Io ho imparato ad amare la lingua Italiana in tardissima età. Chiunque mi abbia conosciuto al tempo del liceo ricorderà benissimo i miei enormi problemi con la professoressa di Italiano.
Pur lavorando in un ambito densamente popolato di neologismi, inglesismi ed acronimi cerco sempre di usare la mia lingua ogniqualvolta sia possibile.
Io auguro “un buon fine settimana”, chiedo di “fissare una riunione” e domando di “fare una pausa”, ringrazio per “il messaggio di posta elettronica”. Quasi sempre.
Eppure la lingua Inglese la pratico, spesso e, tutto sommato, non sono neanche malaccio.
Non arrivo al livello dei nostri cugini francesi ma mi ci avvicino molto.
Spesso mi è stato fatto notare che uso termini oramai desueti nel mio eloquio e, giuro, non è per tirarsela. Si tratto solo di amore. Amore per i suoni, per i vocaboli. La ricerca della parola più adatta per esprimere un concetto. La fuga dalla banalità che regna sovrana, ovunque.
Leggo su Repubblica che è stata trovata una destinazione d’uso per l’area del trascorso Expo. Mi sembra una ottima notizia.
Poche righe sotto leggo che si intende chiamare quell’area West Gate.
Qualcuno è in grado di spiegarmi per quale motivo la dobbiamo chiamare West Gate? Fa più figo? Si vende ad un maggior prezzo per via della lingua della perfida Albione?
Tutto sommato ci si muove in continuità. Oggi quell’area si chiama Milano Innovation District. Stessa salsa, piatto diverso.
Da quando ho deciso di ricominciare a scrivere in maniera costante su Corrente Debole sono trascorsi 180 giorni. Più o meno dal 1 Gennaio 2022 ho ripreso a scrivere su questo mio piccolo spazio.
180 giorni sono più o meno sei mesi. Sei mesi in cui ogni giorno ho lasciato qualche riga su questo blog e, allo stesso tempo, ho ripubblicato i contenuti su LinkedIn, Medium e Twitter.
Come ho scritto spesso non ho mai osservato le statistiche delle diverse pubblicazioni. Alla fine questa cosa serve più a me che al resto del mondo. Eppure consiglierei a tutti di farlo. E’ una pratica che mi ha aiutato molto in termini di pensiero, sopratutto laterale. Questo è anche il motivo per cui potremmo definire il contenuto di Corrente Debole “generalista”.
Se avessi avuto il desiderio di monetizzare avrei scelto un tema specifico e verticale e di quello avrei scritto ogni giorno. Il design, per esempio. Al contrario monetizzare non mi interessa affatto, così come non mi interessano i temi di personal branding. In tutta sincerità, e riconosco di andare controcorrente sul tema, non mi interessa e farlo richiederebbe molto più tempo di quello che sono disposto a concedere a Corrente Debole.
Corrente Debole sono i miei dieci minuti giornalieri di evasione dalle contingenze, professionali e personali. Sono il momento in cui mi prendo un caffè con i miei undici lettori. In quel breve lasso di tempo posso concedermi il lusso di scrivere quello che mi pare senza dovere necessariamente misurare le parole ed i loro effetti.
E’ un momento libero e tale deve rimanere.
L’obiettivo di quest’anno è di scrivere 365 post consecutivi. 365 volte all’anno in cui mi sono sentito, e sono stato, libero.
Mi sono imbattuto per caso in un interessante thread su Hacker News.
La sostanza è questa: un utente, che da quanto essere sembra essere un utente business pagante, ospita su Google Drive uno spreadsheet che contiene importanti informazioni di business. Da un giorno all’altro nel tentativo di aprire quel file ottiene questo messaggio di errore: “We’re sorry. You can’t access this item because it is in violation of our Terms of Service. If you feel this is in error, please request a review. Find out more about this topic at the Google Drive Help Center.”
Come ampiamente dimostrato da una vastità di altri casi non esiste un essere umano cui fare riferimento per ottenere spiegazioni. L’unica cosa che puoi fare è andare online e riempire un form nella speranza che qualcuno se ne occupi.
Ventiquattro ore dopo essergli stato precluso l’accesso alle sue informazioni riceve un messaggio da Google che recita: Your file “” contains content that violates Google Drive’s Phishing policy and hence, some features related to this file may have been restricted. If you think this is an error and would like the Trust & Safety team to review this file, request a review below.
Ho provato a cercare in rete la Google Drive Phishing Policy senza successo. L’unico documento affine che sono in stato di trovare è un documento intitolato “Abuse Program Policies and Enforcement” che non è decisamente esplicativo di eventuali limitazioni.
L’utente in questione dice che nel documento in questione conteneva un elenco di domini e relativi KPI.
Una spiegazione possibile potrebbe essere che uno dei domini contenuto all’interno del documento fosse considerato da Google un vettore di phishing.
Ad ogni modo, e ammesso che quanto riportato sia vero, penso che sia un tema interessante.
Come ho scritto qualche giorno fa ho deciso di abbandonare Vodafone per passare ad altro operatore.
Dopo avere fatto qualche passaggio con delle persone che sono clienti da tempo mi sono deciso per Iliad. Tutto sommato loro mi piacevano e poi alcuni ex colleghi ci lavorano.
Raggiungo il loro sito e comincio ad informarmi.
Confesso che il sito non mi fa impazzire. Sebbene sia decisamente usabile trovo che dal punto di vista dell’Interaction Design e del Visual Design si potrebbe fare molto meglio. Ad esempio non mi piace affatto la tipografia.
Ad ogni modo comincio ad esplorare le offerte e trovo tutte le risposte alle mie domande. L’offerta è descritta in maniera chiara e, se lo si desidera, ci sono tutti i prospetti da consultare.
Bene, la decisione è presa.
Compilo un semplice form che mi chiede alcuni dati perché possa partire la spedizione della SIM. Dopo pochi secondi mi arrivano le credenziali per l’accesso all’area personale.
Mi collego alla mia area personale dove mi viene richiesto di confermare la mia identità tramite il caricamento del mio documento di identità e di un video con il mio bel faccino.
Operazione semplicissimo nonostante non sia riuscito a completare l’upload del video da Safari. Ho dovuto utilizzare un altro browser per completare il passaggio. Poco male.
Mi viene detto che la mia SIM mi verrà recapitata tra due e cinque giorni lavorati. In effetti la SIM è nella mia casella di posta due giorni dopo la compilazione del modulo.
A questo punto devo attivare la SIM. Operazione estremamente semplice che non richiede più di trenta secondi di lavoro.
Ricevo un SMS che mi avvisa dei termini di tempo previsti per completare l’operazione di number portability. Contestualmente a questo ricevo anche un messaggio di posta elettronica a conferma dellla partenza della operazione.
Meno di 48 ore dopo il processo di portabilità è concluso e sono un felice utente del nuovo operatore.
Tutte le promesse sono state mantenute. Esperienza utente decisamente positiva e nessuna necessità di visitare un luogo fisico per completare il passaggio.
Anche per quanto riguarda l’area personale del sito ho qualche riserva come per il sito principale. Cosa positiva da notare è il fatto che è possibile recedere dal contratto direttamente dalla area personale. Questa è una cosa assolutamente non comune ma che dal punto di vista dell’utente finale è una grande feature. Nessun altro degli operatori offre questa possibilità e, nel 2022, mi sembra una follia totale.
Qui sul lago la qualità del segnale è leggermente inferiore rispetto a Vodafone ma comunque totalmente usabile.
Per il momento il giudizio è assolutamente positivo e l’esperienza certamente memorabile dal punto di vista utente.
Sono seduto tranquillo alla mia scrivania quando arriva il momento di controllare la mia posta elettronica. Non lascio mai che siano le notifiche a dirmi quando devo leggere un messaggio ma definisco dei tempi precisi all’interno della mia giornata nei quali controllare la posta.
Guardo la lista dei nuovi messaggi per capire a chi dare la priorità e a chi rispondere. Tra i messaggi la richiesta di una proposta da parte di un grande cliente, meglio, potenziale cliente.
La apro e comincio a leggere. Ci viene richiesta una proposta commerciale per la progettazione di un nuovo servizio. Scorro il documento allegato che quelli fighi chiamerebbero brief e noto immediatamente che la qualità del documento è molto alta. Sul tema della qualità dei brief che si ricevono di potrebbe scrivere un libro, dell’orrore, credo.
La cosa sembra comunque interessante. Il progetto è decisamente figo, si tratta di un mercato al quale si potrebbero applicare infiniti elementi di innovazione ed il cliente sembra essere uno di quelli aperti ad accettare sfide impegnative.
Purtroppo i tempi richiesti sono stretti e dobbiamo metterci al lavoro immediatamente. Siamo in un momento di scarsità di risorse. Risorse che sono impegnate in altri progetti o proposte. Oltre a questo il cliente è molto grande, internazionale e richiede pensiero ed attenzione. Sono questi i casi in cui mi viene chiesto di mettere al servizio del team di lavoro i miei capelli bianchi.
Confesso che avere l’opportunità di mettere un pochino da parte le mie attività principali e dedicarmi a quello che facevo diversi anni fa mi piace. Non vedo proprio l’ora di mettermi al lavoro e di produrre qualcosa di eccitante insieme agli altri componenti del team.
Comincio ad analizzare nel dettaglio il documento che abbiamo ricevuto e comincio a strutturare il mio pensiero:
Quale è il problema di business che il cliente vuole risolvere? Comprendere la natura del problema che ci viene posto è sempre il primo passo per essere in grado di produrre una proposta di valore. Non ci sono mai proposte “copia e incolla” a meno che tu non voglia normalizzare verso il basso la tua proposta. Se questo è il caso vai a competere solo sul prezzo, e questo non ci interessa.
Chi sono gli stakeholder del progetto e che limite di autonomia hanno all’interno della organizzazione?
Chi sono gli attori dell’ecosistema sul quale ci viene chiesto di intervenire?
Cosa sta succedendo nell’industria di riferimento?
Quando le idee sono chiare comincio a ravanare nella mia infinita lista di paper, ricerche, documenti per farmi una ideai dei pensieri che qualcun altro ha già fatto. E’ sempre importante confrontarsi con il pensiero di altri.
Provo ad immaginare quali altri componenti del gruppo cui apparteniamo potrebbero dare un contributo alla soluzione del problema. Potrebbero essere i ragazzi che si occupano di Machine Learning ed Intelligenza Artificale, oppure il team di Strategy ed Innovation o, forse, la componente Technology.
A questo punto comincio a stendere, sulla carta, quello che io penso possa essere la struttura del pitch per questo cliente. In seguito la proporrò al team di lavoro per recepire le loro considerazioni ed i loro commenti.
Personalmente ritengo che il pitch perfetto debba essere articolato più o meno in questo modo:
Il problema: Il punto di partenza è rielaborare il problema che ti è stato esposto con parole tue per essere certo di avere compreso il brief del cliente. Sembra un passaggio banale ma, in realtà, è fondamentale.
La sfida: compreso il problema è necessario dare un contorno alla sfida cercando, per quanto possibile, di essere chiari. Delineare sin da subito i contorni della sfida, ed i potenziali rischi, aiuta a non fare divenire il progetto un incubo in fase di esecuzione.
Chi siamo: raccontare chi sei e da dove viene è fondamentale per gettare le fondamenta di una sana collaborazione. Dichiarare esplicitamente le basi culturali sulle quali sei nato e cresciuto evita di mettersi in relazione con clienti potenzialmente tossici.
Come lo facciamo: Illustrare il proprio metodo di design ed i principi che lo governano è estremamente sano perché racconta quale impegno viene richiesto al cliente per seguirci nel percorso di progettazione. E’ un elemento molto importante, almeno nel nostro caso.
I pilastri: a questo punto è necessario fare comprendere al cliente quali sono i pilastri di design, tecnologia ed innovazione che riteniamo essere chiave per il successo del progetto.
Gli attori: chi sono gli attori per cui dobbiamo progettare e quali pilastri si applicano ad ogni singolo attori. Quelli fighi, ancora, chiamerebbero questi attori personas.
La struttura del progetto: quali sono le attività che intendiamo condurre per arrivare alla soluzione del problema che ci è stato richiesto di risolvere. Un elenco di attività per quali viene detto che cosa faremo, per quale motivo, con chi la faremo, cosa ci aspettiamo come input e cosa genereremo come output, la durata e le persone e le professionalità che verranno coinvolte.
La timeline di progetto: Questa è semplicemente una sintesi visuale dei punti precedenti.
Le aperture: al di là della soluzione del problema di business che è oggetto del pitch è necessario rappresentare in maniera esplicita eventuali opportunità che si sono rese evidenti durante la preparazione del pitch.
Gli economics: sì, tutto bellissimo, ma quanto costa? In questo caso è necessario essere precisi. Già a questo punto è necessario essere assolutamente chiari su cosa è incluso nella proposta e cosa non lo è. Cosa ci aspettiamo dal cliente in termini di persone, documenti e supporto durante l’esecuzione del progetto.
Il team: Il cliente vuole parlare con delle persone, non con una azienda. Chi pensiamo potranno essere le persone che lavoreranno sul progetto?
Questo, secondo la mia personale opinione, è il minimo sindacale che un pitch dovrebbe contenere.
In genere tutto si risolve nella realizzazione di una presentazione ma, spesso, non mi dispiace avere a supporto anche un documento di testo. Questo serve sopratutto quando ti viene chiesto di mandare il pitch senza avere l’opportunità di presentarlo faccia a faccia.
Quando decisi di unirmi a Sketchin fu una scelta di cuore. Uno studio piccolo, in Svizzera e con persone giovani. Razionalmente non avrei dovuto accettare la proposta di Luca perché i rischi sembravano tanti.
La verità è che su questo genere di decisioni tendo ad essere molto poco razionale. Se una posizione è sufficientemente figa, se le persone con cui lavorerò sono molto sopra la media e se la passione è il motore dell’azienda allora io ci sto.
Fu così in Symbol Technologies, in H3G, allora Andala, e con Sketchin.
Mi trovai con Luca nell’allora piccolissimo studio di Manno e la prima cosa che vidi fu il lavoro che stavano facendo per l’e-commerce di Mondadori. Quasi dieci anni fa. Ne fui così tanto impressionato che la decisione fu facile.
Una persona illuminata a guidare l’azienda, delle persone di estremo talento ed un potenziale che non aspettava altro di essere reso esplicito.
E questo è quello che è avvenuto in questi ultimi anni. Aiutare le persone a realizzare il loro potenziale. Oggi siamo dieci volte di più il numero delle persone che incontrai quel giorno.
La cosa impressionante è che questo potenziale cresce giorno dopo giorno.
Nelle settimane scorse ho potuto partecipare ai nostri eventi organizzati per la Milano Design Week. Ho toccato con mano la capacità di pensiero delle nostre persone e ne sono rimasto molto impressionato.
Pochi giorni fa ho avuto l’opportunità di vedere un video che abbiamo realizzato per un progetto. Mi dispiace che non sia ancora possibile renderlo pubblico perché è stata una cosa veramente straordinaria. In pochi minuti si è resa tutta la complessità di un progetto in una maniera semplicemente fantastica.
Confesso che mi sono veramente emozionato, e commosso, guardandolo.
Nonostante tutte le complessità che abbiamo introdotto, obtorto collo o meno, lo spirito di quegli anni è ancora tutto lì. La capacità di pensare e di innovare sono ancora presenti. Le persone di talento mi circondano ogni giorno.
No, non è un paradiso. Abbiamo un casino di cose che non funzionano o che sono perfettibili. Lo so benissimo e ci lavoro ogni singolo giorno. In alcune occasioni ci riesco, molto più spesso fallisco miseramente.
Eppure pochi minuti di un video, ed esser uscito dai nostri eventi della Milano Design Week, mi hanno dato una carica incredibile.
Sì, indubbiamente Sketchin è cambiata, ed anche io sono cambiato. Eppure non posso desiderare altro che rimanerci.
Tutta la mia casa è completamente automatizzata grazie a Home Assistant e ad un, oramai infinita, serie di oggetti connessi e controllabili da remoto.
Luci, televisione, computer, diffusori audio, monitor del sonno, caffettiera, PlayStation, Apple TV, termostato, telecamere di sorveglianza, beacon e non so oramai più quanta altra roba. Oltre agli oggetti sono collegati ad Home Assistant tutta una serie di servizi. Fitbit, Google Mail e Calendar, Slack, tempo atmosferico, connettività di rete, i dati della mia macchina e tantissimi altri.
Grazie agli altoparlanti Sono in ogni stanza di casa è possibile controllare ogni singolo oggetto tramite comandi vocali. Sebbene la cosa sia un pochino “creepy” io uso i controlli vocali moltissimo e con grande soddisfazione.
Alexa arriva con un set di voci che è possibile scegliere quando ritorna delle rispostte.
Leggevo ieri che Rohit Prasad, Senior Vice President and Head Scientist di Alex, ha annunciato il prossimo rilascio di una nuova funzionalità: dare ad Alex la possibilità di parlare con qualsiasi voce noi desideriamo.
Rohit sostiene che Alexa sarà in grado di parlare con una qualsiasi voce dopo avere ascoltato meno di un minuto di conversazione con la voce di quella persona. Tutto questo reso possibile grazie alla Intelligenza Artificiale.
Durante l’evento è stata mostrata la funzionalità. È stata posta ad Alexa la richiesta seguente: “Alexa, can Grandma finish reading me The Wizard of Oz?”
Il caso d’uso è quello di un nipote che desidera ascoltare la voce di una nonna scomparsa leggere una storia.
Personalmente la cosa mi fa un pochino accapponare la pelle. Se avessi la possibilità di avere Alexa che risponde alle mie domande con la voce di mio padre o di mia mamma ritornerei immediatamente indietro nel tempo.
Mi immagino mia mamma che alla richiesta “Alexa, quale è il mio prossimo appuntamento” mi risponde “Non hai altri appuntamenti ma mettiti a studiare”
In realtà questi mi sembrano casi d’uso un pochino limite.
Mi piace di più l’idea di avere a disposizione una voce che ci piace rispetto a qualcosa di più asettico come le voci preimpostate.
In effetti avere la possibilità di fare parlare il proprio attore preferito, o uno dei doppiatori che maggiormente ammiriamo è una cosa che davvero mi piacerebbe avere.
Abbastanza evidente che qui entriamo nel mondo dei deepfake ma mi sembra un passo interessante.
Se Amazon fosse in grado di instillare un pochino di personalità in Alexa quando risponde sarebbe un enorme passo avanti per fare percepire questa tecnologia come naturale.
Corre oggi il 22 Giugno. Una data importante, almeno per me.
Esattamente dieci anni fa avvenne l’evento più catastrofico di tutta la mia carriera. A distanza di dieci anni ancora non riesco a darmi una spiegazione di quanto accaduto e, lo confesso, ancora mi rode, tanto.
Ho pensato spesso di provare a cercarla quella spiegazione. Non mi sono mai deciso a farlo perché è irrilevante, così come è irrilevante il dettaglio della catastrofe. È semplicemente accaduta.
Quella sera pensai che tutto fosse finito. Durò lo spazio di una notte e mi misi subito all’opera per rimediare a quanto accaduto. Allora non sapevo ancora che stavo per imbarcarmi nella più meravigliosa delle avventure professionali, Sketchin.
Con il senno di poi dovrei ringraziare quel momento. Eppure, nonostante tutto mi rode ancora, molto. (Ok, ripetizione…)
Corre oggi il 22 Giugno (altra ripetizione…), e mia figlia si trova per la prima volta nella sua vita degli esami orali. La terza media è finita e questo è l’ultimo ostacolo prima delle meritatissime vacanze. Non sono affatto preoccupato. La figlia è tosta e non avrà problemi.
L’anno prossimo comincia il Liceo e questa sì che è una notizia.
Strano come in una stessa data si siano accavallati due eventi di così grande rilevanza.
Ok, non ve ne può fregar di meno. Lasciatemi raccontare. Al limite, passate oltre.
In questi ultimi tempi sto facendo grande uso di Python per alcuni progetti personali e per alcune cose che usiamo in Sketchin per muovere dati da una parte all’altra facendo un pochino di analisi.
Da sempre sono stato un grande fanatico dei file di log per seguire l’esecuzione dei programmi che sto scrivendo.
Per questa ragione il mio personale template per la scrittura di applicazioni da linea di comando contiene delle funzioni dedicate al logging che ho curato nel tempo e che soddisfano i miei requisiti.
Per questo genere di cose ho sempre utilizzato la libreria logging. Non appena la mia applicazione parte configuro i miei logging handler, tipicamente uno per la console ed uno per un file, e definisco il formato del mio log.
Salvo casi particolari il formato di log che utilizzo riporta il tempo dell’evento, il thread in cui è avvenuto l’evento, il nome della funzione, il numero di linea all’interno del file sorgente, il livello di debug ed il messaggio vero e proprio.
L’unica cosa che mi rimane da fare è impostare i criteri di rotation dei file di log.
Sono poche righe di codice e funzionano alla perfezione.
Recentemente ho scoperto la libreria loguru che nativamente fa quello che ho sempre fatto con una sola linea di comando.
Loguru ha tutta una serie di funzionalità che potrei, abbastanza semplicemente, implementare con logging ma che richiederebbe tempo che posso quindi evitare di spendere.
La possibilità di evidenziare alcuni messaggi di log con un colore, la possibilità di serializzare il messaggio di log, una più potente formattazione dei messaggi di log, eccezioni estremamente descrittive e tante altre cosette che possono tornare utili.
Se vi interessa trovate la documentazione qui: Loguru
Non sono mai stato un grande amante delle tassonomie, nemmeno sul mio personal computer per quanto riguarda l’archiviazione dei miei documenti.
Per questa ragione e, a memoria, da almeno una decina di anni non organizzo più i miei documenti in cartelle.
In realtà qualche cartella esiste nella mia architettura dell’informazione.
Ecco come sono organizzati i miei documenti sul mio personal computer:
Da leggere – E’ una cartella in cui deposito cose che un giorno o l’altro vorrò leggere. Contiene documenti PDF, articoli e link a cose che penso siano interessanti ma che per qualche motivo non posso leggere subito.
Da archiviare – E’ una cartella che contiene tutti quei documenti su cui ho lavorato ed il cui lavoro è terminato. Sono pronti per essere archiviati ma che tengo in sospeso nel caso in cui abbia bisogno di fare piccole modifiche prima di archiviarli.
Archivio – E’ il deposito principale di documenti su cui ho lavorato. Il nome del file tende ad essere parlante in modo da semplificare la ricerca nel futuro. Non esistono altre cartelle all’interno di questa cartelle.
Urgenti ed importanti – In questa cartella ci sono tutti i documenti su cui sto lavorando al momento o che richiedono la mia attenzione.
code – E’ la cartella in cui sono archiviati tutti i miei progetti personali e non che contengono del codice che ho scritto o con il quale ho giocherellato.
E’ tutto qui non c’è altro.
Per il resto faccio un enorme affidamento alle funzioni di ricerca che il mio computer mi mette a disposizione. Nel corso degli anni non ha mai mancato un colpo.
Naturalmente questi folder sono replicati su iCloud, Google Drive e Dropbox in modo che siano perfettamente sincronizzati su tutti i miei computer.
Dopo anni di onorato servizio è arrivato il momento di cambiare operatore di telefonia mobile.
Vodafone, ci siamo voluti bene ma è sempre stato un rapporto in cui io ti ho dato molto di più di quanto ho ricevuto.
Nonostante sia un cliente che può essere certamente definito alto spendente hai continuato a torturarmi con chiamate e messaggi. Hai provato insistentemente a vendermi una connessione in fibra quando sai benissimo che da me la fibra, purtroppo, non arriva.
Non sei stata in grado di farmi attivare una e-sim per il mio Apple Watch.
Nonostante tu mi abbia garantito una opzione secondo la quale dovrei avere Giga illimitati, ogni volta che sono in vacanza mi mandi un messaggio dicendomi che il mio traffico dati si sta per esaurire.
Non ci siamo. Mi costi un botto di soldi e non mi offri un servizio all’altezza della spesa che sostengo.
A questo punto, immagino a parità di servizio, scelgo qualcosa che costa un quinto rispetto a te.
E’ stato bello finché è durato, ma tutto ha una fine.
Sono certo che da buona ex non farai altro che torturarmi per convincermi a rimettermi con te. Mi spiace ma la decisione è presa e, per il momento, non si torna indietro.
Da qualche mese ho ripreso a scrivere con una certa costanza su queste pagine e devo confessare che ne sentivo la mancanza. Non credo si possa dire lo stesso dei miei undici lettori ma questo è del tutto irrilevante.
Non presto mai particolare attenzione alle statistiche del sito, di Medium o LinkedIn. Mi limito a rispondere quando qualcuno lascia qualche commento, sopratutto per avere speso del tempo leggendo quello che scrivo.
Per puro caso l’altro giorno ho guardato le statistiche del sito e ho dato una occhiata all’elenco degli articoli più letti.
Ne sono uscito con una strana sensazione.
Mentre scrivo qualcosa mi capita di pensare che le parole che stanno finendo sulla pagina possono davvero essere interessanti e, forse, utili per qualcuno. Ne sono proprio convinto.
In altri casi mi dico che quello che sto scrivendo è una cosa che alla fine serve solo a me. Una sorta di pagina di diario che mi capiterà di rileggere in futuro, sorridendo.
Ed invece è spesso il contrario. Quegli articoli che penso essere interessanti sono letti di meno mentre cose più leggere, spesso corte e senza grandi contenuti, tendono ad essere letti con maggiore frequenza.
Evidentemente è un problema relativo alla mia percezione del valore di quello che sto scrivendo.
La cosa comunque mi ha sorpreso. Adesso le statistiche le riguardo l’anno prossimo che tanto non ce ne è molto bisogno.
Se il nostro fosse un paese normale non mi ritroverei a scrivere queste poche righe.
Se il nostro fosse un paese normale non mi ritroverei colmo di rabbia perché due ragazzi si baciano in spiaggia e vengono insultati da una congrega di ignoranti che li circonda. Gli viene suggerito di baciarsi in bagno di modo che i bambini non vedano quello che sta accadendo. Comunque hanno ragione. Ci sarebbe davvero da chiamare la forza pubblica ed i servizi sociali. Non per fare allontanare i due innamorati ma per sottrarre quei minori ai genitori. Ragazzi, Tirrenia, non Marte…
Se il nostro fosse un paese normale non sarei costretto a leggere di una ragazza cui viene rotto il setto nasale per avere reagito a delle offese nei confronti del fidanzato. Aggressione da un uomo verso una donna. Il coraggioso individuo, ovviamente, fugge prima dell’intervento della forza pubblica.
Se il nostro fosse un paese normale non dovrei incrociare la notizia del suicidio di una donna che si è tolta la vita perché le sue scelte non sono accettate dalla società ipocrita in cui vive. Si è tolta la vita lasciando uno scritto che è una delle cose più toccanti che io abbia letto negli ultimi tempi. Doloroso, molto. Si racconta che un padre abbia anche scritto in regione per lamentarsi delle scelte di vita della donna di cui sopra, una professoressa. Un altro coglione che spero venga presto abbandonato dalla figlia o dal figlio che ha generato.
E tutto permeato da presunti valori che vengono continuamente urlati e sbandierati a destra e a manca.
Confesso che ho davvero dovuto trattenermi per non riempire queste poche righe di parolacce ed insulti.
La cosa più terribile è che questi presunti valori stanno generando dei mostri terrificanti. Persone che non sono in grado di gestire la fine di una relazione, persone che non comprendono il valore della diversità, persone convinte di essere in possesso di tutte le risposte.
Leggevo un documento scritto da Christopher Balding e Joe Wu in cui si parla di una macchina per preparare il caffè che è connessa ad Internet e che invia informazioni più o meno sensibili in Cina.
Il documento è interessante ma, secondo la mia opinione non rivela nulla di particolarmente nuovo.
Partiamo dall’assunto che nelle nostre case ci sono una enorme quantità di oggetti che sono, in qualche modo, connessi ad Internet. Alcuni lo sono direttamente, altri lo sono per mezzo di applicazioni satelliti che vivono sui nostri smartphone.
E’ la tanto discussa Internet delle Cose, che di per sé rimane una figata pazzesca ma, troppo spesso, realizzata in stile armata Brancaleone.
E’ ben evidente che qualsiasi oggetto che è connesso ad Internet scambia dei dati con un’altra entità. Su questo non ci piove e, di fatto, gli oggetti non potrebbero funzionare se così non fosse. Gli altoparlanti Sonos che stanno in tutte le mie stanze non potrebbero riprodurre la musica di Spotify se non si collegassero ad Internet.
Qui, così come descritto nel documento di Balding e Wu, ma anche da tanti altri, cominciano i problemi.
In primo luogo non siamo certissimi di quali informazioni vengono scambiate con i sistemi remoti. Nel caso della macchina del caffè insieme a dati meno sensibili come la quantità di latte che vuoi nel caffè vengono scambiate informazioni sui metodi di pagamento e sulla posizione della macchina del caffè. Dati, questi, decisamente sensibili.
Nel caso specifico i due ricercatori sono venuti in possesso di una copia del database su cui questi dati sono stati salvati e quindi possono parlarne a ragion veduta.
Il problema si pone comunque per qualsiasi oggetto che sia connesso ad Internet. Siamo davvero tutti a conoscenza della quantità e della qualità dei dati che vengono trasmessi e, molto probabilmente, immagazzinati in sistemi remoti?
Quanta consapevolezza abbiamo riguardo questo argomento. In generale piuttosto poca e questo è un problema.
Potremmo dire che abbiamo il GDPR che dovrebbe, in qualche modo, difenderci. Nel caso della macchina del caffè il produttore non sembra farci molto caso.
Il problema secondario è la sicurezza dei sistemi che ci mettiamo in casa. Essendo per la maggior parte prodotti consumer, devono costare poco. Se devono costare poco lo sforzo che posso spendere per renderli sicuri dal punto di vista informatico è modesto. Se lo sforzo è modesto uno bravo riesce a manometterli con un ragionevole sforzo e quantità di tempo.
Questo credo sia un altro dei problemi fondamentali. Vale per tutti, anche i nome più blasonati. Tempo fa avevo un router WiFi/UMTS. Per giocare ho provato a tentare di manometterlo un pochino dato che se ne stava nel cassetto a fare nulla. Non parlo del brand perché non è necessario. Long story short: scarico la configurazione del router in un file JSON, vedo una voce “telnet: false”, cambio la voce in “telnet: true”, mi collego al router con l’account root, mi viene chiesta la password, premo invio e mi ritrovo con un bel prompt di shell con i privilegi di root.
Quindi il problema è molto più vasto di quello evidenziato nel documento di cui ho parlato poco sopra.