Come funziona Corrente Debole

Pare che a diverse persone piaccia quello che scrivo qui sopra. La cosa mi sorprende alquanto dato che non mi sono mai ritenuto grandemente efficace nel metter le in file le parole.

Diverse persone mi hanno chiesto come funziona Corrente Debole e ora ve lo racconto.

Tecnicamente Corrente Debole vive su WordPress, sì, con la p maiuscola come Wolly correggerebbe immediatamente se lo scrivessi diversamente.

È ancora il CMS che mi piace di più. Sicuramente sovradimensionato in termini di capacità rispetto a quello di cui Corrente Debole ha bisogno.

Perché si chiama Corrente Debole?

Un giorno stavo andando ad una riunione con un cliente in Svizzera e camminando lungo il corridoio che portava alla sala riunione ho letto una targa su una porta chiusa: Locale Corrente Debole. La cosa mi ha incuriosito è uscito da quella riunione ho cercato il significato. In Svizzera gli impianti elettrici si dividono in Corrente Debole e Corrente Forte.

Ho trovato il concetto di Corrente Debole affascinante e qualche giorno dopo ho registrato il dominio lasciandolo inutilizzato per qualche tempo in attesa di capire che cosa farci.

Mesi dopo, forse più di anno, ho deciso di utilizzarlo per quello che state leggendo ora.

Un’altra caratteristica di Corrente Debole è che non ha in backlog di post già scritti. L’idea originale è quella di scrivere un post al giorno partendo da una pagina bianca. Sono cinque o dieci minuti che mi prendo ogni giorno senza un orario preciso.

Mi capita di scrivere alla mia scrivania, in taxi, in treno, in aereo e generalmente la scrittura avviene sempre di getto senza grandi revisioni se non una veloce rilettura prima di Prenere il bottone “Pubblica”.

I commenti sul blog sono chiuso. In primo luogo perché non ho alcuna voglia di moderarli, in secondo luogo perché il contenuto viene postato automaticamente anche su Facebook, ed infine perché, ancora una volta, questa è una cosa che serve più a me che ad altri.

Non esiste alcuna regola riguardo il contenuto. È solo ciò che mi passa per la testa in quel particolare momento.

Vi lascio dicendo che è un esperimento interessante ed estremamente efficace. Vi esorto a provarlo perché i benefici superano di gran lunga gli effetti collaterali non desiderati.

UXCon16

Oggi ho speso la mia giornata facendo da maestro di cerimonie alla UX Conference, un evento che viene organizzato da Sketchin.

Per la prima volta abbiamo parlato di come il mondo dell’industria sia ormai indissolubilmente legato al mondo del design.

Ho sentito parlare delle persone davvero in grado di avere un impatto e cambiare le cose per il meglio.

Ogni volta che lascio un evento come questo sono tormentato da una energia assoluta dovuta alla quantità di stimoli ricevuti.

Credo succeda così per tutti.

Tra poco ci sarà la mia chiacchera di chiusura e dirò questo: “avete probabilmente decine di idee da portare a casa. Non disperdete la vostra energia. Prendete quella che trovate essere la più promettente per il vostro lavoro o per voi stessi e fatela vostra. Coltivatela e fatela nascere. Diffondetela in modo che il suo effetto sia esponenziale “

CoderDojo, si riparte

Anche quest’anno dedicherò parte del mio tempo libero durante il fine settimana a fare il tutor durante gli eventi del CoderDojoMiSo.

Ogni volta apriamo le iscrizioni per 50 posti e in meno di cinque minuti i posti si esauriscono nemmeno fosse un concerto di una rockstar. Di questo sono molto orgoglioso.

Avendone la possibilità ho scelto di seguite quei bambini che noi classifichiamo White Belt. Sono quei bambini che partecipano per la prima volta ad uno dei nostri eventi e che non hanno mai avuto alcuno contatto con il mondo della programmazione.

La soddisfazione che vedo nei loro occhi quando questi bambini fanno eseguire per la prima volta un programma che hanno scritto loro è una sensazione che desidero continuare a provare. Vedere per la prima volta accadere qualcosa sulla quale loro hanno il controllo è il mio premio durante quella giornata.

Per la prima volta non sono soggetti passivi davanti ad uno schermo. Sono loro che fanno accadere le cose, ne hanno il controllo e le governano. Comprendono come lo strumento che usano possa essere usato per esprimere la loro creatività.

Loro non lo sanno ma quando arriviamo in fondo alla giornata applicano anche dei concetti base della metodologia Agile e anche questo gli tornerà utile in futuro.

Se ne avete la possibilità offritevi di fare il tutor in uno di questi eventi. Non è necessario avere esperienza di programmazione. Basta avere del tempo disponibile e volontà di donarlo ai bambini.

Purtroppo il numero di bambini che possiamo accettare dipende molto da quanti tutor possono seguirli. Ce ne servono tanti.

Venite a trovarci e guardate di cosa si tratta. Sarà per voi una esperienza eccitante tanto quanto lo è per noi. E se non sapete programmare avrete l’occasione di imparare anche voi.

Infinito, ma la mamma è sempre la mamma

Qualche sera fa ero sdraiato sul letto della cameretta di Lorenzo e stavo parlando con Beatrice. Ci capita abbastanza spesso di fare queste chiacchierate tra di noi. Giochiamo, ci raccontiamo cosa è successo durante la giornata, ci diciamo la cosa che ci è piaciuta di più e quella che ci è piaciuta di meno e così via.

Ad un certo punto Beatrice si è fatta serissima e ha iniziato un discorso. Quando comincia questo genere di conversazioni assume sempre una espressione che oramai riconosco e capisco che sta per dire qualcosa che le preme veramente.

B: “Papà, tu non hai davvero idea di quanto bene ti voglio.”

A: “Davvero? Prova a dirmelo.”

B: “Infinito.”

Un attimo di sussulto da padre che gongola. Quel genere di momenti nei quali tua figlia, o tuo figlio, potrebbero chiederti qualsiasi cosa e tu cederesti senza la minima esitazione.

Beatrice non si ferma e prosegue nel suo ragionamento.

B: “Anche se so che infinito non finisce mai, anche a mamma voglio un bene infinito.”

A: “Mi sembra giusto.”

B: “Anche se due infinito sono uguali ti devo dire che a mamma voglio un pochino più di bene, ma solo un pochino.”

Ecco in questo momento ho capito che le mie quotazioni non possono salire oltre un certo livello fisiologico.

A: “Ma certo Bea, capisco quello che vuoi dire. Mi puoi spiegare per quale motivo a mamma vuoi un pochino più di bene? Non sono geloso ma mi piacerebbe capire meglio cosa vuoi dire.”

B: “Ma papà, io sono cresciuta nella pancia di mamma e poi la mamma è sempre la mamma.”

Definitivo.

Torniamo a giocare a MilleStorie.

Per chi non conosce MilleStorie. MilleStorie è un gioco che abbiamo inventato anni fa con Lorenzo e Beatrice. Si può giocare a MilleStorie in tanti. Un partecipante inizia una storia di pura fantasia con una frase. Il giocatore successivo continua la storia con un’altra frase e si continua sino a che non si arriva ad una conclusione della storia.

Il grillo

Quest’oggi sono salito in metropolitana intorno alle 13.00 per andare a salutare gli amici del CreativityDay che stanno tenendo la tappa milanese della loro fighissima conferenza.

La metropolitana a quell’ora non è molto frequentata ed ho trovato agevolmente posto a sedere in una fila di 4 posti. Io mi sono seduto all’estremo sinistro, in mezzo c’erano due ragazze sulla ventina, e sul lato opposo sedeva un bimbo piccino, direi di sei o sette anni, con la sua mamma davanti.

La mamma stava giocando con il suo bambino tenendo qualcosa nel palmo della sua mano. Sia lei che il bambino accarezzavano questa cosa molto delicatamente e giocavano passandoselo da una mano all’altra.

Mentre la metropolitana si stava muovendo le due ragazze si sono alzate di scatto con un grido che ha attirato la mia attenzione. In genere sono piuttosto vigile quando mi muovo sui mezzi pubblici e non sono riuscito a capire che cosa potesse avere causato una reazione così scomposta.

Le due ragazze si sono allontanate di qualche metro liberandomi così la visuale verso la mamma ed il bimbo.

La mamma sorridendo alle due ragazze ha chiesto: “Ma avete paura del grillo?”. Le due ragazze hanno annuito con una espressione schifata.

Ecco scoperto che cosa stavano accarezzando. Un grillo. Un grillo decisamente grosso.

La mamma si è quindi rivolta a me e mi ha chiesto se avevo paura del grillo. Le ho risposto che mi fanno paura molte cose ma che il grillo non è una di queste.

Il piccolo si è quindi avvicinato a me per farmelo vedere e mi ha detto che se volevo potevo accarezzarlo e tenerlo in mano. Mi ha anche avvisato che non avrei potuto tenerlo con me quando loro fossero arrivati a destinazione perchè il grillo è un suo amico e non se ne poteva separare.

Per qualche minuto ci siamo passati questo docile grillo da una mano all’altra mentre discutevamo del bellissimo colore della sua pelle (ma i grilli hanno la pelle? Non importa. Per il bambino i grilli hanno la pelle!) e di come fosse in grado di compiere salti prodigiosi una volta deposto a terra.

Un breve momento fuori dal tempo e distante anni luce da quel mondo che avevo lasciato in superficie.

Ecco, io da San Babila a Cadorna mi sono divertito un sacco!

 

Come mi drovrei vestire?

Da qualche mese a questa parte mi ritrovo a frequentare il centro di Milano in maniera molto più assidua rispetto al passato. Ritrovarsi a trascorrere la pausa pranzo in un luogo che offre qualche distrazione in più rispetto alla ridente Manno comincia ad assumere un suo valore.

Dopo pranzo ho preso l’abitudine di fare una mezz’oretta di cammino per le prestigiose vie del centro.

Era davvero molto tempo che non avevo l’occasione di osservare da vicino il rutilante mondo della alta moda. Senza soluzione di continuità incontri griffe del calibro di Missoni, Cavalli, Armani e tante altre nuove di cui non avevo nemmeno conoscenza.

Confesso che il mio concetto di eleganza è probabilmente rimasto ancorato al passato. La mia alta uniforme consiste tuttora in un abito a tre bottoni stirato a due, una camicia bianca od azzurra con polsino alla Francese, accessori coordinati con calzini e cravatta e quest’ultima tendenzialmente di Marinella in colori scuri. No big deal.

Oggi facendo scorrere il mio sguardo sul contenuto delle vetrine ho provato a verificare come i grandi stilisti immaginano io debba vestire. Una sola osservazione: “Ma che davero?”

Non sono una grande frequentatore delle notizie e dei trend dell’alta moda ma in questi anni qualcosa deve essere andato decisamente storto.

Ho sempre rifuggito le camicie slim fit, come va di moda chiamarle ora, ma queste non sono camicie slim fit, sono uno strumento di tortura degno della Santa Inquisizione. Dubito che si possa respirare quando indossi una di queste. Al massimo puoi boccheggiare.

Sul colore delle camicie non mi pronuncio. Il bianco e l’azzurro sono banditi da qualsiasi proposizione ed offerta. Sembra che tu debba essere coloratissimo a tutti i costi.

Lo stesso principio si applica ai pantaloni. Strettissimi! Ora, io laggiù ospito qualcosa a cui tengo molto e a cui sono molto affezionato. L’idea di costringere il mio impianto idraulico in un pantalone così stretto non mi attira affatto, senza considerare il fatto che mi verrebbe una voce che Farinelli, lèvati.

Le cravatte sono altrettanto terrificanti e sembrano una esplosione sulla tavolozza di Picasso, lui di per sé già abbastanza complesso in termini di colori.

Anche il tema delle scarpe risulta essere particolarmente articolato. Enorme varietà di stili che non conosco. La zeppa va, comunque, per la maggiore. Il problema è che per portare una zeppa io dovrei probabilmente allenarmi tanto quanto mi servirebbe per attraversare un dirupo su una fune tesa tra le due sponde.

Abbandonando il classico e passando al casual, noto questo stile post-atomico che mi crea una certa ansia. Il suo opposto pare essere altrettanto di moda. Stile minimalista assoluto con orli grezzi, colli alla coreana e colori tenui. Niente da fare. Anche sul casual non ce la facico.

Non mi azzardo nemmeno a parlare di quando è destinato alle signore perchè non è davvero il mio campo.

Guardo queste vetrine e poi mi guardo intorno. In fondo sono tutti vestiti come me. Rivolgo di nuovo il mio sguardo alla vetrina cercando di sbirciare all’interno. Dentro ci sono davvero dei clienti, e credo anche che stiano comprando.

La mia curiosità mi spingerebbe a fermarli all’uscita del negozio e chiedergli quando li mettono quesi vestiti.

Mi astengo perchè di sta facendo tardi.

Insomma, io non ho idea di come questi pensano io mi debba vestire ma credo proprio che, per il momento mi tengo stretti i miei vestiti.

Le scrivo una mail

Complice la giornata di sole abbiamo deciso di saltare in macchina e trascorrere la giornata in montagna. La scelta è ricaduto verso la Val d’Ayas.

Girando per Brusson, Champoluc e Antagndo ci è venuto il desiderio di affittare una casa per il periodo invernale e ci siamo messi a raccogliere numeri di telefono da contattare al nostro ritorno a Milano.

Tra i vari cartelli che abbiamo notato camminando uno ha attirato la nostra attenzione tanto da spingerci a chiamare subito quello che pensavamo essere il proprietario.

Persona gentilissima. Ci ha raccontato la struttura dell’appartamento, la posizione ed i periodi durante i quali sarebbe stato disposto ad affittarlo.

Insomma, normale amministrazione.

Dato che si tratta di cosa che non abbiamo mai fatto abbiamo chiesto il prezzo per farci una idea del mercato degli affitti.

La persona al telefono ci ha risposto: “Mi dia il suo indirizzo di posta elettronica e le mando tutte le informazioni, prezzo compreso”.

Nonostante la nostra insistenza non siamo riusciti a farci dire il costo dell’affitto al telefono. Ci abbiamo provato più volte senza successo.

Questo comportamento mi ha lasciato piuttosto perplesso.

Quali possono essere i motivi che ti spingono a non dare informazioni sul prezzo durante una conversazione telefonica? Non dovrebbe essere tuo interesse eliminare subito dai potenziali clienti tutti quelli che non sono interessati al tuo immobile per motivi di prezzo?

Ci penso e non riesco a capire il motivo.

In generale avrei detto che avrebbe preferito dirci il prezzo per telefono piuttosto che scriverlo in un messaggio di posta elettronica e lasciarne imperitura traccia.

Un’altra possibilità è che volesse verificare attraverso l’indirizzo di posta elettronica che noi si fosse un cliente davvero interessato piuttosto che un perdigiorno o, in alternativa, che si fosse di una agenzia immobiliare che stave semplicemente sondando il mercato per posizionare i suoi appartamenti.

Mistero.

Vedremo nelle prossime telefonate se si tratta di comportamento comune nella valle.

Comunque non ha ancora scritto…

I libri di testo

L’arrivo dei libri di testo a casa è sempre un momento molto emozionante. Io stesso ricordo che passavo i primi tre giorni passando da un libro all’altro ansioso di sapere che cosa avrei imparato in quell’anno scolastico.

Lo stesso avviene per Lorenzo e Beatrice, i miei due figli.

Quest’anno non mi sono voluto fare cogliere impreparato. Ogni genitore con figli nell’arco di età tra i 6 ed i 10 anni sa che la probabilità che i loro figli lascino i libri a scuola nel momento in cui gli serviranno per fare i compiti è pari alla probabilità di spiaccicare un moscerino in un viaggio autostradale tra Milano e Roma.

E’ una certezza assoluta.

Per questo motivo ho deciso di scaricarmi le versioni PDF di tutti i libri di testo.

Povero illuso…

In primo luogo ti devi rendere conto che gli editori dei libri sono tre, Gruppo Editoriale Il Capitello, Rizzoli Education e Mondadori Education.

Ovviamente ti devi registrare su tutti e tre i siti e con procedure più o meno barbare.

In ordine sparso:

  • Il Capitello ti permette di registrare i libri da una applicazione mobile. Figata… Peccato che per farlo ti viene richiesto di dimostrare che sei davvero in possesso del libro fisico. Questo può avvenire in due modi diversi. Puoi usare il bollino della SIAE di cui parlerò dopo oppure puoi inserire i titoli di tre pagine diverse… °Ma che, davero?”… Ora immagino che ci sia un enorme commercio clandestino di libri di testo per le elementari da ostacolare.
  • Dalla applicazione mobile del Capitello non puoi consultare il libro di testo ma per farlo devi scaricare una applicazione sul tuo computer, nel mio caso un Mac. L’applicazione non è firmata per cui ti devi destreggiare tra le impostazioni di sicurezza per fare in modo che si installi.
  • Ovviamente non puoi scaricare il libro in formato PDF ma in un formato proprietario che può essere letto dalla applicazione sul PC di Capitello. Torniamo ancora al timore che tu possa contrabbandare il file PDF sul mercato nero.
  • Anche su Mondadori ti devi registrare e dimostrare di essere in possesso del libro fisico. In questo caso devi usare il bollino della SIAE. Per farlo devi inserire il codice ISBN del libro, il codice contrassegno che consta di 15 caratteri ed il codice seriale fatto di 13 caratteri. Il problema è che il codice è scritto con un fonto corpo 6 ed io sono presbite… Vai alla caccia della lente di ingrandimento per leggere quegli accidenti di numeri.
  • Rizzoli Education ti spinge ovviamente alla registrazione e per loro è sufficiente inserire un PIN che trovi all’interno del libro. Il metodo migliore dei tre. L’unico problema è che non ti dicono che il codice deve essere inserito in maiuscolo.
  • Il libro di Rizzoli lo puoi comunque leggere su una applicazione per PC che devi scaricare ed installare. Anche questa non è firmata e quindi cadi negli stessi problemi di cui per Capitello. Oltre a questo l’applicazione è una accozzaglia male organizzata di bottoni a quadrettoni che non sarebbe neanche male peccato che… Alcuni di questi portano ad altre sezioni della applicazione su PC, altre aprono il browser web su pagine di Rizzoli.

Insomma se dovessi portare queste procedure in una sala test per un test di usabilità sarebbe un disastro totale.

Il disastro vero è che io ci ho perso un’ora del mio sabato pomeriggio!

 

Compila il timesheet!

E’ notizia recente che parte di Sketchin è stata acquisita da Business Integration Partners, dai più conosciuta come BIP.

Nonostante le speculazioni che si fanno intorno a questa novità io rimango convinto del fatto che per noi sia una enorme opportunità.

Come parte delle operazioni di integrazione che sto seguendo mi è stato assegnato un indirizzo di posta elettronica sul dominio di BIP. Niente di particolare, direi routine.

Il problema è che questa semplice cosa ha scatenato una serie di processi collaterali che mi hanno stupito.

Mi è stato assegnato un codice di accesso agli uffici ed insieme a questo un codice di accesso alle code di stampa all’interno degli uffici BIP. Le credenziali che uso per leggere la mia posta elettronica BIP sono le stesse che devo usare per autenticarmi sulla loro rete WiFI.

Mi viene ricordato che la password scade ogni 45 giorni e che deve seguire certe regole nella sostituzione con una nuova.

Per il momento nessuno conosce il mio indirizzo di posta elettronica e per questo motivo ricevo solo quelle mail che sono distribuite a tutta l’organizzazione.

Ora che si avvicina la fine del mese ho ricevuto un bellissimo messaggio di posta elettronica che mi invita a compilare il timesheet. Ovviamente non è un obbligo che ma, evidentemente, le business rules di BIP assumono che chiunque abbia un indirizzo di posta elettronica sul dominio BIP lo debba fare.

Va da sè che non compilerò il timesheet come richiesto.

Quando diversi mesi fa si comincio a lavorare insieme su questo progetto ricordo lo stupore delle persone di BIP nello scoprire che in Sketchin non si fa alcun tipo di timesheet personale, e da diverso tempo.

Ecco, ancora oggi, e per sempre, in Sketchin non si fa il timesheet. Tutto funziona perfettamente anche senza questo strumento. Il tipo di lavoro che facciamo ed il metodo di lavoro che abbiamo sviluppato ci hanno permesso di renderlo obsoleto.

Lo abbiamo usato in passato, ci siamo resi conto che non era più necessario, e lo abbiamo prontamente mandato in pensione.

Si può, davvero.

Le nostre pratiche vengono osservate e mi auguro che Sketchin possa influenzare culturalmente i nostri nuovi colleghi in maniera positiva ed efficace.

Noi siamo abituati a cambiare pelle ogni sei mesi. Non ci fa paura. E’ nel nostro DNA e sempre lo sarà. Siamo molto disponibile a condividere quello che facciamo e come lo facciamo. Se ne volete sapere di più e vivere felici fatevi avanti.

Sapete come trovarmi.

Il cliente “illuminato”

Ci sono occasioni durante le quali ti rendi conto che qualcosa sta davvero cambiando nel panorama lavorativo al quale sei abituato. Cambiamenti sottili, quasi impercettibili. Piccoli movimenti che si manifestano quasi inaspettati.

Capita sempre più spesso di parlare con clienti che sono preparati, sanno quello che vogliono e sono disponibili ad un confronto sano con i loro collaboratori e fonitori.

In alcuni momenti, purtroppo ancora molto rari, ho avuto la netta sensazione che mettendoti sotto contratto volessero davvero qualcuno con cui confrontarsi in maniera attiva sui loro problemi e sui loro progetti. Non più il fornitore che deve fare la pelle di leopardo al cospetto del cliente.

Questo cambiamento di ottica si riflette in maniera decisa sulla età media dei tuoi interlocutori. Finalmente l’età media si sta abbasando ed il Gran Cavalier Lup Mannar si incammina sul viale del tramonto.

Ecco, proprio adesso che io sto compiendo cinquanta anni?

Orario continuato

Ieri sera mi sono trovato nelle condizioni di avere necessità di fare degli acquisti per la logistica della classe di mio figlio in tarda serata.

Alle 20.30 l’unica opzione disponibile era un supermercato in un centro commerciale vicino casa che fa orario continuato sino alle ventiquattro.

Il caso ha voluto che io fossi ancora in alta uniforme. Giacca e pantaloni grigi e camicia azzurra d’ordinanza.

Il supermercato a quell’ora aveva un che di spettrale. Poche persone all’interno e quasi tutti dediti a piccoli acquisti. Giusto il necessario per svoltare la cena.

Un gran parte degli avventori era vestita come me con la differenza che sul loro volto era dipinta una espressione tristissima.

Nessuno di loro aveva un carrello della spesa ma tutti imbracciavano il piccolo cestello da utilizzare per una spesa modesta.

Confesso che la mia curiosità antropologica ha preso il sopravvento e mi sono messo a seguirli ed osservarli.

Il contenuto del cesto vedeva cibi precotti e pane. Qualche salutista aveva dell’Himalaya e della verdura. Spesso una bottiglia piccola di birra.

In almeno due casi su tre essi si muovevano all’interno del supermercato stando al telefono. Tipico caso di contestatore peripatetico.

Le conversazioni erano tutte di lavoro.

Mi sono immaginato questi single costretti ad alimentarsi alla bene è meglio avendo come unica compagnia a rallegrare la serata un collega di lavoro.

Oltretutto un collega di lavoro che ti parla di rogne perché alle nove di sera possono essere solo rogne.

In quel momento mi sono sentito molto fortunato. 

Se è vero che sono stato costretto ad uscire di nuovo la sera tardi per onorare i miei impegni di rappresentante di classe è altrettanto vero che dopo sarei tornato a casa a parlare di Minecraft e bambole.

E, vi assicuro, non è poco.

L’agenda

Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con la mia agenda, sopratutto quella lavorativa.

Giunto alla soglia delle cinquanta primavere il mio obiettivo primario è quello di risparmiare tempo da un lato e proteggere il mio tempo personale dall’altro.

Per questa ragione cerco di evitare il più possibile inutili perdite di tempo. Incontrarsi a tutti i costi non è più necessario. Abbiamo a disposizione strumenti che ci permettono di scambiarci informazioni, anche in tempo reale, estremamente efficienti.

Mi fa piacere stringerti la mano e bere un caffè insieme a te, ma solo se è strettamente necessario.

Se tu provi a fissarmi una riunione alle 19.00 è molto difficile che io accetti. Quello per me è già tempo per la mia famiglia. Le deroghe sono molto poche ed l’urgenza che mi potrebbe spingere ad accettare si avvicina a quella che avrebbe un potenziale colpo di stato per un presidente della Repubblica.

Ti assicuro che possiamo essere efficienti lo stesso e ottenere gli stessi risultati.

Ecco, se tu fossi così cortese da dirmi anche il motivo per il quale mi vuoi incontrare mi saresti estremamente d’aiuto nel prendere la mia decisione. La mia qualifica di fornitore non è sinonimo di schiavo al tuo servizio. Questo è ancora più vero se tendi a relegarmi negli interstizi della tua agenda.

Dai, il nostro tempo ha pari valore. Il mio è prezioso tanto quanto il tuo.

Ti assicuro che costruire un astronave con i Lego ha per me importanza assolutamente maggiore di qualsiasi progetto tu abbia in mente per la mia azienda.

Proviamo a lavorare in maniera diversa e più efficiente.

Funziona. Davvero.

 

La vita degli strumenti

Era una giornata di Novembre e avevo fatti tardi in ufficio non ricordo più per seguire quale stupidaggine.

Sono arrivato a casa e dopo avere abbandonato lo zaino a morire sulla sedia ho deciso che era il caso di distrarsi suonando un pochino di blues.

Mi sono avvicinato alla mia belissima Fender Telecaster e la ho osservata mentre la prendevo in mano. C’era qualcosa che non andava nella sua magnifica finitura butterscotch blonde. Va premesso che quella chitarra la avevo cercata per mesi sul mercato dell’usato. Una reissue dello strumento del 52 con una selezione di pickup del tutto peculiare. Una chitarra assolutamente versatile che può spaziare dal blues, al jazz e al rock senza alcun tipo di problema.

Ho guardato con più attenzione ed il danno era grave ed evidente.

Ho scoperto che la nostra babysitter lo aveva urtato con l’anta di una finestra durante i suoi lavori quotidiani. Un incidente, niente di più.

Ho immediatamente pensato a come fare per risolvere il problema. Avrei dovuto cercare un liutaio che fosse in grado di riverniciarla e portarla al suo stato originale.

Nei giorni successivi ho cominciato a cercare su Internet qualcuno che fosse in grado di aiutarmi ma, con il passare dei giorni, me ne sono quasi dimenticato.

Un sabato pomeriggio mi sono ritrovato ad osservare gli altri strumenti. Ognuno di loro aveva dei segni e delle imperfezioni. Dei piccoli urti dovuti all’usura o piccoli graffi per lo sfregamento. Nessuno di loro era nel suo stato originale.

Questa osservazione mi ha fatto riflettere.

Ho pensato che uno strumento ha una sua vita fatta di note, di utilizzo e di proprietari diversi. Il suo aspetto estetico è il risultato della sua vita e per questo ho pensato che dovesse essere rispettato.

Così come noi siamo nell’aspetto esteriore quello che abbiamo vissuto anche lo strumento manifesta il suo essere nella apparenza e questa apparenza non sarà mai perfetta come quando ha lasciato la fabbrica.

Per questo motivo ho deciso di non intervenire e di lasciare lo strumento così come si trova. Quella è stata la sua vita. Forse il suo valore economico diminuisce, ma la sua anima ne guadagna in esperienza.

La Telecaster fa ancora sfoggio di sè nella sua rastrelliera, insieme alle sue compagne, altrettanto vissute.

 

 

 

I buoni propositi

Insieme a Dicembre, Settembre è il mese dei buoni propositi.

Tutto il marketing dei corsi lo sa benissimo ed è in questo periodo che dà il meglio di se.

C’è una palesta che con soli 23 Euro al mese promette di farmi diventare Beh Hur. Mi piacerebbe conoscere il copy che ha concepito questa cosa. Non ho idea di quale sia il target demografico della palestra ma qualcosa non mi torna. Posso anche concedere che avere un fisico come quello di Carlton Heston possa essere un desiderio di tutto rilievo ma ciò non toglie che Ben Hur è un film del 1959. Vogliamo dire che chi lo ha visto all’epoca sognando il fisico del protagonista avesse almeno 16 anni? Ecco, oggi avrebbe 73 anni. Forse non esattamente il target per una palestra.

Sempre sullo stesso genere abbiamo “Sei brutto e grasso? Sii solo brutto”. Anche questo è un copy decisamente interessante per una palestra. Vero è che si può intervenire sul giro vita con una palestra mentre per tutto il resto serve, probabilmente, un chirurgo estetico di fama internazionale.

Non mancano all’appello i corsi di ballo. Nel caso specifico quasi tutti si affrettano a precisare che non è necessario essere in coppia per iscriversi ad un corso. Saranno loro a procurarti un partner alla bisogna.

Per i più esotici ci sono anche corsi di danza del ventre. In questo caso il partner è sconsigliato ma, per i single, si assicura accasamento in tempi brevissimi al termine della frequenza.

A seguire c’è tutta la corrente enogastronomica. Corsi per diventare sommelier che, se non altro, ti garantiscono di dimenticare i tuoi problemi quotidiani durante le ore di lezione grazie all’oblio dell’alcool. Potresti diventare anche un cucoco professionista e permetterti di competere a livello di Cracco e, magari, raggiungeere anche il suo livello di critica che non lascia scampo.

Non c’è che da scegliere.

Io oggi ho accompagnato la famiglia all’open day (ma non si può scrivere in Italiano che suona bello lo stesso?) di una nota associazione sportiva. Loro hanno provato diverse attività all’interno della struttura. Io no. Quando la signorina mi ha chiesto che cosa volessi provare, io ho risposto: “Il bar.”

Gear Acquisition Syndrome

Ho già confessato di non riuscire a resistere al continuo acquisto di nuovi strumenti musicali, in particolare chitarre.

Qualche giorno fa ho scritto del motivo sentimentale. Dovete sapere che non è il solo motivo che spinge un musicista all’acquisto.

In realtà mi fa molto sorridere definirmi un musicista. Diciamo piuttosto che sono maggiormente paragonabile ad un suonatore di organetto con una scimmietta sulla spalla. La differenza tra me e lui è che io non riesco nemmeno a racimolare quei pochi spiccioli che a lui permettono di sbarcare il lunario.

Se la mia sopravvivenza dipendesse dalle mie abilità come chitarrista sarei destinato ad una vita di stenti.

Il vero motivo per cui tanti musicisti non professionisti continuano a comprare strumenti e accessorri è un altro. E’ la convinzione che una nuova chitarra, un nuovo effetto, un nuovo pickup li renderà dei musicisti migliori.

Si tende a trasferire la causa della propria inabilità allo strumento e non a chi lo suona.

Come tutti sanno una nuova chitarra non ti rende un chitarrista migliore. Un nuovo effetto non rende più fluide le tue articolazioni. E’ la tua mente che te lo suggerisce ma non è così che funziona.

L’unico modo per diventare un musicista migliore è suonare e, se possibile, suonare in compagnia. In compagnia anche solo del proprio iPod e di una band che suona qualsiasi cosa. Suonare, suonare, suonare. Non c’è altra strada.

Se ti chiami Joe Bonamassa puoi suonare anche un asse da stiro.

Io, purtroppo, mi chiamo Alessandro e continuerò a comprare nuovi strumenti.