E’ qualche tempo che sto meditando di cominciare a scrivere in Inglese i contenuti di questo blog. Come ho scritto in passato i contenuti di Corrente Debole vengono più o meno automaticamente ripubblicati su Twitter, LinkedIn e Medium.
Su queste tre piattaforme il numero di persone straniere che mi seguono è preponderante rispetto a quelle Italiane. Piuttosto spesso ricevo messaggi, in particolar modo da diretti collegamenti su LinkedIn, che mi chiedono di pubblicare in lingua Inglese.
Mi sono sempre trattenuto dal farlo perché, in fondo, la lingua Italiana è la mia lingua. Nel tempo ho imparato ad apprezzarla ed ad amarla.
Ora credo che sia arrivato il momento di passare il confine e provare a scrivere in Inglese.
Si potrebbe obiettare che potrei scrivere due versioni di ogni scritto, una in lingua Italiana ed una in lingua Inglese. Questa potrebbe essere una soluzione ma dato che non dedico mai più di dieci minuto al giorno a Corrente Debole questa non è una soluzione percorribile. “Troppo sbatti” come direbbe il mio quindicenne preferito.
Per questa ragione credo che darò una chance alla lingua inglese. Tutto sommato potrebbe anche tornarmi utile ad allargare il mio vocabolario che è prettamente un vocabolario “business oriented”.
Probabilmente da domani.
Spero di non perdere nessuno dei miei undici lettori Italiani.
Quei posto che riguardano la cultura e la società Italiana avranno un warning all’inizio del post che avvertirà gli stranieri del fatto che il contenuto potrebbe essere a loro poco comprensibile.
Durante una cena di lavoro mi è capitato di ripensare ad alcune cose che il mio gruppo di lavoro ed io facemmo quando lavoravo in tre.
Mi è capitato di ripensarci oggi quando ho letto che Nokia ha annunciato un telefono che ospita al suo interno delle cuffie wireless. Quella cosa lì noi la avevamo pensata più di dieci anni fa con un telefono brandizzato MomoDesign e prodotto da BenQ.
Nel 2006 avevamo lanciato la prima applicazione musicale che permetteva l’acquisto di brani musicali direttamente dal player. Vinse l’award come Best for Mobile Music all’MWC di Barcellona. Era il 2006 e iTunes su mobile arrivò anni dopo.
Lavorammo sul WebCube, un nuovo concept di UMTS/WiFi router incentrato sulla usabilità e facilità d’uso. Ne nacque una linea di prodotti che ancora oggi si distingue nel mercato delle cosiddette “saponette”.
Non nel mio team, ma sempre da H3G nacque Pupillo, la prima telecamera connessa che era possibile consultare dal proprio telefono mobile.
Accidenti, ne facemmo di cose fighe. Fu uno dei periodi più eccitanti professionalmente parlando della mia carriera, oltre a quello che sto vivendo ora.
Tutte le persone che sono transitate in quel gruppo, allora giovanissime, hanno avuto delle carriere strabilianti e questa è una delle cose che maggiormente mi dà soddisfazione. Evidentemente il tritacarne di una Telco aiuta. Mi piace pensare che, almeno un pochino, li abbia aiutati anche io.
Ci sono stati tanti progetti che non hanno mai visto la luce e per alcuni di essi ancora ho dei rimpianti. Forse quello che davvero avrei voluto vedere fu quello di un telefono prodotto da una startup di Boston che era completamente basato su Java e con un sistema operativo completamente personalizzabile. E questo anni prima che Android divenisse una realtà.
La combinazione tra il nostro team di design di prodotto a Milano ed il team tecnico a Roma fu incredibilmente efficace e produttiva. Sinceramente non ho mai incontrato altrove un team tecnico così tanto preparato come quello romano. Gente tostissima e preparatissima. Mi mancano anche loro.
Peccato vedere come quella cosa che, pur con tutti i suoi difetti, voleva cambiare il panorama della comunicazione mobile si sia ridotta ad una competizione basata solo sul prezzo.
Sono arrivato a Roma nel tardo pomeriggio e mi sono subito incamminato verso il mio albergo in centro. Al di là dello sciopero dei taxi volevo camminare per le strade di Roma con il naso all’insù. Troppo tempo è trascorso dalla mia ultima visita alla città ed io questa città la amo davvero.
Sceso in albergo ho terminato un paio di cose urgenti che mi hanno permesso di chiudere la giornata lavorativa per potermi dedicare ad un’altra passeggiata per le vie della città. Non le principali, quello le ho viste e riviste in tanti anni. Le vie nascoste, piccole. Quelle vie con i piccoli negozi, i negozianti sulla porta a fumare una sigaretta, le persone che si fermano per salutarsi e chiacchierare. Io potrei camminare per giorni sulle stradine di Roma. E’ un universo mutevole e diverso dalle strade dei turisti. Forse è anche un’altra città che viene rappresentata in quel contesto.
Mi rimetto in moto per raggiungere il mio albergo. Ho una cena di lavoro questa sera e, purtroppo, non posso affrontarla in bermuda e t-shirt. Dico sempre che i clienti comprano il mio cervello e non il mio guardaroba ma un minimo di presentabilità cercherò di mantenerla.
Passo di fianco ad un famoso albergo del centro. Uno di quelli molto fighetti con tanto di portiere in divisa. Di fianco all’ingresso c’è un angolo per i reietti fumatori. Anche se paghi una camera in un albergo a cinque stelle devi fumare fuori. C’è questa donna sulla quarantina con la sigaretta accesa tra le dita. Nell’altra mano c’è un iPhone. Sta scorrendo qualcosa sullo schermo, come la quasi totalità delle persone che ho incontrato. Molto elegante, ma di quell’eleganza un pochino affettata. Non naturale. Acquistata. Tra il gomito e l’avambraccio dondola una borsetta di Bottega Veneta che, se originale, vale una mezza fortuna. Non degna di uno sguardo nessuno.
Ad un metro e mezzo di distanza, sdraiato su un muretto ricoperto di cartoni a fungere da materasso c’è un uomo. Hai i capelli grigi ed i piedi scalzi. Non vedo scarpe intorno ma, con ogni probabilità, le ha nascoste perché non le rubino. Eppure i piedi sono sporchi e mi viene il dubbio che le scarpe non le abbia. Sta dormendo profondamente ed il rumore del traffico delle sei non sembra disturbarlo. Su quello che è un rotolo di cartone che usa come cuscino c’è un libro. Non resisto e cerco di guardare la copertina. E’ un libro vecchio. Le pagine sono consumate dalla lettura. Vedo il titolo: Il giocatore di Fëdor Dostoevskij. Ne rimango colpito. Perché quel libro? E’ un caso o il lettore è stato duramente colpito dagli eventi della propria esistenza.
Mi colpisce molto di più il senzatetto di quanto non faccia la ricca turista tutta griffata. Mi immagino che al senzatetto appartenga una storia più complessa di quella della turista. Penso che forse sto cadendo vittima di uno stereotipo narrativo.
Il contrasto tra queste due immagini mi colpisce. Quali strade hanno condotto questi due estranei ad un metro l’uno dall’altra con dei destini così diversi.
E così trascorre la mia serata in un turbinio infinito di contrasti. Bellezza e bruttezza, amore ed odio, fortuna e sfortuna. Tutto sulla stessa strada, tutto nella stessa città, tutto nello stesso momento.
Per la prima volta dopo due anni sono risalito un treno alla volta di Roma. Confesso che la sensazione è molto strana. Tutti gli automatismi frutto di anni di viaggi in treno ed in aereo sono completamente saltati.
Nel corso degli anni avevo accumulato una serie di tecniche che mi facilitavano viaggi e spostamenti. Mi sono accorto che è tutto scomparso e quelle poche cose che sono rimaste sono decisamente cambiate. La presenza della pandemia ha introdotto tutta una serie di nuovi comportamenti che devo ancora costruire.
Il mio principale obiettivo di oggi è stato quello di evitare il maggio numero di persone possibile. Ho cominciato con il selezionare un posto sul treno dove non avessi nessuno dietro o di fianco a me. Non appena arrivato in stazione mi sono messo la mia mascherina FP2 e mi sono avviato lungo un binario sino al punto in cui nessuno aveva mai osato avventurarsi. Sono salito sul treno dopo che tutti si erano seduti e ho preso possesso del mio posto in tutta tranquillità. Gel igienizzante e via.
Comportamento forse un pochino paranoico. Tra me e me mi dico che se sono riuscito ad evitare il contagio negli ultimi due anni non vedo proprio perché dovrei evitare le precauzione e prendermelo ora.
Fortunatamente sembra che nella carrozza in cui sono tutti stiano indossando la mascherina.
Mi sento tranquillo? Non proprio. Non so per quale motivo ma c’è una preoccupazione latente che mi segue quando mi muovo in pubblico. Stando sul lago è una preoccupazione che non sento affatto ma constato che si affaccia non appena sono costretto a stare in mezzo alla gente.
Questo è un evidente effetto di questi due anni di pandemia e relative restrizione. Non mi sono mai preoccupato particolarmente dello stare in mezzo alla gente sconosciuta o a muovermi. Ora mi accorgo che qualche preoccupazione ce l’ho.
Noto comunque che la recente pandemia non ha sortito alcun effetto nei riguardi del WiFi gratuitamente offerto da Trenitalia. Non funzionava prima e non funziona ora. Nulla di nuovo sotto il sole.
Rare sono state le occasioni in cui mi sono sentito umiliato professionalmente. In realtà credo che nella mia intera carriera ci sia stato un solo momento in cui ho provato questo sentimento al termine di una riunione.
Ve la racconto, omettendo i dettagli che aggiungono poco alla storia.
Ai tempi lavoravo per un operatore di telefonia mobile e credo che per chi mi conosce personalmente non sia nemmeno difficile capire chi questo operatore fosse. E’ stato il posto di lavoro più eccitante in cui abbia avuto l’occasione di lavorare. Del tutto simile a Sketchin, sebbene per motivi estremamente diversi.
Non mi ricordo esattamente il Job Title del tempo ma lavoravo nel team di Marketing Handset e, nonostante il termine marketing, mi smazzavo una discreta quantità di tecnologia e di specifiche tecniche. Oltre a questo, dato il mio passato e la mia curiosità, il mio bagaglio tecnico non era affatto trascurabile (modalità bragging on).
Si parlava di posta elettronica e si discuteva di e-mail push versus e-mail pull. Alla riunione partecipava anche un neo assunto CTO di cui eviterò di fare il nome.
Non entro nel dettaglio tecnico della discussione perché non ne vale la pena ma, sostanzialmente, si stava parlando delle specifiche tecniche di POP 3 (RFC 1939 per chi fosse curioso) ed IMAP (RFC 3501). Documenti che mi ero ri-studiato nel dettaglio mesi prima e che per capire meglio avevo anche implementato in un rudimentale client di posta elettronica scritto, udite udite, in C.
In poche parole il CTO in questione sosteneva che POP 3 avrebbe potuto supportare folders mentre io sostenevo che al di là dei canonici folder inbox, sent, eccetera eccetera, quella non era una opzione contemplata dallo standard.
Non c’era nemmeno da discutere, RFC alla mano.
Mi fu chiesto di stare zitto e, sostanzialmente, smettere di rompere i cosiddetti. Usò una espressione un pochino più colorita di questa in realtà. La prima tentazione fu di mandarlo a quel paese ma il mio capo, che sedeva di fianco a me, mi mise una mano sul braccio ed evitò la ricerca di un nuovo posto di lavoro.
Mi fu detto che dal momento che lui era il “padre” di uno dei portali italiani di maggiore successo non potevo questionare sul tema. Portale che tra l’altro faceva “cagarone”, almeno ai tempi.
Fu una cosa che comunque mi ferì molto profondamente. Rimase nella mia testa per molte settimane fino al momento della illuminazione: ma anche, sticazzi.
Il CTO, comunque, non arrivò al panettone. A me, personalmente, il motivo fu perfettamente chiaro.
Ho cercato in ogni modo possibile di stare alla larga dai vari Social Media negli ultimi anni. Per più di un anno non ho acceduto a Facebook, Instagram, Twitter e via dicendo.
In qualche modo ho cercato di proteggere la mia privacy.
La realtà delle cose è che una battaglia persa in partenza. Lo stato delle cose ed il contesto sociale non lo rendo possibile a meno che tu non intenda vivere come uno stilita.
Un paio di esempi pratici per spiegarvi quello che sto dicendo.
Ho cominciato ad esplorare lo sviluppo su Oculus Quest. Oculus Quest è prodotto da Facebook, alias Meta. Se vuoi sviluppare su Oculus devi installare sul tuo smartphone l’applicazione Oculus che è l’unico modo per impostare il sistema come sistema di sviluppo. Per creare un account su Oculus è obbligatorio usare il proprio account Facebook. Devi quindi essere loggato su Facebook per accedervi e potere scaricare tutte le SDK che servono. Ricomincia quindi il festival di retargeting che questo comporta.
Ho cominciato ad interessarmi al mondo della orologeria meccanica. Al di là di qualche forum dedicato che è estremamente interessante ci sono un universo di gruppi su Facebook che trattano argomenti interessanti. Se li voglio leggere, ed imparare, devo essere loggato a Facebook. Lo stesso discorso vale per Instagram.
Con i miei figli ci scriviamo messaggi su WhatsApp sebbene non mi piaccia affatto. Io uso Telegram e Signal ma siamo una ridotta minoranza. Gli amici dei miei figli stanno su WhatsApp e quindi anche loro usano quello che la loro cerchia sociale usa.
Insisto. E’ una battaglia persa. La cultura digitale è troppo poco diffusa e promossa perché lo scenario possa cambiare nel prossimo futuro.
Proprio l’altro giorno Facebook ha annunciato che renderà possibile separare gli account di Meta ed Oculus. Se non altro Facebook riuscirò di nuovo a togliermelo di torno.
1071 sono i chilometri che ho percorso ieri durante la transumanza che ha spostato la figliolanza da Laglio a Porto Santo Stefano per permettergli di raggiungere l’isola di Giannutri per parte delle loro vacanze.
Undici ore e venti minuti in auto tra andata e ritorno. Erano secoli che non facevo un viaggio così lungo.
In quel lasso di tempo ho avuto l’opportunità di osservare a lungo il comportamento dei miei compagni automobilisti.
In generale c’è molta più rabbia per la strada di quanto io non ricordassi. Non le ho contate ma ho visto decine di automobilisti gesticolare rabbiosamente per il comportamento altrui. Clacson che strombazzavamo al minimo segno di comportamento marcato come scorretto. A me questa cosa da impressione. Io sono sempre molto tranquillo alla guida. Non credo nemmeno di sapere che suono abbia il clacson della mia macchina attuale che possiedo da ormai sette anni. Io mi limito ad osservare e, al massimo, a scuotere la testa.
Ho notato che vale sempre la regola per cui se la strada che stai percorrendo è dotato di un numero di corsie pari a n, quelle effettivamente utilizzate dagli automobilisti sono n-1. Non c’è niente da fare, la corsia più a destra non perde il suo stato di “corsia per i paria” o, altrimenti detto, “corsia dell’infamia”. Io mi metto spesso lì. C’è maggiore visibilità e se mastichi un pochino di matematica e ti fai due conti la differenza finale in termini di tempo non è molta.
Ho assistito ad almeno cinque manovre che sono state ad un passo dal creare un incidente ad alta velocità in autostrada. Cambi di corsia non segnalati, sorpassi a destra non supportati dalla casistica approvata dal Codice della Strada, frenate brusche quando il malcapitato davanti a loro non si levava di mezzo per tempo.
La solita presenza di coloro per i quali la distanza di sicurezza è un concetto del tutto sconosciuto. Ti si piazzano a due metri dal paraurti posteriori. Alcuni si limitano a piazzarsi lì ed aspettare che tu gli dia strada, altri cominciano ad usare gli abbaglianti come in una notte in discoteca ed altri aggiungono agli abbaglianti il frenetico uso del clacson. Nonostante davanti a te ci siano almeno altri cinquanta veicoli che procedono al massimo della velocità possibile date le condizioni del traffico, tu ti sposti e li lasci passare. Il comportamento si ripete con il veicolo successivo.
Credo di avere contato almeno due vetture con uomo alla guida, donna sul lato passeggero e figlioletto in braccio alla donna. Mi astengo da qualsiasi commento su questi episodi perché è facile comprendere come questo comportamento rasenti la follia pura.
Innumerevoli i casi in cui i conducenti si intrattenevano allegramente con i loro telefoni mentre procedevano ad una velocità superiore ai cento chilometri orari. Io mi domando sempre che cosa di così importante ci sia bisogno di comunicare da dovere rischiare la pelle, tua e degli altri.
Oramai vivo nella convinzione che il Codice della Strada non rappresenti più un insieme di norme da rispettare scrupolosamente ma, piuttosto, un insieme di raccomandazioni.
Diciamo che più che un viaggio è stato un safari antropologico.
Quando Google ha deciso di discontinuare il prodotto Google Reader mi sono trovato nella necessità di trovare una alternativa.
Il mio aggregatore RSS rappresenta una delle mie principali fonti della mia dieta informativa. Il mio file OPML è estremamente curato e periodicamente entrano ed escono delle fonti in funzione della qualità delle notizie che contengono.
Nel tempo Feedly è molto evoluto, ben al di là delle mie necessità. Non ho mai fatto grande uso della Intelligenza Artificiale di Leo, ho usato pochissimo le possibilità di condivisione e, in generale, nonostante la semplicità dell’interfaccia continua a pormi delle domande per migliore la qualità della sua AI.
In sostanza sto pagando un abbonamento premium per aiutare Feedly a generare ancora più revenues. Direi che è il tempo di smettere. Diciamo anche che 144 dollari sono una bella cifra da spendere ogni anno quando non fai uso di tutte le caratteristiche.
Oggi ho quindi cancellato la mia sottoscrizione a Feedly e ho deciso di non usare nessuna sottoscrizione online. Ritorno al passato con una bella applicazione nativa: Reeder
Oltre ad essere incredibilmente ben fatta va sottolineato il fatto che è sviluppata da un Italiano. Questa cosa mi piace, parecchio.
Per la versione corrente ho dovuto spendere 9,99 Euro sull’Apple Store. Praticamente un mese di sottoscrizione a Feedly.
Uno dei vantaggi di Feedly era il fatto che lo stato delle mie letture rimaneva invariato spostandomi tra i vari pc. Questa funzionalità non la ho affatto persa dato che posso usare iCloud per sincronizzare i contenuti di Reeder.
Sto notando che lentamente sto cancellando praticamente tutte le mie sottoscrizioni online. Ci sono strumenti del tutto privi di costo e di qualità assolutamente pregevole che vale la pena di utilizzare. Obsidian al posto di Evernote, tanto per citarne un altro.
Un altro vantaggio è che essendo gli articoli memorizzati sul mio computer per 30 giorni non ho necessità di una connessione di rete per poterli leggere. Questo mi torna utile sopratutto quando sono in movimento e generalmente con una pessima connessione Internet.
Forse l’unico aspetto negativo, sebbene sia perfettamente comprensibile, è il fatto che per cominciare la lettura devo attendere che i vari feed vengano sincronizzati. Ovviamente su Feedly questo non era un problema dato che i feed venivano costantemente aggiornati in tempo reale lato backend. Tutto sommato un piccolo prezzo da pagare per risparmiare 144 dollari all’anno.
Per il momento non mi sono affatto pentito della scelta.
Ogni giorno viene scoperta, ed in taluni casi rivelata, una qualche vulnerabilità che riguarda i nostri smartphone. Molte di queste vulnerabilità vengono rivelate e successivamente risolte dai produttori. In altri casi queste vengono vendute al migliore offerente, sia questo un gruppo di malintenzionati, un governo ostile alla democrazia, un ente di sorveglianza.
Come ben sanno coloro che si occupano di queste cosa la complessità del software di uno smartphone moderno è enorme ed essere certi che non ospiti alcuna vulnerabilità è una chimera.
Qualsiasi vulnerabilità espone una superficie di attacco che può essere sfruttata tramite un messaggio SMS, il click dell’utente su un link, la connessione del telefono ad un personal computer ed una infinità di altri modi.
Proteggersi da questo genere di attacchi è complesso per una persone che si occupa di queste faccende, figuriamo per il grande pubblico che non mastica tecnologia e software dalla mattina alla sera.
Se sei un bersaglio per un governo opprimente, un giornalista investigativo o un attivista è possibile che tu possa diventare il bersaglio designato per questo generi di attacchi. Controllare la nostra attività digitale diventa imperativo per chiunque abbia desiderio di controllare questo tipo di persone.
Ieri Apple ha annunciato pubblicamente la disponibilità della modalità Lockdown per iOS 16, iPadOS 16 e MacOS Ventura. L’annuncio non fornisce grandi dettagli tecnici ma è decisamente una cosa interessante.
Come Apple stessa dice questa funzionalità è destinata ad essere usata da uno sparuto numero di utenti ma trovo che l’iniziativa sia interessante.
Ecco le funzionalità di Lockdown al lancio:
Messages: Most message attachment types other than images are blocked. Some features, like link previews, are disabled.
Web browsing: Certain complex web technologies, like just-in-time (JIT) JavaScript compilation, are disabled unless the user excludes a trusted site from Lockdown Mode.
Apple services: Incoming invitations and service requests, including FaceTime calls, are blocked if the user has not previously sent the initiator a call or request.
Wired connections with a computer or accessory are blocked when iPhone is locked.
Configuration profiles cannot be installed, and the device cannot enroll into mobile device management (MDM), while Lockdown Mode is turned on.
Sono tutte funzionalità che riducono la superficie di attacco disponibile a coloro che intendono installare un malware sullo smartphone obiettivo dell’attacco.
Come si può facilmente notare dalla descrizione delle funzionalità, queste riducono in maniera sensibile la funzionalità dello smartphone così come lo utilizziamo ogni giorno.
Non si tratta quindi di una funzionalità per il grande pubblico. Usare la modalità lockdown renderebbe il nostro smartphone ben poco usabile rispetto a quanto siamo abituati. Al contrario, se pensi di appartenere ad una delle categorie di cui ho parlato poco sopra, in un certo qual modo ti protegge. Certo è che se vuoi essere totalmente protetto forse sarebbe meglio usare un dumbphone invece di uno smartphone.
Apple sostiene che continuerà ad aggiungere funzionalità alla modalità lockdown e che ha dedicato un fondo di 2 Mio dollari per premiare colore che scopriranno nuove falle di sicurezza e le comunicheranno ad Apple.
Non sono proprio sicuro che questa non sia un mossa politica ma è comunque una mossa interessante che certamente Apple non era tenuta a fare. Se guardiamo a quanto accaduto in passato, Apple è sempre stata molto restia ad introdurre funzionalità nel suo sistema operativo che riguardassero una bassa numerosità di utenti.
Avete cominciato ad immagine complotti sulla pandemia, state parlando su uno stato di siccità secondo voi apparente e vi confesso che la mia impressione è che lo sceneggiatore di Stranger Things sia un dilettante al vostro confronto.
E, purtroppo, mi duole molto constatare che il nuovo fronte di indignazione coinvolge Fedez.
Come immagino sappiate Fedex e J-Ax hanno organizzato un concerto benefico che va sotto il nome di Love Mi. Pochi giorni dopo il concerto Fedez annuncia che grazie alla iniziativa sono stati raccolti 130.00 Euro che verranno donati alla Onlus TOG.
Qui ci sarebbero solo da fare degli applausi e lodare l’iniziativa.
Ed invece no.
Sono piovute una serie infinita di critiche ed insulti. “Fate beneficenza con i soldi degli altri”, “Avete cercato solo visibilità” giusto per citarne due che sono ad un livello linguistico adatto ad una platea diffusa.
Mi sembra bene evidenti che non siete dotati di capacità di pensiero analitico abbastanza profondo ma mi piacerebbe cercare di farvi capire un paio di cose. Sì, le missioni impossibili mi sono sempre piaciute.
Secondo voi Fedez e J-Ax avevano bisogno di un concerto come Love Mi per guadagnare visibilità? Mi pare che la presenza mediatica sia sufficientemente ampia da non richiedere iniziative come questa per essere sostenuta ed amplificata.
Secondo voi Fedez non avrebbe guadagnato molti più quattrini nell’organizzare un concerto per riempire le proprie tasche? Il fatto che abbia lavorato gratis quando potrebbe fare esattamente il contrario credo che sia evidente.
Fedez, e sua moglie Chiara Ferragni, hanno sempre fatto beneficenza. Potremmo discutere sulle modalità ma non mi pare il caso. Erano costretti a fare beneficenza? Assolutamente no. Avrebbero tranquillamente potuto tenersi quei quattrini in tasca come fanno una enorme quantità di altre persone con possibilità simili.
In sostanza, il buon Fedez ed il suo team si sono sbattuti per organizzare un evento che ha portato 130.000 Euro nelle case di una Onlus. 130.000 Euro che aiuteranno dei bambini, bambini, capite?
Cosa c’è che non vi va bene in tutto questo?
Perché è sempre necessario in questo cavolo di paese fare sempre della dietrologia da quattro soldi, anzi, due soldi?
Davvero, ma che problema avete?
Se vivete una vita che non vi piace non è colpa di Fedez. Fatevene una ragione e cercate qualcuno che sia in grado di farvi capire dove state sbagliando.
Questa mattina mi sono imbattuto in un articolo su Medium che parlava del fatto che l’autrice ha preso la decisione di sospendere la sua attività sulla piattaforma per via di due commenti abusivi nei suoi confronti.
Lei dice che non prendere questa decisione potrebbe avere un impatto molto negativo sulla sua saluta fisica e mentale.
In un certo qual modo sono perfettamente in grado di comprendere le motivazioni della sua scelta e, ovviamente, non posso fare altro che sostenerla e condividerla. Ogni persona deve prendere le migliori decisioni possibili per stare bene.
Nel corso di questi anni di scrittura su Corrente Debole anche a me è capitato di ricevere dei commenti che potrebbero essere abusivi, più spesso in forma privata che non pubblica.
Si passa dai più scurrili a quelli che semplicemente mi rendono edotto del fatto che, secondo lo scrivente, quello che scrivo non interessa a nessuno e che la qualità dei contenuti è veramente scarsa, di poco rilievo o del tutto inutile.
Non mi sono mai preso la briga di rispondere a queste sollecitazioni tossiche. Democraticamente accetto qualsiasi commento, anche il più scorretto ed ingiusto, almeno secondo il mio personale ed insindacabile giudizio.
Quando mi capita di ricevere un commento di questo tipo il mio pensiero immediato è qualcosa del tipo: ma davvero hai speso dieci minuti del tuo prezioso tempo per scrivere a me questa fesseria? Non c’è niente altro di maggior valore nella tua esistenza che non venire a frantumare il frantumabile a me? Davvero, non me ne capacito.
No, non è vero me capacito, eccome. Tutti i Social Network, nessuno escluso, sono come il Far West. Terra di conquista con poche regole che pochissimi seguono. Me ne sono fatta una ragione molto, molto tempo fa.
Vedete, io ho compiuto da poco cinquantacinque anni. Ho barba e capelli bianchi in infinità e da tempo immemore ho realizzato che della opinione del resto del mondo mi interessa proprio poco. Se ci pensate realizzerete anche voi che il numero delle persone a cui interessa davvero di voi è veramente molto esiguo. Ecco, di quelli mi interessa l’opinione. Tutto il resto può tranquillamente andare a farsi benedire.
Allo stesso tempo posso dire, e scrivere, tutto quello che mi pare essendo perfettamente consapevole delle conseguenze delle mie parole.
Questi due enormi traguardi mi permettono di dire che “non me ne può fregar di meno”.
Questa è la ragione per cui qualsiasi commento negativo, offensivo o minaccioso mi scorre addosso come la goccia d’acqua sul vetro.
Qualche anno fa ho partecipato attivamente alle attività del CoderDojo MiSo ed è stata una delle esperienze più belle che io abbia mai sperimentato. Lo sguardo stupefatto dei bambini quando lanciavano il loro primo programma sul loro personal computer era uno stimolo fuori dal comune.
Riuscire a fare percepire la tecnologia come qualcosa che chiunque fosse in grado di governare in prima persona e non subire passivamente era una cosa meravigliosa da insegnare.
Per le attività usavamo Scratch che nonostante sembri un “linguaggio” banale permetteva di fare delle cose incredibili anche per chi masticava poco di computer e programmazione. Ideale per dei bambini in età scolare.
Nel tempo Scratch è evoluto ed ora siamo alla versione 3.0 che è ancora più potente e flessibile delle precedenti.
Ora è addirittura possibile scrivere dei Kernel Modules in Scratch!. Beh, dai, quasi. Si tratta di sfruttare la possibilità di integrare le funzionalità di Scratch con dei moduli esterni scritti in qualsiasi linguaggio, in questo caso C.
Mi piace molto quando si cerca di spingere al limite la tecnologia e questo è proprio il caso.
E’ interessante come un prodotto come Scratch, nato per educare alla programmazione bambini e ragazzi sia evoluto sino a questo livello. Se ci avete mai avuto a che fare troverete simulatori di volo, cloni di Minecraft, giochi in 3D. E’ tutto così meraviglioso ed intrigante.
Sto usando GitHub CoPilot da qualche mese per i miei progetti personali e per alcune cose in Sketchin. Principalmente i linguaggi che utilizzo sono Python e JavaScript.
Continuo a considerarlo uno strumento utile ma richiede troppa consapevolezza da parte mia per farne buon uso. Mi spiego meglio.
Quando ho cominciato ad usarlo mi rileggevo con cura i suoi suggerimenti e facevo le modifiche che, secondo la mia modesta opinione erano necessarie. Con il tempo mi sono accorto che ho cominciato a fidarmi troppo dei suoi suggerimenti e questo mi ha condotto ad essere estremamente pigro nei confronti del codice scritto da me, e da lui.
Mi sono reso conto che, almeno in un paio di casi, CoPilot ha introdotto dei bug piuttosto subdoli in sezioni del codice che non avevo riguardato. La conseguenza è che tutto il tempo risparmiato nello scrivere codice è stato speso in debugging.
Queste ultime due considerazioni mi hanno spinto a disinstallare l’estensione dai miei due IDE di riferimento: PyCharm e Visual Studio Code.
Forse sono un pochino più lento nello scrivere codice ma ho piena consapevolezza di quello che sta accadendo all’interno del mio programma.
CoPilot sta uscendo dalla preview e quindi diverrà presto un prodotto a pagamento. GitHub vorrebbe mettermi le mani nel portafoglio per un importo pari a dieci dollari al mese, cento se pago per un anno.
In tutta sincerità mi sembra una cifra troppo alta e che non sono disposto a spendere, sopratutto a valle delle considerazioni di cui sopra.
Non ultime le considerazioni etiche e morali di cui ho scritto qualche giorno fa.
E’ recente l’annuncio che GitHub Copilot uscirà dalla sua fase di test e diventerà un prodotto a pagamento che servirà a Microsoft per monetizzare GitHub. Il prezzo pare essere fissato nell’intorno di 10 dollari al mese. Un prezzo non proprio popolare.
Qualche giorno fa ho scritto di quanto CoPilot mi avesse impressionato con la sua funzionalità e dopo qualche settimana di utilizzo continuo ad essere colpito da quanto sia efficace.
In queste settimane avevo cominciato a fare delle considerazioni personali riguardo l’oggetto ed avevo intenzione di formalizzarle in uno scritto che doveva essere questo.
Alla fine c’è stato qualcuno che lo ha fatto molto meglio di me e quindi vi rimando alla lettura di questo articolo che secondo me solleva delle questioni estremamente interessanti.
Avrei potuto riprendere il contenuto di quell’articolo e scrivere il post ma non sarebbe stato molto onesto da parte mia.
Io credo che nel leggerlo ci si potrà fare una idea precisa delle implicazioni che l’intelligenza artificiale, ed il machine learning, trascinano con se.
Facendo un esercizio di astrazione quelle considerazioni sono valide non solo per CoPilot ma per qualsiasi altro prodotto basato sulle medesime tecnologie.
Personalmente classifico quell’articolo nell’insieme delle letture imprescindibili.
Credo che sia notizia a tutti nota il fatto che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribaltato il giudizio della sentenza Roe v. Wade eliminando di fatto il diritto costituzionale all’aborto e delegando ai singoli stati dell’unione la relativa legislazione.
Sul tema non mi faccio grandi problemi a dichiarare la mia posizione: ognuno è libero di fare quello che desidera sino al momento in cui non intralcia la mia libertà.
A questo punto quegli stati che sono contrari alla pratica si trovano nella condizione di dovere controllare e monitorare l’osservanza della legge. Come si può intuire è una operazione niente affatto banale e, mi viene da commentare, per fortuna.
Uno degli effetti immediati della decisione della Corte Suprema è l’immediato diffondersi sui social media di messaggi che invitavano le donne a rimuovere dai propri smartphone qualsiasi applicazione che tenesse traccia del loro ciclo mestruale.
Se smetti di tracciare il tuo ciclo mestruale è abbastanza probabile che tu sia rimasta incinta e se ricominci a tracciarlo prima dei nove mesi è altrettanto probabile che tu abbia abortito.
Le applicazioni garantiscono l’anonimato e assicurano gli utenti che non cederanno mai i propri dati a terzi ed in particolar modo alle forze dell’ordine. Tutto, probabilmente, vero ma cosa accadrebbe se un giudice li forzasse a cedere queste informazioni?
Trovo che il rischio sia assolutamente reale e spaventoso.
Si dice che il Presidente Biden scriverà all’FCC richiedendo di proteggere in maniera assoluta questo genere di dati. Anche di questo sono perplesso.
Io sono convinto del fatto che il problema non stia solo in quel particolare tipo di applicazione ma più in generale su tutti i dati che ci riguardano. Messaggi di testo, chat, ricerche su internet, messaggi di posta elettronica, ricevute di carte di credito, tracciamenti di spedizioni e chi più ne ha più ne metta. Tutto può condurre ad informazioni sullo stato di gravidanza e sulla volontà di volere interrompere una gravidanza.
La realtà delle cose è che nessuno è davvero in grado di rendersi conto della quantità di informazioni che dissemina durante le sue esperienza digitali e non. Nemmeno io che ho estrema consapevolezza e cura della mia privacy so esattamente quali dati sto cedendo e a chi.
Il discorso “non ho nulla da nascondere e quindi mi spiino pure” non si tiene e quanto sta accadendo dopo la decisione della Corte Suprema ne è la prova più recente. Un comportamento perfettamente lecito può trasformarsi in un reato dall’oggi al domani e noi potremmo trovarci nelle condizioni di avere disseminato le prove del reato.
Dobbiamo rassegnarci all’idea che la privacy è oramai divenuta un miraggio. Come tale non esiste. E’ irraggiungibile.
E’ oramai difficile parlare “dei nostri dati”. I nostri dati sono già la fuori e da lunghissimo tempo.
Questo vale non solo per i nostri dati personali ma, spesso, anche per le organizzazioni per cui lavoriamo. Faccio un esempio banale. Noi in Sketchin usiamo una quantità inimmaginabile di servizi SAAS così come siamo clienti di Google per la posta elettronica, lo storage dei nostri dati ed altri servizi collegati. Scherzando dico spesso che se Google volesse fare una profonda due diligenze sulla nostra azienda avrebbe già tutti i dati a disposizione. Bilanci, budget, forecast, strategia, contenziosi (no, non ne abbiamo, mai avuti…), organigramma, retribuzioni. Sanno già ogni cosa se solo lo volessero. E quindi non ci sarebbe molto da scherzare, è la dura e cruda realtà.
Sono molto perplesso riguardo quello che in termini generali sta accadendo negli Stati Uniti e comincio a provare un pochino di paura verso quello che potrebbe diventare uno stato di polizia.
Dato che in genere siamo molto bravi ad importare nella nostra penisola le decisione che vengono da oltre oceano sono spaventato. La nostra attuale classe politica di tutto è capace tranne che di esprimere pensiero efficace e oggettivo.
Se è vero che non siamo in grado di proteggere in maniera assoluta i nostri dati trovo che sia comunque necessario educare le persone a cercare di proteggersi per quanto è possibile.