Il cliente “illuminato”

Ci sono occasioni durante le quali ti rendi conto che qualcosa sta davvero cambiando nel panorama lavorativo al quale sei abituato. Cambiamenti sottili, quasi impercettibili. Piccoli movimenti che si manifestano quasi inaspettati.

Capita sempre più spesso di parlare con clienti che sono preparati, sanno quello che vogliono e sono disponibili ad un confronto sano con i loro collaboratori e fonitori.

In alcuni momenti, purtroppo ancora molto rari, ho avuto la netta sensazione che mettendoti sotto contratto volessero davvero qualcuno con cui confrontarsi in maniera attiva sui loro problemi e sui loro progetti. Non più il fornitore che deve fare la pelle di leopardo al cospetto del cliente.

Questo cambiamento di ottica si riflette in maniera decisa sulla età media dei tuoi interlocutori. Finalmente l’età media si sta abbasando ed il Gran Cavalier Lup Mannar si incammina sul viale del tramonto.

Ecco, proprio adesso che io sto compiendo cinquanta anni?

Orario continuato

Ieri sera mi sono trovato nelle condizioni di avere necessità di fare degli acquisti per la logistica della classe di mio figlio in tarda serata.

Alle 20.30 l’unica opzione disponibile era un supermercato in un centro commerciale vicino casa che fa orario continuato sino alle ventiquattro.

Il caso ha voluto che io fossi ancora in alta uniforme. Giacca e pantaloni grigi e camicia azzurra d’ordinanza.

Il supermercato a quell’ora aveva un che di spettrale. Poche persone all’interno e quasi tutti dediti a piccoli acquisti. Giusto il necessario per svoltare la cena.

Un gran parte degli avventori era vestita come me con la differenza che sul loro volto era dipinta una espressione tristissima.

Nessuno di loro aveva un carrello della spesa ma tutti imbracciavano il piccolo cestello da utilizzare per una spesa modesta.

Confesso che la mia curiosità antropologica ha preso il sopravvento e mi sono messo a seguirli ed osservarli.

Il contenuto del cesto vedeva cibi precotti e pane. Qualche salutista aveva dell’Himalaya e della verdura. Spesso una bottiglia piccola di birra.

In almeno due casi su tre essi si muovevano all’interno del supermercato stando al telefono. Tipico caso di contestatore peripatetico.

Le conversazioni erano tutte di lavoro.

Mi sono immaginato questi single costretti ad alimentarsi alla bene è meglio avendo come unica compagnia a rallegrare la serata un collega di lavoro.

Oltretutto un collega di lavoro che ti parla di rogne perché alle nove di sera possono essere solo rogne.

In quel momento mi sono sentito molto fortunato. 

Se è vero che sono stato costretto ad uscire di nuovo la sera tardi per onorare i miei impegni di rappresentante di classe è altrettanto vero che dopo sarei tornato a casa a parlare di Minecraft e bambole.

E, vi assicuro, non è poco.

L’agenda

Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con la mia agenda, sopratutto quella lavorativa.

Giunto alla soglia delle cinquanta primavere il mio obiettivo primario è quello di risparmiare tempo da un lato e proteggere il mio tempo personale dall’altro.

Per questa ragione cerco di evitare il più possibile inutili perdite di tempo. Incontrarsi a tutti i costi non è più necessario. Abbiamo a disposizione strumenti che ci permettono di scambiarci informazioni, anche in tempo reale, estremamente efficienti.

Mi fa piacere stringerti la mano e bere un caffè insieme a te, ma solo se è strettamente necessario.

Se tu provi a fissarmi una riunione alle 19.00 è molto difficile che io accetti. Quello per me è già tempo per la mia famiglia. Le deroghe sono molto poche ed l’urgenza che mi potrebbe spingere ad accettare si avvicina a quella che avrebbe un potenziale colpo di stato per un presidente della Repubblica.

Ti assicuro che possiamo essere efficienti lo stesso e ottenere gli stessi risultati.

Ecco, se tu fossi così cortese da dirmi anche il motivo per il quale mi vuoi incontrare mi saresti estremamente d’aiuto nel prendere la mia decisione. La mia qualifica di fornitore non è sinonimo di schiavo al tuo servizio. Questo è ancora più vero se tendi a relegarmi negli interstizi della tua agenda.

Dai, il nostro tempo ha pari valore. Il mio è prezioso tanto quanto il tuo.

Ti assicuro che costruire un astronave con i Lego ha per me importanza assolutamente maggiore di qualsiasi progetto tu abbia in mente per la mia azienda.

Proviamo a lavorare in maniera diversa e più efficiente.

Funziona. Davvero.

 

La vita degli strumenti

Era una giornata di Novembre e avevo fatti tardi in ufficio non ricordo più per seguire quale stupidaggine.

Sono arrivato a casa e dopo avere abbandonato lo zaino a morire sulla sedia ho deciso che era il caso di distrarsi suonando un pochino di blues.

Mi sono avvicinato alla mia belissima Fender Telecaster e la ho osservata mentre la prendevo in mano. C’era qualcosa che non andava nella sua magnifica finitura butterscotch blonde. Va premesso che quella chitarra la avevo cercata per mesi sul mercato dell’usato. Una reissue dello strumento del 52 con una selezione di pickup del tutto peculiare. Una chitarra assolutamente versatile che può spaziare dal blues, al jazz e al rock senza alcun tipo di problema.

Ho guardato con più attenzione ed il danno era grave ed evidente.

Ho scoperto che la nostra babysitter lo aveva urtato con l’anta di una finestra durante i suoi lavori quotidiani. Un incidente, niente di più.

Ho immediatamente pensato a come fare per risolvere il problema. Avrei dovuto cercare un liutaio che fosse in grado di riverniciarla e portarla al suo stato originale.

Nei giorni successivi ho cominciato a cercare su Internet qualcuno che fosse in grado di aiutarmi ma, con il passare dei giorni, me ne sono quasi dimenticato.

Un sabato pomeriggio mi sono ritrovato ad osservare gli altri strumenti. Ognuno di loro aveva dei segni e delle imperfezioni. Dei piccoli urti dovuti all’usura o piccoli graffi per lo sfregamento. Nessuno di loro era nel suo stato originale.

Questa osservazione mi ha fatto riflettere.

Ho pensato che uno strumento ha una sua vita fatta di note, di utilizzo e di proprietari diversi. Il suo aspetto estetico è il risultato della sua vita e per questo ho pensato che dovesse essere rispettato.

Così come noi siamo nell’aspetto esteriore quello che abbiamo vissuto anche lo strumento manifesta il suo essere nella apparenza e questa apparenza non sarà mai perfetta come quando ha lasciato la fabbrica.

Per questo motivo ho deciso di non intervenire e di lasciare lo strumento così come si trova. Quella è stata la sua vita. Forse il suo valore economico diminuisce, ma la sua anima ne guadagna in esperienza.

La Telecaster fa ancora sfoggio di sè nella sua rastrelliera, insieme alle sue compagne, altrettanto vissute.

 

 

 

I buoni propositi

Insieme a Dicembre, Settembre è il mese dei buoni propositi.

Tutto il marketing dei corsi lo sa benissimo ed è in questo periodo che dà il meglio di se.

C’è una palesta che con soli 23 Euro al mese promette di farmi diventare Beh Hur. Mi piacerebbe conoscere il copy che ha concepito questa cosa. Non ho idea di quale sia il target demografico della palestra ma qualcosa non mi torna. Posso anche concedere che avere un fisico come quello di Carlton Heston possa essere un desiderio di tutto rilievo ma ciò non toglie che Ben Hur è un film del 1959. Vogliamo dire che chi lo ha visto all’epoca sognando il fisico del protagonista avesse almeno 16 anni? Ecco, oggi avrebbe 73 anni. Forse non esattamente il target per una palestra.

Sempre sullo stesso genere abbiamo “Sei brutto e grasso? Sii solo brutto”. Anche questo è un copy decisamente interessante per una palestra. Vero è che si può intervenire sul giro vita con una palestra mentre per tutto il resto serve, probabilmente, un chirurgo estetico di fama internazionale.

Non mancano all’appello i corsi di ballo. Nel caso specifico quasi tutti si affrettano a precisare che non è necessario essere in coppia per iscriversi ad un corso. Saranno loro a procurarti un partner alla bisogna.

Per i più esotici ci sono anche corsi di danza del ventre. In questo caso il partner è sconsigliato ma, per i single, si assicura accasamento in tempi brevissimi al termine della frequenza.

A seguire c’è tutta la corrente enogastronomica. Corsi per diventare sommelier che, se non altro, ti garantiscono di dimenticare i tuoi problemi quotidiani durante le ore di lezione grazie all’oblio dell’alcool. Potresti diventare anche un cucoco professionista e permetterti di competere a livello di Cracco e, magari, raggiungeere anche il suo livello di critica che non lascia scampo.

Non c’è che da scegliere.

Io oggi ho accompagnato la famiglia all’open day (ma non si può scrivere in Italiano che suona bello lo stesso?) di una nota associazione sportiva. Loro hanno provato diverse attività all’interno della struttura. Io no. Quando la signorina mi ha chiesto che cosa volessi provare, io ho risposto: “Il bar.”

Gear Acquisition Syndrome

Ho già confessato di non riuscire a resistere al continuo acquisto di nuovi strumenti musicali, in particolare chitarre.

Qualche giorno fa ho scritto del motivo sentimentale. Dovete sapere che non è il solo motivo che spinge un musicista all’acquisto.

In realtà mi fa molto sorridere definirmi un musicista. Diciamo piuttosto che sono maggiormente paragonabile ad un suonatore di organetto con una scimmietta sulla spalla. La differenza tra me e lui è che io non riesco nemmeno a racimolare quei pochi spiccioli che a lui permettono di sbarcare il lunario.

Se la mia sopravvivenza dipendesse dalle mie abilità come chitarrista sarei destinato ad una vita di stenti.

Il vero motivo per cui tanti musicisti non professionisti continuano a comprare strumenti e accessorri è un altro. E’ la convinzione che una nuova chitarra, un nuovo effetto, un nuovo pickup li renderà dei musicisti migliori.

Si tende a trasferire la causa della propria inabilità allo strumento e non a chi lo suona.

Come tutti sanno una nuova chitarra non ti rende un chitarrista migliore. Un nuovo effetto non rende più fluide le tue articolazioni. E’ la tua mente che te lo suggerisce ma non è così che funziona.

L’unico modo per diventare un musicista migliore è suonare e, se possibile, suonare in compagnia. In compagnia anche solo del proprio iPod e di una band che suona qualsiasi cosa. Suonare, suonare, suonare. Non c’è altra strada.

Se ti chiami Joe Bonamassa puoi suonare anche un asse da stiro.

Io, purtroppo, mi chiamo Alessandro e continuerò a comprare nuovi strumenti.

Lo stai facendo male (reprise)

Stiamo ancora cercando casa. Cercare casa in Svizzera è difficile.

Come ho scritto qualche giorno fa anche essere un locatore è difficile.

Mi hai ripreso per un parcheggio abusivo di cui si è macchiato un componente del nostro team.

Il nostro primo appuntamento non è andato molto bene. Entrando al ristorante hai palpeggiato le mie terga e non ti sei nemmeno scusato. Io sono una gran signora ed ho abbozzato.

Tutto sommato sei carino, hai del potenziale sebbene sepolto molto in profondità e da sgrezzare.

Per questa semplice ragione mi consulto con le amiche su WhatsApp scambiandomi qualche messaggio vocale e decido comunque di concederti una seconda possibilità.

Le mie cicatrici avrebbero dovuto insegnarmi che non si concede mai una seconda possibilità. Ma che ci vuoi fare. Sono una donna di buon cuore.

Purtroppo non ti sei rivelato in grado di sfruttare l’occasione.

Mi porti allo stesso ristorante del nostro ultimo appuntamento. Bello, si. Certo un pochino di iniziativa non avrebbe guastato.

Oggi mi hai fatto notare di essere in ritardo con un pagamento. Io lo so che tu hai ragione ma sei tu che mi devi pagare la cena se vuoi che io ti sposi, non il contrario.

Alzandoti dal tavolo ti sei scusato dicendomi che avevi bisogno del bagno. Non sei più tornato e ho dovuto subire l’umiliazione di pagare il conto da sola.

Mi dispiace. Ho il sospetto che questo matrimonio “non s’ha da fare”.

 

Le chitarre

Fin da ragazzo mi piace suonare la chitarra, specialmente la chitarra elettrica.

Mi piace così tanto da tenerne una in ufficio in compagnia di un piccolo, ma potente, amplificatore valvolare.

La raccolgo quando ho bisogno di distrarmi dalla quotidianità della vita in ufficio.

Ci confesso che non sono mai stato, e non sono nemmeno ora, un bravo chitarrista. Un pochino me la cavo ma non potrei mai nutrirci la mia famiglia.

Nonostante questo sono un acquisitore compulsivo di strumenti e accessori come effetti, plettri, cavi, schede audio.

Io davvero non resisto. C’è sempre quel bottone “Clicca per acquistare” al quale non riesco proprio a resistere.

Nonostante questo abbia un influsso decisamente negativo sui miei punti moglie confesso di avere, credo, almeno sette chitarre diverse.

Davvero, lo so benissimo. Sono troppe e in realtà non mi servirebbero affatto.

La verità è che mi piacciono da impazzire. Mi piace sentirne il peso diverso quando le prendo in mano, il colore e le venature del legno, la sensazione delle dita sulla tastiera ed loro suono distintivo quando le colleghi all’amplificatore.

Un paio di volte alle settimane le riprovo tutte e mi piace sentire il loro peso diverso, il tono dei differenti pickup e le sensazioni che il legno trasmette.

Sono comunque molte di più di quando io abbia realmente bisogno. Non riesco comunque a resistere quando incontro uno strumento che mi chiama, quando lo prendi tra le tue mani e capisci che c’è un feeling. Quello è il momento in cui le mie dita scivolano a prendere la carta di credito.

C’è sempre qualche altro strumento che vorrei aggiungere alla collezione.

Non resisto.

Ma, in fondo, perchè dovrei resistere?

Milano – Roma

La tratta Milano Roma è una tratta molto peculiare.

Che tu la faccia in treno od in aereo vale la stessa considerazione.

E’ una tratta ad altissima densità di fighetti e fighette. Tutti amministratori delegati perennemente al telefono per chiudere l’affare del secolo.

Molti di loro sono tiratissimi nei loro completi scuri e nei loro serissimi tailleur.

Una differenza tra il treno e l’aereo comunque esiste. Tipicamente la tratta in treno ha una durata almeno quattro volte superiore rispetto alla tratta in aereo. Questo fatto, unitamente al placido cullare dovuto al rollio dei binari, concilia il sonno.

Per questa ragione dopo circa un’oretta di viaggio alla maggior parte dei viaggiatori cala la palpebra. Questo è il momento in cui il fighetto, o la fighetta, perde il controllo.

Lui, o lei, prova a resistere alla cecagna ma la testa ciondola sempre più frequentemente sino a che scivolano definitivamente tra le braccia di Morfeo.

In quel momento lo standing subisce un crollo assoluto.

Bocca aperta, respirazione rumorosa e molesta e, nei casi peggiori un filo di bava che riga la guancia.

Molto poco amministratore delegato e molto più infante nel pieno ciclo NPC.

Il bambino di sei anni

Dite la verità e non siate timidi!

Anche voi va venire il latte alle ginocchia quando un cliente vi chiede di spiegargli qualcosa come se doveste farlo per un bambino di sei anni.

Se io e te siamo seduti allo stesso tavolo per discutere di qualcosa che abbia una qualche vicinanza con le rispettive attività professionali si suppone che tu abbia scelto me perchè ne so qualche e che ti abbiano messo in quella posizione perchè anche tu ne sai qualcosa.

Ora, caro cliente, i casi sono due.

O mi stai chiedendo di realizzare per te un progetto che ti porti alla realizzazione dell fusione fredda pur sapendo che io coltivo mele o mi stai chiedendo di comprare delle mele e mi domandi di che varietà sono quando, sino a ieri, hai comprato aspirapolveri.

Caro cliente, comprenderai che tra noi non c’è dialogo e, purtroppo, stiamo perdendo del tempo tutti e due.

Che poi io ho sempre pensato che quel bambino di sei anni le sa tutte. Fa solo finta di non capire per mettere in imbarazzo gli adulti. E’ certamente figlio di padre ignoto e madre dedita al mercimonio del proprio corpo.

Ecco, io a quel bambino di sei anni non spiego proprio nulla. Al massimo lo rimando a calci nel sedere a giocare con i Lego che sono cose che realmente gli competono.

E’ scoppiato!

Chiunque si ritrovi tra le mani una qualsiasi carriera professionale si ritrova, prima o poi, a pensare come sarebbe la sua vita se si trovasse a posare le sue terga sulla sedia di un amministratore delegato di una grande azienda del suo settore.

Dai, confessate. Lo avete fatto anche voi. Non c’è niente di cui vergognarsi.

Io confesso che in passato ho avuto delle fantasie, non erotiche, pensando di ritrovarmi ad essere amministratore delegato di Apple. In passato ho pensato anche a Nokia, giuro.

Posso, invece, affermare con tutta onestà che non vorrei mai essere amministratore delegato di Samsung.

Tu sei lì che amministri al tua bella multinazionale e le cose tutto sommato vanno bene. Per qualche semestre sei tra i primi player del mercato, in altri momenti sei secondo ma la verità è che gli azionisti sono contenti.

E per una trasposione del detto “Se mia moglie è contenta, io sono contento” pensi che “Se gli azionisti sono contenti, io sono contento”.

Una sera stai per andartene a casa dopo una dura giornata di lavoro quando qualcuno ti dice che dovresti guardare quello che sta dicendo un ex hippie californiano che mai nella sua vita si è occupato di telefoni cellulari.

Lo vedi sul palco che racconta ad una folla di fedelissimi che è arrivato il momento di cambiare le regole del gioco.

In fondo tu non ti preoccupi più di tanto. Ma chi sarà mai questo occhialuto spilungone che vuole entrare in un mercato difficile, complesso e sostanzialmente governato dalla tirannia delle compagnie telefoniche.

Già te lo vedi negoziare con l’amministratore delegato di quella grande compagnia telefonica che vuole un telefono verde fluo giusto perchè la sua amante si è colorata le unghie di quel colore la settimana prima.

Purtroppo per te non è così. Sono passati dieci anni e loro hanno venduto un miliardo di telefoni, hanno in banca 230 miliardi di dollari in contanti e ti hanno preso a schiaffi tanto che hai acquisito una azienda che produce crema idratante per curarti l’irritazione sulle guance.

In realtà hai provato a reagire e, diciamocelo, sei stato anche bravino. Negli ultimi due anni ve la giocate come numeri sebbene ci sia ancora molto da fare in termini di iconicità dell’azienda.

Gli azionisti si sono ripresi dallo shock e sono tornati a sorridere.

Sai che il tuo grande rivale sta per annunciare qualcosa di nuovo e tu lo anticipi. Chiami tutti i giornalisti in riunione offrendogli un buffet luculliano e annunci il tuo ultimo prodigioso prodotto.

Confesso, ho lavorato per molti anni in questo settore e ti confesso che io lo comprerei. Hai fatto un grande lavoro e sono davvero molto contento per te.

Almeno questa sera non ti ritroverai a piangere da solo davanti allo specchio del bagno come se ti avesse lasciato la tua prima fidanzata del liceo.

Senti il tuo telefono squillare.

Rispondi.

All’altro capo del telefono c’è un dipendente della tua azienda che è stato incaricato di chiamarti per darti una brutta notizia. E’ un kamikaze estratto a sorte con la tecnica dei legnetti. Nessuno voleva darti questa notizia.

Dipendete: “Capo…”

CEO: “Si?”

Dipendente: “Pare che il nostro ultimo prodotto esploda nelle mani dei nostri clienti….”

Segue silezio imbarazzato. La mentre del CEO fatica a razionalizzare l’informazione.

CEO: “Come?”

Dipendente: “…. Si… Pare che qualcuno abbia commesso un errore nella progettazione della batteria e questa esplode o, nella migliore delle ipotesi, prende fuoco.”

Ora io mi vedo il CEO che reagisce come Alex Drastico quando diventa consapevole del fatto che qualcuno gli ha rubato il suo motorino.

CEO: “Ma chi? Ma come? Ma che c….”

Ovviamente nel suo interloquire il dipendente ha saggiamente usato la locuzione “qualcuno ha commesso un errore”… non sono stato io… io ti sto solo rendendo nota la ferale notizia. Non c’entro nulla. Io mi ero occupato solo del buffet. Sono avanzate anche due tartine.

Così, dopo una rincorsa durata anni, quando ti trovi a pochi passi dall’affiancare il tuo più agguerrito avversario nella finale dei 100 metri alle olimpiadi, ecco che inciampi e cadi. Malamente.

E alla fine ti ritrovi davanti al tuo specchio a piangere, come negli ultimi dieci anni. Nulla è cambiato, si ricomincia, e gli azionisti non sono contenti.

Trementina

Ci sono delle parole che già solo nel loro suono mi affascinano.

Trementina. Provate a pronunciarla ad alta voce e capirete quello di cui sto parlando. Non è una parola assolutamente evocativa.

Ultimamemte mi è capitata di leggerla in un romanzo ed erano anni che non capitava sotto ai miei occhi. Certamente parola di uso non comune che difficilmente corri il rischio di incontare nelle tue conversazioni quotidiane.

Mi piace il suo suono e come scorre sulla lingua.

Il suono stesso lo trovo evocativo di grandi sconvolgimenti. Non so per quale ragione ma mi immagino una sostanza tormentata, in continuo cambiamento e adattamento. Instabile e dall’odore forte.

Che bello avere il tempo di potersi soffermare su una parola e lasciarsi trascinare dal fascino della sua orgine e dal suo significato.

“Dal latino therebenthina, che trae da terebinthus (terebinto).”

“terebinto: dal greco tereb-inthos e più anticamente Terminthos.”

Questa parola è che ti trascina con forza in un contesto totalmente analogico fatto di tela e di colori, di odori e di tratti su uno spazio bianco. C’è questo contrasto tra il pulire il pennello con la trementina al termine di una giornata spesa su una tela e il suo contraltare digitale. Due mondi diversi, ognuno con la sua grande dose di fascino e di creatività.

Ecco, io con queste cose ci potrei perdere delle giornate.

Keynote!

Lo scorso 7 Settembre si è celebrato l’ultimo rito pagano da parte in Apple durante il quale sono stati annunciati “urbi et orbi” i nuovi prodotti che svuoteranno il portafoglio di molti di noi.

Oramai il format è consolidato ed, ovviamente, molto diverso da quando il grande maestro di cerimonie Steve Jobs calcava ancora il palcoscenico.

Sul palco minimalista si alternano i vari vice president che ci raccontano per quale motivo dovremmo acquistare l’ultima meraviglia.

Questo è vero per tutti tranne che per uno: Jonathan Paul Ive, Chief Design Officer

Lui non c’è mai fisicamente. La sua massima manifestazione terrena è la presenza della sua voce in quei video in cui parla del design dei nuovi prodotti.

Ecco, io ogni volta che lo sento in uno di questi video non posso evitare di ricordare Aldo, Giovanni e Giacomo.

Il grande Pdor, figlio di Kmer, della tribù di Istar
della terra desolata di Cfinir, uno degli ultimi sette saggi: Puvvurur, Ganer, Astafanirghecusar, Usust e Ghanir, colui che era, colui che è stato e colui che sempre sarà – ciuciachì e ciucialà – , colui il quale ha inseguito e sconfitto i demoni Sem- che adesso vagano per il mondo domandandosi: ma nùn chi sèm?-, colui il quale è sceso tra le acque sacre del lago Fstgnur, tra le ninfe Pfnigherans, e lì ha assaggiato il mitico cibo degli dei (la piadèina), colui il quale ha amato le mille dee, tra cui la dea Berta (la dea dalla gamba aperta), colui il quale ha visto i mille draghi alati: Gazis, Urar, Pamir e Farem, colui il quale ha visto tra le nebbie di Kvnisir le mille alghe pelose di Gososar, Faram, Bazim, Durum e Parragahertz, colui il quale ha visto i mille demoni alati tra le nuvole di Bznir scendere dal cielo inferociti e distruggere i popoli di Kromb, Curril e Fastanell, colui il quale può leggere nel presente, nel passato e anche nel congiuntivo…

Presenza immateriale e divina e parte integrante e fondamentale del rito pagano.

E non dimentichiamo che Ive è stato anche nominato Knight Commander of the Order of the British Empire. In questo potere temporale e potere spirituale si sommano nello stesso essere umano, ammesso che sia umano e non già assunto in cielo.

 

 

Parcheggio abusivo

Succede che presto avremo bisogno di una nuova casa per il nostro studio. E’ un pò di tempo che sto facendo ricerca nei dintorni per verificare quali spazi commerciali siano a disposizione.

Ovviamente ho affrontato l’argomento anche con il nostro attuale “locatore”. Qui c’è uno spazio disponibile anche se non è il migliore tra quelli che ho visto sino ad ora.

La signorina che ci segue ha adocchiato l’affare e da allora mi fa la posta per avere informazioni riguardo le nostre intenzioni. Diciamo che mi fa tenerezza perchè è evidente che ci prova. Non è nella sua natura e sta facendo uno sforzo immane. Chiaramente non appartiene al suo DNA Svizzero.

Diciamo che comunque il galateo della vendita impone che tu mi tratti come se fossi la tua futura sposa. Mi dovresti coccolare e tentare di convincermi che il matrimonio con te è una buona idea piuttosto che un matrimonio riparatore.

Mi devi conquistare. Mi devi mandare mazzi di fiori ed aprire la portiera della macchina quando sto per entrarci. Mi devi vezzeggiare, intrattenere e far sorridere dalla mattina alla sera.

Ci provi. Non ci riesci.

Il tuo DNA di virago non può fare a meno di manifestarsi e scrivi una mail “urbi et orbi” dicendo che una macchina “parcheggia in modo abusivo” e che se necessitiamo di un parcheggio in più possiamo rivolgerci alla amministrazione.

Ora, a parte il fatto che hai usato l’aggettivo “gentile” ben quattro volte in cinque righe di messaggio di posta elettronica, sappi che non lo stai facendo bene.

E’ come se tu mi stessi portando in un ristorante di lusso per una romantica cena a lume di candela e mentre stiamo varcando la soglia del locale tu mi tastassi il sedere con la tua mano mentre mi sorridi.

Io ti faccio pagare il conto del ristorante di lusso ma sappi che non ci sposeremo mai. E nemmeno te la darò.

 

Bando di gara

Per un interesse personale ho avuto la curiosità di leggere il bando di gara del comune in cui abito per l’assegnazione della gestione della Scuola Civica di Musica.

La Scuola Civica di Musica è un successo locale. Ci sono centinaia di studenti di tutte le età ed una offerta formativa che comprende decine di strumenti con docenti di assolta qualità. La qualità è talmente elevata che è riuscita a vincere anche la mia pigrizia spingendomi ad iscrivermi nei due anni passati.

La lettura del documento è stata decisamente interessante.

La prima sensazione è quella di essere teletrasportati direttamente tra le pagine di un racconto kafkiano. La terminologia è vetusta e assolutamente degna di una pubblica amministrazione. Incomprensibile a tratti e redatta con un lessico che vedrei più adatto ad un burocrate del Kaiser piuttosto che ad un essere umano che vive nel nostro secolo.

La seconda sensazione che ho provato è la distanza che intercorre tra gli obiettivi del bando di gara e l’infrastruttura che li circonda.

Personalmente ritengo che lo scopo principale di un bando di gara di questo tipo sia quello di garantire il raggiungimento di certi obiettivi di partecipazione e di qualità garantendo l’aspetto culturale/formativo della iniziativa.

Questi elementi sono in un certo qual modo presenti all’interno della documentazione ma sono circodati da un castello di vincoli normativi che ne neutralizzano l’efficacia.

Se è vero che tutta questa infrastruttura è necessaria in un bando di gara per allontanare qualsiasi “furbetto” è altrettanto vero che ne minano il risultato atteso. Lo stesso vale per l’amministratore pubblico che si trova comunque costretto a sottostare a queste regole se non vuole ritrovarsi sulla scrivania un avviso di garanzia.

Per quanto tu possa essere una organizzazione preparata e disponibile ad assumerti quella responsabilità, seppur retribuita, è vero che devi soddisfare una quantità di requisiti pazzesca. I bandi di gara delle aziende private sono una passeggiata di salute a confronto.

Garanzie, titoli, anticipi, impegni, documenti… follia pura.

Con questo approccio si distrugge qualsiasi cosa di buono esista nel nostro tessuto sociale e imprenditoriale. Io penso che si corra il rischio che tutto finisca nelle mani di coloro che hanno imparato bene le regole del gioco e che sanno soddisfare tutti i requisiti normativi tralasciando l’oggetto della gara.

Sopratutto per iniziative di carattere culturare il valore dovrebbe stare nella offerta formativa, non nella tua capacità di soddisfare le regole scritte intorno.

Immagino che non ci saranno mai cambiamenti in tal senso ma lo trovo di una tristezza e di una pochezza assoluta.

Parole Sparse - Il podcast di Corrente Debole

Getting file data...

Parole Sparse - Il podcast di Corrente Debole         Parole Sparse - Il podcast di Corrente Debole        
Getting file data...           Getting file data...          
More
Speed: 50% Speed: 75% Speed: Normal Speed: 125% Speed: 150% Speed: 175% Speed: Double Speed: Triple
Back 15 seconds
Forward 60 seconds
More
more
    Speed: 50% Speed: 75% Speed: Normal Speed: 125% Speed: 150% Speed: 175% Speed: Double Speed: Triple
    Back 15 seconds
    Forward 60 seconds
    Currently Playing