LinkedIn è per il business (reprise)

Oramai LinkedIn è il solo network che frequento con una certa costanza. Ho abbandonato tutto il resto molto tempo addietro ed il mio unico contributo a questi altri social network è un cross post di quello che pubblico su Corrente Debole.

La varietà di quello che transita su LinkedIn è molto vasta. Ci sono che mi interessano particolarmente per il mio lavoro, altre per la mia curiosità ed infine una vastità di cose di non potrebbe fregarmi di meno.

Il mio approccio è molto pragmatico. Se una cosa mi interessa la leggo con attenzione. Se la trovo di particolare valore la condivido con la mia rete, ma solo dopo averla attentamente ed avere verificato che quello che si scrive nel titolo sia consistente con il contenuto. Su ciò che non mi interessa semplicemente passo oltre.

Credo di essere uno dei pochi a seguire questo approccio.

Ora è necessaria una premessa.

Io sono fermamente convinto che non esista una ben definita linea di confine tra il personale ed il professionale. Mi spiego meglio. Esiste certamente una serie di competenze che ti permettono di condividere contenuti di valore su LinkedIn. Su questo non ci piove. Altrettanto vero è che un vero professionista non è definito solo dalla sua competenza e dalla sua professionalità. Un professionista è definito, anche, dalle sue passioni, dal suo modo di interpretare il mondo in cui vive e dalla filosofia che muove la sua esistenza.

Per questa ragione non mi scandalizza affatto leggere di esperienze personali e punti di vista che esulano dalle competenze professionali di una persona. Tutt’altro. Queste letture mi permettono di farmi una idea più chiara della persona che sta scrivendo e, in un certo qual modo, contribuiscono alla costruzione di una identità per me più definita. Più reale, oserei dire.

Ho sempre faticato molto a tollerare il fatto che quando, sopratutto nel passato lontano, si viaggiava per lavoro si tendeva a parlare solo di lavoro negli spazi non occupati dal lavoro stesso. Ma che due palle!

Per questo mi piace leggere di altro su LinkedIn.

Queste levate di scudi sul fatto che LinkedIn è fatto per il business mi infastidiscono parecchio. Passo sempre oltre senza colpo ferire.

Che poi su questa faccenda che LInkedIn sia fatto per il business dovremmo parlarne.

Nella maggior parte dei casi mi arrivano solo cose che non mi interessano affatto.

Passiamo dai recruiter che mi offrono una posizione da Scrum Master, immagino perché sono certificato Scrum Master, ma che è ben evidente che non hanno letto una virgola del mio trascorso professionale.

Transitiamo per quelli che dieci secondi dopo l’accettazione di un collegamento ti mandano proposte commerciali che nulla hanno a che fare con quello di cui ti occupi.

Ci sono poi i grandi esperti della qualunque che tentano di venderti qualche corso online in grado di trasformare la tua carriera in men che non si dica.

E poi ci sono le richieste di valore, sopratutto di giovani che entrano nel mondo professionale in cui vivo, che chiedono qualche consiglio o che, semplicemente, vogliono fare due chiacchiere. Su queste sono sempre terribilmente in ritardo nelle risposte. Se leggete, perdonatemi. Vi risponderò, promesso!

Insomma, io tutto questo business non ce lo vedo proprio. Concedo il fatto che non ne ho necessità né personalmente, né professionalmente e quindi potrei avere una visione distorta del contesto.

Per il resto state tranquilli. Il grande potere di non leggere e passare oltre è sempre a vostra disposizione.


Shameless self promotion ahead…

Nel caso non ve ne foste accorti qui in giro c’è anche un podcast con il quale potrete intrattenervi.

Quello di seguito è l’ultimo episodio.

Qui, invece tutti gli episodi pubblicati sino ad ora: Parole Sparse – Il Podcast


L’illusione dell’anonimità

round white compass
Photo by Jordan Madrid on Unsplash

In questo preciso momento ci sono una quantità enorme di applicazione sul mio smartphone che sanno, in maniera estremamente precisa, dove mi trovo. Apple in primis dato che vivo in questo ecosistema. Google che uso professionalmente ma anche personalmente. Garmin, Fitbit, Home Assistant tanto per citarne qualcun’altra che uso con una certa frequenza.

Lo sanno grazie al mio smartphone, al mio Apple Watch ed il mio computer.

Tutti quanti mi dicono che i miei dati sono resi anonimi e, generalmente, non condivisi.

E’ un pò di tempo che ci penso su. Ma quanto è vera questa anonimità?

Proprio questa mattina mi capita sotto gli occhi questo articolo del New York Times: https://www.nytimes.com/interactive/2019/12/19/opinion/location-tracking-cell-phone.html

E’ una lettura assolutamente consigliata per tutti coloro che hanno un qualche interesse nei confronti della propria privacy. Privacy che, di fatto, non esiste nonostante stia diventato uno dei maggiori fattori di vendita di tecnologia consumer.

I dati che riguardano la posizione di una persona tutto sono tranne che anonimi. Basta analizzare un dataset che copra uno spettro sufficientemente alto di tempo per capire esattamente chi sono. Se passo più di 6 ore nello stesso posto per trenta giorni durante la notte è abbastanza evidente che in quel posto ci vivo. Se spendo otto del mio tempo nello stesso tempo durante il giorno è molto probabile che io in quel posto ci lavoro. Se poi collego i due punti ed analizzo il percorso che faccio per muovermi dall’uno all’altro il gioco è fatto.

Non sono assolutamente dati anonimi.

Nell’articolo del NYT c’è una citazione di William Staples, fondatore del Surveillance Studies Research Center alla University of Kansas che dice:

The seduction of these consumer products is so powerful that it blinds us to the possibility that there is another way to get the benefits of the technology without the invasion of privacy. But there is,

Questo è assolutamente vero. A tutti, me compreso, interessa la gratificazione istantanea che deriva dall’uso di uno smartphone per risolvere i problemi quotidiani. L’uso di una applicazione od anche solo di un gioco.

Viviamo nella illusione di essere protetti ed in realtà stiamo concedendo un quantità di informazioni di valore inimagginabile.

Nel passato ero abbastanza a favore della condivisione di alcune informazioni. L’assunto generico, e sbagliato, era: “Non ho nulla da nascondere e quindi poco mi interessa se qualcuno sa dove mi trovo”. In questi ultimi anni sto diventando molto più sensibile all’argomento e mi dico: “ma perché cavolo qualcuno che non conosco, e di cui non mi fido, deve sapere dove mi trovo ogni minuto della mia giornata?”

Per darvi una idea di quanto sia diffusa questa pratica vi riporto una immagine del NYT che lista alcune della compagnie che vivono dei dati sulla posizione degli utenti:

E queste sono solo alcune. Tra tutte io riconosco solo FourSquare che ho abbandonato anni fa.

Sono tante, e alcune sono proprio grosse. Se esiste una offerta esiste una domanda. Qualcuno là fuori compra ed utilizza queste informazioni senza che io ne sappia nulla e senza che io ne ottenga qualcosa in cambio.

Il tema è sempre lo stesso. Io potrei anche essere disposto a cedere dei dati personali ma solo ed esclusivamente se ottengo qualcosa di valore in cambio. Non è questo il caso.

Insomma, ci sono un sacco di cose su cui riflettere.


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EU Digital Covid Certificate

Qualche settimana fa ho scaricato il mio EU Digital Covid Certificate e mi sono un pochino incuriosito.

Ma cosa diavolo è contenuto dentro quel QR Code?

Vediamo di dare una occhiata. La prima cosa da fare è decodificare il QRCode e vedere che cosa contiene. Per qualche strana ragione la mia webcam oggi non ne voleva sapere di funzionare con OpenCV. Un peccato perché con un paio di righe codice avrei semplicemente decodificato il QRCode. Nessun problema. Online esistono una quantità enorme di lettori di QRCode. Ho usato uno di questi ed in pochi secondi mi sono trovato con la stringa contenente i dati.

Dato che non credo sia una buona idea condividere con voi tutti i miei dati personali, usiamo dei dati di test per dare una idea.

Il contenuto del QRCode è questo:

HC1:6BFOXN%TS3DH0YOJ58S S-W5HDC *M0II5XHC9B5G2+$N IOP-IA%NFQGRJPC%OQHIZC4.OI1RM8ZA.A5:S9MKN4NN3F85QNCY0O%0VZ001HOC9JU0D0HT0HB2PL/IB*09B9LW4T*8+DCMH0LDK2%K:XFE70*LP$V25$0Q:J:4MO1P0%0L0HD+9E/HY+4J6TH48S%4K.GJ2PT3QY:GQ3TE2I+-CPHN6D7LLK*2HG%89UV-0LZ 2ZJJ524-LH/CJTK96L6SR9MU9DHGZ%P WUQRENS431T1XCNCF+47AY0-IFO0500TGPN8F5G.41Q2E4T8ALW.INSV$ 07UV5SR+BNQHNML7 /KD3TU 4V*CAT3ZGLQMI/XI%ZJNSBBXK2:UG%UJMI:TU+MMPZ5$/PMX19UE:-PSR3/$NU44CBE6DQ3D7B0FBOFX0DV2DGMB$YPF62I$60/F$Z2I6IFX21XNI-LM%3/DF/U6Z9FEOJVRLVW6K$UG+BKK57:1+D10%4K83F+1VWD1NE

Bellino, non è vero? Ad ogni modo, se vi interessa, i dati di test li ho presi qui: https://github.com/eu-digital-green-certificates/dgc-testdata/tree/main/IT/2DCode/raw

Bene. ora abbiamo i dati del QRCode ma che cavolo c’è dentro.

Vediamo innanzitutto il processo che viene usato per creare il QRCode:

Direi che è sufficientemente chiaro. Se volete saperne un pochino di più, leggete qui.

A questo punto noi dobbiamo percorrere la catena a ritroso. In realtà quello che ci interessa è il contenuto originale del JSON Document, il secondo elemento della catena, perché non è nostra intenzione verificare l’autenticità della firma digitale ma solo esplorare il contenuto.

Primo passo. Levarci di torno i primi caratteri ed ottenere una bella stringhetta Base45. Eccola qui:

6BFOXN%TS3DH0YOJ58S S-W5HDC *M0II5XHC9B5G2+$N IOP-IA%NFQGRJPC%OQHIZC4.OI1RM8ZA.A5:S9MKN4NN3F85QNCY0O%0VZ001HOC9JU0D0HT0HB2PL/IB*09B9LW4T*8+DCMH0LDK2%K:XFE70*LP$V25$0Q:J:4MO1P0%0L0HD+9E/HY+4J6TH48S%4K.GJ2PT3QY:GQ3TE2I+-CPHN6D7LLK*2HG%89UV-0LZ 2ZJJ524-LH/CJTK96L6SR9MU9DHGZ%P WUQRENS431T1XCNCF+47AY0-IFO0500TGPN8F5G.41Q2E4T8ALW.INSV$ 07UV5SR+BNQHNML7 /KD3TU 4V*CAT3ZGLQMI/XI%ZJNSBBXK2:UG%UJMI:TU+MMPZ5$/PMX19UE:-PSR3/$NU44CBE6DQ3D7B0FBOFX0DV2DGMB$YPF62I$60/F$Z2I6IFX21XNI-LM%3/DF/U6Z9FEOJVRLVW6K$UG+BKK57:1+D10%4K83F+1VWD1NE

Uno sforzone… abbiamo solo cancellato i primi quattro caratteri della stringa di prima.

Ora decodifichiamo i dati in Base45. Otteniamo questo:

b'x\x9c\xbb\xd4\xe2\xbb\x88\xc5\xc3\xd2@<\xe3\xec-VaF\xb5\x05\x91\x8c\x8cKX\xa4\x12\xa7\xbc\x98\xc1&\x95\xb0\xbc\xa7\x831\xc93\xc4\x92\x91y!\xe3\x92\xc4\xb2\xc6UI)yLI\xb9\x89\xb9\xfeA\xee\xba\x86\x06\x06\x06\xc6\x06F\x86\xa6Ie\x05Y\x86\x86\x86\x96\xc6&\x96\x06\x06\xe6I)%YF@a]\x03\x13\xa0\x92\xa4\xe4|\xa0\x01I\xc9\x99\x15j\x06\x86\x9e!\xae\xe6\xc6\x06\x06\xae\x86\x8eNF\x8e\x16&\xce\xe6\x86@\r&n\x86\x06\xc6.\xceN\x86n\xe6\x06\x8e\xcafI\xb9\x059\xae\xa1\xfa\x86\xfaF\x06\xfa\x86\xa6F\x16I\x99\xc5 \x03\x8aS\x98\x92J\xd23-L\x0cL\x8d\x81\x9a\xcc\x92\xf3\x12s\x97$\xa7\xe5\x95d\xbax\xda8;\x06\x04y\xfa\'\xa5\xe5e\xbad*8\'\x16\x14e\xe6\'\xa7\xe7\x95\xe4\xfa:\x06y\xfa\x84\xda\x84\xb8\x06\xb9\x06;&\xa5\xe7\xe5\xf9&\x16e\xe6\x1c\xde\xa9\x10\x92Z\x94Z\x9c\x98\\\x06\xa4\x0c\xf5\x0c\xf4\x0c\x92S\xf2\x93\xb2\x0c-\xcd\xcdu\r\xcct\r\xcd"\x1c\x96\xbc\x9b vp\xb9\xcf\xf99\xabv\xb2z\xeaf\xf6gNZ\xf1\xcb\xe0\x10\xef6\t~6\x16\x1e\x8f\x82\x15\xae\xbb\xbd\xadd\x1e\x7fy\x1b4\xe7x_\x9a\x91\xaa\xfb55\xf3\xe3^\x1b+%\x0f\xac\nZ&R\x197\x0f\x00l\x94r\xca'

Dalla immagine che abbiamo utilizzato prima sappiamo che questi dati sono compressi con zlib. Decomprimiamoli ed otteniamo questo:

b'\xd2\x84M\xa2\x04H90\x17h\xcd\xda\x05\x13\x01&\xa0Y\x01\x01\xa4\x04\x1aa\x94\xe8\x98\x06\x1a`\xa7\x8c\x88\x01bIT9\x01\x03\xa1\x01\xa4av\x81\xaabdn\x02bmamORG-100030215bvpj1119349007bdtj2021-04-10bcobITbcix&01ITE7300E1AB2A84C719004F103DCB1F70A#6bmplEU/1/20/1528bisbITbsd\x02btgi840539006cnam\xa4cfntiDI<CAPRIObfniDi CapriocgntmMARILU<TERESAbgnnMaril\xc3\xb9 Teresacvere1.0.0cdobj1977-06-16X@\xa4\xee\x90\x16\xc1\xa7L\xcf\x9c\xaa\xb9\x05I-i\x8fi\x92\xa8\xfa0\xc2\r\xb6\x18\x0f\x06\x04\x0cHp\xa8E\xbbK:\x1c\xe3\xf4\xedR\x9c\xc7\x8ef2%G\xd6&7\xc7J\xb1y\x19\xc0\xaaR\xa6\x14y^\x9e'

Cominciamo a vedere qualcosa di intellegibile. Sempre usando come riferimento l’immagine sappiamo che la rappresentazione di questi dati è COSE: CBOR Object Signing and Encryption.

Da questo documento capiamo che ci sono due header, un payload e la firma digitale. Facciamo un altro giro di decodifica ed otteniamo questo:

{4: 1637148824, 6: 1621593224, 1: 'IT', -260: {1: {'v': [{'dn': 2, 'ma': 'ORG-100030215', 'vp': '1119349007', 'dt': '2021-04-10', 'co': 'IT', 'ci': '01ITE7300E1AB2A84C719004F103DCB1F70A#6', 'mp': 'EU/1/20/1528', 'is': 'IT', 'sd': 2, 'tg': '840539006'}], 'nam': {'fnt': 'DI<CAPRIO', 'fn': 'Di Caprio', 'gnt': 'MARILU<TERESA', 'gn': 'Marilù Teresa'}, 'ver': '1.0.0', 'dob': '1977-06-16'}}}

Direi che siamo quasi alla fine. E’ il JSON Document che stavamo cercando. Facciamo un pretty print del file e finalmente abbiamo il risultato che cercavamo:

{
    "4": 1637148824,
    "6": 1621593224,
    "1": "IT",
    "-260": {
        "1": {
            "v": [
                {
                    "dn": 2,
                    "ma": "ORG-100030215",
                    "vp": "1119349007",
                    "dt": "2021-04-10",
                    "co": "IT",
                    "ci": "01ITE7300E1AB2A84C719004F103DCB1F70A#6",
                    "mp": "EU/1/20/1528",
                    "is": "IT",
                    "sd": 2,
                    "tg": "840539006"
                }
            ],
            "nam": {
                "fnt": "DI<CAPRIO",
                "fn": "Di Caprio",
                "gnt": "MARILU<TERESA",
                "gn": "Maril\u00f9 Teresa"
            },
            "ver": "1.0.0",
            "dob": "1977-06-16"
        }
    }
}

Lo schema del file JSON è specificato qui.

E quindi non c’è niente di magico all’interno del QRCode. Sono quasi deluso :-). Diciamo che, comunque, Marilu è un bel nome per dei dati di test. Chissà se è davvero casuale o se è la fidanzata, o la mamma, di qualcuno che ha contribuito a scrivere le specifiche od il codice.

Se proprio volete ecco il codice che ho usato per fare tutto questo. Quick and dirty, ovviamente:

#!/usr/bin/env python3
# -*- encoding: utf-8 -*-
from base45 import b45decode
import cv2
import flynn
import zlib
import json

data = "6BFOXN%TS3DH0YOJ58S S-W5HDC *M0II5XHC9B5G2+$N IOP-IA%NFQGRJPC%OQHIZC4.OI1RM8ZA.A5:                              S9MKN4NN3F85QNCY0O%0VZ001HOC9JU0D0HT0HB2PL/IB*09B9LW4T*8+DCMH0LDK2%K:XFE70*LP$V25$0Q:J:4MO1P0%0L0HD+9E/HY+4J6TH48S%4K.  GJ2PT3QY:GQ3TE2I+-CPHN6D7LLK*2HG%89UV-0LZ 2ZJJ524-LH/CJTK96L6SR9MU9DHGZ%P WUQRENS431T1XCNCF+47AY0-IFO0500TGPN8F5G.      41Q2E4T8ALW.INSV$ 07UV5SR+BNQHNML7 /KD3TU 4V*CAT3ZGLQMI/XI%ZJNSBBXK2:UG%UJMI:TU+MMPZ5$/PMX19UE:-PSR3/                   $NU44CBE6DQ3D7B0FBOFX0DV2DGMB$YPF62I$60/F$Z2I6IFX21XNI-LM%3/DF/U6Z9FEOJVRLVW6K$UG+BKK57:1+D10%4K83F+1VWD1NE"
print(f"Raw Data: <{data}>")
decoded_data = b45decode(data)
print(f"Decoded Data: <{decoded_data}>")
decompressed_data = zlib.decompress(decoded_data)
print(f"Decompressed Data: <{decompressed_data}>")
(_, (h1, h2, payload, signature)) = flynn.decoder.loads(decompressed_data)
data = flynn.decoder.loads(payload)
print(f"Certificate Data: <{data}>")
print(f"JSON Data:")
print(json.dumps(data, indent=4))
print(f"Header 1: <{h1}>")
print(f"Header 2: <{h2}>")
print(f"Signature: <{signature}>")

Ovviamente in Python 🙂

Il contenuto del file “vc.txt”, utilizzato dal codice, è questo:

6BFOXN%TS3DH0YOJ58S S-W5HDC *M0II5XHC9B5G2+$N IOP-IA%NFQGRJPC%OQHIZC4.OI1RM8ZA.A5:S9MKN4NN3F85QNCY0O%0VZ001HOC9JU0D0HT0HB2PL/IB*09B9LW4T*8+DCMH0LDK2%K:XFE70*LP$V25$0Q:J:4MO1P0%0L0HD+9E/HY+4J6TH48S%4K.GJ2PT3QY:GQ3TE2I+-CPHN6D7LLK*2HG%89UV-0LZ 2ZJJ524-LH/CJTK96L6SR9MU9DHGZ%P WUQRENS431T1XCNCF+47AY0-IFO0500TGPN8F5G.41Q2E4T8ALW.INSV$ 07UV5SR+BNQHNML7 /KD3TU 4V*CAT3ZGLQMI/XI%ZJNSBBXK2:UG%UJMI:TU+MMPZ5$/PMX19UE:-PSR3/$NU44CBE6DQ3D7B0FBOFX0DV2DGMB$YPF62I$60/F$Z2I6IFX21XNI-LM%3/DF/U6Z9FEOJVRLVW6K$UG+BKK57:1+D10%4K83F+1VWD1NE

Esperienza online

low-angle photo of Hotel lighted signage on top of brown building during nighttime
Photo by Marten Bjork on Unsplash

Come ho scritto ieri la scorsa settimana mi sono preso una settimana di vacanza e ho deciso di trascorrerla in montagna.

Come credo tutti fanno mi sono messo alla ricerca di una struttura che potesse soddisfare le mie aspettative. Pochi e chiari requisiti:

  • Un posto lontano dalla strada ed immerso nel verde.
  • Una struttura di qualità che avesse anche una SPA dove crogiolarmi nel fare nulla.
  • Posizione sufficientemente alta da fare in modo di rendere sopportabili le temperature di questi giorni.

Niente di particolare, quindi.

Ho cominciato quindi ad esplorare le varie strutture disponibil.

Ci sono due cose che dovrebbero essere fondamentali nel narrare la tua struttura con una presenza online:

  • Mi devi fare nascere il desiderio di venire da te. In generale la qualità delle immagini è discreta ma si potrebbe fare molto di più. Un conto è la struttura, un altro il contesto in cui questa si trova. La narrazione del contesto lascia sempre molto a desiderare. Se sei un hotel cinque stelle plus e ti trovi a duecento metri da una centrale nucleare non mi sento molto invogliato a venirci. In questo caso mi sono ridotto ad usare Google Maps per capire il posizionamento sul territorio.
  • Allo stesso tempo mi devi fare capire in maniera molto veloce se hai disponibilità ad accogliermi nella tua struttura. Da questo punto di vista l’esperienza è stata terribile. Ci sono siti che ti spingo a mandare una richiesta tramite una form… Dai! Nel 2021? Non è questo che mi aspetto. Io voglio sapere subito se hai una camera disponibile oppure no. Non voglio aspettare che qualcuno legga il mio messaggio e, bontà sua, mi risponda. Ci sono poi quelle strutture che per la prenotazione ti spingono verso un’altra sezione del sito, aprono un’altra pagina, spesso con una interfaccia totalmente diversa da quella del sito principale. Terribile.
  • In generale l’usabilità delle pagine di prenotazione è terribile. Anche in questo caso non stiamo parlando di rocket science. Si tratta di Interaction Design 101.

Alla fine scelgo la mia struttura e parto.

Nel momento in cui sono lì mi dedico alla ricerca di posti interessanti dove nutrirmi.

Ed ecco il secondo dramma, ancora peggiore del primo.

La qualità media dei siti dei ristoranti è pessima e pochi di loro sono in grado di generare una quantità sufficiente di emozioni tale da farmi scegliere quella struttura. Supercazzole infinite sulla genuinità delle materie prime ma nessuna informazione su come quelle materie prime le usi. In moltissimi casi non esiste nemmeno uno straccio di menu che mi permetta di capire che cosa si mangia in un ristorante. E dire che io al ristorante ci vado per mangiare. Pochissima cura per le immagini dei piatti, quando ci sono.

Alla fine è un vero peccato perché basterebbe davvero poco per fare meglio ed ottenere maggiori risultati.


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Una pausa

grayscale photo of bench on rock formation near body of water
Photo by Jan Huber on Unsplash

Mi sono preso una settimana di vacanza. Da tutto.

Ho trascorso la settimana passata nella quiete di una montagna volendo assolutamente recuperare un pochino di energie e dedicando il mio tempo alle cose che più amo e che ho, qualcuna più, qualcuna meno, trascurato nei mesi passati.

In questa settimana non ho mai acceso il mio personal computer e ho usato pochissimo il mio telefono. Giusto qualche contatto con le persone cui voglio bene e per avere informazioni sul mio cane che è rimasto in compagnia dei miei figli. A parte questo un digital detox quasi totale.

Ho usato il telefono solo per cercare cose che mi sarebbe interessato vedere o frequentare. Nulla di più.

Ho letto, ho scritto, poco e per me, e mi sono goduto un pochino del mondo reale che è stato distante per così tanto tempo.

Assolutamente rigenerante.

Il mondo che mi circonda, sopratutto quello professionale, ha resistito senza problemi. Circondarsi di persone capaci e che, in un certo qual modo, ti rendono inutile è la migliore strategia. Nonostante la fase importante che stiamo vivendo in Sketchin, tutto è andato avanti secondo i piani. Niente di preoccupante.

Il resto è stato una scoperta. Ho visto luoghi incantevoli, ho trascorso del tempo con delle persone ancora più incantevoli ed ho ritrovato il gusto della parola parlata e delle chiacchiere. Ho fatto qualche considerazione sull’approccio digitale della maggior parte delle imprese turistiche ed il risultato è tristemente penoso. Si potrebbe fare di più. Diciamo che mi tengo queste considerazioni per un altro post, quando avrò voglia di scriverlo.

Dico solo che la maggior parte della presenza digitale mi sembra gestita da “Business Prevention Manager”. Sembra che, quasi, tu non mi voglia nella tua struttura. Se questo è il caso, basta evitare di esporsi su Internet. Facilissimo.

Nonostante la settimana di pioggia credo che sia stata la più bella settimana di vacanza che ho trascorso da secoli. Devo distillare l’insegnamento per cavarne fuori qualche lezione utile per il futuro.

Ora si ritorna alla vita di tutti i giorni per qualche settimana e poi si stacca ancora. Questa volta in compagnia del mio cane e dei miei figli.


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Ritorno al futuro

Giovedì e Venerdì ho speso la mia giornata conducendo un offsite per Sketchin e che è servito a progettare in dettaglio il nostro prossimo passo.

La prima considerazione che faccio è che non ero così certo di riuscire a reggere due giorni interi, sopratutto se intensi come sono stati, senza subire una qualche forma di cedimento strutturale delle mie sinapsi. Avendo lavorato praticamente sempre da casa da più di un anno questo poteva essere un problema. Al contrario, mi sono ritrovato riserve di energia insospettate che alla fine mi hanno condotto ad un risultato che ho molto apprezzato.

La seconda considerazione riguarda l’incontro con altre persone. Anche questo è stato un elemento del tutto assente nell’ultimo anno. Al massimo mi sono ritrovato con due o tre persone. Nulla di più. Negli scorsi giorni siamo stati in undici persone allo stesso tavolo, lavorando sulla stessa iniziativa. Lavorare da casa è bello, non c’è dubbio. A me non è mai dispiaciuto e, in un certo qual modo, alimenta la mia naturale tendenza alla misantropia se non sufficientemente stimolato. Lavorare insieme ai colleghi, faccia a faccia, è stato incredibilmente piacevole e produttivo.

E poi si cambia ancora. Se è vero che facciamo del cambiamento uno dei nostri principi chiave, devo dire che in questo caso lo abbiamo applicato alla grande. Non posso ancora rivelare nulla per non compromettere il lavoro di altri colleghi ma la forma che abbiamo dato a Sketchin per il prossimo futuro sarà incredibilmente efficace.

Grandi cambiamenti in arrivo. Cambiamenti necessari per essere in grado di riuscire a mantenere il nostro DNA originale, pur proiettandoci in un percorso di crescita decisamente straordinario.

Sono uscito da questi due giorni con due grandi certezze.

La prima è che sono circondato da persone di eccezionale valore e con grande capacità di lavorare per un obiettivo comune tralasciando i propri interessi personali.

La seconda è che non sono proprio una pippa. Nonostante il lockdown ci piglio ancora bene.


Shameless self promotion ahead…

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Ed anche la seconda…

Photo by Diana Polekhina on Unsplash

… se la semo levata dai c…….

Seconda inoculazione del vaccino appena fatta, e sempre a Villa Erba.

Anche questa volta una organizzazione ineccepibile. Non so, ma continuo ad essere stupefatto.

Ora sono in sala osservazione e scrivo queste due righe.

A dire il vero penso di avere aggiunto solo un altro strato di protezione. Non credo che cambierò abitudini molto presto. Continuerò a mettermi la mascherina e a stare lontano dagli assembramenti e, soprattutto, dagli sconosciuti.

Niente di che, alla fine questo è il mio comportamento normale anche prima della pandemia.

Spero solo che non ci siano effetti collaterali che domani e dopo sono due giornate campali.

Ed anche questa è fatta!

RFP, o ‘sulle gare’

man writing on paper
Photo by Scott Graham on Unsplash

Dai, diciamoci la verità, a tutto stanno sulle palle le gare indette dalle aziende per aggiudicarsi prodotti e servizi.

Il sentore comune è che siano un speco di tempo perché “tanto sappiamo già chi la vincerà” oppure, in alternativa, “questo RFP lo ha scritto ‘Pinco Pallino’ che partecipa anche alla gare’.

Credo che ci siamo passati tutti.

Detto questo io ritengo che le gare abbiano un certo senso, sopratutto se supportate da un RFP che sia degno di questo nome. La scrittura di un RFP permette ad una azienda di chiarirsi le idee sugli obiettivi che intende raggiungere comprando un determinato prodotto o servizio. E’ un modo per avere un traccia di quello che succede nel processo di acquisto, permette di definire in maniera chiara i requisiti ed il modello di governance atteso e, in ultima analisi permette, se fatto bene, di risparmiare denaro non a discapito della qualità.

Esiste quindi una infinita varietà di RFP e le differenze stanno tutte nella qualità del documento. Quando scorro un RFP mi è subito evidente quanto sforzo è stato messo nel compilarlo. Nella mia galleria degli orrori ci sono RFP senza capo né coda. Documenti totalmente incomprensibili che si riassumo in “abbiamo bisogno di qualcosa, ma non sappiamo bene cosa. Voi dateci tutto e decidiamo dopo quello che davvero ci serve”.

Ci sono quegli RFP che sono costruiti solo per tirare il collo ai fornitore. Io cerco di starne bene alla larga. Quello che vendo ha un valore. Se me lo riconosci bene, altrimenti il mondo è pieno di clienti.

Ci sono dei punti chiave che per me sono imprescindibili:

  • Il perimetro dell’RFP è chiaro? Se sì, quanto chiaro?
  • Esiste una definizione precisa dei servizi o prodotti che sono esclusi dalla richiesta?
  • I parametri di valutazione dell’RFP sono espressi in maniera chiara?
  • I parametri di valutazione sono raggiungibili?
  • Hai capito quello che vorresti comprare?
  • Quanto conosci del tema per essere in grado di valutare la mia proposta? Una semplice analisi lessicale del documento è sufficiente per capirlo.
  • Mi hai detto quanto intendi spendere per quel determinato prodotto o servizio? Questa cosa pare essere un tabù per tutti gli uffici acquisti. Ne ho scritto in passato. Non ho intenzione di fregarti, voglio solo capire se ti puoi permettere i miei servizi e se hai stimato bene l’effort economico necessario rispetto alle richieste che hai espresso. Serve per evitare che entrambi perdiamo tempo.

Alla fine se decidiamo di partecipare ci sono alcune cose che mi piace fare sempre:

  • L’RFP è una guida ma non la tavola dei dieci comandamenti. Io rispondo all’RFP come meglio mi aggrada o, meglio, nel miglior modo possibile per risolvere il problema che mi esponi. Questo significa che le richieste contenuto in un RFP possono essere prese e mandate a gambe all’aria. Storicamente questo per noi ha sempre pagato. Ricordo un RFP che ci fece fare un salto di qualità. Sono oramai trascorsi quasi sette anni. Il documento conteneva le classiche richieste: tre pagine web di qui, una pagina foglia di là, le visual guidelines e via dicendo. Ricordo benissimo che dicemmo: “Partecipiamo, ma a modo nostro.”. Consegnammo un video che descriveva l’esperienza utente delle due personas principali. Vincemmo. Fu una grande lezione.
  • Alle domande contenuto in un RFP bisogna sempre rispondere. Il tema principale è che non devi rispondere come se stessi facendo un compito in classe. Ci devi mettere pensiero, non è una tick box da spuntare.
  • Cerchiamo sempre di capire quale è la via migliore, dove ci possiamo differenziare ma, sopratutto, dove possiamo dare valore con la nostra esperienza ed il nostro metodo.
  • Usiamo bene lo finestra che è dedicata alle domande. E’ uno strumento fondamentale per chiarire eventuali dubbi. Bisognerebbe sempre farne buon uso e cominciare ad entrare in relazione ed empatia con l’ufficio acquisti.
  • Non è un delitto proporre alternative alla sezione commerciale. Se si pensa che esista un modo più efficiente perché non proporlo?
  • C’è poi l’annoso tema delle risorse… che sante palle. Quando io acquisto un prodotto od un servizio per Sketchin non mi interessa una beata fava di chi lo fa, mi interessa il valore che mi stai garantendo mi porterai in azienda. Quello dovrebbe essere contrattualizzato, non la seniority delle risorse o la loro quantità. La seniority non è garanzia di qualità, solo di costo.

Sì, ma quanto investire su un RFP? Nel nostro mondo un investimento tipico oscilla tra il 4% ed il 10% del valore del progetto. E’ tanto? Non lo so, dipende. I fattori sono i più diversi. Quanto è strategico per te quel cliente, quel mercato o quella industria? Come sta messa la tua pipeline? E’ una cosa che ci porta delle conoscenza che potremmo capitalizzare in seguito?

Insomma, da questo punto di vista è difficile dare una risposa. Come dicono tutti i pediatri, ma, ho scoperto, anche i veterinari: “Dipende…”

Se si dice di no trovo che una telefonata, od un messaggio di posta elettronica, sia d’obbligo e normale cortesia professionale. Esporre in maniera chiara le ragioni per le quali non si partecipa trovo che sia utile per tutti. A qualcuno non piace che gli si dica di no. In questi casi vale la regola di cui sopra: di clienti è pieno il mondo. Altrettanto vero che il mondo è anche pieno di fornitori e quindi, anche se non ci sono io, sopravviverai dopo la ferita al tuo ego.

Gli RFP ben scritti sono pochi. Manca molta educazione in questo senso e trovo che sia un gran peccato perché questo elemento brucia una quantità di risorse e di tempo folle. Si potrebbe fare di meglio, con poco.

E poi, mica è obbligatorio. Si può sempre dire di no.


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Spreco inutile

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Photo by Pi Supply on Unsplash

In questo fine settimana mi sono finalmente deciso a mettere ordine nei miei cassetti ed armadi.

Alla fine ho raggiunto il risultato atteso. Ora tutto mi sembra ragionevolmente in ordine. Il prodotto collaterale di questa iniziativa è che mi sono ritrovato con una quantità di cose, oramai obsolete, che non utilizzo più. Per lo più si tratta di hardware di varia natura.

Una quantità di telefoni cellulari, smartphone e non, accumulati negli. Vecchi personal computer, routers, switch, hub, kindle di vecchie generazioni, WiFi USB adapter e via discorrendo.

Mi sono reso conto che si tratta di uno spreco incredibile.

Da un lato vorrei provare a dare nuova vita a questi oggetti trasformando lo scopo per il quale erano stati creati in un altro, più utile alla naturale decadenza della loro funzione principale. Potrei ad esempio rendere un vecchio Kindle il pannello di controllo del mio sistema di home automation. Potrei trasformare un vecchio Raspberry Pi in un sensore di presenza in una stanza. Insomma, le possibilità sono tante, sopratutto se ti ritrovi ad essere uno smanettone.

Il problema principale è che devi davvero essere uno smanettone. Molti di questi sistemi sono chiusi o, più o meno, efficacemente protetti da interventi esterni come quelli che vorrei condurre.

Mi domando per quale motivo (domanda retorica) i produttori non permettano di mettere mano a questi sistemi una volta che sono diventati obsoleti. Prendiamo l’esempio del Kindle. E’ un sistema chiuso ma si possono aggirare le restrizioni facendo un po’ quel che ci pare. Per quale motivo dopo la vita naturale del prodotto, diciamo quando questi viene ritirato dal mercato, non viene rilasciato un sistema operativo aperto che potrebbe ridare nuova vita al prodotto?

Sarebbe una cosa che mi farebbe percepire il brand come più attento ai consumatori ed all’ambiente in senso lato. Non butto via o lascio a prendere polvere in un cassetto ma riadatto un prodotto ad un altro uso.

Utopia, ovviamente. Però a me piacerebbe un sacco!


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Uso improprio

Rimango sempre molto sorpreso dall’uso non convenzionale che le persone fanno della tecnologia.

Nella maggior parte dei casi lo fanno a proprio vantaggio mentre in altri lo fanno a discapito degli altri.

Molti sanno che YouTube è diventato molto stringente per quanto riguarda la protezione del copyright. Se avete mai provato a caricare un video su YouTube saprete che nel momento stesso in cui lo caricate YouTube effettua delle verifiche per capire se avete utilizzato del materiale coperto da Copyright. Quindi se nel vostro bel video avere un tappetino musicale con l’ultimo brano del vostro beniamino, YouTube vi dice che non lo potete fare.

A quanto pare YouTube sta esercitando una stretta su questo tema ed è praticamente impossibile sfuggire a questo controllo.

Questa è la premessa.

Negli Stati Uniti i cittadini hanno cominciato a riprendere le forze di polizia con i propri telefoni cellulari in modo da avere evidenza di eventuali violazioni che questi commettono. Personalmente credo che sia una cosa perfettamente ragionevole e, tutto sommato, una garanzia anche per quelle forze dell’ordine che agiscono nel pieno rispetto delle regole.

E qui arriva il genio.

Un agente della contea di Alameda ha cominciato a riprodurre un brano di Taylor Swift sul suo telefono cellulare nel momento in cui un cittadino ha iniziato a registrare un video della conversazione che stava tenendo con l’agente stesso.

Quando la persona, James Burch, direttore di Anti Police-Terror Project, ha chiesto per quale motivo lo stesse facendo, l’agente ha candidamente risposto che lo stava facendo per evitare che il video potesse essere postato su YouTube.

Direi che non fa una piega.

L’articolo dal quale ho letto la notizia è questo: Cops are playing music during filmed encounters to game YouTube’s copyright striking.

Interessante il commento di Burch:

As soon as he saw the camera, he grabs his phone and presses maybe two buttons and Taylor Swift is playing…This person was ready for this.

Ovviamente YouTube non prende posizione sul tema:

A YouTube spokesperson told Mashable that they “don’t have anything to share regarding the specifics”

Questo non mi sembra il modo corretto di procedere. Le varie piattaforme online hanno oramai ottenuto un ruolo che va molto al di là del loro intento originale. Per questa ragione credo che siano necessarie delle regole molto più specifiche che regolino i termini del servizio.

La buona notizia è che, nonostante tutto, il video è ancora online su YouTube.


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Assente ((in)giustificato

white and brown plastic cup with pink straw
Photo by Alexas_Fotos on Unsplash

Mi rendo conto che sono trascorse due settimana da quando ho scritto le ultime frasi su questo affare. Un sacco di tempo e, decisamente, una cosa che non era mai successa.

Non che mi senta particolarmente in colpa per questo. Si tratta solo di una riflessione in una fresca mattinata di un sabato come gli altri. Ho sempre detto che non ci sarebbe stata particolare periodicità ma alla fine mi ero sempre risolto a scrivere qualcosa quasi ogni giorno.

La realtà delle cose è che sono in tutt’altre faccende affaccendato e quello che avviene nella vita analogica prende il sopravvento sulla vita digitale. Stanno accadendo una quantità di cose enorme e la sfera dei miei interessi si sta ulteriormente allargando pur rimanendo il tempo a disposizione sempre lo stesso, forse addirittura meno.

In fondo preferisco la mia versione analogica a quella digitale in questo momento.

E poi c’è il cane che è una gioia infinita ed un impegno continuo. Ecco, come si faceva al liceo, è stato il cane a mangiare i miei compiti a casa.

Povero Buzz, sei già diventato la mia scusa preferita.

Mi prendo delle pause più lunghe. La lista delle cose che vorrei leggere, di quello che vorrei studiare e di quelle che vorrei fare sta diventando sempre più lunga e trovo che sia un dovere morale cercare di accorciarla.

Poi, miei cari tre lettori, non ho l’impressione di mancarvi moltissimo. Mi si nota di più se ci sono o se non ci sono. La verità è che c’è troppa gente che parla, spesso a sproposito. Compreso il sottoscritto, ovviamente. Non mi tiro certo indietro nel riconoscere la vacuità del contenuto di questa baracca. Parole sparse al vento.

Alcune di queste vanno dette. Altre rimangono solo per me.

Diceva Schiavone: “Fai un po’ quello che ti pare ma non rompere i coglioni al prossimo”.

Ecco, io, in questo momento della mia vita, non voglio rompere i coglioni a nessuno e, ancora di più, non voglio che nessuno rompa i coglioni a me. Per il resto fate quello che vi pare. Io sono arrivato alla conclusione di un percorso personale che non certamente stato una passeggiata di salute ma che mi ha consegnato una consapevolezza fuori dal comune. Avrei tanto desiderato arrivarci prima. L’importante è arrivarci, comunque.

Da qui in avanti credo che tutto diventerà più rado di quanto non sia stato in passato.

Se volete, sapete dove trovarmi in carne ed ossa. Se conoscete questa informazione è ovvio che rientrate nel novero di coloro che mi farebbe piacere incontrare.

E poi, dai, qualcuno che ve la racconta lo trovate di sicuro. Il web è pieno di gente che non vede l’ora di raccontarvi come la pensa, e poi di vendervi qualcosa. Se non altro io non ho mai provato a vendervi nulla, nemmeno i due soldi della mia esperienza.

Altro da dirvi non ho, per il momento 🙂

John McAfee. ALT+F4

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Photo by Alex on Unsplash

E così John McAfee è stato trovato privo di vista in un carcere spagnolo e si sospetta si tratti di suicidio.

Il suo nome è legato allo storico antivirus ma la sua vita è stata un viaggio incredibilmente eccentrico. Si leggevano spesso le sue stravaganti affermazioni, i complotti da lui rivelati, presunti o veri, la narrazione della sua vita come su un otto volante.

Era quasi come leggere di quel parente completamente pazzo, o completamente consapevole, che viveva la sua vita secondo regole proprie.

Ecco, a me, un pochino, questa notizia mette tristezza.

La preparazione della preparazione…

three women sitting beside table
Photo by Tim Gouw on Unsplash

La mia carta di identità, documento ufficiale del Governo Italiano, riporta in maniera chiara ed inequivocabile il dato secondo il quale la mia età anagrafica è di cinquantaquattro anni.

Ricordo benissimo che il mio primo giorno di lavoro è stato il 4 Febbraio 1991. Posso quindi annoverare qualcosa come trenta anni, quattro mesi e 18 giorno di lavoro.

Dovrebbe essere chiaro a tutti che un pochino di esperienza dovrei essermela fatta in questi anni. Disastri inenarrabili non ne ho mai combinati, anzi. Negli ultimi dieci anni mi sono occupato di design. Prima di Sketchin sono stato in Frog ed ho triplicato il fatturato di quello studio in tre anni. In Sketchin ho più che decuplicato il fatturato in otto anni di lavoro. Insomma, io credo che il mio lavoro lo so fare, e bene.

Eppure quando mi trovo a dovere incontrare un cliente molto spesso mi viene chiesta una riunione prima dell’incontro per “Vediamo cosa presentare al cliente…”.

Ora, premesso che tu capisci di design tanto quanto io capisco di fisica quantistica, mi spieghi quale è il fondamento logico di questo incontro?

Perdiamo tempo tu e, sopratutto, io.

Che cosa pensi mai che io possa raccontare al tuo cliente di così dannoso? Pensi forse che potrei dire delle cose sconvenienti o poco piacevoli? Pensi che io possa presentare qualcosa che non sia attinente al tema di cui mi hai raccontato nel momento in cui mi hai chiesto di incontrare il cliente? Pensi che io possa perdere il senno e mandare a quel paese il tuo cliente? Forse potrei essere preda di un raptus e raccomandare al tuo cliente un’altra società di consulenza?

A me questa cosa manda fuori di testa. Quelli fighi direbbero che “mi fa perdere le staffe”.

Mi verrebbe proprio una citazione del mitico Guzzanti che faceva riferimento al mondo delle telecomunicazioni:

Ma, aborigeno, io e te che cazzo se dovemo dì?

Ecco, io in queste occasioni mi sento proprio così.

Una assoluta perdita di tempo. Priva di valore e di contenuto. Una cosa che riempie la tua agenda solo per instillarti un falso senso di sicurezza o di gestione del cliente.

Decisamente evitabile


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Il mio cane ha capito tutto…

Come del resto, immagino, tutti i cani su questa terra.

Credo che tutti spendiamo una grande quantità di tempo alla ricerca della felicità. Altrettanto vero che non può esistere una definizione unica di felicità. Io credo che esista una felicità per ogni singola persona e che non si possano uniformare le varie definizioni in un unico concetto.

In queste settimane mi ritrovo ad osservare il mio cane con grande interesse perché, secondo me, lui ha davvero capito tutto in relazione alla sua specifica felicità.

Direi che per Buzz, questo è il nome del mio cane, la felicità si riassume in un semplice insieme di concetti:

  • La sua massima aspirazione è uscire all’aria aperta ed esplorare con grande attenzione ogni angolo che trova lungo il suo percorso. Buzz preferisce quindi stare all’aria aperta piuttosto che rinchiuso tra quattro mura.
  • Nelle sue esplorazione gioisce delle cose più semplici. Inseguire una farfalla, giocare con un ramo che ha trovato per terra, farsi distrarre dalle biciclette che passano. Tutto è un gioco e Buzz è in grado di trasformare in un gioco fantastico qualsiasi cosa trovi lungo il suo cammino. Notevole il fatto che nessuna di queste cose si trova in un negozio. Tutto è a portata di mano e, sopratutto, gratis.
  • Buzz è sempre felicissimo di rivedere le persone che ama e non perde mai occasione di dimostrarlo.
  • A Buzz piace incontrare le persone ed ogni volta che ne incontra una viene pervaso da una eccitazione e da una curiosità fuori dal comune. Buzz non fa nessun distinguo. Per lui tutte le persone sono interessanti ed hanno qualcosa di interessante da esplorare.
  • Il mio cane è in grado di dormire ovunque ed in qualsiasi posizione senza preoccuparsi del luogo in cui si trova.
  • Buzz ha più bisogno di relazioni che di cose materiali. E’ felice con i suoi tre pasti al giorno e li consuma con voracità per dedicarsi, poi, a qualcuna delle attività di cui sopra.
  • Buzz quando è stufo molla tutto e tutti e si mette a dormire. Non si sente costretto a nulla e non lo si può costringere a nulla.
  • Buzz vive intensamente ogni momento della sua giornata. Non esistono spazi vuoti ma tutti sono pieni di ciò che gli piace fare.

Ora, ditemi voi se tutto questo non si avvicina molto alla felicità. Per quanto attiene la mia definizione di felicità questo sarebbe proprio il massimo cui potrei aspirare.

Sì, Buzz ha capito tutto.


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Un mito rimane sempre un mito

Che Roger Waters fosse un mito lo sapevamo tutti. Che fosse rimasto un mito dopo anni di successi e di fama universale era molto meno scontato.

Eppure è, e rimane sempre un mito.

In una conferenza stampa ha detto di avere ricevuto una offerta da Instagram riguardante l’acquisto dei diritti della sua canzone “Another brick in the wall 2”. Lui stesso dice che la proposta valeva una grande quantità di denaro.

Beh, ascoltate la sua risposta:

Io trovo questa reazione interessante. Se da un lato è vero che il signor Waters non ha alcun bisogno del denaro del signor Zuckerberg è altrettanto vero che si tratta di un gesto dal contenuto simbolico altissimo. I giganti della tecnologia, con un dominio sempre più esteso sulle cose di questo mondo, non sono in grado di potere comprare tutto. E’ possibile dire di no e, in un certo qual modo, è necessario che si dica no.

Altrettanto buffo che la risposta venga poi ripubblicata su Instagram sul suo profilo.

Roger Waters, chapeau!


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