Luna Piena

Sto fumando una sigaretta seduto in giardino. Si sente il rumore delle onde del lago ed un venticello freddo mi colpisce il volto. Nonostante tutto voglio rimanere seduto qui.

In cielo c’è una luna piena spettacolare. Sembra enorme.

Questo sabato è stata una giornata perfetta ed in questo stato di grazie c’è veramente poco da aggiungere.


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Quello di seguito è l’ultimo episodio.

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Sticky Note Printer

Amazon ha recentemente lanciato una iniziativa che si chiama Day 1 Editions.

Nella sua natura si avvicina all’idea di Indiegogo, Kikstarter ed altri siti simili. L’idea di un prodotto, il suo sviluppo e la sua realizzazione vengono finanziati da singole persone che ne traggono benefici dal fatto di essere tra i primi finanziatori. Tipicamente si tratta di un vantaggio economico riuscendo ad ottenere l’oggetto ad un prezzo scontato rispetto al prezzo al pubblico nel momento in cui il prodotto sarà commercializzato.

Ieri mi è caduto l’occhio sulla Sticky Note Printer. Il link di Amazon à questo: Sticky Note Printer.

Peccato che non sia già più disponibile.

Mi ero già fatto una idea di come integrarlo nel mio sistema di Home Automation. Uso già Alexa, disponibile in tutta casa grazie agli speaker Sonos, per gestire la mia lista della spesa.

Sarebbe stato interessarle integrare questa funzionalità con questa stampante. Avrei potuto richiedere ad Alexa di stampare la lista della spesa pochi minuti prima di uscire di casa. Un piccolo progettino che mi avrebbe accompagnato per qualche giorno.

Sarà per la prossima occasione.


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Hiatus

blue and white logo guessing game
Photo by Brett Jordan on Unsplash

Qualche giorno addietro ho fatto un logoff da Facebook, Twitter ed Instagram da tutti i browser che uso. Allo stesso tempo ho rimosso tutte le relative applicazioni dal mio smartphone. In realtà avevo da tempo disabilitato tutte le notifiche di quello applicazioni ma questo è il passo finale.

Nessuno di questi Social Network mi stava restituendo alcun valore reale. Di fatto stavo concedendo informazioni personali e porzioni del mio tempo, pur non postando più attivamente, senza ricavarne alcun vantaggio.

Il rapporto segnale/rumore è diventato veramente bassissimo negli ultimi tempi e la consultazione non faceva altro che farmi perdere speranza per il futuro dell’umanità.

Per questa ragione chiudo qui.

E’ probabile che mi perderò qualche bella notizia proveniente da persone che seguivo e che mi sono più o meno vicine. Vero è che quelle a cui tengo davvero mi faranno avere loro notizie a prescindere dalla mia presenza sui Social Networks e sarà vero anche il contrario.

Oramai è qualche giorno che non ho più accesso a questo flusso di informazioni e ammetto che non ne sento affatto la mancanza. Nemmeno un pochino di crisi di astinenza a dire il vero.

La mia dieta informativa principale continua ad essere l’insieme dei miei feed RSS e con un continuo lavoro di cesello continuo ad esserne grandemente soddisfatto.

Continuerò a tenere gli account attivi giusto per presidiare e preservare la presenza del mio nome su quei sistemi, ma niente di più.

Sapete dove trovarmi, e se non lo sapete è probabile che io non desideri farvelo sapere.

Baci!


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Messaggi nascosti


© Provided by Space NASA Mars 2020 mission members hid a secret message in the parachute that landed Perseverance on the surface of Mars

La scorsa settimana ho seguito con grande entusiasmo l’arrivo della missione Mars Perseverance Rover sulla superficie del pianeta Marte.

L’evento è stato trasmesso in diretta dal centro di controllo della NASA ed è stata una cosa veramente eccitante ed incredibile. Negli anni la narrazione della NASA è grandemente evoluta e sono riusciti a trasmettere emozioni come mai prima.

Qualche giorno dopo l’arrivo del rover su Marte la NASA ha pubblicato il video dell’atterraggio e poco dopo anche un video che contiene dell’audio che proviene dalla superficie del pianeta. E’ la prima volta che una sonda possiede anche dei microfoni oltre alle consuete telecamere.

Questo è il video dell’atterraggio del rover su Marte:

Quando ho visto questo video avevo notato il pattern particolare presente sul paracadute ma non avevo immaginato che potesse nascondere qualcosa.

Mentre si svolge un lavoro che entusiasma e che è importante è facile venire tentati dal lasciare una traccia di sé su quello su cui si sta lavorando. Mi ricordo delle firme degli ingegnere su alcune motherboard di computer che hanno segnato la storia. Io stesso ho lasciato le mie iniziali in parti di codice che ho scritto nascondendole, ad esempio, in una parte di uno unique id.

La stessa cosa hanno fatto gli ingegneri che hanno lavorato alla missione Mars Perseverance Rover e hanno nascosto un messaggio proprio nel paracadute.

Sono stati gli stessi ingegneri a scatenare la ricerca del messaggio annunciando la sua presenza dopo la conferma dell’atterraggio.

A questo punto il popolo di internet si è scatenato e dopo solo sei ore il mistero è stato risolto.

Il messaggio era nascosto nel paracadute ed espresso in forma binaria.

Confrontate i frame del video che ho riportato poco sopra con l’immagine qui sotto che rappresenta la soluzione:

L’anello esterno indica le coordinate del Jet Propulsion Laboratory in California mentre il resto riporta una frase di Theodore Roosevelt: “Dare mighty things” che è anche il motto della missione.

Ci sono altri messaggi nascosti sul rover. Delle immagini di tutti i sistemi che sono stati inviati su marte e dei fori sulle ruote del rover che in codice morse si traducono in “JPL”.

Evidentemente io mi entusiasmo con poco ma trovo questa cosa una figata pazzesca.


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Incertezza

Oramai è un anno che stiamo subendo gli effetti di questa pandemia globale che ci segue da vicino giorno dopo giorno.

Fortunatamente dal punto di vista professionale è andato tutto per il meglio e nonostante le preoccupazioni costanti giorno dopo giorno siamo riusciti a raggiungere comunque gli obiettivi che ci eravamo posti all’inizio dell’anno. Allo stesso tempo siamo riusciti a conservare intatto il livello occupazionale. Questo è decisamente un grandissimo risultato, niente affatto scontato.

Al contrario per quanto riguarda la vita personale devo confessare che nell’ultimo periodo quello che proprio è un enorme senso di incertezza.

Da un lato continuo a leggere quello che viene comunicato e rimane il fatto che non riesco a farmi una idea precisa di quello che sta realmente accadendo là fuori.

Dall’altro ci sono misure che variano giorno dopo giorno e non si può fare altro che attendere le decisione che vengono prese ed attenersi a quanto viene deciso. Oramai, da questo punto di vista, si vive davvero alla giornata.

Io personalmente tendo ad inasprire in maniera forse eccessiva le misure che vengono erogate. Evito di uscire di casa il più possibile, mi tengo a distanza, non ho praticamente più vista sociale. Questo perché mi pare di capire che lo scenario stia cambiando in peggio in quanto a diffusione e ritengo che sarebbe una beffa venire contagiato ora dopo un anno che cerco di svicolare da qualsiasi rischio.

Rimane il fatto che questa incertezza è pesante. Non permette di programmare alcunché e questo è decisamente complesso da gestire. Per fortuna credo di essere in possesso di tutti gli strumenti necessari per venirne fuori integro.


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Privacy va cercando…

white paper
Photo by Harpal Singh on Unsplash

Oramai da qualche mese sono definitivamente passato a Brave come browser di riferimento sul mio computer. Ne sono completamente soddisfatto e continua egregiamente a fare il suo lavoro dopo qualche aggiustatina nelle impostazioni.

Dal punto di vista della privacy sembra essere il browser messo meglio rispetto agli altri.

Purtroppo la tecnologia avanza più rapidamente di quanto i browser non siano in grado di evolvere.

Date una occhiata a questo articolo: Workwise • supercookie

L’articolo è lungo ed impegnativo ma coloro che hanno un background più tecnico lo troveranno sicuramente interessante.

La sostanza è che utilizzando la favicon di un sito web è possibile tracciare in maniera univoca un qualsiasi utente che stia navigando su un sito web. E questo senza che nessun browser sia in grado di evitarlo.

Insomma. Sembra proprio che non ci sia scampo.


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Scratch

turned on gray laptop computer
Photo by Luca Bravo on Unsplash

Beatrice deve fare un compito per la sua classe di informatica e deve usare Scratch per farlo.

Mi ha chiesto di aiutarla a realizzare la sua idea.

Questa richiesta mi riporta indietro a quel momento in cui partecipavo attivamente al CoderDojo MiSo. Lo facevo quando abitavo ancora a Buccinasco e quando non subivamo gli effetti di questa pandemia globale.

In genere mi occupavo dei ragazzi più piccoli, generalmente al loro primo incontro con la programmazione. Iniziavo sempre con qualcosa del tipo: “A quanti di voi piacciono i videogiochi?”. Ovviamente si levava un coro di sì. Subito dopo dicevo: “Non vi piacerebbe riuscire a realizzare un videogioco tutto da soli?”. Ancora dei cenni di assenso.

E da quel punto si partiva con le attività. In genere in un pomeriggio si arrivava sempre ad avere qualcosa di funzionante.

Quello che mi entusiasmava di più era vedere questi ragazzini premere per la prima volta il bottone con la bandiera vedere ed osservare il loro codice funzionare per la prima volta.

Questo pomeriggio lavorerò con Beatrice ed una sua compagna di classe sul loro progetto. Non fornirò loro le soluzioni ai problemi che la loro idea gli impone di risolvere. Gli piegherò i concetti che gli servono per risolverli. Credo che se la debbano cavare da sole.

Sarà un pomeriggio divertente.


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Internet delle conchiglie

Il nostro mondo è oramai pieno di oggetti che sono connessi ad Internet. Lampadine, frigoriferi, termostati, sensori di varia natura e via dicendo.

Credo che se provassi a fare un elenco delle cose che sono dentro casa mia e che sono connesse ad internet arriverei nell’ordine del centinaio.

Il tema dei sensori è interessante perché data la loro natura possono collezionare informazioni sull’ambiente che ci circonda e migliorare la nostra vita.

Pensiamo ai sensori di fumo degli allarmi, ai sensori anti intrusione od ai sensori che misurano la qualità dell’aria.

Sono stato piuttosto sorpreso nello scoprire che misurare in tempo reale la qualità dell’acqua è ancora una cosa molto difficile da fare artificialmente. I sensori non sono ancora sufficientemente evoluti per elaborare in tempo reale questa informazione. O, per lo meno, lo sono ma solo in parte e non con un grande livello di precisione.

Ho capito che il migliore sensore per misurare la qualità dell’acqua ed il relativo livello di inquinamento sono le conchiglie, ed in particolare la specie chiamata, in Inglese, Sentinel.

La caratteristica fondamentale di questa specie è che quando si trova in acque con tracce di inquinamento apre le sue valve. Grazie a questa caratteristica si possono realizzare dei sensori che sono fatti con le conchiglie stesse.

Abbiamo quindi un sensore del tutto biologico. In realtà una sorta di cyborg.


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Non siamo mai contenti

vintage cash register
Photo by David Carboni on Unsplash

Un altro degli effetti collaterali di questo lockdown e che riguarda il campo professionale è che non siamo mai comunque contenti.

E se ci sono clienti ci sono troppo clienti, e se non ci sono clienti non ci sono clienti.

Periodo molto, molto strano.

Io comunque preferisco di gran lunga la condizione attuale in cui ci sono troppi clienti. Così, per non sapere né leggere né scrivere.


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Pura eleganza

turned on gray laptop computer
Photo by Luca Bravo on Unsplash

Io conosco Sergio da esattamente trenta anni. Abbiamo avuto modo di lavorare insieme in passato e abbiamo la fortuna di lavorare insieme anche oggi.

Ci siamo sempre stimati molto, forse perché condividiamo la stessa formazione e lo stesso approccio a qualsiasi cosa che contenga del silicio, usi la corrente elettrica per funzionare e rappresenti tutto con degli zeri e degli uno.

Se guardo il nostro organigramma io ho scritto sotto il mio nome “General Manager, Global” e lui “Chief Operating Officer” e, se non altro sulla carta, questo ci permetterebbe di stare lontani da un certo tipo di operatività.

La realtà è che non ci riusciamo. In primo luogo perché in Sketchin i titoli contano poco o nulla e tutti ci si sporca le mani quando ve ne è necessità ed in secondo luogo perché a fare certe cose ci divertiamo ancora un mondo.

Per questa ragione capita ad entrambi di doversi rimboccare le maniche, aprire una finestra di un terminale sui nostri pc, lanciare vi (perché noi siamo ancora vecchia scuola) e scrivere codice.

Io ho scritto tutta la parte relativa alla integrazione tra i nostri fogli stima che vivono su Google Sheets con Salesforce e lui una quantità di “colla” che fa parlare tra di loro i sistemi che compongono l’infrastruttura di Sketchin (Harvest, Navision, Expensify tanto per citarne alcuni).

In questi giorni sto lavorando ad una evoluzione della integrazione tra Google Sheets e Navision e mi sono trovato nella condizione di dovere mettere mano alle API di Harvest per collezionare dei dati di cui ho bisogno per fare funzionare la baracca.

Mi ricordavo che Sergio aveva giù scritto qualcosa su questo tema e per questa ragione mi sono messo a cercare sul nostro Google drive il codice che ha scritto.

Scarico tutto il package localmente sul mio pc e comincio a guardare.

Il cuore vive tutto in uno script per la shell. Lo apro con vi e comincio a leggere.

Semplicemente stupefacente. Tutto il codice è commentato e perfettamente formattato. Ci metto meno di cinque minuti a capire la logica e l’utilizzo che ne fa.

Espressioni regolari da fantascienza, curl, sed, alcune perle che nemmeno ricordavo possibili in uno script. L’uso di jq di cui nemmeno conoscevo l’esistenza.

Confesso che ho provato un grandissimo piacere nel leggere quel codice e ne sono rimasto veramente molto colpito. E’ tutto di una di una eleganza e chiarezza assoluta.

Tra me e me pensavo che io non sarei stato in grado di fare niente di così perfetto, nemmeno nel mio momento d’oro.

Ecco, quando dico che talvolta scrivere codice è una forma d’arte mi riferisco proprio a qualcosa come quella che Sergio ha scritto.

Sergio, chapeau! Potrei lucidarti le scarpe.


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Basta! Non rispondo più

Capita ogni giorno di ricevere qualche messaggio su LinkedIn. In tutta sincerità ho disabilitato le notifiche di LinkedIn, così come per la maggior parte delle applicazioni. Controllo quello che è successo più o meno una volta alla settimana.

In genere trovo qualche decina di messaggi in attesa. Potenziali candidati, messaggi di persone con le quali mi fa piacere interagire e così via.

Tra questi i messaggi che detesto. In genere la dinamica è piuttosto semplice:

  • Ricevo una richiesta di connessione.
  • Venti secondi dopo averla accettata arriva un messaggio in cui mi viene proposto qualcosa di eccitante e irrinunciabile.

Ok, hai fatto venti minuti di corso online su come gestire il tuo marketing e le tue vendite su LinkedIn e ci stai provando.

Il problema fondamentale è che 99 volte su 100 lo stai facendo male. Credo che in quindici anni e più di presenza su LinkedIn mi sia capitato solo in una occasione di trovare qualcosa che mi interessasse davvero.

Quello che mi urta è che è ben evidente che stai sparando nel mucchio. Non hai letto nulla di me e di quello che faccio. Hai mandato un messaggio preconfezionato a me come probabilmente ad altre centinaia di contatti.

L’ultimo qualche giorno fa. Per una mia distrazione non mi sono mai accorto di avere indicato una data di termine per una posizione di mentorship che risaliva a quasi dieci anni fa. L’acceleratore saudita non esiste nemmeno più da almeno cinque anni.

Ora, se tu vuoi offrirmi i tuoi favolosi servizi dovresti avere fatto la tua ricerca ed avere scoperto che:

  • Facevo il mentore e mi sembra ovvio che non ricoprivo nessuna altra funzione all’interno della organizzazione. Cosa ti fa supporre che io possa essere un valido veicolo per i tuoi servizi? Wishful thinking nella migliore delle ipotesi. In realtà si tratta di grande incuria.
  • Avresti dovuto realizzare che l’azienda per la quale mi offri i tuoi servizi non esiste e che quindi il tuo sforzo è perfettamente inutile.

Insomma, se proprio lo vuoi fare devi studiare.

Per principio, e per buona educazione, ho sempre mandato un messaggio di risposta.

Ora ho deciso di smettere e di non rispondere più. Immagino che alcuni attori più genuini potranno interpretare questo comportamento come arrogante e maleducato ma, in realtà, si tratta di pura sopravvivenza.

La comunicazione deve sempre essere equilibrata. Tu devi metterci del tuo per capire a chi stai scrivendo e scrivere secondo quello che hai scoperto. Io ti devo rispondere corrispondendo lo stesso sforzo che tu ci hai messo.

Alla mia veneranda età la cosa più preziosa che ho, e che devo conservare ad ogni costo, è il mio tempo. Questa è diventata una perdita di tempo assoluta e non desidero più dedicargli nemmeno un minuti del mio tempo.


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Piccola perla

Per la mia attività personale e professionale faccio un uso esteso di Trello per gestire le mie Kanban Board.

Ora, non voglio assolutamente tessere le lodi del metodo. Io dico semplicemente che per me funziona.

Trello sino a questo momento si è adattato perfettamente alle mie esigenze, quasi tutte. In realtà c’è un caso d’uso che non viene supportato.

Ci sono dei momenti in cui desidero lavorare totalmente isolato da tutto e da tutti. Per questo motivo disabilito il WiFi del mio personal computer e metto il telefono in modalità aereo. Tipicamente faccio partire della musica di sottofondo e mi metto a lavorare. Questo è generalmente il mio tempo più efficiente di sempre.

E’ chiaro che Trello in questa configurazione non funziona e non aggiornare le mie board in tempo reale riesce solo a farmi dimenticare le cose.

Ieri ho scoperto una piccola perla: Nullboard.

Si tratta di una Kanban Board che può vivere perfettamente senza alcuna connessione ad internet e richiede solo un browser per potere funzionare. E’ minimalista come piace a me e perfettamente funzionale per le mie esigenze.

Un piccolo capolavoro.

Se vi piacciono queste cose, fateci un giro.


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Nuovi modi di lavorare

macbook pro on white table
Photo by Nathan Dumlao on Unsplash

Questa pandemia globale ha costretto molti di noi ad affrontare modalità del tutto nuovo attraverso le quali svolgere il nostro lavoro. Abbiamo dovuto cercare di crearci uno spazio in casa dal quale potere lavorare, abbiamo fatto un uso intensivo di strumenti di comunicazione e abbiamo usato nuovi strumenti di collaborazione online.

Da un lato devo dire che per noi non è stata una grande novità. Il lavoro non nello stesso luogo per un team era formalizzato da tempo ed il nostro metodo di lavoro si adatta perfettamente a queste modalità.

E’ naturale che siamo una eccezione.

Se costruisci autovetture è piuttosto difficile che tu possa lavorare da remoto.

Nonostante questa ovvia limitazione è però vero che questa nuova situazione ci ha costretti ad immaginare un modo nuovo di svolgere la nostra attività quotidiana.

Giornalmente ci giungono notizie di aziende che decidono di offrire flessibilità più o meno grande ai propri collaboratori.

Non è certo una novità. Prendiamo ad esempio Automattic, l’azienda che ha come suo prodotto principale WordPress. Loro da sempre hanno adottato un modello completamente distribuito e sono anni che dimostrano che funziona perfettamente.

Non più tardi di qualche giorno fa Salesforce ha dichiarato di permettere ai propri collaboratori una totale flessibilità riguardo il luogo di lavoro. Questo genere di annunci oramai non si contano più.

Quello che mi lascia perplesso nel panorama Italiano sono questo genere di discorsi su modelli che provengono dall’estero. Credo che sia chiaro a tutti che in Italia questi modelli non possono essere replicati in maniera perfettamente identica in modo molto veloce.

Non possono essere copiati così velocemente perché esiste un insieme di contratti e normative che devono essere rispettati e che sono cogenti per le aziende e per i dipendenti delle aziende.

Facciamo un esempio semplice. La normativa che riguarda la sicurezza sul lavoro, anche per coloro che siedono davanti ad un personal computer tutto il giorno. Questo per citare qualcosa che è normato. Il fatto che non si sabbia bene come ricompensare la connessione ad internet per citare qualcosa che non è normato.

Per noi che siamo una azienda Svizzera con diversi dipendenti Italiani, i così detti frontalieri, esiste il tema della doppia imposizione. Se vivi nella fascia di confine non sei sottoposto a doppia imposizione ma se comunque spendi più di 180 giorni lavorativi in Italia sei sottoposto comunque a doppia imposizione fiscale.

Quindi se da un lato va bene ripensare il nostro modo di lavorare è strettamente necessario che governo ed istituzioni si adeguino a queste nuove modalità e che modifichino quelle norme che governano questi aspetti del lavoro.

Il problema, come sempre, è il fatto che il mondo del lavoro si modifica ad una velocità molto superiore a quella del mondo delle norme che lo governano.

In tutta sincerità non credo che saremo pronti in tempi brevi a questo genere di cambiamenti e questo sarà un problema non banale; non tanto per le aziende, quanto per le persone che ci lavorano che saranno inevitabilmente costretti a vivere dei paradossi burocratici che difficilmente potranno superare con serenità.

E questo come se non fosse tutto già sufficientemente complicato.


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Domenica mattina

black straight razor beside beige ceramic mug and shaving cream brush
Photo by Josh Sorenson on Unsplash

Credo che sia dall’inizio del lockdown che porto la barba. Diciamo che per buona parte si tratta di pigrizia e per il resto il fatto che tutto sommato in questo periodo mi ci vedo molto.

Per questa ragione in questi mesi non mi sono mai fatto la barba se non per regolarla e tenerla in ordine. Questo significa che i tutti i miei rasoi a mano libera sono parcheggiati in attesa del loro ritorno alla operatività.

Nonostante questo mi sono messo ad affilarli questa mattina.

Ho scelto una pietra Belga per la prima parte ed una pietra giapponese Ozuko per la lucidatura della lama.

Mi piace il momento della affilatura. Devi preparare la pietra e prenderti cura della lama per non combinare disastri. Ogni lama in genere mi richiede una mezz’ora di lavoro. E’ un lavoro lento.

Ascolto il suono della lama che passa sulle pietre e non puoi fare a meno di notare che cambia mentre l’affilatura della la prosegue. Ti fermi per bagnare nuovamente la pietra e riprendi. All’inizio della affilatura vedi le particelle di metallo che lasciano la lama e che lentamente scivolano nel lavandino.

Fai attenzione alla pressione della lama sulla pietra perché basta un piccolo errore per compromettere il lavoro già fatto.

E’ un processo lento che mi rilassa e che mi permette di pensare e mettere a fuoco. In un certo qual modo è un esercizio intellettuale supportato da un processo fisico.

Alla fine passo le lame sulla coramella e provo la soddisfazione di essere arrivato ad un risultato molto buono. Non li userò a breve ma so di avere fatto un buon lavoro e, allo stesso tempo, qualche buona idea è transitata nel mio cervello.


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Me è sabato?

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Photo by Sincerely Media on Unsplash

Uno degli effetti più deleteri del lavoro da casa durante il lockdown è quello che riscontro il sabato mattina.

Ora, lavorare da casa non mi dispiace affatto e ho sempre trovato di essere molto più produttivo di quando mi spostavo regolarmente in ufficio. Riesco ad essere più concentrato oltre che guadagnare una infinità di quel tempo che ora chiamo ‘tempo liberato’.

Il sabato mattina è però diverso. Termina la settimana ed il fatto di non cambiare luogo fisico tra vita professionale e vita privata fa in modo che il sabato mattina non si riesca a definire un confine definito tra lavoro e tempo libero.

Mi sveglio senza sveglia perché questa è programmata solo per i giorni lavorativi e vengo subito colto dall’ansia: “Cavolo, devo fare lo stand-up meeting”. Ecco, è già troppo tardi. Sono già scattati i meccanismi caratteristici della giornata lavorativa.

Ci vuole del tempo perché si inneschino quelli del tempo libero.


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