Ed anche questo 2021…

2021
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Ci sarebbe davvero da citare il grandissimo Riccardo Garrone in “Vacanze di Natale”.

Sì perché, in un modo o nell’altro, sono arrivato alla conclusione di questo anno ed è il momento di tirare le somme su quello che è successo.

No, non si tratta di fare un bilancio od un elenco di buoni propositi per l’anno venturo. Mi fermo solo un attimo a fare qualche riflessione su quello che è accaduto, sia professionalmente che personalmente.

TLDR;

Nonostante tutte le difficoltà il 2021 merita una promozione. Qualcosa poteva andare meglio ma c’è di che essere soddisfatti.

Vediamo qualche dettaglio.

Anno governato da questa benedetta pandemia che sembra destinata a non abbandonarci mai. Varianti a profusione, limitazioni, vaccini e tutte le conseguenze del caso. Questo, sostanzialmente, ha fatto sì che la maggior parte del mio tempo fosse spesa sulle rive del lago di Como, dove abito. Anche in questo caso poteva andare peggio.

Se è vero che mi sono autoimposto più isolamento di quanto le regole imponessero, è altrettanto vero che sino a questo momento il virus non è riuscito a penetrare nel mio organismo. Tra qualche giorno mi farò la terza dose di vaccino e vedremo se riuscirò a mantenere questo primato anche per l’anno nuovo.

Anno di quasi totale isolamento, quindi.

Come tutti ho passato ore interminabili davanti ad una webcam con il consueto sottofondo di “Mi sentite?”, “Mi vedete?”, “Vedete il mio schermo?”. Ecco, questa è decisamente una cosa che eviterei con l’anno che verrà. Purtroppo non credo ci saranno cambiamenti oggettivi su questo tema. Diciamo che in generale sono diventato meno sensibile alla necessità di essere presente ad ogni call cui mi invitano e tendo a disertarne molte. Non si tratta di snobismo ma, se non ho niente di valore da dire, è inutile che io ci sia.

Dato che siamo sul filone lavorativo continuiamo.

Per Sketchin il 2021 è stato un anno incredibilmente positivo in termini di clienti e progetti acquisiti. Quest’anno abbiamo davvero portato a termine delle cose fighissime di cui mi auguro potremo parlare nel prossimo futuro. Nove anni fa avevo solo immaginato dove saremmo potuti arrivare ma oggi ne vedo il perfetto compimento.

I progetti che abbiamo condotto ci hanno permesso di chiudere l’anno con degli ottimi risultati e con una crescita enorme. Chi mi conosce sa benissimo che ritengo che i numeri siano un prodotto collaterale del nostro lavoro e questo è ancora il caso.

Il lato negativo è che le persone e la struttura sono state sottoposte ad uno stress che difficilmente sarà sostenibile nel 2022 e su questo credo dirigerò gran parte delle mie attenzioni. E’ necessario che tutte le componenti della macchina vengano aggiornate in termini di capacità per gestire la nuova cilindrata del motore. Non banale ma necessario.

Ci sono delle novità che arriveranno nel corso del prossimo anno ma tutte sono rivolte al fine tuning del sistema Sketchin in maniera che sia ancora più rispettoso del lavoro delle persone e pronto ad affrontare un mercato che è sempre in movimento.

Dal punto di vista personale archivio il 2021 con grande soddisfazione.

Il fatto di non dovermi muovere da e per l’ufficio tutti i giorni mi ha permesso di ricavare degli spazi che ho interamente dedicato ad interessi personali.

Ho letto moltissimo e sui più disparati argomenti. Trend che mi auguro continui nel 2022.

Ho abbandonato, in parte, la panificazione per dedicarmi al mondo della pasta fatta in casa. Oramai posso dirmi un esperto di tagliatelle, tagliolini, ravioli e via discorrendo.

E’ arrivato Buzz, un Labrador Retriever, che oramai pesa più di trentacinque chili e, nonostante lo sia, non sembra proprio un cucciolo. Avere un cane è una cosa estremamente impegnativa ma che è in grado di regalarti una quantità di emozioni davvero enorme. Allo stesso tempo è in grado di generare disastri come pochi altri cataclismi ma fa parte del gioco e non me la meno più di tanto. Ogni cosa che finisce tra le sue mascelle può essere riparata o sostituita.

Ho approfondito parecchio la mia conoscenza di Python e mi ci sono divertito un sacco.

Ho giocato su HackTheBox e TryHackMe ed anche in questo caso mi sono divertito molto imparando anche qualcosa.

Ho comperato una stampante 3D e sono entrato nel suo magico mondo. Talebani anche qui, in quantità, ma mi ci sto divertendo molto.

Fisicamente non è stato un grande anno, sopratutto nella parte finale. In questo momento sono sordo come una campana ma ci sono anche dei lati positivi. Mi evito di sentire delle fesserie. Ad ogni modo con qualche cure che sto seguendo e l’arrivo del disgelo primaverile tutto dovrebbe risolversi nel migliore dei modi.

Vero è che dovrei rimettermi a fare attività fisica con maggiore costanza.

Ci sono altre novità dal punto di vista personale ma non le scrivo e me le tengo per me 😉

No, non faccio l’elenco dei buoni propositi. Mi è sempre sembrata una cosa del tutto priva di valore e, comunque, sempre fallimentare.

Una pausa

brown wooden blocks on white surface
Photo by Brett Jordan on Unsplash

Quelle ventuno persone che mi seguono lo avranno già notato.

In queste ultime settimane sto scrivendo molto, molto meno rispetto al passato.

In verità sto riflettendo che cosa fare di questa baracca. E’ un esperimento che ha ancora senso continuare? E, se sì, in che modo continuare in modo che abbia uno scopo ed un valore per coloro che leggono.

Ci sono già troppe voci là fuori che sgomitano per farsi notare. E’ una esigenza che io non sento affatto. Non desidero affatto farmi notare. Tutt’altro. In alcuni momento mi piacerebbe essere un illustre signor nessuno di cui gli altri non si curano. Una di quelle persone invisibili che si limitano ad osservare il mondo da un punto di vista disinteressato e, quindi, privilegiato.

Non ho nulla da vendere. Non ho nulla da dimostrare. Non ho bisogno di alimentare il mio ego a forza di lettori, followers, views e like.

Per questo ci penserò su ed il primo di Gennaio deciderò cosa fare.

Per il momento mi prendo una pausa da queste pagine. I progetti personali che mi interessano non mi mancano e forse quel poco tempo che ho a disposizione mi piacerebbe dedicarlo a loro.

E poi, dai, diciamo la verità. Non è che dispensassi chissà quali perle di conoscenza.

La vita normale di una persona normale. Certo, l’eccezionalità delle normalità è sempre un valore da tenere in alta considerazione.

Come direbbe il mio adolescente preferito. “Raga, ci becchiamo”.

Effetti della pandemia

Photo by Jean-Philippe Delberghe on Unsplash

Forse sarebbe più corretto parlare degli effetti legati ai provvedimenti emanati a causa della pandemia ma ho deciso di usare la causa principale come titolo di questo post.

Nelle scorse settimane mi sono Fermat a riflettere su come sia cambiato il mio comportamento in questi mesi e ho notato delle grandi differenze rispetto al passato.

Ho sicuramente cambiato i miei comportamenti di acquisto, e questo in termini assoluti. Sono molto più attento ai miei acquisti di generi alimentari e molto più consapevole di quello che si trova all’interno del mio frigorifero e delle relative date di scadenza. In generale acquisto di meno e consumo in maniera molto più consapevole. Molto più focalizzato su quello che la stagione offre e meno guidato dai desideri e dagli impulsi della mia pancia.

In generale ho acquistato di meno. Molti meno vestiti, praticamente zero. Niente scarpe. Poca tecnologia, e questo è davvero un cambiamento epocale. Tutto questo non perché avessi particolari preoccupazioni per il futuro. Ho semplicemente realizzato che non ne avevo alcun bisogno.

Ho buttato via un sacco di cose in casa e ho lasciato spazio allo spazio. Tutto è divenuto essenziale e non c’è margine per il superfluo.

Ho imparato ad accettare le imperfezioni delle cose.

Avere trascorso così tanto tempo lavorando non in sede non mi è affatto pesato. Forse il gran lavoro fatto su di me negli anni passati è servito ad affrontare questo momento con particolare serenità e consapevolezza. Credo di essere stato molto più efficace nelle mie cose di quanto sia mai stato in passato.

Sicuramente si è manifestato qualche comportamento antisociale, ma questo è decisamente il mio carattere. E poi antisociale non è forse il termine giusto. Diciamo che la mia tolleranza alle stronzate si è praticamente avvicinata allo zero.

Sono decisamente convinto che il nostro modo di lavorare è destinato a cambiare ma è altrettanto vero che noi avevamo un approccio diverso al lavoro in tempi non sospetti.

Quello che mi infastidisce, ma proprio tanto, sono gli atteggiamenti di facciata.

Tutti quelli che raccontano di un mondo dorato che alla fine altro non è che una placcatura con un metallo poco nobile ed eseguita in maniera scadente. Ad un racconto deve seguire una azione, un cambiamento. In caso contrario sono solo chiacchiere. Noi non siamo perfetti. Non lo siamo mai stati e mai lo saremo. Ci rimane comunque la volontà, incrollabile, di fare in modo che quello che abbiamo pensato essere il miglior posto dove praticare la disciplina del design diventi una realtà. Giorno dopo giorno. Decisione dopo decisione. Aggiustamento dopo aggiustamento.

Purtroppo ci rendiamo conto che il contesto in cui ci troviamo a vivere non ci è d’aiuto. Le norme che dobbiamo rispettare, e che rispettiamo, non sono state scritte per questo nuovo mondo. La maggior parte di quelli che stanno facendo behavior washing lo stanno facendo solo perché fa figo e aumenta il loro valore in borsa. In realtà sono una compagine di coglioni totali che andrebbe spazzata via con un colpo di spugna.

Io penso che la maggior parte dei lavoratori abbia acquisito una nuova consapevolezza e che stiano reagendo di conseguenza. Io mi auguro che una spinta dal basso possa assumere la forza necessaria affinché le cose possano cambiare, in meglio.

Ecco, forse in questi mesi sono diventato un idealista. L’età dovrebbe suggerire una massiccia dose di cinismo ma io questo cinismo non me lo ritrovo addosso.

E poi parlo, con misura, sempre. Come scrisse qualcuno: “Non dice tutto quello che pensa, ma pensa tutto quello che dice”.


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Quello di seguito è l’ultimo episodio.

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Niente USB

black and gray nike logo
Photo by Austin Ramsey on Unsplash

Pare che alcuni nuovi proprietari di lucenti e moderne autovettura Tesla si siano accorti che la loro vettura ha delle porte USB che non funzionano.

In realtà non è che non funzionino, ci sono gli slot sulla plancia ma non è stato installato l’hardware a bordo della vettura.

Allo stesso tempo anche il sistema di ricarica wireless del telefono a bordo dell’auto sembra non essere stato installato.

Tesla dice che questo è dovuto al fatto che stanno avendo grandissime difficoltà a recuperare sul mercato i circuiti integrati necessari per il funzionamento di questi accessori.

Trovo la cosa particolarmente buffa. Per avere una Tesla Model 3 o Model Y devi tirare fuori dal portafoglio qualcosa intorno ai sessantamila dollari. Questo per avere quella che si dice essere una delle migliori macchine elettriche presenti sul mercato alla data di oggi. Una macchina costruita intorno ad uno schermo e completamente dipendente dalla energia elettrica. Energia elettrica che ora non puoi usare per ricaricare i tuoi gadget a bordo della vettura.

Un discreto paradosso.


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Contraddizioni

brown pencil
Photo by Sven Mieke on Unsplash

Il più famoso giornale sportivo della nazione pubblica una foto di alcuni tennisti a spasso tutti insieme allegramente per le strade di un capoluogo di provincia Italiano.

Sono tutti giovani, atletici, sorridenti, ben vestiti e, naturalmente, decisamente molto più facoltosi della maggioranza degli abitanti di questo pianeta dato che per menare delle palline da tennis vengono profumatamente pagati.

Guardo quella foto per qualche secondo e poi qualcosa mi infastidisce.

Per indole, carattere e deformazione professionale io sono attirato dai dettagli e questa foto non sfugge a questo processo.

In lontananza, molto in lontananza, si scorge una persona che vive con dei cartoni sotto i porti e che, sembrerebbe, stia cercando di racimolare qualche spicciolo dai passanti.

Mi domando quante persone guardando quella foto abbiano notato questo particolare.

Mi chiedo anche se qualcuno in redazione ci abbia riflettuto prima di decidere di pubblicarla o se, molto più semplicemente, si sia focalizzato solo ed esclusivamente sul tema principale prima di dare il famigerato “visto, si stampi”.

Oltretutto ci sono altre foto dello stesso evento in cui il particolare non si nota. Ricordo che mio nonno, orgoglioso appartenente all’Arma dei Carabinieri, mi parlava di opportunità. Mi diceva che ci sono cose che un carabiniere può fare ma che è opportuno che non faccia. Gentiluomo d’altri tempi.

Secondo me la vita è fatta di opportunità e dettagli, ed a questi bisognerebbe prestare attenzione.


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Approccio

computer screen
Photo by Arget on Unsplash

Dopo diversi mesi di assenza sono ritornato a giocherellare con Hack The Box. Anche su questa cosa vado a periodi. E’ il momento in cui questa cosa torna a divertirmi.

Per giocare con Hack The Box uso una macchina virtuale con installato Kali Linux. Più per vezzo che per vera necessità. Là dentro ci sono un sacco di tool che sono in grado di fare le peggio cose.

In realtà non le uso molto.

E qui arriviamo al cuore del mio post, ovvero l’approccio verso una cosa banale come Hack The Box.

Mi capita di scorrere il forum del sito e noto spesso una rincorsa alla soluzione delle machine che vengono proposte. In genere si manifestano diversi tipi di approccio.

Il baro

Il baro non ha nessun interesse ad imparare. Il suo unico interesse è guadagnare posti in classifica utilizzando qualsiasi mezzo a sua disposizione. Per questo non fa nulla di particolare se non girare altri forum alla ricerca di soluzioni che altri hanno già trovato, spesso pagando fior di quattrini. Esempio perfetto di come l’ego abbia effetti devastanti.

Peccato che avere una buona classifica su Hack The Box non serva ad un tubazzo di niente se non per vantarsi con amici che nulla sanno di quello di cui stai parlando e quindi non ti posso sputtanare come ti meriteresti.

Lo script kiddie

Anche questa tipologia è piuttosto diffusa nella comunità. Si tratta di un utente un pochino più evoluto del precedente che sostanzialmente si appoggia ai contenuti del forum e ad un insieme di strumenti per raggiungere l’obiettivo. Diciamo che ci deve mettere un pochino la testa ma anche in questo caso non impara quasi nulla. Si limita a fare il bravo esecutore e non entra mai nel merito del funzionamento di quello che fa.

Da questo punto di vista è molto avvantaggiato da un sistema come Kali Linux perché lì dentro c’è proprio tanta roba che può aiutarlo in questo senso.

Diciamo che l’approccio non è tanto diverso da quello che si utilizzerebbe seguendo un tutorial.

Il genuino

Io credo di appartenere a questa categoria. Io sono lento ma ho voglia di capire. Se posso evito di utilizzare gli strumenti pronti e metto quasi sempre mano ad un pochino di codice, generalmente Python o Node. Certo ci sono cose che necessariamente richiedono l’utilizzo di strumenti più evoluti ma il mio desiderio è quello di capire come funzionano, o non funzionano le cose, non quello di guadagnare punti in classifica.

Mi piace scoprire cose che non conosco ed alla fine mi perdo in tonnellate di documentazione.

Ne discutevo proprio ieri sera. A me questa cosa rilassa un sacco e mi permette di vagare altrove senza pensare alle menate della vita quotidiana. Per me è come quando leggo un libro o metto le mani sui miei strumenti musicali. Sono cose che mi portano altro e che alla fine mi lasciano qualcosa dentro.

Quello bravo

Ci sono poi quelli che sono proprio appartenenti ad un’altra categoria. Quelli a cui non lasceresti mai mettere le dita sulla tastiera del tuo computer. Gente che è in grado di risolvere una macchina in meno di un quarto d’ora. Loro ne sanno proprio tanto e molto, molto più di me. Su quella piattaforma non sono moltissimi ma quelli che ci sono sono davvero ad un altro livello.

Detto questo non ho nessuna aspirazione a diventare “Quello bravo”. Non è il mio lavoro e mai lo sarà. Si tratta solo di una forma di evasione.


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Traffico

cars on road
Photo by Nabeel Syed on Unsplash

Per ragioni legate all’agenda del maschio adolescente che mi ritrovo essere mio figlio mi sono trovato costretto ad addentrarmi in centro a Milano per andare a prenderlo a scuola e menarlo verso la sua destinazione.

Eccesso di scrupolo. Volevo evitare che prendesse mezzi pubblici e si esponesse a potenziali contagi. In sostanza, istinto di conservazione, mio.

Per la prima volta dopo mesi mi sono immerso nel traffico della città e ho ben badato a non farmi mancare la circonvallazione. Diciamo che ne sono uscito indolenzito, moralmente più che altro.

Dopo quasi due anni di frequentazione del traffico lacustre che, fine settimana a parte, è praticamente inesistente rituffarsi nella bolgia della città mi ha molto infastidito.

Forse si tratta di una abitudine che ho perso nel corso di questo periodo di pandemia ma devo dire che mi sono ritrovato ad osservare comportamenti al limite del criminale. Da tempo sostengo che il codice della strada si sia trasformato in un insieme di suggerimenti più che in un corpo di norme da rispettare ma credo che la cosa sia decisamente peggiorate.

Molto più auto in circolazione, la mia compresa, e molti meno comportamenti virtuosi. La dotazione umana di due soli occhi comincia ad essere insufficiente per potere affrontare con una certa serenità il traffico cittadino. Ogni millimetro libero viene occupato dal muso di una vettura nel tentativo di guadagnare qualche decimo di secondo sulla durata del proprio viaggio.

Trovo che tutti siano diventati più aggressivi e meno disponibili al raggiungimento di un equilibrio che sia positivo per tutti.

Dirò di più. Ho la sensazione che la maggior parte dei guidatori sia profondamente incazzata e molto poco incline a soprassedere nei confronti dei comportamenti poco virtuosi degli altri automobilisti. In quasi due ore di macchina ho assistito ad un paio di confronti verbali il cui tono era degno del peggior bar di Caracas. Ho visto una Porsche superare a destra un camion ed evitare una collisione per un soffio per poi ritrovarlo un chilometro più avanti a fare una constatazione amichevole, che di amichevole sembrava avere poco, con un altro autoarticolato. Question di karma, in fondo.

Ho visto pedoni che si sono lanciati sulle strisce con assoluto spregio del pericolo e ho notato biciclette e monopattini combinarne di ogni colore.

Quando ho parcheggiato la macchina ho tirato un sospiro di sollievo e mi sono detto che, per fortuna, tra pochi minuti inizio un board meeting che, nonostante l’attenzione che richiede, è una passeggiata di salute rispetto a quello che ho affrontato in tarda mattina.

Mi turba solo il fatto che questa sera mi sono impegnato ad andare a riprendere l’erede. Questa sera, a Laglio, una bella tisana rilassante ed una passeggiata sul lungolago per riprendere le misure di un luogo che mi rende felice.


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Scimmie

monkey climbing on cage
Photo by Giovanni Calia on Unsplash

Leggevo un estratto della conversazione su un forum dove si scambiano informazioni sottratte in maniera truffaldina, ovvero un sito di hacker, che parlava di uno degli ultimi casi di furto di dati ai danni di una infrastruttura pubblica.

Il nome della struttura è del tutto irrilevante in questo contesto ed evito quindi di farlo.

Il responsabile del furto di dati cercavo di monetizzare la sua impresa e nel farlo esprimeva dei commenti non proprio benevoli nei confronti della comunità di sviluppatori italiani.

In sostanza egli sostiene che gli sviluppatori Italiani sono delle scimmie. Del tutto incapaci, quindi, di produrre delle soluzioni sicure ed efficienti.

In tutta sincerità, mio caro, io credo che tu ti stia sbagliando di grosso.

La densità di scimmie all’interno della comunità di sviluppatori Italiani non è affatto superiore a quella di altri paesi.

Il grosso svantaggio che hanno da queste parti è di essere spesso parte di un sistema economico e finanziario che non li aiuta. Da un lato il perverso meccanismo che costringe le aziende a rosicchiare margini in gare che rasentano la pura follia. Attività che costringe a tentare di ridurre i costi in ogni modo possibile.

Dalla necessità di assumere persone con poca esperienza, e quindi poco costose, alla volontà di ridurre ad ogni costo lo sforzo necessario a produrre soluzioni sicure ed efficaci. E’ una stortura in cui coloro che sono poi demandati alla realizzazione dei prodotti e servizi si trovano costretti a lavorare in contesti assolutamente poco favorevoli e del tutto tossici.

La sostanza è che gli sviluppatori non sono scimmie. Sono piuttosto avvoltoi la stragrande maggioranza di coloro che agli sviluppatori portano progetti che non si reggono in piedi e che sono guidati dal puro interesse economico. La sicurezza del prodotto e del servizio è quasi un requisito marginale. L’importante è vincere la gara e, in fondo alla strada, portarsi a casa il proprio MBO dopo avere raggiunto i tuoi obiettivi di vendita.

Sino a quando gli sviluppatori non avranno voce sui tavoli che contano il sistema è destinato al fallimento.

Giusto i miei due centesimi sull’argomento. E poi, scimmia sarai tu, oltre che delinquente.


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Rumore

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Photo by @chairulfajar_ on Unsplash

Nelle scorse settimane sono stato assente da queste pagine.

Da un lato un momento professionale particolarmente intenso che ha richiesto più attenzione del solito e dall’altro un fastidio generico nei riguardi di tutte le chiacchiere che si leggono in rete.

Mi vorrei soffermare, brevemente, su questo punto.

E’ indubbio che c’è un sacco di rumore là fuori. Il rapporto segnale/rumore è particolarmente basso. Ho smesso completamente di frequentare i vari Facebook, Instagram e compagnia cantante da più di un anno e, ammetto, non ne sento affatto la mancanza.

Dall’altro anche i pochi social network che frequento, specialmente LinkedIn, stanno mostrando segni di convergenza verso quei social network che ho deciso di abbandonare tempo addietro.

Negli ultimi mesi LinkedIn sta diventando un florilegio di poll quasi del tutto inutili. E’ ben evidente che tutti stanno cercando di crearsi la loro nicchia e tentando di acquisire followers in ogni modo pensabile ed immaginabile.

Come ho detto più volte a me non interessa sapere quanti follower ho, quante persone mi leggono e lo scopo non è quello di fare personal branding o acquisire chissà quale volume di nuovi lead commerciali. Non mi interessa e continuerà ad essere così.

E tutto questo non perché non sia interessato al successo della azienda cui presto la mia opera ma, proprio per questo, non desidero che la mia figura personale prevalga sull’interesse aziendale. C’è tutto un team dedicato che si occupa di questo ed io lavoro per questo, non per me.

Il mio ego è già sufficientemente sviluppato e non ha bisogno di ulteriori spinte a manifestarsi.

Tornando la discorso principale è oramai molto difficile scovare del contenuto di valore su LinkedIn. Ovviamente questo contenuto esiste ma è sepolto da una marea di fregnacce che lo rendono introvabile ed inutilizzabile.

Arriviamo quindi al tema chiave. Il tempo che devo spendere per trovare quel contenuto di valore sta crescendo oltre misura. Devi scorrere pagine e pagine di stronzate prima di scovare qualcosa che valga davvero la pena leggere. Non credo che sia più una cosa utile. Il tempo che ho a disposizione è sempre più limitato e preferisco perdermi qualcosa di valore piuttosto che perdermi in una affannosa ricerca di un ago in un pagliaio.

Mi limito quindi a manutenere una lista di persone di cui mi interessa l’opinione e vado direttamente sul loro profilo per vedere se hanno scritto qualcosa di nuovo ed interessante. Il flusso delle notizie generato dall’algoritmo di LinkedIn non mi interessa più.

Per il resto continuo a massaggiare con insistenza la lista dei miei feed RSS che oramai rappresenta il 95% della mia dieta informativa. Se qualcuno sgarra e comincia a postare cose poco interessanti scompare dal mio feed con buona pace mia e sua.

Per questa ragione sto pensando di rimuovere il cross posting di Corrente Debole dai vari Social Networks. Forse è meglio non contribuire oltre a questo fiume di chiacchiere, spesso inutili. E, diciamo la verità, queste chiacchiere non sono certamente qualcosa di imperdibile. Piccolo contributo nell’aumentare il rapporto segnale/rumore.


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Facebook, Instagram e WhatsApp…

blue and white logo guessing game
Photo by Brett Jordan on Unsplash

… sono scomparsi dalla rete per qualche ora nella giornata di ieri.

Mi sento decisamente in difetto a dovere confessare di non essermene accordo se non questa mattina mentre scorrevo il mio consueto feed di notizie. Oramai su WhatsApp circola poca roba, Instagram e Facebook non fanno più parte del mio ecosistema da più di un anno.

Eppurre un danno c’è stato. Facebook perde quasi sei miliardi di dollari in borsa per via di questo incidente.

Quello che mi piacerebbe sapere e se le aziende i cui dipendenti non hanno avuto accesso a Facebook, Instagram e WhatsApp hanno guadagnato altrettanto.

In alcuni casi potrebbe anche essere misurabile… Ad esempio, la numerosità di commit su un repository è aumentata? Il numero di ticket chiuse è aumentato?

Sarebbe interessante come valutazione. Denaro che esce dalle tasche di Mark Zuckerberg e finisce nelle tasche dei datori di lavoro dei suoi utenti.


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Mission impossible

private signage door
Photo by Dayne Topkin on Unsplash

Chi mi segue da qualche tempo sa che un tema che mi appassiona e mi affascina è quello della privacy.

Sono piuttosto sensibile all’argomento non tanto perché abbia qualcosa da nascondere ma perché non riesco a trovare ragioni particolarmente valide perché qualcuno abbia la possibilità di farsi gli affari miei senza darmi nulla in cambio.

Premesso che non ho particolari problemi a farmi profilare va detto che se mi profili mi devi rendere la vita migliore. In caso contrario il gioco non vale la candela.

Curarsi della propria privacy online non è affare banale.

Ultimamente, ad esempio sono passato da Brave a Firefox come browser principale. Non mi convincono fino in fondo le pratiche degli sviluppatori di Brave e le loro recenti difese su Reddit mi insospettiscono. “A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina” diceva qualcuno più autorevole di me.

Più o meno nello stesso periodo ho abbandonato ExpressVPN o, meglio, ho disdetto il rinnovo automatico. Lascio il discorso VPN ad un post ad hoc ma va detto che il mondo dei servizi VPN non è un gran bel mondo e, sopratutto, è nella sua stragrande maggioranza in mano a due società. Non buono.

Dai tempi di H3G so benissimo che più o meno ogni ventina di minuti il mio iPhone telefona a casa e chiacchera con una manciata di server di Apple. Ai tempi non avevo idea che che cosa si dicessero ma ora dei ricercatori hanno fatto un pò di luce e lo scenario non è confortevole. (Leggete qui)

Quindi possiamo dire che, tutto sommato, sono un utente al di sopra della media per quanto riguarda la tutela della propria privacy online.

Poi mi capita di guardarmi intorno e mi rendo conto che si tratta di una illusione.

Sto scrivendo questo articolo su un MacBook Air, ho al polso un Apple Watch, di fianco a me c’è il mio iPhone, sulla scrivania c’è un Google Hub e uno speaker Sonos che ha Alexa abilitato. Tutta la casa è governata con Home Assistant che chiacchiera con Google, Amazon, Philips, Nokia, Apple, Netatmo, Blink, TP-Link, Fritz! e non ricordo più quante altre integrazioni per l’automazione. In salotto c’è un Apple TV, un televisore Sony ed una PlayStation 4 che mi stanno ad ascoltare.

Non c’è speranza. Non è possibile sfuggire alla profilazione.

Che poi non è nemmeno vero. Puoi sfuggire ma la qualità della tua vita ne risente.

E’ quindi uno scambio che siamo disposti a fare. Forse andrebbe detta meglio. Sono disposto a cedere informazioni personali e pattern comportamentali in funzione dei benefici che ne ottengo in termini di qualità della vita.

Sufficiente?

Non lo so. Forse dovrei provare a condurre un esperimento. Comprare un dumbphone e spegnere per un mese tutto il resto della tecnologia che ho intorno per vedere quale differenza esiste con il regime attuale.

Solo al termine di quell’esperimento sarei in grado di dire se ne vale la pena o meno.

In questo momento sono un pochino sconfortato e mi sembra di essere un novello Don Chisciotte della Mancia che parte lancia in resto contro i mulini a vento.


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Un giorno dei più tristi

brown rock formation on sea during daytime
Photo by Pierre Bamin on Unsplash

Ti svegli al mattino con il pensiero rivolto alle cose che devi concludere nel corso della giornata. Ti alzi e cominci la tua routine come se fosse un giorno come gli altri. Quell’insieme di piccoli gesti quotidiani che servono a rassicurarci e ad accompagnarci nel corso della giornata.

Fai la prima telefonata della giornata e poi il telefono ti avvisa che è arrivato un messaggio. Non ci fai molto caso perché stai guidando e non ti vuoi distrarre.

Una volta arrivato a destinazione apri il messaggio e la giornata cambia tenore. Terribilmente.

Ti raggiunge la notizia che una tua amica, e collega, è venuta a mancare.

Lo rileggi decine di volte. Forse non hai capito, hai letto male. Deve essere uno stupido scherzo.

E poi capisci che è vero. Silvia non c’è più.

Il primo pensiero è di cancellare tutto e prendersi del tempo per assorbire il colpo e metabolizzare la notizia. Poi pensi che ti sei sentito con lei pochi giorni fa ed è impossibile, ed innaturale, che oggi non ci sia più.

Viene invaso da un dolore e da una tristezza enorme.

Silvia, prima che una collega di lavoro, era una amica. Una di quelle che quando hai bisogno sai che c’è. Sai che c’è anche quando non ne hai bisogno.

Ho conosciuto Silvia dieci anni fare durante una avventura professionale che ricordo con molto dolore. Silvia è stata una delle poche positive che salvo di quei tre anni. Durante il tempo che abbiamo passato insieme non ricordo una singola occasione in cui non mi abbia accolto con il suo sorriso solare.

La sua risata era contagiosa ed il suo modo di affrontare le cose unico.

Quando qualcuno viene a mancare si spendono sempre parole positivi ma, in questo caso, non sono mai state così vere.

Silvia era un essere umano unico nel suo modo di fare e di porsi. Una grande professionista con un cervello di un acume e profondità rari.

Quando si ricevono notizie come questa ti si riaprono un vagone di vecchie ferite. Pensi che con l’età che hai tu sia più forte e che tu abbia più strumenti per affrontarle. Purtroppo ti rendi conto che non è così e ti ritrovi in balia di una infinita tristezza che solo il tempo, forse, potà lenire.

Sono stato tentato di stare in silenzio ma alla fine ho deciso di salutarla pubblicamente. Confesso che le lacrime mi rigano il volto mentre scrivo queste righe e non credo di averne abbastanza, Silvia.

Ci sono poche persone che sono portatrici di una luce intellettuale unica. Silvia era, senza alcun dubbio, una di queste.

Io credo che tutti debbano sapere che mancherai molto come amica e come collega.

Oh, prima o poi ci si rivede. Fai buon viaggio, non posso credere che tutto sia finito qui.


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No! In palestra non ci torno!

gym equipment inside room
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Qualche anno fa ho preso la decisione di rimettermi in forma. Al compimento del mio cinquantesimo anno di età e complice una serie di accadimenti che non ho intenzione di rivelare avevo deciso di recuperare la mia forma fisica cercando di avvicinarmi il più possibile a quella che avevo alla mia età dell’oro.

Per questa ragione ho iniziato tutta una serie di buone pratiche per raggiungere quell’obiettivo.

Una dieta equilibrata, un giretto dal cardiologo per evitare di rimetterci le penne, e una grande quantità di attività fisica. Il tutto condito da grandi cambiamenti collaterali a sostenere l’iniziativa.

In quel tempo, circa Settembre, ho deciso di iscrivermi ad una palestra perché soffro il freddo ed andare a correre in compagnia dei pinguini non mi era sembrata una grande idea.

Alla fine ho raggiunto il mio obiettivo in poco poco più di dodici mesi. Meno trentaquattro chili, un ragionevole livello di grasso nell’organismo ed un grande benessere generale.

Nonostante questo quei dodici mesi di palestra sono stati una enorme rottura di palle.

A me la palestra non piace proprio. Ci ho provato diverse volte ma non sono mai riuscito a trovare il modo di farmela piacere. Lo so, è un problema mio e, con ogni probabilità, diretta conseguenza della mia crescente misantropia.

Innanzitutto non mi piacciono le persone che ci stanno dentro. In realtà non mi piace la maggior parte delle persone che le frequentano, ma questa è un’altra storia in stile Nanni Moretti. Anche in questo caso è ben evidente che tutto è legato al luogo che scegli ma, generalmente, la maggior parte delle persone non mi piace granché, figuriamoci quelle che stanno in palestra.

In secondo luogo non mi piace l’esperienza della palestra. Non appena varchi la soglia vieni raggiunto da un “Personal Trainer” che ha meno voglia di te di starti appresso. Si finisce sempre con la compilazione di una fantomatica scheda che è il passaggio per il paradiso. Ovviamente non funziona mai. Dopo due settimane smetti di usare la scheda e dopo quattro settimane smetti di andare in palestra.

Alla fine passavo il mio tempo in palestra con gli auricolari infilati nelle orecchie. Una playlist che mi permettesse di isolarmi dal contento, un audiolibro che avrei voluto leggere o qualche episodio dei podcast che seguo.

Detesto essere coinvolto nello stress fisico subito dagli altri frequentatori. Stress che in genere si manifesta durante ogni compimento di un esercizio con mugugni o latrati degni di un vero e proprio cavernicalo.

Allo stesso modo mi mandano fuori di testa quelli che alla fine di ogni ripetzione di mettono davanti allo specchio per ammirare il risultato spesso tastandosi, con estrema soddisfazione, i loro fasci di muscoli. Che poi, mi domando, ma davvero pensi che tirare su 50 chili per dieci volte possa avere un effetto immediato?

Ma cosa è, una magia?

Non mi piace assistere ai patetici tentativi di approccio cui si assiste nella maggior parte delle palestre. Goffi e assolutamente scevri di qualsiasi ortodossia gentilizia. Depreimento come il brodo di pollo.

Mi irritano tutte le “miss ce la ho solo io” che si fasciano in completini aderentissimi che nemmeno la salama da sugo potrebbe sopportare per più di dieci minuti. E tutto questo senza contare il fatto che solo una minima percentuale delle indossatrici potrebbe permettersi una simile mise.

Nel mio percorso ho cercato di istruirmi e sono andato avanti con un percorso fatto di “trial and error”. Se qualcosa mi offre dei risultati continuo, se non lo fa, smetto. Ha funzionato. Non era certo mia intenzione competere alla edizione di Mister Muscolo over 50 e quindi la mia strada era, relativamente, più semplice.

Non mi piacciono i discorsi da spogliatoio che per la maggior parte si articolano su argomenti quali il calcio, gli integratori e le donne, che generalmente non vengono chiamate donne ma soprassiedo.

Non mi piace lo sguardo da suprematista della maggior parte dei frequentatori che ti guardano come se tu fossi un esemplare vivente dell’omino Michelin a prescindere dalla tua forma fisica. Loro sono perfetti, tu no. E sticazzi. E poi, in tutta sincerita, all’alba dei cinquantacinque anni sono messo molto meglio della maggioranza dei miei coetanei e senza contare il fatto che ho ancora tutti i capelli in testa.

Mi danno fastidio tutti quelli che esagerano nel gesto dell’esercizio. Un conto è fare un esercizio nel modo giusto, un altro è dimenarsi e grugnire come se si fosse un tigre del circo Orfei. E poi, dai, nessuno ti guarda mentre sollevi un peso come in una coreografia di Don Lurio.

Non sopporto i superaccessoriati. Guanti, bottiglia di acqua, integratore, marsupio, cellulare, auricolari, asciugamano che ogni volta che devono fare un esercizio devono chiamare un traslocatore per spostare tutto l’ambaradam.

Mi fanno sorridere i piacioni che salivano davanti ai vetri delle sale corsi.

Infine, è vero che siamo tutti uomini negli spogliatoi, ma è davvero necessario aggirarsi per gli spogliatoi come un novello Adamo mostrando, urbi et orbi, le proprie grazie?

Eppure è stato più lo sforzo di convincermi a varcare la soglia di quel luogo che non il lavoro in sé e per sé.

Dopo un anno ho mollato il colpo e mi sono messo a correre. Il fatto che avessi deciso di andare a vivere sul lago di Como ha molto aiutato perché un conto è correre sul lungolago di Laglio, un altro correre tra le macchina di Buccinasco.

L’altro ieri, dopo una lunghissima pausa, ho deciso di ricominciare a correre. Non mi è nemmeno passato per l’anticamera del cervello di iscrivermi ad una palestra.

Oh, se ci volete andare per me va benissimo. Come ho detto ci sono andato anche io e per quello che era il mio obiettivo ha funzionato egregiamente.

Ora non ne sento il bisogno e non credo che ne sentirò il bisogno in tempi brevi.


Shameless self promotion ahead…

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Quello di seguito è l’ultimo episodio.

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Sul design

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Photo by Med Badr Chemmaoui on Unsplash

Credo che sia ben evidente che tutti siamo convinti di fare il lavoro più importante del mondo.

“Se non ci fossi io a fare quello che faccio, l’azienda andrebbe a rotoli”. Dai, non siate timidi, confessate. Almeno una volta nella vostra carriera lavorativa lo avete pensato. Intensamente.

Inutile dire che si tratta di una cagata pazzesca. Nessuno è veramente indispensabile nel lungo periodo. Sì, la tua assenza può causare qualche turbolenza nel sistema ma a lungo termine tutto si aggiusta e si troverà certamente un degno sostituto che non farà sentire la tua mancanza.

La realtà delle cose è che da soli, e nella attuale organizzazione delle aziende, da solo puoi fare poco. Da un lato abbiamo una verticalità delle professionalità che ti rende incapace di raggiungere un obiettivo aziendale in totale autonomia, dall’altro il fatto che la complessità delle organizzazioni aziendali tende naturalmente ad aumentare.

Quindi non possiamo essere soli, e non dobbiamo esserlo.

Altrettanto vero che poche sono quelle professioni che, davvero, salvano la vita a qualcuno e anche quando questo è vero non è un lavoro che si può fare da soli.

Immaginiamo il caso di un chirurgo che, sì, per lavoro salva delle vite. Certo, deve essere bravo, ma da solo non può fare nulla. Se non avesse al suo fianco un anestesista non potrebbe operare e quindi non potrebbe salvare nessuna vita. Quindi l’anestesista ed il chirurgo salvano delle vite. Certo, ma non da soli. Scendendo nella catena della organizzazione di un ospedale ci deve essere qualcuno che ha costruito una sala operatoria, altri che hanno comprato le attrezzature fino ad arrivare, assolutamente non ultimo, il personale che si occupa di mantenerla sterile e, anche, di pulirla quando il chirurgo, quella vita, la ha salvata.

Divago per un paragrafo e vi parlo della importanza di chi pulisce i nostri uffici. Questo perché abbiamo appena dimostrato come anche il loro lavoro sia fondamentale per il successo. Senza le persone che si occupano di rendere i nostri uffici vivibili, lavoro che fanno sopratutto la mattina presto o durante la notte, non avremmo a disposizione il migliore ambiente possibile per fare quello che facciamo. Pensateci, non è banale. Tra l’altro, questa è la ragione per la quale queste persone meritano la il maggior rispetto possibile. Pensateci. Sul tema c’è un bellissimo video di Anderson Wright, filmaker: While you were sleeping. Guardatelo, sono sette minuti ben spesi.

Non è il singolo che salva la vita ma il sistema.

Allo stesso modo non è il singolo che fa un lavoro importante, è il sistema in cui il singolo si trova.

Mi capita quindi di incrociare un post di Don Norman su Linkedin in risposta ad un altro post di Charles Mauro.

Charles Mauro scrive:

The future belongs to professionals who can objectively deal with scientifically defined problems followed by solutions that demonstrate objective benefits. DESIGN currently is totally unequipped to enter these problem spaces.

Charles Mauro

A questa affermazioni Don Norman risponde:

Yes! Few designers are equipped to work in these problem spaces. That is precisely the reason we want to change design education. I am fortunate to have degrees in Electrical Engineering and Psychology and have been a professor of Psychology, Cognitive Science, Computer Science, and Design. I’ve also been an executive at a large computer company. This broad training is not possible for everyone, but a combination of a deep understanding of people, technology, world history, and business are all required. (With history providing a background in understanding the evils of colonization and the importance of recognizing the world’s vast array of cultures, both indigenous and recent.)

Don Norman

Io non posso che essere d’accordo con quello che scrivono Charles Mauro e Don Norman e questo mi conduce a fare qualche riflessione su quello che è il ruolo del designer.

Qualche anno fa, durante una sventurato percorso professionale, qualcuno mi disse: “Ricordati che questa è una azienda di design”. E sti cazzi. Sarà anche una azienda di design ma con il solo design forse fai arte, non risolvi problemi. Da quella singola frase avrei dovuto dedurre che avevo fatto una pessima scelta decidendo di lavorare per loro.

A questo punto credo che dovremmo citare il grandissimo Achille Castiglioni quando diceva:

… l’importante è sapersi prendere in giro come faceva Jacques Tati e anche non metterla giù troppo dura con questo design, prendere la società com’è.

Achille Castiglioni

Ora, nessuno mette in dubbio che il design abbia un enorme potere nel progettare il nostro futuro. Ne sono stato sempre assolutamente convinto e se così non fosse non lavorerei dove ho lavorato per gli ultimi nove anni.

Quello che sostengo è che il design, da solo, non serve assolutamente a nulla. Se il design è fine a se stesso abbiamo perso di vista il fine ultimo, ovvero progettare prodotti e servizi che abbiano un impatto sulla vita delle persone.

Se ripensiamo a quanto detto all’inizio di questo articolo il design ha bisogno di dialogare con un ecosistema complesso affinché quello che progetta possa divenire realtà. Non si può prescindere dalla relazione con coloro che designer non sono ed è necessario che il design conosca il linguaggio del non designer e viceversa.

Ovviamente non è sufficiente. E’ condizione necessaria ma non sufficiente.

E’ altrettanto necessario che il designer abbia contezza del contesto di mercato in cui lavora od in cui il suo prodotto o servizio andrà ad innestarsi. Per questo deve possedere, almeno a livello di base, tutte quelle competenze di cui parla Don Norman nel suo intervento.

Se queste due condizioni non sono soddisfatte siamo destinati al fallimento. E sarà un botto fragoroso.

Questo è il motivo per cui sin dal mio ingresso in Sketchin ho spinto per avere al fianco di un Design Director uno Strategy Director. Consapevole del fatto che un designer, per via della sua formazione, non avesse gli strumenti necessari per affrontare un contesto complesso ho pensato che fosse necessario affiancargli qualcuno che quelle competenze le avesse e che, almeno a livello di base, fosse consapevole di cosa fosse il design.

La metafora utilizzata era quella del cervello umano. Il Design Director è il cervello destro mentre lo Strategy Director è il cervello sinistro.

Insieme a Luca ci abbiamo pensato nove anni fa ed è stata una scelta vincente nonostante tutte le difficoltà che tutt’oggi ancora incontriamo.

Quindi, cari designer, è vero che fate un lavoro importante ma se non siete in grado di essere umili e capaci di comprendere e relazionarvi con un ecosistema complesso che in massima parte non parla di design sarete destinati al fallimento. E ve lo meritate pure!

Baci e abbracci.


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Bella, Apple!

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Photo by frederik danko on Unsplash

Ieri pomeriggio ho aggiornato il mio iPhone ad iOS 15.

Dopo averlo fatto me ne sono completamente dimenticato fino a questa mattina. Stavo leggendo l’inserto Domenica de Il Sole 24 Ore e ho usato il mio telefono per fare una foto ad un articolo che stavo leggendo. Non avevo sottomano il mio taccuino e non volevo perdermi parte di quello scritto.

Sul mio telefono ho un album che si chiama “Ritagli” dove finisco tutte queste fotografie. Ogni tanto lo vado a riguardare e, spesso, mi ritrovo a trascrivere dei passaggi sul mio taccuino.

Non appena messe le mani sul mio taccuino ho aperto l’applicazione Foto per andare a ripescare la foto che avevo scattato qualche ora prima per potere trascrivere il pezzo che mi interessava.

Ed ecco la scoperta. Nella applicazione Foto, selezionando una foto che contiene del testo, è possibile ottenere una trascrizione di quanto contenuto nella fotografia e metterla nella clipboard del telefono per poi inserirla in qualsiasi applicazione si desideri.

Io la trovo una figata pazzesca.


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