Ma perché?

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Photo by Jon Sailer on Unsplash

Ieri sera sono andato a farmi un giretto sul sito di La Repubblica per dare una occhiata ai numeri della pandemia che non osservavo da tanto tempo.

Dopo essere riuscito a navigare tra la pubblicità sul sito scorro la home page per avere un minimo di contezza di quello che accade in Italia e nel mondo.

Mi cade l’occhio su una notizia che riporta la disponibilità del video dell’incidente sulla funivia del Mottarone. Rimango molto perplesso.

Ora che la maggior parte delle persone sia morbosamente attirata dalla visione del disastro è perfettamente evidente. Basti pensare alle code che si formano in autostrada nella corsia opposta a quella in cui è avvenuto un incidente o gli assembramenti di fronte ad ogni evento criminoso per strada.

Mi domando quale sia il razionale dal punto di vista giornalistico. Che cosa aggiunge alla notizia il fatto di mostrare un video in cui si vede che quattordici persone hanno perso la vita? C’è qualcosa oltre al fatto di ottenere qualche migliaia di click in più sul proprio sito?

No, non mi piace.

L’unica cosa che posso fare è giocare lo stesso gioco ed evitare di visitare il sito di La Repubblica da ora in avanti.

Io, in tutta sincerità, non penso che questo sia giornalismo.


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Ci sono cascato. Di nuovo…

Oramai da quasi un mese, Buzz, un cucciolo di labrador retriever che ha appena compiuto tre mesi, è entrato a fare parte della mia famiglia e rallegra la mia giornata con la sua vivacità.

Nello svolgere questo compito è estremamente diligente dato che comincia generalmente alle cinque del mattino. Poco male, da tempo mi sveglio intorno a quell’ora.

Prima del suo arrivo mi sono documentato. Ho letto molto per essere preparato e non commettere errori.

Un errore, però, lo ho commesso. Ho cominciato a frequentare qualche forum dedicato ai cani. Errore madornale. Eppure avrei dovuto saperlo e starne alla larga.

Nella speranza di trovare qualche risposta a delle domande mi sono trovato di fronte a tutto ed al contrario di tutto. Su qualsiasi argomenti si formano schiere di acerrimi difensori di una determinata opinione. Il tutto assume davvero il contorno di una guerra senza quartiere e, molto spesso, i toni si fanno veramente molto, troppo accesi.

Ho abbandonato tutto dopo poche settimane. Troppo rumore e troppo poche informazioni, per lo più contrastanti tra loro.

Alla fine mi sono risolto affidandomi ad un veterinario ed una educatrice cinofila. Almeno loro mi sembra che la pensino allo stesso modo ed il loro pare mi sembra più che sufficiente.

Questa lezione la devo davvero imparare una volta per tutte.


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Una ondata?

time-lapse photography of ocean waves
Photo by Jeremy Bishop on Unsplash

Confesso di non essere un grande esperto di temi che riguardano il tema delle risorse umane ma, nel tempo, una qualche esperienza me la sono fatta, sopratutto sulla mia pelle.

In questi ultimi mesi mi sono convinto del fatto che al termine di questa pandemia globale, ammesso che un termine possa esserci, ci saranno dei grandi cambiamenti nel mondo del lavoro.

Uno di questi penso possa essere una grande ondata di dimissioni e cambiamenti.

Credo che tutti ci siamo resi conto di come sia possibile, almeno per alcuni ruoli, gestire la propria attività lavorativa al di fuori di quel contesto cui eravamo abituati. Quel contesto assolutamente artificiale nel quale vivevano la maggior parte della nostra giornata. Un contesto fatto di rituali acquisiti e del tutto inventati.

Il caffè appena arrivati in ufficio, le riunioni, la pausa pranzo. Gli incontri con i clienti, le strette di mano, le presentazioni i report e via via verso tutto quell’ambaradan di cose spesso inutili ed artefatte.

Non più tardi di domenica leggevo questo:

I bimbi piccoli che si intrufolano veloci come folletti benefici, i letti in secondo piano e il ron-ron di una casa ancora mezzo addormentata erano i momenti in cui la realtà tornava a scaldare i cuori.

E non c’è niente di più vero. Prima che professionisti siamo essere umani. Con tutto quel bagaglio di vita che trasportiamo ogni giorno e che, troppo spesso, trascuriamo quando varchiamo le sogli di un ufficio. Una sorta di trasfigurazione che ci trasforma in qualcos’altro. Per convenienza, per ambizione, per quieto vivere, perché ci viene chiesto.

Ed invece in questi mesi abbiamo potuto essere più vicino alla nostra realtà, più umana, più semplice e più diretta.

Per questa ragione immagino che tanti di noi non saranno più disposti ad accettare le regole di prima. Questo, ovviamente, ammesso che se lo possano permettere.

Ho la fortuna di lavorare in un posto che è estremamente esigente ma che, allo stesso tempo, questa dimensione la ha sempre grandemente considerata. Sono stati fatti degli errori, certo, e siamo ben distanti dal luogo ideale che abbiamo sempre immaginato e che al quale cerchiamo sempre di tendere. Nonostante questo abbiamo sempre cercato di creare un contesto che fosse il più vicino possibile alle aspirazioni personali e professionali delle persone.

Vi assicuro che osservato dal mio punto di vista non è affatto un lavoro semplice. Si deve sempre trovare un equilibrio tra le norme che regolano il mercato del lavoro, gli aspetti fiscali personali ed aziendali, le richieste dei cliente e, in primo luogo, le necessità delle persone che lavorano con me. Spesso è un gioco di incastri molto complesso e che richiede una enorme quantità del mio tempo e, sopratutto, delle persone che mi aiutano su questi temi.

Molte altre aziende sono meno preparate di noi da questo punto di vista e credo dovranno adattarsi se vorranno continuare, o diventare, attraenti per i potenziali candidati.

E’ necessario un cambio di cultura.

Sempre domenica ho letto una frase di Jean-Baptiste Colbert, responsabile delle finanze durante il regno del Re Sole, Luigi XV:

L’arte della tassazione consiste nello spennare l’oca in modo da ottenere il maggior numero possibile di penne col minor numero possibile di strilli.

Ecco, se sostituite “L’arte della tassazione” con “L’arte del management” avrete una idea della impronta culturale che è necessario cambiare.

Io credo che ci aspettino dei tempi interessanti. Questo ammesso che la nostra consueta indolenza non ci faccia ricadere nello status quo senza avere la forza di reagire e di ribellarci.


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E poi…

… ci sono lunedì mattina come questo in cui il tuo cane ti sveglia alle cinque del mattino per essere portato a spasso. La coda che si muove scomposta, le orecchie ritte e l’eccitazione nel rivederci entrambi. Grande festa.

Io faccio colazione e Buzz il suo primo pasto della giornata.

Comincio a lavorare ed arriva il momento di entrare nel board meeting di Sketchin. Come sempre non facilissimo, ma sempre stimolante. Oggi più liscio del solito devo dire. Alle quattordici termino ed esco in giardino con Buzz.

Io mi metto a scrivere queste righe e lui si sdraia al mio fianco. Sonnecchia, pur sempre attento a qualsiasi movimento possa attirare la sua attenzione. Un rumore sul lago, una farfalla che salta di fiore in fiore, una persiana che si apre.

Le orecchie si rizzano immediatamente e quello che sembra essere il riposo del guerriere si trasforma in una eccitante attività. Questo almeno fino a quando tutto di quieta nuovamente e ritorna ad accasciarsi vicino a me.

Io ascolto il rumore del lago, qualche barca che corre più velocemente delle altre, il fruscio del vento sulle foglie, il rumore delle onde che di tanto in tanto viene trasportato fino alle mie orecchie.

Quest’oggi ho deciso di non usare la mia pausa per un pranzo ma, semplicemente, per godermi questo momento che mi sembra veramente tanto simile alla perfezione.


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Si.Può.Fare!

Qualche settimana fa ho scritto della mia esperienza relativa alla somministrazione della prima dose del vaccino per prevenire l’infezione da Covid-19 e di come questa sia stata una esperienza assolutamente perfetta.

Ci ho pensato molto in questi giorni.

Non appena terminato il vaccino sono stato fatto accomodare in una sala d’attesa dove ho dovuto trascorrere i quindici minuti necessari per evitare eventuali effetti negativi. La sala era ordinatissima ed eravamo in molti ad aspettare. A distanza da me c’era una signora, non giovanissima, che si guardava intorno e non è riuscita a trattenere una esclamazione: “Non sembra nemmeno di essere in Italia!”

Purtroppo la signora ha ragione. Non sembrava di essere in Italia.

Molto tempo fa un caro collega inglese dette una definizione perfetta: “L’Italia è quel paese in cui il singolo si salva quasi sempre mentre il paese va a rotoli”.

Questo è quello a cui ci siamo abituati e contro il quale abbiamo abbassato le armi dichiarando sconfitta.

Ed invece, si può fare. E’ stata comunque necessaria una debacle di dimensione abissali per arrivare comunque ad un sistema di erogazione dei vaccini che fosse non solo degno di un paese civile ma organizzato in maniera incredibilmente efficace ed efficiente.

Questo dimostra che una macchina pubblica che funziona è possibile. E questo anche se è stata necessaria una pandemia mondiale per dimostrarcelo.

Tra le tante cose che potremmo imparare nell’era post pandemia questa credo che sia la più rilevante. Le amministrazioni pubbliche sono piene di talenti e di capacità che possono, e devono, essere sfruttate. Dobbiamo essere capaci di imporre il modello vaccinale all’intero apparato dello Stato. Mandare a quel paese tutti coloro che vi si oppongono per interesse personale o per semplice comodità e sicurezza.

Quello che ho visto nel giorno del mio vaccino mi piacerebbe fosse la normalità e non l’eccezione.

Sogno. Sogno ancora, nonostante l’età e le cicatrici.


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Ritorno alla normalità?

Spesse volte mi domando che cosa davvero significherà quello di cui tutti parlano: il ritorno alla normalità.

Questo vale sia dal punto di vista personale che professionale.

Quando ci penso mi ritrovo a pensare che è una cosa molto più tangibile dal punto di vista personale che non professionale. Potere tornare ad incontrare gli amici a cena, non avere un coprifuoco da rispettare, potersi mettere in macchina senza dovere compilare dei documenti e via dicendo.

Dal punto di vista professionale trovo che il tema sia molto, molto più complesso.

Credo che sarà necessario trovare un nuovo equilibrio perché è ben evidente che la classica vita in ufficio ha dimostrato di essere una pura invenzione sostenuta dal mito della produttività. In molti si sono resi conto di potere essere maggiormente produttivi ed efficaci nel proprio lavoro stando spaparanzati sul divano di casa.

Hanno anche scoperto che hanno una vita e che se la possono godere senza essere costretti a spendere tempo inutile in ufficio spacciandosi per workaholic e gesticolando proferendo improperi guidando da e verso casa. Non si tratta di cosa da poco.

Come abbiamo detto spesso le aziende sono generalmente governate da ricatto, minaccia e corruzione e per questo motivo sarà molto facile costringere i proprio dipendenti a riadattarsi ad uno status quo consolidato. Peccato che le persone abbiano preso coscienza del fatto che un diverso modo di lavorare non solo è possibile ma è anche efficace.

In quei settori ad alto valore aggiunto la partita per attirare i talenti si giocherà su questo terreno e con queste regole. Regole che pochi conoscono se non coloro che hanno tentato di farle proprie da sempre. Una situazione che faceva sorridere tutti quelli a cui la si raccontava. Si passava sempre per quelli un pochino naif e post figli dei fiori. Ora questa è la nuova realtà ed adattarsi non sarà facile.

Le persone di talento vorranno lavorare in un contesto diverso. Una ricerca di un sano equilibrio tra vita privata e lavoro dove è il secondo a dipendere dalla prima e non il contrario come è stato sino ad oggi.

Crisi totale per il middle management di poco spessore che troverà sempre più difficile giustificare la propria esistenza che non si limiti ai doveri del bravo esecutore e del controllore.

Secondo me ci aspetta un periodo interessante e spero davvero che non vada sprecato. Forse qualcosa di simile ad una rivoluzione è davvero possibile.


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Vaccino, prima dose

Nella tarda serata di ieri mi è stata inoculata la prima dose del vaccino contro il virus Covid-19.

Avevo prenotato il vaccino qualche settimana prima non senza incontrare qualche difficoltà per via della mia “non scelta” del medico di base quando mi sono trasferito a vivere a Laglio. Diciamo che questo inconveniente, sebbene dovuto ad una mia mancanza, non mi aveva fatto prevedere una esperienza positiva.

La realtà è stata del tutto diversa dalle aspettative.

Il mio appuntamento è stato fissato per le 18.35. Alle 17.45 salgo in macchina per andare verso Cernobbio. Mi muovo con un largo anticipo perché Cernobbio è sempre complesso da gestire in termini parcheggio. Oltretutto il centro vaccinale è stato organizzato presso il centro congressi di Villa Erba, in pieno centro. Per questa ragione ho pensato che sarebbe stato necessario del tempo per riuscire a trovare un parcheggio.

Niente di tutto questo.

E’ stato riservato un parcheggio in centro per coloro che devono vaccinarsi. Tempo netto per trovare un posto macchina non più di tre minuti. Direi che la partenza è ottima.

Villa Erba è enorme e quindi bisogna capire dove è stato allestito il centro vaccinale. Facilissimo. Le indicazioni che sono state apposte intorno alla villa sono chiarissime. Non impiego più di cinque minuti per trovare l’ingresso del centro vaccinale. La prima impressione è buona. Nessuna coda e nessun assembramento.

All’ingresso del centro vaccinale avviene un primo screening in cui viene misurata la temperatura. Ci sono due persone ad occuparsene. Superato l’ingresso vengo instradato verso un altro step del processo. La verifica della prenotazione. Anche in questo caso nessuna fila e nessuna densità particolare di persone. Mi viene assegnato il numero 1948. Le indicazioni, chiarissime mi fanno arrivare ad una grande sala dove sono disposte delle sedie per attendere la chiamata successiva. Ci sono persone della protezione civile ad organizzare i flussi. Oltre a questo ci sono dieci postazioni per l’accettazione.

Al momento del mio arrivo stanno chiamando il numero 1830 e mi dico che ci vorrà una eternità. In realtà in meno di quindici minuti sono alla postazione dedicata alla accettazione. Scansione della mia tessera sanitaria ed in meno di un minuto possa accedere all’area dove avvengono le vaccinazioni vere e proprie.

In questa zone le file si ricompongono in una unica fila ma il processo è estremamente efficace e veloce. Ci sono persone della protezione civile e della croce rosse che instradano le persone verso i diversi ambulatori temporanei che sono stati allestiti nella zona conferenze.

Attendo meno di cinque minuti e sono di fronte al medico che è già pronto con ll vaccina. Qualche domanda di rito ed il vaccino è fatto. Pfizer. Esco non dalla stessa porta dalla quale sono entrato per fare il vaccino e vengo indirizzato verso una sala di attesa dove devo spendere i successivi quindici minuti nel caso in cui si manifesti qualche effetto indesiderato.

Credo ci siano quattro zone di attesa distinte. Vengo fatto accomodare nella zona numero 4 insieme ad altre persone e mi siedo. Le sedie sono separate in file ordinate. Allo scadere dei quindici minuti tutta la sala di attesa viene liberata e siamo liberi di andare.

Ho guardato tutto con l’occhio del lavoro che faccio e devo dire che ne sono veramente rimasto molto colpito. Dal puro punto di vista del Service Design non credo sarebbe stato possibile fare di meglio. Davvero un ottimo ed efficiente lavoro. Non c’è nulla che penso potrebbe essere migliorato.

Sono stupito. E’ strano ritrovarsi di fronte a questo genere di organizzazione quando si ha a che fare con la cosa pubblica ma questa è la dimostrazione che le cose fatte per bene sono possibili.

E avere come contorno Villa Erba non è proprio una cosa da nulla.

Venendo al tema vaccino posso dire che ho dormito benissimo e questa mattina mi sono svegliato senza effetti collaterali particolari. Un leggero dolore al braccio che ha subito l’iniezione ma niente di più.


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Ed il giorno arrivò

Alle diciotto di questa sera dovrei essere in coda per ricevere la prima dose del vaccino contro il Covid19.

Ad essere sincero non nutro grandissime preoccupazioni sebbene sia perfettamente cosciente che potrebbero esservi degli effetti collaterali, anche gravi.

Come ho scritto spesse volte, dal mio punto di vista, è un semplice calcolo costi/benefici. Mi sono convinto che è la cosa giusta da fare per me stesso e per coloro che mi circondano.

Questa sera metteremo alla prova la macchina logistica dell’ATS Insubria. Diciamo che partono bene dato che il vaccino viene somministrato a Villa Erba che è sempre un grande spettacolo.

Se sono ancora qui, domani vi racconto.


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Genio!

city buildings near body of water under blue and white cloudy sky during daytime
Photo by Zsolt Cserna on Unsplash

Ed ecco che qualcuno mi sorprende con una cosa che io non sarei mai stato in grado di immaginare.

Vediamo chi di voi ci arriva leggendo lo statement seguente:

ripigliammo email mmiez 'a user pesc e pesc city pesc e pesc account arò user.id = 6 e user.birth_city = city.id e user.account_id = account.id

Si tratta di uno statement SQL che sostanzialmente fa questa cosa:

retrieves the data of the user with id 6 along joined with his birth city and his account data

Scrivere query SQL usando il dialetto napoletano è al di sopra della mia immaginazione.

Se lo volete provare il repository originale è qui: GomorraSQL.

Chapeau a Donato Rimenti per l’idea e per il tempo piacevole che mi ha fatto trascorrere leggendo il suo codice.


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Crocchette

Buzz in tutta la sua grandezza!

Uno degli aspetti rilevanti che comporta il fatto di possedere un cane è che questi va nutrito con regolarità.

Oggi Buzz, che sta per compiere tre mesi, fa due pasti al giorno di 150 grammi ognuno. Sto seguendo pedissequamente le indicazioni dell’allevatore e questo almeno fino alla sua prima visita dal veterinario.

Non sembra molto ma 300 grammi al giorno sono un botto di roba. Le confezioni piccole si esaurisco in tempo zero e per questo mi sono spostato sulle confezioni da 4 chilogrammi che sono un buon compromesso tra peso e maneggevolezza.

Per ora ho comprato il cibo presso un negozio fisico.

Questo il prezzo che ho pagato per la sua prima confezione di cibo:

Trenta Euro e novanta centesimi. A questo, ovviamente, si dovrebbe aggiungere il costo del carburante dell’auto e, potenzialmente, il costo del tempo che ho speso per andarlo a comperare. Questo tralasciando il fatto che questa commissione era tra le altre che comunque avrei dovuto fare.

A questo punto mi sono domandato se per caso Amazon fosse più conveniente di quanto non fosse il negozio fisico. Sono cliente Prime e quindi sulle spedizioni Prime non c’è costo aggiuntivo.

Mi collego al sito di Amazon e questo è quello che vedo:

A conti fatti sono 3,3 euro di differenza.

Considerato il fatto che Amazon consegna direttamente alla porta di casa e che dubito di avere speso meno di tre euro di carburante direi che forse mi converrebbe utilizzare Amazon per questo genere di acquisti.

Rimane la scocciatura di dovere essere in casa quando il corriere bussa alla porta e, come tutti sanno, questo evento è impredicibile come il 6 al SuperEnalotto.

Leggo poi un interessantissimo articolo su Amazon e qualche domanda me la faccio: Amazon Prime Is an Economy-Distorting Lie

L’articolo è illuminante per quanto riguarda la dinamica dei prezzi su Amazon. Lettura assolutamente consigliata ed anche da quanto ho dedotto con gli ordini da Smoking Tiger per il mio caffè per quanto riguarda il tema Buy Box. Trovata geniale ma che, fortunatamente, forse qualcuno sta cominciando ad investigare.


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Girotondo

clear hour glass with brown frame
Photo by NeONBRAND on Unsplash

Che poi, troppo spesso, ci si ritrova a girare in tondo alla ricerca di qualcosa che, in fondo, non arriva mai.

Un nuovo lavoro, una nuova macchina. Questa cosa che mi serve per fare quella cosa. Quel progetto che vorrei fare ma che richiede che io conosca questa altra cosa. Quella relazione che non funziona, ma perché? Sì, ma tra poco arriva quest’altra cosa e tutto sarà meraviglioso. Dai, tra poche settimane avrò finito questa cosa e tutto diventerà perfetto.

E nel frattempo il tempo scorre, inesorabile.

Al contrario, la maggior parte delle cose, quelle necessarie è a portata di mano. Basta allungarla o, più semplicemente, rendersi conto di essere già in possesso di tutto ciò che serve.


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Distrazioni…

person holding Mercedes-Benz fob
Photo by Roland Denes on Unsplash

Ieri mi stavo preparando per andare a prendere i miei figli per portarli da me per il fine settimana. Con la presenza di Buzz tutto si complica un pochetto dato che spostarsi con lui è praticamente come spostarsi con un neonato. Prepara la borsa con traversine, salviette, sacchettini per i suoi bisogni, giochi vari, guinzaglio e via dicendo.

Molte di queste cose stanno in salotto e per arrivare alla porta devo fare una rampa di scale. Avevo le mani piene perché, ovviamente, il mio raziocinio mi dice che fare due viaggi è un inutile dispendio di energie. Fatto sta che a metà della rampa inciampo e cado rovinosamente sulla ringhiera delle scale.

Risultato: mi sono ferito ad un braccio ed oggi esso mi diletta con tutti i colori dell’arcobaleno ed un dolore intenso e continuo.

Non finisce qui. Arrivo a casa loro, passiamo del tempo insieme giocando con Buzz ed infine arriva il momento di tornare a casa. Ricompongo la borsa di Buzz per muovermi e comincia la transumanza.

Dovete sapere che la borsa che uso per spostare le cose di Buzz è una borsa termica con una discreta dose di alluminio a proteggere la temperatura. Questo perché ha anche dei contenitori termici per il cibo nel caso in cui si debba portarlo con se.

Insieme a quella borsa ho anche uno zainetto che contiene le chiavi della macchina, il mio portafoglio, le carte di credito, i contanti ed il mio personal computer.

Arrivo quindi alla mia macchina. Cavolo, la macchina che si apre quando la sua chiave è in prossimità è una grande invenzione. Passo il piede sotto il parafango posteriore e, “Apriti, sesamo!”, il bagagliaio si apre. Sistemo i trolley dei ragazzi e di lato metto il mio zaino.

Ed ecco l’alzata di ingegno: sopra il mio zaino metto la borsa di Buzz.

Premo il bottone per chiudere il bagagliaio e questi si chiude senza battere ciglio. Ed ecco compiuto il disastro. Le pareti della macchina, insieme al fatto che la borsa termica sta sopra lo zaino sembrano schermare la chiave dell’auto.

Va premesso che il sistema è disegnato per fare in modo che la macchina non si chiuda se la chiave si trova all’interno dell’abitacolo ma, in questo caso, la schermatura offerta dalla borsa termica ha fatto in modo che la macchina non percepisse la chiave come depositata al suo interno.

E, finalmente, me ne rendo conto. Sono chiuso fuori dalla mia auto con tutte le mie cose dentro.

Confesso che per qualche minuto ho perso la mia consueta lucidità e capacità di analizzare razionalmente un problema.

La mia analisi del momento:

  • La chiave è dentro la macchina
  • L’altra chiave si trova ad ottanta chilometri da qui
  • Le mie carte di credito ed il contante sono dentro la macchina
  • Ho due ragazzi ed un cane che hanno bisogno di attenzione

Ho pensato di chiamare un taxi a farmi portare a casa a prendere la chiave sostitutiva e poi tornare. Però, venerdì di ponte con tangenziali milanesi completamente congestionate. Un viaggio di non meno di due ore e mezza, tre.

E poi ho pensato.

Aspetta, c’è l’applicazione Mercedes Me!

In quel momento ho sperato che i service designer che si sono occupati della progettazione del customer journey avessero considerato come vitale la user story del cliente stordito che chiude le chiavi in macchina.

Raggiungo il mio telefono che, fortunatamente, avevo tenuto nella mia tasca posteriore dei pantaloni. Lancio l’applicazione Mercedes Me e navigo fino alla funzione Stato Vettura. L’applicazione, molto gentilmente, mi dice che lo stato della vettura è “Bloccato”. E cavolo, lo so benissimo… la ho chiusa io.

Con una certa trepidazione pigio il bottone dello stato della vettura. La schermata cambia e, gioia infinita, in basso, c’è una slider che recita “Sblocca”. Appoggio il dito sullo slider e lo sposto da sinistra verso destra. L’applicazione recepisce il mio comando e comincia a fare la sua magia. C’è una indicazione di attesa sulla schermo.

Passano non meno di dieci secondi in cui il sistema credo decida se sono o meno in possesso delle credenziali per sbloccare la vettura da remoto. E poi, inaspettato, un “CLICK!”. La macchina si è aperta.

Sono salvo. Completamente stordito, ma salvo.

Grazie ai designer ed ai programmatori che hanno tenuto conto dello stordito cinquantenne che riesce a chiudere le chiavi della sua macchina all’interno della stessa.

E, finalmente, il fine settimana può iniziare.


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Lettura consigliata

Surviving IDEO“, uno splendido scritto di George Aye è una lettura che dovrebbe essere letta e riletta da chiunque si occupa di dovere gestire delle entità professionali di una certa dimensione.

Io credo di averlo letto con grande attenzione almeno quattro volte ed in esso ho ritrovato molti dei comportamenti che negli anni mi è capitato di osservare all’interno delle dinamiche aziendali.

In particolar modo credo che ciò che George descrive è particolarmente vero per quanto attiene gli studi di design. E questo non perché gli studi di design siano popolati da unicorni, e questo sebbene i designer siano una categoria lavorativa a parte, ma piuttosto perché la distonia tra quello che viene narrato all’esterno e quello che realmente accade all’interno è molto più grande che non in una azienda tradizionale.

Ho spesso usato la metafora: “E’ un bel pacco natalizio con una splendida carta regale ed uno splendido e sgargiante fiocco. Peccato che dentro ci sia un mattone”.

Uno studio di design, sopratutto se grande e con regali natali, corre il rischio di essere un grandissimo generatore di stronzi o, più propriamente, di coglioni totali per utilizzare un lessico di cui ho parlato a lungo su queste pagine.

Facciamo così: voi ve lo leggere ed io vi racconto cosa ne penso nel dettaglio nei prossimi giorni.


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Prolissi…

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Photo by Mikołaj on Unsplash

Non ho mai compreso la naturale tendenza degli autori americani, sopratutto quelli in ambito tecnico, di scrivere una quantità di pagine che supera l’umana comprensione.

Prendete un qualsiasi linguaggio di programmazione. Oggi è difficile trovare un libro che contenga meno di trecento o quattrocento pagine. Fossero pagine dense di contenuto potrei anche comprendere quale sia la ragione. La ragione è che un continuo rimestare e rimescolare gli stessi concetti per riempire pagine.

Ho il sospetto che sia una caratteristica peculiare del mercato statunitense. Un libro ciccione è sicuramente meglio di un libro snello.

Peccato che il mio tempo sia prezioso ed io di leggere pagine inutili non ho proprio voglia.

Lo stesso vale per molti scritti che mi capitano sottomano navigando sul web. Concetti che potrebbero essere riassunti in una frase vengono diluiti in centinaia e centinaia di parole del tutto inutili.

In questo modo io smetto di leggerti.

Il concetto di TL;DR dovrebbe essere imposto per legge.


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-7 giorni

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Photo by Ivan Diaz on Unsplash

7 sono i giorni che mi separano dal momento in cui mi verrà iniettata la prima dose di vaccino in contrasto alla epidemia di COVID-19.

Vi dico come la penso.

In prima istanza non mi sto facendo grandi menate, termine tecnico di derivazione scientifica, riguardo il tipo di vaccino che verrà usato su di me. Moderna, Astra Zeneca, Johnson&Johnson e via discorrendo. L’importante, almeno per me è che sia un vaccino con il virus e che gli effetti collaterali gravi sia relativamente statisticamente rilevanti.

Da questo punto di vista non ho alcun timore. Sono sempre stato piuttosto fatalista. Se qualcosa deve andare storto, andrà storto- C’è qualcosa che io posso fare per evitare che qualcosa vada storto? Direi di no. Quindi: inutile menarsela.

Reputo i rischi collegati ad una vaccinazione superiori al rischio di un contagio? Assolutamente no. La percentuale di decessi dovuti al contagio per la mia fascia di età si aggira intorno al 4%. Decisamente qualche ordine di grandezza superiore alla percentuale degli effetti collaterali gravi legati alla vaccinazione. Razionalmente decido di vaccinarmi per puro calcolo.

La vaccinazione avrà un effetto sulle mie abitudini? Credo proprio di no. Non la considero uno strumento che possa concedermi maggiori libertà o leggerezza nel mio comportamento quotidiano. Piuttosto, lo considero un ulteriori strumento di protezione dal contagio. Mantenendo le mie abitudine, che, per inciso, mi hanno permesso di evitare di lasciarci le penne, credo che questa protezione abbasserà ancora il rischio di un contagio.

Per il resto posso attendere che tutta questa buriana sia passata prima di concedermi il ritorno totale alle mie abitudini.

E poi vuoi mettere fare il vaccino a Villa Erba a Cernobbio?


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