per organizzazioni più grandi. In questo caso la passione diffusa è molto più rara. In qualsiasi organizzazione medio-grande la passione può essere più o meno diffusa ma certamente non pervasiva. Ci saranno sempre persone che lavorano in una organizzazione semplicemente per portare a casa uno stipendio che gli permetta di mettere il cibo sul tavolo e pagare le bollette. In questo caso un intervento esterno è l’unico possibile insieme ad una spinta forte che venga dal management.

Dai, ora vado a cercare nella mia libreria il caro vecchio Carulli e mi metto a studiare un pochino e vediamo cosa succede.

Come funzionano i miei Mac

Photo by Devin Pickell on Unsplash

Io credo che, come la maggior parte delle persone, non sarò mai soddisfatto del setup delle macchine con cui lavoro.

Alla fine sono sempre appresso a sistemare quel parametro o quell’altro. Ad installare quella utility o quello script nella vana speranza di arrivare ad un punto fermo.

Ora vi racconto come funzionano i miei Mac. Plurale perché in genere le macchine con cui lavoro sono due. La prima è un Macbook pro 16″ che se ne sta bello bello nello studio collegato ad un monitor 34″. E’ la macchina che Sketchin mi fornisce per lavorare. In salotto c’è il mio Macbook Air M1 che sostanzialmente vive sul divano.

Ora io lavoro indistintamente su una delle due macchine. Se ho qualche conference call od ho bisogno di particolare “spazio” sullo schermo me ne sto in studio mentre se sono più libero preferisco starmene sul mio divano con il cane appoggiato sulle mie gambe.

Questo, almeno per me, significa che le due macchine devono essere perfettamente identiche in modo che io possa saltare dall’una all’altra essendo sicuro che tutti i miei dati sono perfettamente sincronizzati e che tutte le mie impostazioni sono perfettamente identiche.

La cosa non è proprio banale, se non altro per quanto riguarda le impostazioni.

Così come è avvenuto di recente è arrivata la nuova macchina aziendale a sostituire la vecchia.

Installazione delle applicazioni

Il mio setup personale prevede una lista di applicazion che voglio assolutamente avere su tutte e due le macchine. La cosa che voglio evitare è dovere visitare i siti di trecento sviluppatori e scaricare le applicazioni una per una.

La prima cosa che faccio su una macchina appena accesa è avviare il terminale di sistema e scaricare ed installare brew.

Semplice e veloce.

Subito dopo avere fatto questo scarico dal mio iCloud uno script di setup che è una personalizzazione di quello che potrete trovare qui setup.sh

Qui c’è tutta la lista delle applicazioni che desidero vengano installate sia a livello di applicazioni Mac che applicazioni strettamente legate alla linea di comando.

Qui ognuno ci metta un pochino quello che desidera. Non è proprio una operazione alla portata di tutti ma se sei un pochino smanettone e maneggi qualche riga di bash ce la dovresti fare senza grandi problemi. Lo script è assolutamente semplice da leggere e comprendere.

A questo punto diciamo che l’ecosistema di applicazioni è completo. Inutile che vi lasci un link alla mia configurazione. Il concetto è semplice anche se ammetto che è una roba un pochino da smanettoni. Diciamo che fatto una volta è fatto quasi per sempre a meno di aggiunte nel tempo.

Impostazioni di sistema

Anche in questo caso desidero che i due sistemi siano assolutamente uniformi anche se qualche differenza c’è. Per esempio sul mio Mac con archiettura M1 uso Conda come ambiente virtuale per Python mentre sul mio Mac Intel uso il più classico venv.

Fortunatamente esiste una soluzione che mi permette di gestire queste differenze in maniera efficace.

Per gestire i files di configurazione uso chezmoi che ritengo essere una figata pazzesca. Con chezmoi mi salvo in un repository online tutti i miei file di configurazione e con un paio di righe di comando replico esattamente un ambiente da una macchina all’altra.

chezmoi appartiene a quella categoria di programmi che gestiscono i cosiddetti dotfiles. Ne esistono decine. Io ho scelto chezmoi per diverse ragioni:

  • Mi permette di salvare intere directory invece che singoli files (chezmoi add -r directory)
  • Non usa link simbolici per gestire i dotfiles.
  • Mi permette di customizzare le installazioni in funzione della architettura. Questo mi permette ad esempio di avere la stessa configurazione di tmux, zsh, vim sulla mia macchina virtuale Kali usando la stessa codebase comune a tutte le macchiine.
  • Non richiede privilegi di amminstratore per funzionare.

Anche in questo caso non vi lascio un link al mio repository si github. Come ho già scritto nel paragrafo precedente molto dipende dall’utilizzo che ogni persona deve fare del suo Mac e quindi non si può assolutamente generalizzare.

Quello che posso dire è che di applicazioni di questo genere ne ho provate decine ma, alla fine, chezmoi è quella che mi garantisce la maggiore semplicità pur con alcune idiosincrasie. In fondo, una volta capiti i concetti chiave, è una passeggiata di salute.

Con questi due strumenti posso avere una replica del mio sistema in pochi minuti. La velocità di installazione dipende grandemente dalla velocità della connessione ad internet.

A questo punto le macchine sono pronte.

Rimane la parte relativa alla sincronizzazione dei dati.

In questo caso uso un approccio totalmente basato su cloud.

I miei dati personali risiedono su iCloud. Nel momento in cui configuro il mio Apple ID sulla nuova macchina attivo iCloud e magicamente i miei files cominciano ad apparire sulla nuova macchina.

Per i dati aziendali uso GDrive che in realtà non prevede che nulla venga salvato sulla macchina lasciando tutto in rete.

In questo modo tutto quello che vive su una macchina viene automaticamente replicato sull’altra senza che io debba preoccuparmene.

Utilities

Io tendo ad essere molto minimalista nel mio setup. Il mio desktop è completamente vuoto a parte due folders che si chiamano “000 – TBA” e “010 Urgent/Important”.

Nel folder Urgent/Important ci sono tutti i documenti sui quali, a diverso titolo, sto lavorando in un particolare momento.

Nel folder TBA, che è un acronimo per To Be Archived, ci sono tutti i documenti che ho finito di lavorare e che devo archiviare. Va detto che io non sono un fanatico tassonomista. Per me l’archivio dei files è una unica cartella che, con grande sforzo di fantasia, si chiama Archive e che contiene il mare magno di tutti i documenti.

Faccio grande affidamento sulla qualità della indicizzazione e sulla ricerca per recuperare quello che mi serve. In quasi quindici anni che uso questo metodo non ha mai fallito un colpo.

In genere tendo a considerare macOS un gran bel sistema operativo ma ci sono un pò di cose che mi annoiano e per le quali trovo rimedio usando delle utilities.

bartender

Questa è una di quello che mi piace di più. Detesto quando la barra del menu si riempie di icone. Io voglio solo data e ora. Bartender mi permette di fare proprio questo. Nasconde tutte le icone della barra del menu e le rivela solo quando lo desidero. In realtà è molto più personalizzabile di così ma questo è il modo in cui lo uso io. Necessario e consigliato.

alfred

alfred è un’altra applicazione fondamentale per me. Tendo a sostituire la ricerca di spotlight con quella di Alfred perché velocizza di molto la mia operatività. Alfred fa un sacco di cose fighe come ad esempio permettere la creazione di workflow. Anche di questa non riuscirei a fare a meno.

magnet

Una delle cose che rende veramente debole macOS è la gestione delle finestre. Molto poco flessibile o, meglio, per nulla flessibile. Quando mi sono stufato di rdimensionare le finestre a manina sono stato più che felice di dare 7.99 dollari a CrowdCafé per scaricare Magnet.

aldente

Da quando siamo costretti a lavorare da casa i miei portatili sono quasi sempre collegati alla alimentazione il che potrebbe dare un pochino fastidio alla durata delle batterie nel lungo periodo. aldente mi permette di fare in modo di gestire al meglio la carica della batteria simulando la disconnessione della alimentazione anche se il Mac è comunque collegato alla presa di corrente.

uBar

Non mi è mai piaciuto il Dock di macOS ed è per questo motivo che da sempre uso uBar come eccellente sostituto. Minimalista a sufficienza per i miei gusti e decisamente customizzabbile per farmi vedere solo quello che io ritengo necessario.

Diciamo che queste sono le applicazioni fondamentali.

Dal momento che mi ritrovo abbastanza spesso ad avere bisogno di un terminale posso dire che non potrei mai fare a meno di:

Anche per quanto riguarda vim ho le mie idiosincrasie per quanto riguarda i plugin ma diciamo che venendo dalla vecchia scuola (vt100 mi manchi molto) non sono poi tanta roba. Diciamo che non vale la pena mezionarli.

Per quanto riguarda l’IDE in questo momento, lavorando principalmente con python, mi trovo molto bene on PyCharm Pro.

Comunque, ripeto, non è mai finita. Sono sempre lì a provare qualcosa di nuovo per rendere il mio ambiente di lavoro sempre migliore.

Open Source

Photo by Markus Spiske on Unsplash

In questi giorni mi sono imbattuto nella notizia che riguarda due popolari librerie JavaScript, faker.js e colors.js.

Queste sono due piccole librerie che fanno una cosa tutto sommato relativamente semplice. faker.js permette di creare dei dati verosimili da utilizzare nel test delle proprie applicazioni mentre colors.js permette di aggiungere il colore all’output dei messaggi sulla console del proprio personal computer.

Due librerie che sono comunque molto utili a qualsiasi sviluppatore tanto che colors.js (https://github.com/Marak/colors.js) ha più di 4.5k stelle su github mentre faker.sj (https://github.com/marak/Faker.js/) ne ha più di 1.1k.

Per questo le due librerie sono molto diffuse e molte applicazioni dipendono da loro per essere utilizzate.

Lo sviluppatore ha deciso di modificarle con del nuovo codice che le ha rese del tutto inutilizzabili. Qualsiasi applicazione che le utilizzasse e che fosse stata ricompilata, o ricostruita, dopo il rilascio del nuovo codice ha smesso di funzionare. Inutile dire che queste applicazioni sono state tantissime e diversi problemi si sono presentati, anche in sistemi critici.

Questo fare riflettere sulla architettura delle moderne applicazioni. Io stesso notavo la quantità di librerie che ho dvuto importare durante lo sviluppo del mio progetto in python. Usando un ambiente virtuale per lo sviluppo la lista delle librerie importate è a portata di mano. Sono un quantità enorme. La maggior parte di loro sono rilasciate con licenza Open Source e quindi sono liberamente utilizzabili sebbene con diverse limitiazione in funzione della licenza scelta dallo sviluppatore.

E’ chiaro a tutti che nessuno si metterà mai a verificare il contenuto di queste librerie bit per bit. In buona sostanza tutti gli svilupattori fanno un atto di fede e si fidano della buona fede di chi le ha scritte. Questo apre la porta a comportamenti potenzialmente nefasti. Organizzaioni possono iniettare codice malevolo all’interno delle librerie e se il manutentore delle librerie non se ne accorge questo si diffonde. Qualche altro può inserire del codice che smette di farle funzionare oppore, come nel caso di cui stiamo parlando, lo sviluppatore può usarle in maniera “politica”.

Sì, perché sembra che lo sviluppatore abbia fatto queste modifiche per riportare l’attenzione di tutti sul caso di Aaron Swartz. Questo comunque nonostante in passato lo stesso sviluppatore si sia lamentato del fatto che le grandi aziende stavano usando le sue libreria senza che gli venisse riconosciuto alcun emolumento.

Difatti poco tempo addietro scriveva:
“Respectfully, I am no longer going to support Fortune 500s ( and other smaller sized companies ) with my free work. There isn’t much else to say, wrote.”

“Take this as an opportunity to send me a six figure yearly contract or fork the project and have someone else work on it.”

Quale che sia la ragione delle modifiche il risultato è che centinaia di applicazioni dipendenti da queste due librerie hanno smesso di funzionare.

Il tutto mi sembra riassunto in maniera estremamente efficace in questa immagine:

https://imgs.xkcd.com/comics/dependency.png

Qualità

Photo by Sam Moqadam on Unsplash

Quando lavori in uno studio di design e fai della qualità del tuo lavoro l’obiettivo primario è necessario capire in che modo sia possibile misurare la qualità del lavoro che hai svolto.

In questo caso si deve eliminare il fattore ricavi dall’equazione. I ricavi non sono assolutamente indice di qualità, spesso il contrario. Affermazione certamente un pochino generica ma che rende l’idea. I ricavi sono un prodotto collaterale di una buona qualità. In parte, ma sono in parte, l’EBIT è una discreta indicazione della qualità. In linea di massima maggiore è l’EBIT e minore è il numero di rilavorazioni che hai dovuto compiere su un determinato progetto. Anche in questo caso abbiamo poco a che fare con la qualità.

La qualità è prodotta dalle persone e, di conseguenza, la qualità delle persone è il primo elemento che contribuisce alla qualità di un progetto. E’ necessaria la ricerca continua ed estenuante del talento nelle persone. Condizione necessaria ma non sufficiente per il raggiungimento della qualità. Se questo talento non viene nutrito nel tempo e non si crea un ecosistema sano nel quale questo possa crescere, esso si inaridisce.

Non credo che uno studio di Design che desideri fregiarsi di questo nome possa prescindere dal talento, anche a discapito dei ricavi. Il talento va riconosciuto, premiato e remunerato per il suo valore di mercato. Non ci sono storie.

Abbiamo quindi una solida base di talento che è in grado di conferire valore ad un progetto ma, quindi, come misuriamo la qualità di un progetto.

In tanti anni di lavoro non sono ancora riuscito a dare una risposta univoca a questa domanda.

Personalmente ritengo che ci siano diversi fattori.

Il primo è ovviamente la capacità di cosegnare al cliente finale qualcosa che soddisfi le sue aspettative. Anche in questo caso è una affermazione generica perché essa stessa è influenzata da diversi fattori.

Il cliente potrebbe ritenersi soddisfatto del risultato di un progetto anche se questo è “mediocre”. Tutto dipende dalla sua cultura del design e dal punto di partenza del progetto stesso. Facciamo una ipotesi assurda: se non possiedi un sito web ed io ti consegno un sito web mediocre sia intermini di Interaction Design che di Visual Design per te è comunque una bomba perché non sei in grado di comprendere. La stessa cosa avviene se non decidi ex ante quali sono i parametri che per te, come azienda, determinano il successo di un progetto. Quali sono i problemi che hai voluto risolvere con questo progetto, come hai intenzione di misurarne l’efficacia e via discorrendo.

Il secondo fattore riguarda la progettazione per sé. Da un lato potresti avere consegnato qualcosa in grado di risolvere il problema del tuo cliente ma che dal punto di vista dell’utente finale non è una soluzione di qualità. Questo perché quando progetti qualcosa hai sempre tre variabili da tenere in considerazione:

  • La capacità dei tuoi deliverables di raggiungere gli obiettivi che il tuo cliente si è prefisso. Questo, ovviamente, riguarda il “business” del cliente.
  • La capacità di soddisfare il cliente del tuo cliente con degli artefatti che siano usabili ed in grado di consegnare una esperienza utente che sia priva di frizione e memorabile.
  • La capacità di soddisfare il cliente interno del tuo cliente. In altre parole, devi progettare una “promessa” che il cliente interno sia in grado di mantenere.

L’equilibrio di queste tre parti è indice di qualità.

Io sono della opinione che un progetto debba essere valutato “post mortem” in primo luogo dai designer e dagli attori che ne sono stati parte. E’ solo una prima fase della analisi della qualità di un progetto perché il team che vi ha lavorato ha avuto modo di assorbire una enorme quantità di bias cognitivo nella esecuzione del progetto, non ultima la cultura del cliente per il quale ha lavorato.

Questo ultimo aspetto è chiave e non va sottovalutato. Tutti i designer con i quali ho avuto a che fare negli ultimi anni hanno ben chiaro che cosa significa fare design di qualità. Se hai selezionato persone di talento è ben chiaro che non sono dei “bravi esecutori” ma delle persone con una chiarissima idea di che è giusto e cosa non è giusto per un determinato progetto.

Non tutti sono però in grado di combattere per quelle idee. Dopo la terza volta che un cliente ti chiede di modificare il tuo approccio la tentazione è forte. Ma sì, smettiamola di lottare e facciamo quello ci chiede. Comportamento perfettamente naturale. Tutti, in fondo, vogliamo vivere tranquilli. Io penso che il designer di talento deve difendere la sua opinione fino alla nausea e fare in modo che questa arrivi negli artefatti che progetta.

A questo punto credo che sia necessario un confronto aperto anche con altri team di design. Qualcosa del tipo: “Noi abbiamo fatto questo per risolvere questo problema. Voi cosa avreste fatto?”. Possiamo dare a questa attività il nome più figo del mondo, “Design Critique” vi piace? La sostanza non cambia. E’ un momento di confronto con chi non è stato vittima del bias cognitivo di cui sopra.

Dovrebbe esserci un momento di confronto con l’Head of Design che dovrebbe essere il detentore della cultura di design dello studio e che dovrebbe fornire una critica oggettiva sulle modalità di conduzione di un progetto e sui risultati raggiunti.

E’ poi bene evidente che ogni singola disciplina di design ha i suoi parametri oggettivi di misurazione della qualità. Interaction Design, Visual Design, Service Design, Product Design, eccetera, eccetera. Queste sono valutazioni che riguardano il lavoro specifico e, forse, sono le considerazioni più semplici, ammesso che di semplicità si possa parlare, che si possono fare.

Infine ci si dovrebbe confrontare con il mondo esterno. Qualcun altro si è trovato di fronte a problemi simili ai nostri? Se sì, come li ha affrontati e come li ha risolti?

Credo sia ben chiaro a tutti che queste attività richiedono tempo e sforzi. Spesso si salta da un progetto all’altro senza avere l’opportunità di fermarsi a considerare quello che si è appena fatto. Io penso che a lungo andare questo sia un errore.

Ritengo che sia un errore perché il rischio è quello di diluire la cultura del design di un studio che rischia di trasformarsi in una macchina “sforna progetti”. E’ necessario introdurre un equilibrio che permetta di potersi fermarsi a ragionare. E’ necessario potere riprendere il fiato per prepararsi alla sfida succesiva.

Ecco, se dovessi dire quale è il mio obiettivo principale per il 2022 direi che è proprio quello di trovare lo spazio affinchè i team di design possano effetturare queste analisi in tutta tranquillità. Ne guadagnerebbe Sketchin, i designer, i ricavi e l’EBIT.

Passive Income

Photo by StellrWeb on Unsplash

Sono ormai mesi che su Medium vengo bersagliato da suggerimenti su come riuscire a guadagnare del denaro extra senza muovere un dito.

Il titolo è generalmente costruito in questo modo: “Come ho guadagnato $n dollari in $mesi spendendo $t minuti al giorno.”

In genere il motore di raccomandazione di Medium funziona abbastanza bene, ma in questo caso non capisco proprio per quale motivo mi suggerisca di leggere questo genere di post.

Alla fine mi sono deciso a fare qualche ricerca e ho scoperto che Medium pullula di questo genere di post. Più o meno la stessa quantità di post relativi alla perdita di peso o del perché dovresti utilizzare iTerm come terminale su OsX.

In realtà non che abbia particolare bisogno di altre fonti di guadagno. Quella principale che ho mi basta, avanza e mi crea già sufficienti preoccupazioni perché io debba occuparmi anche di altro.

La cosa che mi colpisce è la natura dei post. Spinto dalla curiosità qualcuno lo ho letto e adesso sono davvero fregato perché Medium mi torturerà all’infinito con questo genere di post. Con il senno di poi avrei dovuto leggere in una finestra privata del mio browser in modo da non alterare il già compromesso algoritmo di raccomandazione.

Una gran porzione di questi post riguarda investimenti più o meno sensati in criptovalute. Ok, di questi ce ne sono centinaia ovunque e quasi ricordo con nostalgia quando nel 200 eravamo in undici a sapere cosa fosse un Bitcoin.

Un’altra porzione suggerisce metodi stravaganti. Fare traduzioni, testare siti web, rispondere a questionari, creare negozi online, vendere asset digitali e via dicendo.

Mi soffermo un attimo su questa ultima categoria. In realtà non è che tu non debba fare proprio nulla.

Per creare un negozio online devi avere qualcosa da vendere, e quindi un qualche talento, e devi avere il tempo, e la capacità, di gestire la logistica del tuo negozio.

Se vendi asset digitali devi essere in grado di crearli e quindi ritorniamo al tema del talento.

Insomma, mi domando se per qualche dollaro in più valga davvero lo “sbatti” come direbbe il mio adolescente preferito.

A me viene già il fastidio solo a pensare che si potrebbe monetizzare questa baracca, figuriamoci tutto il resto.

Apple Watch

Photo by Simon Daoudi on Unsplash

Da qualche mese ho definitivamente abbandonato il mio Garmin Fenix 6x in favore dell’Apple Watch.

Da un lato mi è dispiaciuto abbandonare il Fenix perché era un orologio che mi piaceva davvero molto e dal punto di vista della qualità della misurazione dei dati biometrici mi è sempre sembrato superiore alla prima versione dell’Apple Watch che possedevo.

Quindi, per quale motivo ho cambiato?

Ho sempre ritenuto che la tecnologia debba risolvere dei problemi per essere vincente e, mel mio caso specifico, Apple Watch mi risolve più problemi di quanto non facesse il Garmin Fenix 6x.

In particolare:

  • Il pagamento contactless di Apple è molto più usabile di quanto non sia quello su Garmin. Di gran lunga. Dato che alla fine tendo a pagare i miei acquisti solo con carta di credito questa per me è una feature tra le più desiderabili. Sinceramente credo che dal punto di vista della usabilità sia veramente molto difficile fare meglio di Apple. Mi direte che avrei sempre potuto ottenere la stessa semplicità con il telefono stesso. In parte è vero. Non sempre è così perché molto spesso ho il telefono in tasca, nella giacca o nello zaino e quindi molto meno a portata di mano dell’orologio.
  • L’autenticazione a due fattori. Sono ormai anni che, dove è possibile, uso l’autenticazione a due fattori e per farlo ho sempre usato l’applicazione Authy. Il fatto di potere avere l’applicazione Authy sul mio Apple Watch mi semplifica la vita ogni volta che devo fare un login.
  • Lo sblocco automatico dei miei Mac. Anche questa sembra una cosa banale ma velocizza, e di molto, l’accesso alle risorse che mi servono. Questo sopratutto quando sono in studio e non possiedo la tastiera Apple con riconoscimento biometrico.
  • Se è vero che anche su Garmin Fenix posso avere applicazioni installate è altrettanto vero che l’accesso alle applicazioni è bulgaro e richiede molto più tempo di quanto non venga richiesto sull’Apple Watch. Anche in questo caso l’usabilità di Apple sta ad un altro livello.
  • Infine devo confessare che avere a disposizione una applicazione che mi permette di verificare, con tutte le limitazioni ed approssimazioni del caso, il livello del mio ossigeno del sangue non mi dispiace affatto in questo periodo di pandemia.

Dal punto di vista della raccolta dei dati biometrici devo dire che sì mi interessano ma non sono granchè impallinato con la comprensione della qualità della mia corsa. Una volta che sono a conoscenza di quanto tempo ho corso e di quanta distanza ho percorso direi di potermi ritenere sufficientemente soddisfatto.

Oltretutto ho comperato delle scarpe con un sensore Bluetooth che comunque, qualora lo volessi, mi permetterebbero di analizzare l’efficacia della mia corsa.

Insomma, io penso che il Garmin Fenix 6x sia un grande prodotto ma credo che ora difficilmente potrei tornare ad utilizzarlo.

L’unico dato veramente negativo di Apple Watch è la durata della batteria. Alla fine sono costretto a metterlo in carica ogni notte. Al contrario con Garming Fenix lo facevo più o meno una volta alla settimana. Non si tratta di una differenza da poco.

E questo senza contare il fatto che l’Apple Watch sembra attirare in maniera particolare le mandibole del mio cane. Sono quasi certo che un giorno di questi me lo dimenticherò a portata di Buzz e lo ritroverò masticato come una ciabatta. Cosa che peraltro è già avvenuta con il mio Kindle Oasis.

Evviva le istituzioni!

Photo by Christa Dodoo on Unsplash

Qualche settimana fa ho dovuto occuparmi di un problema che ha coinvolto la mia collaboratrice domestica. Premessa. La mia collaboratrice domestica è in possesso di un regolare contratto di lavoro sin dal primo giorno in cui ha messo piede in casa mia, la sua posizione contributiva è perfettamente regolare e la sua retribuzione può essere considerata di tutto rispetto dato il numero di ore durante le quali si occupa di casa e dei ragazzi.

Purtroppo la mia collaboratrice domestica è Rumena…

Dai, su, niente levate di scudi. Ora vi spiego.

Innanzitutto, e per semplicità, diamole un nome di fantasia ché la privacy è importante. Da qui in avanti la chiameremo Maria.

Come ho scritto Maria è Rumena e recentemente ha deciso di andare a vivere a Milano spostandosi dal comune in cui risiede. Maria è una persona molto diligente e quindi si reca in un ufficio dell’anagrafe del comune di Milano per iniziare le pratiche per il cambio di residenza.

Ovviamente prima di perdere tempo lei e di fare perdere tempo ai preziosi dipendenti del Comune di Milano si documenta per capire di quali documenti ha bisogno per portare a buon fine questa pratica.

Essendo Maria digitalmente preparata consulta il sito del Comune di Milano e legge questa frase, tra le altre:

  • documentazione comprovante la qualità di lavoratore subordinato o autonomo

Maria ha con sé il suo contratto di lavoro firmato dal sottoscritto e, per non saper né leggere né scrivere anche una mia dichiarazione che attesta che Maria è tutt’ora mia dipendente dato che dal momento della firma del contratto sono passati diversi anni.

Allo sportello del Comune di Milano la rimbalzano grandemente dicendole che i documenti in suo possesso non sono sufficienti a dimostrare che lei è una lavoratrice dipendente e che per farlo è necessaria ricevuta del versamento dei contributi previdenziali relativi all’ultimo trimestre utile.

Qui dovrebbe seguire una valanga di parolacce e bestemmie rivolte a:

  • Colui il quale ha redatto il contenuto della pagina web, evidentemente sbagliato e fuorviante.
  • Colui il quale ha autorizzato la pubblicazione del contenuto della pagina web.
  • Colui il quale ha concepito questa “stronzata” della ricevuta dei contributi. (quando ci vuole, ci vuole)

Ora, io sono Italiano da cinquantaquattro anni e capisco benissimo perché il Comune di Milano richiede la ricevuta dei contributi previdenziali per dimostrare il rapporto di lavoro subordinato.
Il motivo è semplice. E’ l’unica prova “reale” della esistenza di un rapporto di lavoro.

Stronzata, ripeto.

Punto primo. Siamo perfettamente daccordo che a scrivere un falso contratto di lavoro ci vogliono cinque minuti scarsi. Peccato che farlo si configuri come un reato e, oltretutto, di fronte ad un pubblico ufficiale. Quindi, caro Comune di Milano, rifiutando i documenti da me sottoscritti, mi stai dando del bugiardo o, comunque, mi stai dicendo che di me, in qualità di cittadino, non ti fidi.

Punto secondo: Se io fossi un datore di lavoro di quelli furbetti potrei consegnare un contratto di lavoro valido al mio dipendente e poi fregarmi bellamente di pagarli i contributi.

Punto terzo: io i contributi a Maria li pago via Home Banking con una MAV. Mi dici che cavolo di prova sarebbe la ricevuta bancaria di una MAV? A questo punto costringi me ad usare un metodo di pagamento diverso da quello che ho sempre usato e che trovo facile e veloce e mi ritrovo a dovere usare quella porcheria di PagoPA con tanto di acccesso SPID. Cioè, tu fai una stronzata e me la devo mettere a posto da solo?

Punto quarto: E’ così difficile essere chiari quando si pubblicano delle informazioni per il cittadino?

Punto quinto: avete rotto le palle con questa digitalizzazione della PA se poi culturalmente non state dietro a quello che professate. Come ho scritto tante volte in passato la trasformazione digitale è prima di tutto una trasformazione culturale. E qui non ci siamo proprio. Avete fatto il minimo sindacale per mettere online una paginetta web, pure brutta e fine. Tutto fatto, boss, il sistema è aggiornato. Ognuno si prenda il suo premio produttività.

Ovviamente Maria non ha ancora ottenuto la sua nuova residenza. Per venirle incontro ho ripagato i contributi del quarto trimestre 2021 dato che i prossimi sarebbero dovuti entro il 10 Gennaio 2022. Soldi che certamente non vedrò mai più.

Siccome mi giravano le palle ad elica ho deciso di trovare i contatti degli uffici competenti del Comune di Milano.

Ci avete mai provato? Esercizio interessante che ci riporta alla considerazione sulla digital transformation. Impossibile. Per esserci ci sono ma sono affogati dentro un file in formato Adobe Acrobat PDF nascosto dentro il sito.

Quando mi succedono queste cose divento un mastino napoletano. Mi sono scritto quaranta righe di codice in Python e mi sono spazzolato tutto il sito del Comune di Milano fino a che non ho trovato quello che cercavo.

Ho quindi l’indirizzo di posta elettronica dell’ufficio competente e del dirigente (sì, con la minuscola) responsabile.

Con la consueta cortesia, davvero, non sto ironizzando, scrivo lamentando la situazione kafkiana che Maria sta vivendo. Lì per lì mi sono chiesto se avessero mai letto Kafka ma ho pensato di provarci lo stesso.

Davvero, ho affrontato la cosa da buon cittadino. Cavolo, ho un problema. Io scrivo e loro certamente mi risponderanno aiutandomi a risolverlo.

Ho scritto il 6 di Dicembre. Ovviamente nessuno mi risponde nell’immediato ma ecco che il 27 Dicembre, evidentemente colto da uno spasmo vitale ricevo una laconica risposta:

“Gentile Signore

Le colleghe si limitano a richiedere le documentazioni previste.

Per quanto riguarda l’estratto conto Inps le comunico che lo stesso può essere scaricato dal sito senza la necessità di recarsi di persona agli sportelli.

La saluto cordialmente”

Niente da fare. Non si entra nel merito del problema. Non ci si prova nemmeno. Evidentemente la persona che, comunque gentilmente, mi ha risposto ha ricavato cinque minuti del suo tempo per dirmi sostanzialmente: “Noi siamo noi, e voi non siete un c….”. Nemmeno si prova ad entrare nel merito della questione, negli errori di quanto spiegato ai cittadini, sulla follia delle richieste che vengono fatte, sulla possibilità di miglirare un servizio e via dicendo.

Se queste sono le istituzioni mi viene da piangere. Inutile parlare si trasformazione digitale se prima non si lavora sulla cultura, nemmeno digitale, di chi questi servizi li governa. Inutile discutere se non crea una reciproca fiducia tra chi eroga il servizio e chi ne fruisce.

E’ ben evidente il messaggio che il Comune di Milano reputa tutti i suoi cittadini dei potenziali truffatori e come tali li tratta.

Maria è ancora residente nel suo vecchio comune.

Ed io penso che non c’è speranza per questo paese e, sinceramente, comincia anche a fregarmene molto poco. Io quello che dovevo fare lo ho fatto e mò sono cavoli vostri.

Baci.

Terza dose

Photo by Steven Cornfield on Unsplash

Nella mattina di ieri mi sono sottoposto alla terza dose della vaccinazione per il Covid-19. Non entro nel merito dato che ognuno ha le sue opinione ed io le rispetto. A me è sembrata la cosa giusta da far per me e per chi mi circonda.

Questa volta ho abbdandonto la splendida cornice di Villa Erba dove ho fatto le prime due vaccinazioni e sono stato catapultato nell’ospedale Sant’Anna di Como. No, non quello nuovo e figo, quello vecchio che mostra tutti i segni dell’età.

L’esperienza è stata meno gratificante delle volte passate. Se le visite a Villa Erba mi sono sembrate assolutamente perfette devo confessare che la vaccinazione di oggi mi ha lasciato un pochino perplesso. Code gestite in maniera poco efficace, gente che vagava, indicazioni pittoriche non perfette od assenti. insomma, si poteva fare di meglio.

Come qualsiasi Service Designer degno di questo nome è in grado di spiegare molto meglio di me la fisicità del luogo in cui si eroga un servizio, ed in particolar modo un servizio critico, influenza la qualità del servizio stesso. L’organizzazione di Villa Erba sarebbe stata impossibile da replicare in un ambiente che non gode, purtroppo, degli stessi ampi spazi e che è stato progettato in un’epoca diversa.

Corridoi stretti, dedalo di corridoi, poco spazio in generale hanno influenzato in maniera decisiva e negativa l’esperienza di questa terza dose.

A mitigare le limitazioni imposte dalla architettura ci sono state le persone. Preparatissime e disponibili e con quel pizzico di ironia che aiuta sempre. Da queto punto di vista è doveroso levarsi il cappello e ringraziarle per lo sbattimento cui sono sottoposte.

Anche se oramai mi occupo davvero poco di design in senso stretto, ammesso che possa sostenere di essermene mai occupato, non riesco mai a fare a meno di analizzare un prodotto od un servizio con un occhio progettuale. Osservo come se avessi a che fare con uno dei nostri clienti e faccio le mie considerazioni.

Ad ogni modo la macchina vaccinale è estremamente complessa. le variabili in gioco sono così tante ed il tempo a disposizione così poco che credo che ben difficilmente si sarebbe potuto fare di meglio.

Adesso scrivo queste righe con un braccio un pochino dolorante ma non sembrano esserci altri effetti particolari.

Diciamo che per il momento mi interessa aumentare la protezione a breve termine nei confronti degli effetti più gravi del virus. In tutta sincerità, data la mia veneranda età, degli effetti a lungo termine mi interessa veramente poco.

Se anche ve ne fossero sono più disposto a gestirli ex-post piuttosto che trovarmi un tubo infilato nella trachea.

Fine di un’era

Photo by Jeremy Bezanger on Unsplash

BlackBerry ha annunciato che a partire dal 5 Gennaio 2022 tutti i loro terminali dotati di BlackBerry OS 7.1 e precedenti, BlackBerry 10 e BackBerry OS 2.1 e precedenti smetteranno di funzionare.

Questo perché Blackberry spegnerà i server che sono necessari per il corretto funzionamento dei telefoni di cui sopra.

E’ definitivamente la fine di un’era. Un’era a cui, in tutta sincerità, ero molto affezionato. Io sono ancora convinto che i terminali BlackBerry della serio 8900 e 9000 siano stati tra i migliori telefoni in circolazione. Questo al di là della robustissima e sicura architettura del software che li faceva funzionare.

Anche oggi potrei scambiare il mio iPhone con un BlackBerry 9000 senza grandi remore.

BlackBerry aveva annunciato la sua transizione verso una “Software Company” nel 2016. Transizione che oggi è completa.

Esistono ancora dei terminali con il brand BlackBerry ma non sono prodotti da BlackBerry ma da TLC Communication e, sebbene ereditino alcune funzionalità dei terminali originali, sono basati sul sistema operativo Android.

A me dispiace veramente molto.

Ecco un altro sintomo del mio ineluttabile invecchiamento.

Buon viaggio BlackBerry! E’ stato molto bello finchè è durato.

Lacrimuccia e sventolio di fazzoletto bianco.

Scoperte e sorprese

Photo by Mathis Jrdl on Unsplash

Qualsiasi avido lettore conserva la memoria di letture irrinunciabili. Letture cui, ciclicamente, si ritorna come se fossero un porto sicuro. Luoghi virtuali che ci restituiscono il sapore della certezza. Si ritorna a quelle pagine con la certezza di ritrovare quelle parole che sono state, e sono, importanti.

Per me una di queste letture è “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani.

Continuo a ritenere il finale di quel libro un capolavoro assoluto:

Certo è che quasi presaga della prossima fine, sua e di tutti i suoi, Micòl ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei del suo futuro democratico e sociale non gliene importava un fico, che il futuro, in sé, lei lo abborriva, ad esso preferendo di gran lunga «le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui», e il passato, ancora di più, a il caro, il dolce, il pio passato. E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire, di esse, appunto, e non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare.

Semplicemente spettacolare.

Ho scoperto con estremo piacere sulla edizione del 2 Gennaio 2002 di “Domenica” de “Il Sole 24 Ore” un articolo di Tommaso Munari e Antonella Sattin che parla di questo libro e sulla potenziale identificazione di Micòl con Giuliana Foscolo.

Lettura molto interessante che mi conduce a fare qualche scoperta.

Scopro che il manoscritto del libro è stato donato da Giorgio Bassani a Teresa Foscolo con questa nota:

Cara Teresa, senza il tuo aiuto Il giardino dei Finzi-Contini non sarebbe mai stato scritto. Desidero che questi quaderni restino per sempre con te. Giorgio

Scopro che il manoscritto si compone di sei quaderni, ognuno di essi “palpitante di correzioni, chiose e varianti”.

Leggo che il contenuto di questi sei quaderni mostra l’enorme lavoro che Giorgio Bassani ha condotto per arrivare al suo testo definitivo che verrà pubblicato da Eninaudi nel 1962.

L’articolo riporta qualche esempio:


Dove è descritta la cappella funebre dei Finzi-Contini, per esempio, troverà una tabella con le date di nascita e morte di ciascun membro della famiglia e i calcoli
per stabilirne l’età al momento della scomparsa (q.I, p.26); dove è rievocato il primo colloquio fra il narratore e Micòl, avvenuto nel giugno del 1929 lungo le Mura degli Angeli, troverà invece uno schizzo di quel tratto della cinta muraria ferrarese (q. I, p. 156); mentre dove è illustrato l’arredamento dello studio di Alberto, così «radicalmente diverso» da quello della magna domus, troverà una planimetria della stanza con tanto di mobili abbozzati (q. III, p.14).

Leggo avidamente l’articolo e tra me e me penso a quanto sarebbe bello potere scorrere le pagine di quei quaderni.

Una rabbia continua

Photo by Uriel Soberanes on Unsplash

Non so voi cosa ne pensiate ma io mi sono convinto che la maggior parte del genere umano, nel caso specifico quello Italiano, stia completamente perdendo il lume della ragione.

Io continuo a rimanere chiuso in casa limitando i contatti sociali a quelli minimi indispensabili per la mia sopravvivenza personale e professionale.

Ho a disposizione una base dati decisamente ridotta in termini di osservazioni del comportamento umano nella sua espressione sociale ma quel poco che vedo mi lascia troppo spesso esterrefatto.

E’ sufficiente che io esca dal mio garage con la macchina per cominciare ad osservare comportamente irrazionali e rabbiosi. Vedo degli automobilisti compiere delle manovre al limite della follia. Vivendo sul lago ed in prossimità di una bellissima strada che costeggia il lago non è raro incontrare dei ciclisti che se la godono in totale libertà. Le strade sono strette e ti capita di dovere rallentare per evitare di arrotarne uno. Normale amministrazione. Aspetti che il traffico si diluisca e li sorpassi. In fondo la strada è di tutti. Eppure vedo gente lanciare colpi di abbaglianti come se fossero colpi di sciabola, li vedo fare sorpassi che passano a pochi centimetri sia dal ciclista che dalla macchina che proviene in senso contrario. Nonostante fuori ci siano tre gradi abbassano il finestrino e fanno gestacci ai poveretti che, per non essere da meno, rispondono come dei camalli.

Arrivo al supermercato e vedo due che quasi vengono alle mani per un parcheggio libero. Mi guardo intorno e ce ne sono decine. Ma devi proprio litigare per quello?

Entro nel supermercato e vedo due ometti che litigano per la fila al reparto gastronomia, entrambi sostenuti dalle rispettivi mogli o compagne.

Di esempi come questi ne ho a decine. Io mi limito a scrollare le spalle e sorridere.

Sulla strada del ritorno mi soffermo a pensare alle motivazioni di tutto questo ed alla fine arrivo a qualche conclusione che mi fa piacere condividere con voi.

La prima è che un isolamento forzato, sebbene ora sia molto più leggero di quanto non fosse mesi fa ha lasciato un segno profondo in tutti coloro che non erano attrezzati per affrontarlo. Se togli da ognuno il fattore quotidianità, che è pervasivo e totalizzante nella maggior parte dei casi, devi avere dei solidi strumenti per non fare il botto.

Una coppia che si separa perché entrambi devono andare a lavorare toglie almeno otto ore, se non di più, di rapporti intimi da gestire. Ci sono poi gli altri impegni come l’aperitivo, il calcetto, la cena con gli amici che tendono ancora di più a diluire il tempo che devi trascorrere insieme. Perdonatemi, sarà l’età, ma su questo argomento sono piuttosto cinico o, meglio, realista.

La maggior parte dei rapporti sta insieme per consuetudine, non perché ci sia un amore folle alle spalle.

Quando qualcuno ti costringe a lavorare tutto il giorno da casa, cancellare gli aperitivi, mettere le scarpette nell’armadio e cenare ogni sera a casa tutta l’infrastruttura viene meno e sei costretto a fare i conti con te stesso e con il tuo partner.

Bisogna essere in grado di affrontare una situazione del genere. Ci vogliono gli strumenti giusti ed un grande lavoro su sè stessi per venirne fuori interi.

Lo stesso discorso, probabilmente amplificato, vale se sei single. In questo caso ritengo che gli strumenti necessari alla sopravvivenza siano ancora più necessari e decisamente più complessi. Devi sapere stare da solo e, come si dice, “non nasci imparato”.

Infine esiste il grande tema della insicurezza nei confronti del futuro. Tutti siamo preoccupati per il nostro lavoro e per la nostra salute e questo, necessariamente, ci destabilizza.

Io sono convinto che se non possiedi gli strumenti giusti per governare tutto questo l’unica soluzione che ti rimane a disposizione è la rabbia nei confronti di tutto e tutti. Indiscriminata e potente.

L’insicurezza genera rabbia e dubbio.

Direi che non va bene.