Lo stai facendo male (reprise)

Stiamo ancora cercando casa. Cercare casa in Svizzera è difficile.

Come ho scritto qualche giorno fa anche essere un locatore è difficile.

Mi hai ripreso per un parcheggio abusivo di cui si è macchiato un componente del nostro team.

Il nostro primo appuntamento non è andato molto bene. Entrando al ristorante hai palpeggiato le mie terga e non ti sei nemmeno scusato. Io sono una gran signora ed ho abbozzato.

Tutto sommato sei carino, hai del potenziale sebbene sepolto molto in profondità e da sgrezzare.

Per questa semplice ragione mi consulto con le amiche su WhatsApp scambiandomi qualche messaggio vocale e decido comunque di concederti una seconda possibilità.

Le mie cicatrici avrebbero dovuto insegnarmi che non si concede mai una seconda possibilità. Ma che ci vuoi fare. Sono una donna di buon cuore.

Purtroppo non ti sei rivelato in grado di sfruttare l’occasione.

Mi porti allo stesso ristorante del nostro ultimo appuntamento. Bello, si. Certo un pochino di iniziativa non avrebbe guastato.

Oggi mi hai fatto notare di essere in ritardo con un pagamento. Io lo so che tu hai ragione ma sei tu che mi devi pagare la cena se vuoi che io ti sposi, non il contrario.

Alzandoti dal tavolo ti sei scusato dicendomi che avevi bisogno del bagno. Non sei più tornato e ho dovuto subire l’umiliazione di pagare il conto da sola.

Mi dispiace. Ho il sospetto che questo matrimonio “non s’ha da fare”.

 

Le chitarre

Fin da ragazzo mi piace suonare la chitarra, specialmente la chitarra elettrica.

Mi piace così tanto da tenerne una in ufficio in compagnia di un piccolo, ma potente, amplificatore valvolare.

La raccolgo quando ho bisogno di distrarmi dalla quotidianità della vita in ufficio.

Ci confesso che non sono mai stato, e non sono nemmeno ora, un bravo chitarrista. Un pochino me la cavo ma non potrei mai nutrirci la mia famiglia.

Nonostante questo sono un acquisitore compulsivo di strumenti e accessori come effetti, plettri, cavi, schede audio.

Io davvero non resisto. C’è sempre quel bottone “Clicca per acquistare” al quale non riesco proprio a resistere.

Nonostante questo abbia un influsso decisamente negativo sui miei punti moglie confesso di avere, credo, almeno sette chitarre diverse.

Davvero, lo so benissimo. Sono troppe e in realtà non mi servirebbero affatto.

La verità è che mi piacciono da impazzire. Mi piace sentirne il peso diverso quando le prendo in mano, il colore e le venature del legno, la sensazione delle dita sulla tastiera ed loro suono distintivo quando le colleghi all’amplificatore.

Un paio di volte alle settimane le riprovo tutte e mi piace sentire il loro peso diverso, il tono dei differenti pickup e le sensazioni che il legno trasmette.

Sono comunque molte di più di quando io abbia realmente bisogno. Non riesco comunque a resistere quando incontro uno strumento che mi chiama, quando lo prendi tra le tue mani e capisci che c’è un feeling. Quello è il momento in cui le mie dita scivolano a prendere la carta di credito.

C’è sempre qualche altro strumento che vorrei aggiungere alla collezione.

Non resisto.

Ma, in fondo, perchè dovrei resistere?

Milano – Roma

La tratta Milano Roma è una tratta molto peculiare.

Che tu la faccia in treno od in aereo vale la stessa considerazione.

E’ una tratta ad altissima densità di fighetti e fighette. Tutti amministratori delegati perennemente al telefono per chiudere l’affare del secolo.

Molti di loro sono tiratissimi nei loro completi scuri e nei loro serissimi tailleur.

Una differenza tra il treno e l’aereo comunque esiste. Tipicamente la tratta in treno ha una durata almeno quattro volte superiore rispetto alla tratta in aereo. Questo fatto, unitamente al placido cullare dovuto al rollio dei binari, concilia il sonno.

Per questa ragione dopo circa un’oretta di viaggio alla maggior parte dei viaggiatori cala la palpebra. Questo è il momento in cui il fighetto, o la fighetta, perde il controllo.

Lui, o lei, prova a resistere alla cecagna ma la testa ciondola sempre più frequentemente sino a che scivolano definitivamente tra le braccia di Morfeo.

In quel momento lo standing subisce un crollo assoluto.

Bocca aperta, respirazione rumorosa e molesta e, nei casi peggiori un filo di bava che riga la guancia.

Molto poco amministratore delegato e molto più infante nel pieno ciclo NPC.

Il bambino di sei anni

Dite la verità e non siate timidi!

Anche voi va venire il latte alle ginocchia quando un cliente vi chiede di spiegargli qualcosa come se doveste farlo per un bambino di sei anni.

Se io e te siamo seduti allo stesso tavolo per discutere di qualcosa che abbia una qualche vicinanza con le rispettive attività professionali si suppone che tu abbia scelto me perchè ne so qualche e che ti abbiano messo in quella posizione perchè anche tu ne sai qualcosa.

Ora, caro cliente, i casi sono due.

O mi stai chiedendo di realizzare per te un progetto che ti porti alla realizzazione dell fusione fredda pur sapendo che io coltivo mele o mi stai chiedendo di comprare delle mele e mi domandi di che varietà sono quando, sino a ieri, hai comprato aspirapolveri.

Caro cliente, comprenderai che tra noi non c’è dialogo e, purtroppo, stiamo perdendo del tempo tutti e due.

Che poi io ho sempre pensato che quel bambino di sei anni le sa tutte. Fa solo finta di non capire per mettere in imbarazzo gli adulti. E’ certamente figlio di padre ignoto e madre dedita al mercimonio del proprio corpo.

Ecco, io a quel bambino di sei anni non spiego proprio nulla. Al massimo lo rimando a calci nel sedere a giocare con i Lego che sono cose che realmente gli competono.

E’ scoppiato!

Chiunque si ritrovi tra le mani una qualsiasi carriera professionale si ritrova, prima o poi, a pensare come sarebbe la sua vita se si trovasse a posare le sue terga sulla sedia di un amministratore delegato di una grande azienda del suo settore.

Dai, confessate. Lo avete fatto anche voi. Non c’è niente di cui vergognarsi.

Io confesso che in passato ho avuto delle fantasie, non erotiche, pensando di ritrovarmi ad essere amministratore delegato di Apple. In passato ho pensato anche a Nokia, giuro.

Posso, invece, affermare con tutta onestà che non vorrei mai essere amministratore delegato di Samsung.

Tu sei lì che amministri al tua bella multinazionale e le cose tutto sommato vanno bene. Per qualche semestre sei tra i primi player del mercato, in altri momenti sei secondo ma la verità è che gli azionisti sono contenti.

E per una trasposione del detto “Se mia moglie è contenta, io sono contento” pensi che “Se gli azionisti sono contenti, io sono contento”.

Una sera stai per andartene a casa dopo una dura giornata di lavoro quando qualcuno ti dice che dovresti guardare quello che sta dicendo un ex hippie californiano che mai nella sua vita si è occupato di telefoni cellulari.

Lo vedi sul palco che racconta ad una folla di fedelissimi che è arrivato il momento di cambiare le regole del gioco.

In fondo tu non ti preoccupi più di tanto. Ma chi sarà mai questo occhialuto spilungone che vuole entrare in un mercato difficile, complesso e sostanzialmente governato dalla tirannia delle compagnie telefoniche.

Già te lo vedi negoziare con l’amministratore delegato di quella grande compagnia telefonica che vuole un telefono verde fluo giusto perchè la sua amante si è colorata le unghie di quel colore la settimana prima.

Purtroppo per te non è così. Sono passati dieci anni e loro hanno venduto un miliardo di telefoni, hanno in banca 230 miliardi di dollari in contanti e ti hanno preso a schiaffi tanto che hai acquisito una azienda che produce crema idratante per curarti l’irritazione sulle guance.

In realtà hai provato a reagire e, diciamocelo, sei stato anche bravino. Negli ultimi due anni ve la giocate come numeri sebbene ci sia ancora molto da fare in termini di iconicità dell’azienda.

Gli azionisti si sono ripresi dallo shock e sono tornati a sorridere.

Sai che il tuo grande rivale sta per annunciare qualcosa di nuovo e tu lo anticipi. Chiami tutti i giornalisti in riunione offrendogli un buffet luculliano e annunci il tuo ultimo prodigioso prodotto.

Confesso, ho lavorato per molti anni in questo settore e ti confesso che io lo comprerei. Hai fatto un grande lavoro e sono davvero molto contento per te.

Almeno questa sera non ti ritroverai a piangere da solo davanti allo specchio del bagno come se ti avesse lasciato la tua prima fidanzata del liceo.

Senti il tuo telefono squillare.

Rispondi.

All’altro capo del telefono c’è un dipendente della tua azienda che è stato incaricato di chiamarti per darti una brutta notizia. E’ un kamikaze estratto a sorte con la tecnica dei legnetti. Nessuno voleva darti questa notizia.

Dipendete: “Capo…”

CEO: “Si?”

Dipendente: “Pare che il nostro ultimo prodotto esploda nelle mani dei nostri clienti….”

Segue silezio imbarazzato. La mentre del CEO fatica a razionalizzare l’informazione.

CEO: “Come?”

Dipendente: “…. Si… Pare che qualcuno abbia commesso un errore nella progettazione della batteria e questa esplode o, nella migliore delle ipotesi, prende fuoco.”

Ora io mi vedo il CEO che reagisce come Alex Drastico quando diventa consapevole del fatto che qualcuno gli ha rubato il suo motorino.

CEO: “Ma chi? Ma come? Ma che c….”

Ovviamente nel suo interloquire il dipendente ha saggiamente usato la locuzione “qualcuno ha commesso un errore”… non sono stato io… io ti sto solo rendendo nota la ferale notizia. Non c’entro nulla. Io mi ero occupato solo del buffet. Sono avanzate anche due tartine.

Così, dopo una rincorsa durata anni, quando ti trovi a pochi passi dall’affiancare il tuo più agguerrito avversario nella finale dei 100 metri alle olimpiadi, ecco che inciampi e cadi. Malamente.

E alla fine ti ritrovi davanti al tuo specchio a piangere, come negli ultimi dieci anni. Nulla è cambiato, si ricomincia, e gli azionisti non sono contenti.

Trementina

Ci sono delle parole che già solo nel loro suono mi affascinano.

Trementina. Provate a pronunciarla ad alta voce e capirete quello di cui sto parlando. Non è una parola assolutamente evocativa.

Ultimamemte mi è capitata di leggerla in un romanzo ed erano anni che non capitava sotto ai miei occhi. Certamente parola di uso non comune che difficilmente corri il rischio di incontare nelle tue conversazioni quotidiane.

Mi piace il suo suono e come scorre sulla lingua.

Il suono stesso lo trovo evocativo di grandi sconvolgimenti. Non so per quale ragione ma mi immagino una sostanza tormentata, in continuo cambiamento e adattamento. Instabile e dall’odore forte.

Che bello avere il tempo di potersi soffermare su una parola e lasciarsi trascinare dal fascino della sua orgine e dal suo significato.

“Dal latino therebenthina, che trae da terebinthus (terebinto).”

“terebinto: dal greco tereb-inthos e più anticamente Terminthos.”

Questa parola è che ti trascina con forza in un contesto totalmente analogico fatto di tela e di colori, di odori e di tratti su uno spazio bianco. C’è questo contrasto tra il pulire il pennello con la trementina al termine di una giornata spesa su una tela e il suo contraltare digitale. Due mondi diversi, ognuno con la sua grande dose di fascino e di creatività.

Ecco, io con queste cose ci potrei perdere delle giornate.

Keynote!

Lo scorso 7 Settembre si è celebrato l’ultimo rito pagano da parte in Apple durante il quale sono stati annunciati “urbi et orbi” i nuovi prodotti che svuoteranno il portafoglio di molti di noi.

Oramai il format è consolidato ed, ovviamente, molto diverso da quando il grande maestro di cerimonie Steve Jobs calcava ancora il palcoscenico.

Sul palco minimalista si alternano i vari vice president che ci raccontano per quale motivo dovremmo acquistare l’ultima meraviglia.

Questo è vero per tutti tranne che per uno: Jonathan Paul Ive, Chief Design Officer

Lui non c’è mai fisicamente. La sua massima manifestazione terrena è la presenza della sua voce in quei video in cui parla del design dei nuovi prodotti.

Ecco, io ogni volta che lo sento in uno di questi video non posso evitare di ricordare Aldo, Giovanni e Giacomo.

Il grande Pdor, figlio di Kmer, della tribù di Istar
della terra desolata di Cfinir, uno degli ultimi sette saggi: Puvvurur, Ganer, Astafanirghecusar, Usust e Ghanir, colui che era, colui che è stato e colui che sempre sarà – ciuciachì e ciucialà – , colui il quale ha inseguito e sconfitto i demoni Sem- che adesso vagano per il mondo domandandosi: ma nùn chi sèm?-, colui il quale è sceso tra le acque sacre del lago Fstgnur, tra le ninfe Pfnigherans, e lì ha assaggiato il mitico cibo degli dei (la piadèina), colui il quale ha amato le mille dee, tra cui la dea Berta (la dea dalla gamba aperta), colui il quale ha visto i mille draghi alati: Gazis, Urar, Pamir e Farem, colui il quale ha visto tra le nebbie di Kvnisir le mille alghe pelose di Gososar, Faram, Bazim, Durum e Parragahertz, colui il quale ha visto i mille demoni alati tra le nuvole di Bznir scendere dal cielo inferociti e distruggere i popoli di Kromb, Curril e Fastanell, colui il quale può leggere nel presente, nel passato e anche nel congiuntivo…

Presenza immateriale e divina e parte integrante e fondamentale del rito pagano.

E non dimentichiamo che Ive è stato anche nominato Knight Commander of the Order of the British Empire. In questo potere temporale e potere spirituale si sommano nello stesso essere umano, ammesso che sia umano e non già assunto in cielo.

 

 

Parcheggio abusivo

Succede che presto avremo bisogno di una nuova casa per il nostro studio. E’ un pò di tempo che sto facendo ricerca nei dintorni per verificare quali spazi commerciali siano a disposizione.

Ovviamente ho affrontato l’argomento anche con il nostro attuale “locatore”. Qui c’è uno spazio disponibile anche se non è il migliore tra quelli che ho visto sino ad ora.

La signorina che ci segue ha adocchiato l’affare e da allora mi fa la posta per avere informazioni riguardo le nostre intenzioni. Diciamo che mi fa tenerezza perchè è evidente che ci prova. Non è nella sua natura e sta facendo uno sforzo immane. Chiaramente non appartiene al suo DNA Svizzero.

Diciamo che comunque il galateo della vendita impone che tu mi tratti come se fossi la tua futura sposa. Mi dovresti coccolare e tentare di convincermi che il matrimonio con te è una buona idea piuttosto che un matrimonio riparatore.

Mi devi conquistare. Mi devi mandare mazzi di fiori ed aprire la portiera della macchina quando sto per entrarci. Mi devi vezzeggiare, intrattenere e far sorridere dalla mattina alla sera.

Ci provi. Non ci riesci.

Il tuo DNA di virago non può fare a meno di manifestarsi e scrivi una mail “urbi et orbi” dicendo che una macchina “parcheggia in modo abusivo” e che se necessitiamo di un parcheggio in più possiamo rivolgerci alla amministrazione.

Ora, a parte il fatto che hai usato l’aggettivo “gentile” ben quattro volte in cinque righe di messaggio di posta elettronica, sappi che non lo stai facendo bene.

E’ come se tu mi stessi portando in un ristorante di lusso per una romantica cena a lume di candela e mentre stiamo varcando la soglia del locale tu mi tastassi il sedere con la tua mano mentre mi sorridi.

Io ti faccio pagare il conto del ristorante di lusso ma sappi che non ci sposeremo mai. E nemmeno te la darò.

 

Bando di gara

Per un interesse personale ho avuto la curiosità di leggere il bando di gara del comune in cui abito per l’assegnazione della gestione della Scuola Civica di Musica.

La Scuola Civica di Musica è un successo locale. Ci sono centinaia di studenti di tutte le età ed una offerta formativa che comprende decine di strumenti con docenti di assolta qualità. La qualità è talmente elevata che è riuscita a vincere anche la mia pigrizia spingendomi ad iscrivermi nei due anni passati.

La lettura del documento è stata decisamente interessante.

La prima sensazione è quella di essere teletrasportati direttamente tra le pagine di un racconto kafkiano. La terminologia è vetusta e assolutamente degna di una pubblica amministrazione. Incomprensibile a tratti e redatta con un lessico che vedrei più adatto ad un burocrate del Kaiser piuttosto che ad un essere umano che vive nel nostro secolo.

La seconda sensazione che ho provato è la distanza che intercorre tra gli obiettivi del bando di gara e l’infrastruttura che li circonda.

Personalmente ritengo che lo scopo principale di un bando di gara di questo tipo sia quello di garantire il raggiungimento di certi obiettivi di partecipazione e di qualità garantendo l’aspetto culturale/formativo della iniziativa.

Questi elementi sono in un certo qual modo presenti all’interno della documentazione ma sono circodati da un castello di vincoli normativi che ne neutralizzano l’efficacia.

Se è vero che tutta questa infrastruttura è necessaria in un bando di gara per allontanare qualsiasi “furbetto” è altrettanto vero che ne minano il risultato atteso. Lo stesso vale per l’amministratore pubblico che si trova comunque costretto a sottostare a queste regole se non vuole ritrovarsi sulla scrivania un avviso di garanzia.

Per quanto tu possa essere una organizzazione preparata e disponibile ad assumerti quella responsabilità, seppur retribuita, è vero che devi soddisfare una quantità di requisiti pazzesca. I bandi di gara delle aziende private sono una passeggiata di salute a confronto.

Garanzie, titoli, anticipi, impegni, documenti… follia pura.

Con questo approccio si distrugge qualsiasi cosa di buono esista nel nostro tessuto sociale e imprenditoriale. Io penso che si corra il rischio che tutto finisca nelle mani di coloro che hanno imparato bene le regole del gioco e che sanno soddisfare tutti i requisiti normativi tralasciando l’oggetto della gara.

Sopratutto per iniziative di carattere culturare il valore dovrebbe stare nella offerta formativa, non nella tua capacità di soddisfare le regole scritte intorno.

Immagino che non ci saranno mai cambiamenti in tal senso ma lo trovo di una tristezza e di una pochezza assoluta.

Un mese e più

Sinceramente immaginavo che avrei abbandonato questo esperimento molto prima delle scadere di un mese. Immaginavo che passato l’entusiasmo iniziale avrei lasciato passare il tempo dimenticandomi del mio posto quotidiano.

A distanza di più di un mese questo non è ancora successo e, al contrario, non mi sembra di vivere nessuna costrizione nel rendere disponibile almeno un posto al giorno.

Spesso si tratta di una pausa da tutto quello che mi circonda e, in un certo qual modo, mi aiuta ad essere più sereno.

Avevo letto diversi scritti su abitudini simili e devo riconoscere che mi ritrovo molto in quello che avevo letto. Una difficoltà iniziale che lentamente si stempera in una abitudine alle parole.

Anche la lunghezza media di quello che ho scritto è leggermente aumentata.

Pensandoci sarebbe interessante avendo qualche mese di dati in più fare un pò di analisi per capire qualche parametro. Giusto per curiosità e per infilarci un pò di numeri che mi piacciono sempre da morire.

Interesante anche il fatto che tutto questo rimane ancora abbastanza nascosto nonostante le frequentazioni regolari dei crawler di Google. Anche questa è una cosa interessante. In effetti sono poche le persone che ne conoscono l’esistenza ed in fondo, come avevo detto, questo serve più a me che al resto del mondo.

Per il momento continuo con l’eperimento.

Il lievito madre

Ingredienti:

  • 50 grammi di farina 0
  • 50 grammi di farina integrale
  • 100 cl di acqua tiepida
  • un cucchiaio di miele

Questi sono gli ingrediente per fare il lievito madre liquido. Una semplicità incredibile se solo si pensa a quello che si può ottenere con questa “pozione”.

Si mescolano questi ingredienti e si lasciano riposare in un ambiente caldo e possibilmente vicino a della frutta. Questa ultima indicazione mi suona sempre come un consiglio da stregone ma vi assicuro che ha una sua influenza sul risultato finale.

Si attende per due giorni lasciando che i batteri che sono presenti nell’aria contaminino il vostro preparato. Dopo le prime ore di riposo vedrete comparire magicamente le prime bollicine sulla superficie del composto.

Ecco, una forma base di lievitazione sta avendo luogo. Come se foste dei biologi in laboratorio avete la vostra coltura di batteri che si sta formando sotto i vostri occji. Questa cosa ha sempre dell’incredibile ai miei occhi. Spesso non vedo l’ora di tornare a casa la sera per potere verificare la condizione del mio lievito madre. Sì, questo è il nome di ciò che state ottenendo, ed è vecchio come il genere umano.

Si narra di lieviti che vivono da centinaia di anni e che si tramandano di generazione in generazione come un prezioso tesoro e, in un certo qual modo, sono un tesoro. Un tesoro vivo che si tramanda.

Per questa ragione arriverete a dargli un nome perchè ve ne prendere cura come se fosse un cucciolo bisognoso di affetto ed attenzioni. Il mio, nuovo, non lo ho ancora battezzato ma sono sicuro che molto presto succederà.

Qualcuno vi chiederà di cederne parte per potere sperimentare. In linea di principio non c’è nessun problema nel farlo. Rinfrescando il vostro cucciolo ogni giorno avete sempre a disposizione quello che si chiama “esubero” che potrete cedere senza troppi pensieri. Il mio quasi sempre finisce nella spazzatura. Nonostante questo ci sono delle persone che ti valutano prima di concederti un pò del loro lievito madre. Come in tutte le cose ci sono estremisti e talebani anche nel magico mondo della panificazione.

Vi state domandando cosa si intenda per “rinfresco”? E’ facile. Il lievito madre è vivo e ha bisogno di nutrirsi. Ogni giorno gli dovete dare della nuova farina per nutrire la coltura batterica. Si prendono X grammi del lievito madre esistente, si aggiungono X grammi di farina e X grammi di acqua e si lascia riposare sino al successivo rinfresco. I rinfreschi in genere si susseguono ogni 24 ore.

Ecco, avete visto? Ha bisono di cure e attenzioni giornaliere.

Un ultima nota riguarda il suo utilizzo. Prima che possiate panificare con successo è necessario che il lievito si stabilizzi. Perchè questo avvenga sono necessarie almeno due settimane. Se proverete a panificare prima è probabile che otteniate dei risultati apprezzabili dal punto di vista della forma, un pochino meno dal punto di vista del gusto. Il pane con lievito madre non perfettamente stabilizzato avrà un sapore acido molto poco gustoso.

A me questa cosa piace da impazzire ed in effetti ho lasciato passare troppo tempo prima di ricominciare. Adesso il mio lievito sta nascendo e mi auguro che sia un successo come lo è stato in passato.

Aprire la porta

Dopo avere trascorso questi tre giorni in ritiro per disegnare il futuro di Sketchin e avere passato un intero fine settimana a pensarci sopra riorganizzando le idee mi sono convinto di molte cose.

Persone di talento che scelgono di lavorare insieme a te lo fanno perchè condividono la visione che tu hai del lavoro. Questa visione del lavoro ha due distinte facce. La prima è la visione del lavoro che svolgi in termini tecnici. Per quanto ci riguardo potremmo chiamarla visione creativa. La seconda è che condividono la stessa visione sulla vita all’interno dell’azienda.

Per questa ragione è necessario fare in modo che all’interno delle mura dell’ufficio ma, sopratutto, fuori sia sempre aperto un microfono che ascolti quello che accade e che sia pronto a segnalare sintomi di sofferenza o malumore.

In questi tre giorni ho scoperto che ci sono una infinità di aree che sono pronte per essere migliorate e noi siamo pronti a farlo con il contributo di tutti.

In genere questi processi di trasformazione avvengono in “camera caritatis”.

Quello che mi sto domandando è se non abbia senso aprire questo processo di lavoro all’esterno, renderlo trasparente e disponibile ad essere integrato da contributi di altre persone e organizzazioni.

Confesso che il termine azienda comincia a starmi molto stretto anche se non sono ancora in grado di trovare un termine equivalente in grado di rappresentare quello che ho in mente in questo momento.

Sto cominciando a lavorare ad una ipotesi di apertura dei lavori verso l’esterno. Vediamo nei prossimi giorni cosa riusciamo a fare.

La polvere sotto il tappeto

Ho speso tre giorni offsite.

Tecnicamente fare un offsite significa spendere del tempo al di fuori della sede della propria azienda nella speranza che la distanza dai muri che ti ossessionano ogni giorno ti aiuti a capire cosa fare per tenere insieme la baracca.

Nella accezione moderna dell’offsite rientra anche il piccolo premio ai dipendenti nel caso in cui l’offsite si tenga in località amena con contorno di pranzi e cene luculliane, intrattenimenti più o meno trash e, non ultimo, il dipanarsi di tresche aziendali che possono essere consumate solo al di fuori delle mura domestiche e lavorative.

Fortunatamente niente di tutto questo.

Sono sempre stupefatto dalla qualità dei risultati che otteniamo quando lasciamo scaricarsi l’inerzia lavorativa e ci prendiamo del tempo per capire che cosa siamo e cosa vogliamo diventare.

Oggi, tra le altre cose, ho letto che non siamo una famiglia, ma una squadra. Più propriamente una squadra professionistica. Sono perfettamente daccordo. Confesso che la metafora della famiglia applicata all’azienda mi ha sempre fatto venire l’orticaria.

Le persone si sentono libere di dire quello che pensano. Le gerarchie, ammesso che ne esistano in Sketchin, sono annullate. Io sono stato criticato per alcuni atteggiamenti e, pensandoci, devo ammettere che hanno perfettamente ragione.

Per l’ennesima volta siamo riusciti ad evitare di mettere la polvere sotto il tappeto e abbiamo cominciato a dare una forma a quello che vogliamo diventi Sketchin nei prossimi anni. Ci sono grandi cambiamenti in corso e dobbiamo essere in grado di affrontarli nella maniera piuù efficiente possibile.

Questo non toglie che lo spirito originale di Sketchin deve rimanere il nucleo fondante di quello che siamo e che saremo.

Si, come in ogni squadra professionistia ci mandiamo a quel paese senza grossi problemi ma quando vinciamo il campionato ci abbracciamo tutti con sincerità.

Questo è il tenore delle persone che vorrei venissero a lavorare in Sketchin. Professionisti abili ne trovo a decine. Persone con la giusta attitudine molte molte meno.

Ieri ho detto qualcosa del tipo:

Quando una azienda super il numero di trenta dipendenti, genera stronzi.

Perdonate il francesismo.

Io trovo che qualsiasi azienda dovrebbe trovare il modo di avere il coraggio di guardare sotto il tappeto. Non è mai troppo tardi.

Io sto zitto

Mi avvicino a larghe falde al mio cinquantesimo genetliaco e mi accorgo di non avere più molta voglia di combattere la stupidità che mi circonda.

Un tempo avrei combattutto strenuamente ogni fesseria che mi fosse capitato di incontrare nell vita reale o nella vita “online”. Avrei circostanziato ogni fesseria o bufala letta o sentita, avrei cercato di fare capire che esistono punti di vista e prospettive diverse.

Devo confessare che poche volte sono riuscito ad avere successo. Lo stupido e il disinformato ha una tenace tendenza a rimanere tale.

Ora ho semplicemente deciso che non ne vale la pena.

Rimane un ambito di strette conoscenze le quali vale ancora la pena farlo e, ancor di più, i miei figli che meritano di avere tutti gli strumenti per analizzare e comprendere prima di esprimere un giudizio.

Per questo motivo ho deciso di stare zitto salvo casi eclatanti cui sono certo non saprò resistere.

 

Gruppi su Facebook

Sono decisamente affascinato dalla dinamica dei gruppi su Facebook popolati da figure politiche locali.

Nel caso specifico sto parlando del piccolo comune dell’hinterland milanese in cui abito. Leggo da Wikipedia che ad oggi contiamo 27.158 abitanti. Cavolo, pensavo di più, ma si sa che con le stime non ci so fare.

Intorno al comune gravitano almeno tre gruppi su Facebook. Potrete immaginare che sono tutti sul genere:

  • Sei di $nome_comune se $qualcosa
  • Sei di $nome_comune
  • $nome_comune

Uno di questi gruppi è gestito da un rappresentante del Movimento 5 Stelle locale. Dal gruppo sono stato bannato quasi subit perchè ritenuto elemento prezzolato al soldo della maggioranza al governo. Il che mi lascia perplesso ma mi adeguo. Nulla al confronto delle faide dei tempi dei newsgroups, ma tant’è. Nel caso specifico mi ero limitato a ridimensionare un post che utilizzava degli aggettivi superlativi quando in realtà dei semplici aggettivi qualificativi avrebbero perfettamente servito la bisogna.

Confesso che ne sono rimasto estremamente dispiaciuto. Era una delle mio fonti di divertimento quotidiano e ho faticato ad identificare un succedaneo altrettanto esilarante quanto la pseudo-propaganda politica soffiata tra i post del gruppo.

Confesso che ho trovato degni sostituti. Di questo parlerò altrove.

Il secondo gruppo locale è molto soft. Argomenti generici e poche polemiche. Diciamo che scorre nel suo quotidiano senza infamia e senza lode.

Il terzo gruppo ha del potenziale. Non sono stato ancora in grado di spendere del tempo per comprendere chi lo controlla ma ho notato che è frequentato attivamente da esponenti politici di fronti avversi.

La dinamica è decisamente interessante e governata dalla seguenti regole, non scritte, immagino:

  • L’esponente politico A non commenta mai sui post dell’esponente politico B
  • L’esponente politico B non commenta mai sui post dell’esponente politico A
  • L’esponente politico A posta prevalentemente contenuti tesi a screditare l’esponente politico B
  • L’esponente politico B posta prevalentemente contenuti che celebrano il buon fare della sua area politica.
  • I cittadini sostanzialmente se ne fottono e commentano poco A e B

Poichè non riesco a stare tranquillo e, diciamolo, sono anni che non trollo nessuno in maniera appropriata ieri ho fatto un esperimento.

Un esponente politico C ha postato una cosa su un argomento molto delicato, anche a livello nazionale. Mah, mi sa che qui possiamo anche uscire dall’anonimato. Notizia di qualche giorno fa vuole che il sindaco di un paese confinante abbia dichiarato che lui non celebrerà per nessun motivo unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Contento lui e la magistratura che dovrebbe interessarsene, contenti tutti.

L’esponente politico C ha scritto che chiunque volesse sposarsi avrebbe potuto farlo nel nostro comune.

Ecco, io ho commentato con questo:

Che a Buccinasco non ci si ponga il quesito se sia giusto o meno celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso e’ un grandissimo segno di civiltà. I cittadini che non sono d’accordo farebbero bene a rendersi conto che siamo nel 2016 e che esiste una legge dello stato che va rispettata.

Mi aspettavo delle reazioni vive e accese. Ebbene, nulla…

Che tristezza. Ancora abbiamo paura a manifestare le nostre opinioni sui temi fondamentali della democrazia?

Sinceramente mi aspettavo qualcosa di meglio. Accidenti, nemmeno Esponenente politico A ha detto nulla.