Qualche preoccupazione

Nella serata di ieri stavo riflettendo sulla mia ultima uscita per andare a comprare dei generi alimentari, oramai più di una settimana fa.

Sono tornato a casa con addosso una certa inquietudine e fino ad oggi non ero stato in grado di darmi una spiegazione. Alla fine ci sono arrivato e ho concluso che essa era figlia di due temi principali.

Il primo tema riguarda la sicurezza personale in senso lato. E’ evidente che ogni volta che si esce di casa ci si espone ad un rischio. L’entità del rischio può essere più o meno grande ma un rischio esiste. Ti viene quindi il dubbio se durante la tua uscita sei stato esposto al virus o meno. Torni a casa e fai tutto quello che viene suggerito. Lasci le scarpe fuori di casa, ti cambi di abito, disinfetti la qualunque, ti lavi le mani come un ipocondriaco.

Il dubbio però ti rimane addosso e la cosa più preoccupante è che in queste condizioni non riesci assolutamente a renderti conto del rischio reale. Continui a leggere numeri su numeri ma la situazione sta diventando surreale e non si può definire in maniera assoluta l’entità del rischio.

Il secondo tema riguarda i controlli di polizia. Da casa mia al primo supermercato utile passano circa dieci chilometri. In quel brevissimo tratto di strada ho contato due volanti della Polizia di Stato, una macchina dei Carabinieri ed una della Guardia di Finanza.

Ovviamente non stanno facendo altro che eseguire degli ordini nel tentativo di fare rispettare le varie ordinanze emesse da governo e regioni ma in questo ultimo viaggio la cosa mi turbato.

Forse per la prima volta in vita mia mi sono sentito controllato oltre ogni misura e senza via di scampo. Lo so, affermazione forte ma in questo tragitto mi sono sentito molto a disagio. Come se fossi colpevole di qualche reato a prescindere, al di là di qualsiasi lecito motivo io avessi per muovermi in quella circostanza.

Non mi è piaciuto, non mi è piaciuto per nulla.

Gli hacker nei film

In queste sere di isolamento forzato sto guardando su Netflix una serie che narra di narcotrafficanti messicani che fanno evolvere la propria organizzazione in una complessa struttura economico-finanziaria.

Parte della narrazione prevede che ci sia un team di hacker che li aiuta in quelle che alla fin della fiera sono delle operazioni di inside trading.

Niente di che.

Ovviamente la drammatizzazione della narrazione deve mostrare questi hacker al lavoro mentre fanno il loro lavoro. Questa rappresentazione è buffissima.

In primo luogo battono incessamente i polpastrelli sulla tastiera come se non ci fosse un domani. Gli occhi fissi sullo schermo mentre le loro dita si spostano alla velocità della luce. Decisamente non deve essere nessun Delay tra l’inserimento del comando, la sua esecuzione e l’inserimento del successivo. Mi piacerebbe tanto avere anche io dei sistemi fatti in quel modo.

Le riprese dei loro schermi sono altrettanto fantastiche. Ci sono delle interfacce spaziali, spesso in tre dimensioni, con tanto di indicatori che si muovono in continuazione. Barre di avanzamento coloratissime e, magari, visualizzato su un altro monitor, del codice in scrolling continuo.

Altra cosa incredibile è che qualsiasi operazione, dall’inizio alla fine, avviene in massimo qualche minuto. Sono veramente bravissimi.

Mi fanno impazzire anche i dialog box con i messaggi di errore. Fantastici. Decisamente hanno dei Visual Designer con le palle. Sempre seguendo questo filone bisogna ammettere che anche la rappresentazione dei firewall è generalmente molto fantasiosa. Chi ha mai provato a configurare un firewall dovrebbe avere una qualche idea di quella che è la realtà.

Insomma niente di più diverso da quella che è la realtà.

In realtà quello che dovrebbero mostrare per il 99.9% del tempo sarebbe il prompt di un terminale e, se proprio va bene, qualche pezzo di codice che certamente non scrolla ma che, semplicemente, viene editato.

E’ comunque tutto bellissimo.

Libri rivoluzionari

Seguendo l’idea di indicare sette libri che considero per me rilevanti oggi ho postato una immagine della copertina del libro Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren.

Un amico di famiglia mi regalò questo libro quando, credo, avevo qualcosa come sei o sette anni in occasione di una cena con i miei genitori.

Evidentemente non immaginava la porta che questo libro avrebbe avuto.

Sì, perché dovete sapere che il libro che nasce nel 1945 ed ha sempre avuto una vita difficile.

Ricordate il personaggio, vero? Pippi Calzelunghe è una ragazzina ricchissima che vive sola in una grande villa in compagnia dei più disparati animali. Capelli rossi e treccine lunghissime.

Pippi era fighissima per tutti i ragazzini. Irrispettosa, irriverente e, sopratutto, libera da tutto e da tutti. Un personaggio del genere nel 1945 rappresentava tutto quelle che si voleva evitare come modello per un ragazzino. Oltre a questo in alcune occasioni Pippi era decisamente irritante.

Pippi non era una ragazzina ma una adulta. Ha dovuto imparare a cavarsela da sola.

Si inventava le parole e ad esse legava concetti e cose. Incredibile. Capacità di legare creatività e libertà. In un certo qual modo un prototipo anarchico. E se non anarchica, certamente rivoluzionaria.

Lei si difendeva da sola perché era fortissima. Grazie a questa forza difendeva anche i suoi amici.

Insomma, Pippi Calzelunghe è una lettura che anche se siete adulti, anzi proprio in questo caso, potrebbe cambiarvi la vita.

Leggetelo!

Libri

Spinto da un carissimo amico che stimo oltre ogni misura mi è stato chiesto di elencare sette titoli di libri che, in qualche modo, mi hanno segnato.

La sfida è molto complessa sotto diversi punti di vista.

Il primo è che ho letto davvero così tanto che è difficile estrarre solo sette titoli che abbiano avuto più peso degli altri. Il rapporto tra i libri di valore e quelli letti è veramente troppo basso per potere essere efficaci in una selezione come questa.

Il secondo è che penso che le letture vivono in uno spazio temporale spesso circoscritto e legato al momento. Mi capita di sottolineare spesso passaggi sulle pagine di un libro e, di solito, li riporto su un insieme di quadernetti che mi seguono negli anni. Ogni tanto sfoglio quei quaderni e mi capita di domandarmi per quale motivo, in quel momento, ho deciso di sottolineare quella frase, quel passaggio o quella parola.

Spesso non mi ci ritrovo. Questo a significare che quel passaggio aveva senso in quello specifico momento della mia vita e non altrove.

I libri sono materia viva e mutevole e vivono nella testa delle persone.

Ad ogni modo sto lavorando all’esercizio ed i primi tre titoli sono stati:

  • Amori ridicoli – Milan Kundera
  • Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta – Robert Pirsig
  • Godel, Escher e Bach. Un’eterna ghirlanda brillante – Douglas Hofstadter

Gli altri nei prossimi giorni.

Un consumo diverso

In queste settimane di isolamento forzato ho deciso di fare un esercizio.

Ho preso in considerazione tutte le mie spese nel mese precedente al lockdown e le ho confrontato con le spese durante il lockdown.

Il risultato è decisamente interessante.

Dalle mie spese sono scomparse tutte quelle spese che non riguardano la conduzione di una vita semplice. Sono scomparsi, ovviamente, viaggi, ristoranti, vestiti, giocattoli tecnologici più o meno complessi e sono rimasti il mutuo, le spese per gli alimenti, lo stipendio della babysitter e via dicendo.

Credo che sia un risultato interessante e quindi indago un pochino sul tema. Arrivo al libro “The Theory of the Leisure Class” di Thorstein Veblen, scritto addirittura nel 1899.

Ne leggo qualche estratto ed arrivo alla definizione di conspicuous consumption:

Conspicuous consumption is the spending of money on and the acquiring of luxury goods and services to publicly display economic power—of the income or of the accumulated wealth of the buyer. To the conspicuous consumer, such a public display of discretionary economic power is a means of either attaining or maintaining a given social status.

Non si tratta esattamente di quello che sta accadendo a me ma, certamente, siamo vicini.

Credo di essere tornato ad una forma di consumo più responsabile e meno spinta dalle emozioni e dalla emulazione.

La considerazione interessante è che, personalmente, non mi sento in difetto rispetto a questo nuovo atteggiamento e non sento nemmeno il bisogno di ritornare in fretta e furia a quel genere di consumo.

Forse uno degli effetti maggiormente positivi di questo periodo. Sarebbe davvero utile che questo atteggiamento mi rimanesse attaccato al termine di questa bufera che mi ha investito.

Sono stanco

Sono veramente stanco di leggere le decine di ipotesi che si fanno per questa nuova Fase 2 che ci aspetta. Oltre ai media tradizionali che raccontano le ipotesi più o meno probabili, ovviamente in funzione della vicinanza di chi scrive a qualche “bene informato” si sommano le decine di ipotesi più o meno fantasiose che circolano sui social network.

A questo punto ho deciso di eliminare dalla mia dieta informativa qualsiasi lettura che riguardi questa Fase 2. Questo fino a quando il nostro governo, ed in cascata tutti i governatori del paese, non rilascerà dei documenti ufficiali.

Il rapporto segnale/rumore è diventato davvero troppo basso perché sia utile a qualcosa.

Quando saranno disponibili i documenti ufficiali me li leggerò con cura e poi prendere le mie decisioni personali. Al di là di quello che verrà permesso o non permesso lascerò che sia il mio giudizio personale a decidere quando per me sarà sicuro uscire di casa.

Viva la Calabria!

Forse è arrivato il momento di scherzare e di sdrammatizzare.

Ricordiamo questa grandissima citazione:

Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione

Il Perozzi – Amici Miei – 1975

L’occasione di farmi due risate mi viene concessa da lo statale jonico.

L’importanza delle parole

Questa mattina mi sono alzato e ho stampato la certificazione necessaria per potere andare a fare acquisti di alimentari domani sera. Sarà la prima volta che esco di casa dopo quindici giorni di completo isolamento.

Aspetto che il foglio esca dalla stampante e mi cade l’occhio su una cosa che settimane fa mi era sfuggita.

Il modulo dice che io dichiaro sotto la mia responsabilità:

di non essere sottoposto alla misura della quarantena ovvero di non essere risultato positivo al COVID-19

Come sapete, le parole sono importanti. Rileggo la frase un’altra volta.

Per quanto riguarda la prima parte della frase non ho alcuna difficoltà nel dichiarare che non sono sottoposto alla misura della quarantena. Su questo non ci piove.

Peccato che subito dopo ci sia un “ovvero di non essere risultato positivo al COVID-19”

Ecco, io questa ultima cosa non credo di poterla dichiarare alla leggera. Io non nessuna idea se sono risultato positivo o meno al COVID-19. Potrei essere uno delle migliaia di asintomatici che non ha mai fatto alcun test. Non sono quindi in grado di assumermi questa responsabilità non avevo alcuna possibilità di verificare se sia vera o meno.

Tirando le somme mi verrebbe da dire che non potrei uscire di casa poiché non sono in grado di soddisfare i parametri contenuti nella certificazione.

Come mi si dice spesso, io sono un puntacazzista ma questa frase mi sembra veramente scritta male.

Voi come la interpretate?

Stiamo esagerando?

Guardo il video di un elicottero della Guardia di Finanza che insegue un pericoloso criminale in fuga sulla spiaggia di Venezia. Sull’elicottero si trova anche una giornalista che in diretta video con lo studio commenta in maniera concitata le fasi dell’inseguimento mentre in sottofondo suona la cavalcata delle Valchirie in perfetto stile Apocalypse Now. Manca solo Marlon Brando che dice: “Mi piace l’odore del Coronavirus al mattino”.

Il pericoloso criminale, in perfetta solitudine, sta correndo lungo una spiaggia.

Allo stesso tempo ci sono molti altri video che mostrano droni utilizzati per la ricerca dei trasgressori alle disposizioni dei vari DCPM che sono stati emessi sino ad ora. Anche nel piccolo comune in cui abitavo sino ad un paio di anni fa il sindaco fa mostra del drone in dotazione alla Polizia Municipale.

Per fortuna il buon Dott. Franco Gabrielli, Capo della Polizia, di concerto con l’ENAC decide che non è il caso di utilizzare i droni per questo genere di controllo del territorio.

Sempre in tema, davanti a casa mia vedo spesso la barca della Guardia di Finanza che pattuglia le rive del lago sempre alla ricerca dei pericolosi trasgressori del confino.

Faccio qualche considerazione.

Davvero riteniamo utile questo dispiego di forze e tecnologia per contrastare questi casi? In senso lato potremmo dire che sì, è ragionevole perché si sta mettendo a rischio la salute pubblica. Dall’altro mi viene da dire che il costo di mantenere in volo un elicottero è troppo alto per dare la caccia ad un deficiente che fa jogging sulla spiaggia.

Infine mi viene da dire, riprendendo quello che scrissi tempo fa, che c’è qualcosa che non mi quadra in questa narrazione. Il messaggio che passa mostrando le immagini dell’elicottero è questo: “Se la Guardia di Finanza si spinge ad utilizzare strumenti così costosi per evitare che la gente si muova da casa, anche dando la caccia al singolo podista solitario vuole dire che anche il singolo e solitario omino è un rischio enorme per la salute pubblica”.

Ora, che il deficiente podista se ne sarebbe dovuto stare a casa sul divano è fuori di dubbio, ma che si faccia ricadere la responsabilità di questo disastro solo ed esclusivamente sul suo comportamento mi sembra, quantomeno, azzardato.

La psicopatia dei numeri

Andiamo a legger la definizione di psicopatia:

La psicopatia è un disturbo mentale caratterizzato da comportamento antisociale, deficit di empatia e di rimorso, emozioni nascoste, egocentrismo e inganno.

Wikipedia

Semplifico il tema utilizzando Wikipedia, sebbene sia perfettamente conscio della sua complessità.

Iera sera leggevo i dati riguardanti la situazione della diffusione del virus. L’oramai solita conta dei nuovi contagiati, dei guariti, delle persone in terapia intensiva e, purtroppo, di coloro che hanno perso la vita.

Numero che sembrerebbero essere in decrescita.

Tra me e me pensavo: dai, forse le cose stanno per andare meglio. Non sono riuscito a trattenere un sorriso.

In quello stesso momento mi ricade l’occhio sul numero delle persone decedute. Più di 450 persone. In sole 24 ore. Non il numero più alto che si sia mai letto ma comunque molto alto.

Il sorriso sul mio volto si spegne istantaneamente e, sinceramente, provo un pò di vergogna. Sono più di 450 esseri umani deceduti in 24 ore. Se facciamo i conti si tratta di una persona ogni 3,2 minuti. Una follia.

I numeri sono psicopatici perché, ovviamente, sono privi di empatia e di emozioni.

Quel numero non ti dice che sono morti più di 450 esseri umani con una famiglia, probabilmente dei figli e degli amici. Sono persone. Sono persone che non ci sono più.

A me i numeri piacciono, e piacciono tanto. I numeri raccontano delle storie che quelle emozioni le hanno attaccate. Se li leggi in maniera asettica non hai capito nulla.

Non sorrido più, e mi invade una grande tristezza.

Libri ritrovati e libri persi per sempre

Non sono sempre stato un grande lettore. Diciamo che fino alla fine del liceo per farmi leggere un libro ci volevano le trombe dell’altissimo per fare depositare i miei occhi su qualche pagina.

Dopo, solo dopo, sono diventato un vorace lettore. Questo sostanzialmente dopo avere fatto perdere ai miei genitori qualsiasi speranza che in età adulta io potessi sostenermi in maniera autonoma.

Mi sono quindi affezionato a tanti titoli e ancora oggi mi capita di rifugiarmi tra quelle pagine quando ho bisogno di un porto sicuro in cui ripararmi. Lì non ci sono sorprese e ti ritrovi in un mondo conosciuto. Questi sono libri ritrovati.

Allo stesso tempo mi capita di riprendere tra le mani libri che ho amato e che mi avevano segnato quando li lessi. Dopo poche pagine mi ritrovo a chiuderli e a domandarmi per quale motivo li avessi ritenuti così fondamentali. Questi ultimi cadono nell’oblio e sono persi per sempre.

L’unica spiegazione è che tutto cambia, me compreso.

Cielo, i miei dati personali!

Tra qualche tempo dovremo avere a disposizione una applicazione che ci permetterà di monitorare i potenziali contatti con persone positive al Coronavirus e, di conseguenza, di potere tracciare con chi essi sono venuti a contatto.

Personalmente trovo che sia una notizia vitale per uscire da questa situazione. Questo, ovviamente, se riusciremo a fare le cose per bene (vedi il caso INPS).

Comincio a leggere su Facebook, ma anche su altri social network, preoccupazioni sull’utilizzo dei dati personali che, necessariamente, forniremo per l’utilizzo della applicazione.

I commenti si dividono in due grandi fazioni. Da una parte ci sono i commenti di coloro che hanno competenza sul tema della gestione dei dati personali. Questo sono commenti sani e che sollevano questioni rilevanti e fondamentali perché le cose vengano fatte per bene. Nessuno di questi è contrario a priori, e mi sembra buona cosa.

Dall’altra parte ci sono quelle che: “Io non darò mai i miei dati personali. Chissà che uso ne faranno loro”. Dove il loro si piò estendere dagli Illuminati, ai poteri forti e ai massoni.

Mi faccio un giro sui profili social di coloro che alzano gli scudi contro l’applicazione in difesa dei loro dati personali.

Si scopre che:

  • Sono anni che sono iscritti a Facebook sul quale postano qualsiasi momento della propria giornata e della giornata dei propri familiari ed amici.
  • Non appena partono per una vacanza provvedono ad avvisare l’universo dell’evento, topi d’appartamento compresi. (Ricordati Please Rob Me?)
  • Prima di salire in aereo postano la foto della loro carta di imbarco con tanto di codice di prenotazione ben in vista e spesso con i dati personali del passaporto. (Guardate questo: Hacking boarding passes for fun and profit)
  • Permettono alle banche, agli istituti di credito, alle società emittenti di carte di credito di profilare il loro comportamento di spesa ogni volta che strisciano una carta.
  • Usano la carta fedeltà di negozi e supermercati consegnando a quelle aziende il loro profilo di spesa e di attitudine alla spesa.
  • Da quando hanno in tasca un telefono cellulare, sia questo Android o Apple, consegnano una infinità di dati personali tra i quali, posizione, fotografie, documenti, e-mail a operatori di telefonia mobile e OTT.
  • Per quel sottoinsieme che usa Tinder o affini raccontano i loro gusti sull’altro sesso.

Si potrebbe continuare per pagine e pagine.

Ora, nessuno dei punti ti salva la vita e non ti lamenti. Al contrario frantumi le palle per una applicazione che può evitarti di tirare il calzino?

E dai, su. Siamo seri.

Photo credits:

unsplash-logoLianhao Qu

Ed ora abbiamo le App

Ieri mi trovavo nella ennesima conference call quando il mio telefono squilla con una notifica della ricezione di un SMS. Il messaggio proviene da REGIONELOM e dice:

Regione Lombardia-CercaCOVID: scarica app AllertaLOM e compila ogni giorno il questionario anonimo sul tuo stato di salute. Aiuterai a tracciare mappa contagio.

L’iniziativa è buona tutto sommato ma lo stai facendo male. Perché non mettere un link al download della applicazione nelle sue versioni iOS e Android? Perché scrivere in un Italiano imbarazzante.

Verrebbe da dire perché si voleva contenere le dimensioni del messaggio… Mandarne più di uno pareva brutto?

Lasciamo stare. Al termine della mia conference call scarico l’applicazione con la curiosità dell’antropologo che ha scoperto una nuova, e sconosciuta, tribù amazzonica.

A questo punto lancio l’applicazione e la prima cosa che mi viene chiesta è di accettare i Termini e Condizioni d’uso. Sono paziente e prima di accettarli me li scarico sul PC e me li leggo. Quattro pagine di legalese puro che in alcuno punti mi lasciano perplesso.

Uno per tutti:

11. Cessione
L’Ente si riserva la facoltà di cedere, anche parzialmente, a terzi, il presenta accordo, e i diritti e gli obblighi dallo stesso derivanti, in qualsiasi momento, e senza alcun specifico consenso da parte Sua.

A parte l’errore di grammatica, per quale motivo dovrei concederti di cedere i diritti e gli obblighi del presente accordo a terzi? E, sopratutto, quali terzi?

Oltre a questo il paragrafo 4 Dati, informazioni e contenuti connessi all’impiego dell’App e del Servizio non fa nessun riferimento ai dati che vengono collezionati e trasmessi dalla applicazione. E’ ben evidente che il documento fa riferimento ad una versione pre COVID-19 e quindi tratta solo dei dati che l’applicazione fornisce all’utente e non il caso contrario.

Lasciamo stare. Procedo.

A questo punto mi viene chiesta l’accettazione della informativa sulla Privacy. Stesso processo. La scarico e me la leggo.

Bene, cominciamo.

L’inizio è buono:

Il Titolare non tratterà i suoi dati identificativi diretti, quali il nome, il cognome, il Codice Fiscale o la sua residenza.

Peccato che subito dopo:

Utilizzando l’App e accedendo al relativo Servizio, taluni dati di natura prettamente tecnica (quali, a titolo esemplificativo, il codice IMEI identificativo del Suo dispositivo mobile, le informazioni relative alla versione del sistema operativo ivi installato, l’indirizzo IP identificativo dell’host di rete, ecc.) potranno essere acquisiti, in modo del tutto automatizzato, dai sistemi informatici interrogati dal Suo dispositivo, all’atto di prelevare i dati e le informazioni resi disponibili all’interno dell’App.

Se acquisisci il mio indirizzo IP ed inferisci i dati la mia residenza la ottieni facile.

Continui così:

Il trattamento sarà effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici o comunque automatizzati, in conformità ai principi di necessità e minimizzazione del trattamento. Il Titolare adotta misure tecniche e organizzative adeguate a garantire un livello di sicurezza idoneo rispetto alla tipologia di dati trattati ed al contesto del trattamento.

Niente da eccepire se non fosse che dopo il mirabolante caso dei sistemi di INPS a me qualche brivido lungo la schiena viene leggendo questo paragrafo. Concediamo il beneficio dell’inventario.

Seguono altri errori di grammatica che mia mamma avrebbe sottolineato tre volte con la matita blu.

Poi scrivi questo:

I dati raccolti ed elaborati non saranno trasferiti presso società o altre Enti siti al di fuori del territorio dell’Unione Europea.

Che non torna con quanto hai dichiarato nel documento dei Termini e Condizioni. Decidi. Li cedi o non li cedi?

Alla fine accetto anche questo e proseguo.

Mi vengono chiesti dei dati personali come il comune di residenza ed il comune presso il quale lavoro. Ora, io sono quello che in gergo si chiama “frontaliere” e quindi lavoro in Svizzera. Così come me ci sono almeno altre 65000 persone che vivono in Lombardia. Perché non mi viene offerta la possibilità di dichiarare che lavoro all’estero? Mistero.

Alla fine mi viene richiesta una serie di informazioni sul mio stato di salute ed infine confermo l’invio dei dati.

Alla fine non sono granché eccitato. Io ti fornisco dei dati utili e tu in cambio non mi dai nulla se non la consueta conferenza stampa delle 18.00. In passato abbiamo condotto progetti che riguardavano la richiesta e l’utilizzo di dati personali, anche sensibili. Una delle cose più importanti che scoprimmo durante la fase di User Research fu che gli utenti sono anche disponibili a cedere informazioni, ammesso che ne ricevano qualcosa in cambio. Qui non accade.

Insomma, capisco l’urgenza e la necessità ma si poteva fare meglio e comunque mi nasce il sospetto che stai cercando scorciatoie per fare in modo di non testare tutti i cittadini in relazioni al virus con metodi scientifici.

In tarda serata leggo un articolo che annuncia che è stata scelta dal Governo l’applicazione per tracciare i contatti di prossimità. Mi sembra una buona notizia.

Confesso che la prima idea che mi ero fatto è che fossero stati scelti gli amici degli amici e che ci saremmo trovati di fronte alla consueta porcheria. Invece leggo che l’applicazione scelta è sviluppata da Bending Spoons e faccio i salti di gioia. Quei ragazzi non sono bravi, sono stellari. Ben fatto!

Faccio una considerazione personale. A me piacerebbe che il codice della applicazione e, sopratutto, il codice dei sistemi di backend venisse reso pubblico in modo che sia possibile fare un audit. Questo per capire quale reale anonimizzazione dei dati viene applicata e quali sono gli algoritmi che vengono utilizzati per la valutazione dei rischi.

Le favole e Gianni Rodari

Sono ormai un paio di settimane che alle diciannove faccio un video in diretta su Facebook in cui leggo due favole di Gianni Rodari tratte dal libro “Favole al telefono”.

La platea è sempre molto scarsa ma, come per Corrente Debole, l’esercizio vale molto più per me che per gli altri. Nel caso in cui vogliate vederle potete usare questo indirizzo: Corrente Debole su Facebook

Per me è una finestra sul mondo che mi aiuta a fuggire dalla quarantena forzata di queste settimane insieme ad essere un piccolo omaggio a quello che ritengo uno dei più grandi narratori Italiani.

Il 14 Aprile era il quarantesimo anniversario della scomparsa di Gianni Rodari. Non me ne ero reso conto.

Non so se vi è mai capitato tra le mani “Favole al telefono”. Nel caso in cui non sia avvenuto vi consiglio di leggerlo. In poche ore farete dei viaggi fantastici in mondi immaginifici e leggeri. Una distrazione come poche in questo momento particolarmente complesso.

Se poi si astrae dalla favola se ne possono derivare considerazioni del tutto valide per la vita di noi adulti.

Vi faccio due esempi.

Nella favola “Il palazzo da rompere” si narra di un paese gli abitanti bambini sono soliti rompere qualsiasi cosa gli capiti sotto il naso. Si decide di costruire un palazzo che i bambini possono distruggere. Alla fine i bambini sono talmente stanchi che il palazzo rimane in piedi e quindi:

Quello che restava in piedi del palazzo da rompere, il Comune lasciò liberi i cittadini di farne quel che volevano. Allora si videro certi signori con cartella di cuoio e occhiali a lenti bifocali – magistrati, notai, consiglieri delegati – armarsi di martello e correre a demolire una parete o a smantellare una scala, picchiando tanto di gusto che ad ogni colpo si sentivano ringiovanire. – Piuttosto che litigare con la moglie, – dicevano allegramente, – piuttosto di spaccare i portacenere e i piatti del servizio buono, regalo della zia Mirina… E giú martellate.

A qualcuno di voi questo avrà ricordato una delle tante Startup che creano delle stanze nelle quali una persona può distruggere ogni cosa usando qualsiasi strumento desideri.

Nella favola “L’Apollonia della marmellata” si conclude così:

… teste per fare l’imperatore se ne trovano a tutte le cantonate, ma mani d’oro come quelle dell’Apollonia sono ben piú preziose e rare.

Non è forse perfettamente applicabile nel contesto che stiamo vivendo in questi giorni?

Insomma, se volete ritornare un pochino bambini, ed allo stesso tempo farvi trascinare in qualche riflessione più profonda andate a comprare “Favole al telefono” e leggetelo.

Oh, io questa sera alle 19.00 sono di là. Baci.