Il taccuino

E’ diventata una abitudine da oramai più di vent’anni.

In qualunque posto io vada ho sempre con me un piccolo taccuino, tipicamente di piccolo formato e con la cortina non rigida. Insieme al taccuino una penna o, più spesso, una matita.

Forse per deformazione professionale mi considero un grande osservatore, sopratutto di comportamenti delle altre persone. Quando mi capita di notare qualcosa che mi colpisce ne prendo nota.

All’inizio di questa mia abitudine ero un maniaco dell’ordine dei miei taccuini. Tutto doveva essere perfetto e perfettamente allineamento. E’ vero. Era un comportamento un pochino maniacale e quello è certamente uno dei tratti del mio carattere che con il tempo ho decisamente smussato.

Abbracciare l’imperfezione ed accettarla come un dato di fatto della realtà che mi circonda.

Per questa ragione ora i miei appunti sono più sciolti. Non solo scrittura ma anche disegni, assolutamente imperfetti. Prima non avrei mai disegnato non reputandomi all’altezza. Ora è un grande chissenefrega e mi lascio andare quando ne sento il bisogno.

Appunti di riflessioni, idee, fantasie su potenziali progetti che mi piacerebbe portare avanti, ricordi e comunque tutto quello che non mi va di perdere dopo il pensiero del momento.

La sera me lo metto sul comodino perché non raramente mi capitare di pensare qualcosa che ritengo possa essere utile anche di notte e mi piacere sapere di poterlo fissare e di non lasciarlo scivolare via inutilizzato.

Li conservo tutti in un anta di una libreria. Ogni tanto mi capita di domandarmi che fine faranno quando non ci sarò più. Pochi secondi dopo mi dico che è una domande del tutto irrilevante. Quei taccuini servono solo a me.

Scegliere un libro

Per le mie letture è molto difficile che mi affidi alla pubblicità sulla quale, in qualche occasione, mi capita di incespicare. Non sono nemmeno influenzato dalle partecipazioni ai vari premi letterari.

Lo stesso dicasi per le recensioni. E’ molto difficile che io compri un libro, o decida di non comprarlo, dopo avere letto una recensione. In realtà evito assolutamente di leggere le recensioni. Personalmente non le trovo utili in materia di letture.

Ho pensato alle ragione di questo e poi mi sono imbattuto in una risposta di Jonathan Bazzi ad una persona che, tramite un messaggio diretto, ha espresso il suo giudizio negativo sul suo libro.

Jonathan risponde così:

Sai, i libri diventano cose diverse ogni volta che incontrano un lettore. Evidentemente le cose che cerchi tu sono altrove. Moltissime persone lo hanno amato, profondamente, intimamente. Va bene così.

Credo che questo sia il nucleo della questione. Un libro in fondo ti sceglie ed il fatto che ti piaccia o meno dipende dalla condizione del momento in cui ti trova.

Cose che mi piacquero alla follia anni indietro ora sono per me del tutto insignificanti.

Per questo bisognerebbe stare lontani dalle recensioni e dalla pubblicità.

Mi fido di più del consiglio delle, poche, persone che stimo. Se hanno letto qualcosa che li ha colpiti è molto probabile che colpirà anche me. Semplice.

Il resto, davvero, sono solo chiacchiere.

La risposta di Jonathan dice tutto: va bene così.

Orto

In questi mesi di isolamento avere a disposizione un fazzoletto di giardino mi ha aiutato ad evitare di dovere spendere tutto il mio tempo tra le mura di casa.

In questo senso è stato molto utile.

Allo stesso tempo mi sono rimesso a cucinare seriamente come facevo una volta. Un nuovo set di coltelli seri ed altri accessori che mi sono serviti per alcune preparazioni non comunissime.

Ovviamente ho avuto bisogno di erbe aromatiche fresche e non ho potuto fare altro che comprarle al supermercato durante le uscite ogni due settimane. Ovviamente non erano sempre queste.

Complice il fatto che avrò i miei figli per qualche settimana ho deciso di mettere insieme un piccolo progetto per preparare un piccolo orto nel giardino di casa.

I classici salvia, basilico, prezzemolo, erba cipollina, finocchietto e poi vedremo cosa ci offre il locale consorzio.

Vorrei lasciare a loro il compito di progettarlo, realizzarlo e curarlo per il tempo che passeremo insieme.

Vediamo se siamo davvero braccia rubate all’agricoltura.

L’effetto collaterale sperato è che spendano più tempo nel mondo fisico e meno in quello digitale.

Ovviamente l’irrigazione la automatizzo con Home Assistant e qualche sensore nel terreno. Inutile. Geek to the bone.

Narrazione e realtà

Premetto che sono un felice cliente di Eolo da oramai quasi due anni. Da quando mi sono trasferito a Laglio è stata la scelta giusta. Tipicamente tra i 95 ed i 98 Mpbs in downstream e intorno agli 11 Mbps in upstream con un ping tutto sommato decente data la tipologia di connessione fisica.

Non sono un gamer assatanato e per le mie esigenze, ultimamente anche lavorative è più che sufficiente per quello che mi serve.

Lunedì notte, dopo l’ennesimo temporale, il router ha deciso di passare a miglior vita. Chiamo l’assistenza tecnica di Eolo e con grande cortesia faccio tutto quello che mi dicono anche se tecnicamente sono decisamente preparato. Dopo dieci minuti conveniamo che il router va sostituito.

La persona in linea mi dice che attiverà immediatamente la procedura di spedizione e che riceverò il nuovo router entro 48/72 ore. Non faccio alcuna osservazione ma 48/72 ore mi sembrano al giorno d’oggi un tempo decisamente esagerato.

Capisco che lo offrano connettività in piccole e piccolissime città ma sicuramente un “next day delivery” è possibile. Sarei anche disposto a pagarlo dato che con questo virus in circolazione con la connessione di rete ci lavoro. Perché non offrirmi questa possibilità?

E’ buffo perché mentre mi collegavo al loro sito per cercare il numero di contatto la loro home page recitava: “Sono i piccoli comuni a rendere grande l’Italia. Con la nostra rete radio FWA abbiamo già raggiunto oltre 6.000 comuni e ci fermeremo solo quando tutta l’Italia sarà finalmente connessa”.

I 6000 comuni sono ottimamente connessi dalla vostra rete FWA, un pochino meno dalla vostra rete logistica.

Ad ogni modo capisco la difficoltà logistica e per il momento mi affido alla connessione 4G di Vodafone per restare connesso con il resto del mondo.

Ad onore del vero in due anni è solo il secondo momento in cui ho bisogno di assistenza. La prima volta subito dopo l’installazione e l’altro giorno. Tutto sommato mi sentirei di dare un NPS ancora intorno a 9, ammesso che al giorno d’oggi l’NPS possa ancora valere qualcosa.

Alla ricerca

Una delle grandi lezioni che ho imparato in questi cinquantatré anni di vita è questa: alla vastissima maggioranza delle persone non interessa proprio nulla di te.

Non gli interessa cosa dici o cosa fai. Il massimo che puoi ottenere durante qualsiasi manifestazione della tua socialità è un cenno di approvazione o di disapprovazione. La maggior parte delle volte, di pura indifferenza.

La stessa considerazione vale per me stesso. Potremmo citare Nanni Moretti nella sua interpretazione di Michele in Bianca:

Comunque…lo vuole sapere il mio problema? Non mi piacciono gli altri…

Bianca – Nanni Moretti – 1984

Vale la pensa sottolineare il fatto che per me non rappresenta affatto un problema. Il discorso che in seguito articola Michele con il suo psicologo è esattamente quello che voglio dire. Leggetelo se ne avete l’opportunità.

Rendersi conto del fatto che agli altri non interesse questo granché di te ti apre un mondo di possibilità. Puoi fare e dire praticamente quello che vuoi.

In un certo qual modo ti guadagni una libertà assoluta. Il solo confronto che apprezzi è quello con le, poche, persone che stimi e di cui, davvero, ti interessa qualcosa.

Si smette quindi di cercare di fare piacere agli altri e tentare di soddisfare le loro aspettative. Quello che fai è di cercare di soddisfare le tue aspettative. Quelle verso te stesso. Una naturale tensione verso la realizzazione di te stesso ed il raggiungimento di un traguardo che è la felicità.

Rimane un problema non marginale. Scoprire quali sono le nostre vere aspettative non è banale. Sono inutili quelle ricette tipiche di improbabili sistemi di auto aiuto che tramite una lista di soli dieci punti ti promettono una vita felicissima e senza problemi.

Sento spesso dire che per essere felici si deve scoprire la propria passione. Personalmente la ritengo una cazzatona.

Io credo che l’equilibrio sia possibile attraverso una grande opera di semplificazione. Eliminare tutto il superfluo, sia materiale che intellettuale. Questa operazione distrugge il paravento della quotidianità ma scopre il nucleo del tuo essere. Certo, è spaventoso. Scoprire che, tolta tutta l’infrastruttura inutile che ci circonda, del nostro essere rimane poco è devastante.

Ed invece scoprire quello che c’è davvero nel nucleo è una grandissima avventura che merita di essere intrapresa. In caso contrario sei, e resterai sempre, un coglione totale.

Home Automation Galore

In queste settimane di lockdown ho usato parte del tempo liberato per occuparmi di sistemare il mio sistema di home automation.

Per farlo ho sempre usato Home Assistant che è una roba un pochino da geek perché richiede di sporcarsi molto le mani per ottenere risultati avanzati ma che alla fine riesce a dare grandi soddisfazioni.

Per me è una bomba e sono riuscito a collegare quasi ogni oggetto connesso all’interno della mia casa.

In questi anni ho sviluppato tutta una serie di automazioni che scattano al presentarsi di una determinata serie di eventi.

Giusto qualche esempio per dare una idea:

  • Accendi le luci dell’ingresso e della cucina quando rientro a casa e fai dare il benvenuto dallo speaker Sonos della Cucina.
  • Attivare in maniera automatica le luci delle scale quando ci passo per poi spegnerle automaticamente.
  • Spegnere tutto ed attivare l’allarme quando esco di casa.

Ci sono anche cose molto più avanzate di queste che sono tutto sommato banali. Una di queste è la mia sveglia intelligente: ogni mattina io imposto la mia sveglia e circa un’ora prima del suono della sveglia il sistema chiacchiera con Google Calendar per vedere dove devo andare per il mio primo appuntamento, calcola i tempi di percorrenza previsti usando Waze e Google Maps e verifica come è il tempo atmosferico. In funzione di questi parametri aggiusta la sveglia di conseguenza. L’idea è che se piove ci vuole più tempo per arrivare dove devo arrivare e via dicendo.

Ora, ognuna di queste automazioni è possibile usando le applicazioni native degli oggetti intelligenti che sono in casa. Posso modificare la temperatura usando l’applicazione di Nest, programmare l’accensione delle luci con l’applicazione di HUE, attivare i media player con l’applicazione di Sonos e via discorrendo.

Il vantaggio che Home Assistant mi offre è che ho un unico punto di controllo con il quale posso compiere più azione su più oggetti. Quando suona la sveglia la macchina del caffè parte automaticamente e mi viene generato un veloce brief della mia giornata che posso ascoltare mentre mi faccio la barba.

Mentre programmo il sistema mi rendo conto di una cosa rilevante che mi era sfuggita sino ad ora. In realtà tutto è pensato per il singolo utente ed il comportamento degli oggetti non cambia in funzione della presenza di altre persone in casa.

Ad esempio, quando i miei figli sono in casa l’intensità delle luci delle scale durante l’accensione notturna è più alta. Questo perché la mia casa è su tre livelli e loro non hanno scale a casa della mamma. Non vorrei quindi che nel dormiveglia non si ricordassero della presenza delle scale.

Chiaramente tutte le applicazioni native dei vari oggetti connessi non sono in grado di gestire queste tipologie di comportamenti mentre con Home Assistant posso sapere in maniera automatica se i miei figlio sono in casa e variare il comportamento degli oggetti in funzione di questi.

Di fatto una delle cose più complesse che mi sono trovato a dovere gestire è stata la verifica della presenza o meno di una persona in casa. Alla fine ho scritto un sensore bayesiano che pesa il valore di diversi sensori e decide se qualcuno è in casa oppure no.

Questo accorgimento mi permette di fare funzionare il sistema in maniera efficiente in funzione di chi si trova in casa. E poi quando i miei figli sono rintanati in mansarda li posso richiamare a cena inviando un messaggio sul Sonos usando il Text To Speech di Google.

Magari in un prossimo post scriverò della architettura della soluzione.

E’ interessante il fatto che il tutto potrebbe girare tranquillamente su un Raspberry Pi connesso in rete. Non è un fulmine di guerra ma fa il suo onesto lavoro. Ora io uso un Intel NUC perché sopra ci gira anche altra roba che mi interessa ma è certamente un overkill rispetto alle esigenze di Home Assistant.

Mal di denti (blu)

Da quando è stata rilasciata l’applicazione Immuni per il tracciamento dei contatti abbiamo assistito ad un florilegio di discussioni sul tema.

Non entro nel merito “politico” del tema perché in questo momento non mi interessa.

Quello di cui voglio parlare è invece il tema della sicurezza. Non tanto di Immuni in sé e per sé quanto di Bluetooth che è la tecnologia su cui Immuni si basa per il suo funzionamento.

Il tema della sicurezza informatica mi affascina da sempre tanto che, come ho già scritto in passato, mi diverto di tanto in tanto a fare finta di essere un “hacker” sulla piattaforma Hackthebox. Per questa ragione seguo qualche blog e diversi eventi che trattano di questi temi.

Confesso che mi era completamente sfuggito il lavoro svolto da Daniele Antonioli, Kasper Rasmussen e Nils Ole TippenHauer. In questo paper rilasciato poche settimane fa viene esposta una vulnerabilità critica che riguarda il protocollo utilizzato da Bluetooth durante la comunicazione tra due sistemi.

Il paper, decisamente tecnico, è estremamente interessante e rivela uno scenario molto preoccupante. Il protocollo che è stato progettato contiene una falla di sicurezza che non è mitigabile se non intervenendo sullo standard stesso.

Questo significa che tutti i sistemi che usano Bluetooth hanno questo problema di sicurezza e che non esiste un modo semplice per porvi rimedio. L’unica soluzione è quella di intervenire sullo standard stesso. Chiunque abbia maneggiato uno standard sa benissimo che questo genere di cose richiede mesi, ma generalmente anni.

Dopo avere letto il documento tecnico mi sono reso conto della gravità del problema e della difficoltà di soluzione. L’unico vero modo per non essere attaccati è quello di spegnere il Bluetooth e non usarlo.

Sappiamo quindi che se l’applicazione Immuni venisse scaricata in maniera massiva e tutti quegli utenti che non hanno mai usato Bluetooth in vita loro lo attivassero per usare l’applicazione, questi si troverebbero automaticamente esposti ad una serissima vulnerabilità che potrebbe compromettere i dati esistenti sui loro smartphone.

Certamente uno scenario preoccupante.

Il lavoro del team di cui ho parlato poco sopra è disponibile qui. Per chi maneggia questi temi è una lettura decisamente interessante.

La libreria

Sono un felice possessore di un Kindle sin dal suo primissimo annuncio anni fa. In un certo qual modo ha cambiato il mio modo di fruire della lettura. Ora posso portare con me tutto quello che desidero senza il peso della carta.

Non ho particolare nostalgia del libro di carta in sé e per sé. Quello che mi manca è invece la libreria. Complice un articolo su Il Sole 24 Ore mi sono ritrovato a riflettere su questo argomento.

In effetti sin da quando sono diventato un avido lettore, diciamo dopo la maturità, la libreria è sempre stata una costante dei luoghi che ho abitato. Mi ha seguito trasloco dopo trasloco aumentato sempre in numerosità e, mi auguro, in qualità.

Ci facemmo costruire dei mobili su misura da un artigiano di Pollenza, nelle Marche. Era una libreria di legno solido e massiccio. Ricordo che feci io i disegni necessari per la sua realizzazione.

Una libreria racconta davvero una storia. Anche oggi quando vengo invitato a casa di qualcuno non posso fare a meno di sbirciare di quali volumi si compone la libreria dei miei ospiti. Da questo tendo a farmi una idea della persona e dei suoi gusti.

L’ordine della libreria ha un suo grande perché ed esso stesso racconta delle storie. Per me cambiava molto spesso. Autore, genere o, molto spesso, collegamenti molto meno tangibili o, semplicemente, affezioni e disaffezioni.

Purtroppo il Kindle nasconde tutto questo. E’ vero, cerca di imitarlo ma è la cosa che gli riesco meno bene di tutte le altre. La libreria è fisica; la hai sotto gli occhi tutto il tempo e ci sono i colori delle copertine e le dimensioni dei volumi. Ti capita di fermarti davanti ad essere ed essere attirato dal colore della costa di un libro e subito la memoria ti riporta al momento in cui hai portato quel libro in casa. Ripensi a quando lo hai letto e lo prendi in mano. Vado sempre all’ultima pagina che contiene la lista di tutte quelle pagine che contengono i brani che ho sottolineato e me li vado a rileggere. Era un esperienza che, purtroppo, il Kindle è in grado di replicare solo in minima parte.

Da quando mi sono trasferito a Laglio quei libri sono rimasti là da dove sono venuto. E’ stata un’altra separazione dolorosa ma ho deciso che sarebbe stato meglio che quei libri rimanessero là.

Qui ora c’è una libreria ma molto verticale. La sua fisicità è costituita da due soli argomenti. Libri di musica e libri di magia.

Da qualche parte lessi che occuparsi di una collezione è una sorta di viaggio in universo parallelo. Sono decisamente convinto che sia così. Per questa ragione, da qualche tempo, colleziono libri di magia sia antichi che contemporanei.

Questa libreria fisica, molto modesta se paragonata a quella di prima, è una porta verso un altro universo. Un universo che mi permette di viaggiare nel tempo. In essa hanno particolare valore, non certamente materiale, i libri usati che ho trovato nei mercatini. Quei libri che hanno una storia e magari qualche appunto del precedente proprietario. E quando questi appunti li trovi comincia un altro viaggio ancora.

Ad ogni modo, libreria fisica o meno, l’importante è sempre viaggiare.

Per chi progetta un designer?

E’ una domanda interessante e la risposta è complessa. In realtà non è complessa per chi si occupa della disciplina del design ma, molto spesso, è una domanda molto complessa per i nostri clienti.

Per i nostri clienti rispondere a questa domanda è molto complesso perché la loro naturale tendenza è focalizzarsi sul risultato finale di un progetto di design: gli artefatti.

Con artefatto intendiamo qualsiasi oggetto che sia, in qualche modo, tangibile, Una applicazione per smartphone, un sito web, eccetera eccetera.

Come dicevo molto spesso capita che il cliente si focalizzi sull’artefatto o sul touchpoint invece che sul sistema, od ecosistema, nel suo complesso.

Oggigiorno tutti gli studi di design, quelli seri, utilizzano varianti più o meno complesse di metodi che derivano dallo User Centered Design. Si progetta per soddisfare le aspirazioni e le necessità di un utente.

Ma chi è questo utente?

Certo un insieme di utenti è quello che andrà a fruire dei touchpoint che il designer progetterà. In generale sono i clienti dei nostri clienti. Nessuno nega che questi touchpoint devono essere progettati con tutti i sacri crismi affinché siano efficaci.

Nonostante questo progettare un touchpoint ha sicuramente un altro aspetto che ritengo essere ancora più importante dei touchpoint destinati all’utente finale.

Si tratta di tutto quello che coinvolge l’utente interno. Quella classe di utenti che deve mantenere la promessa fatta ai clienti finali attraverso i touchpoint.

Questa classe di utenti, ed i problemi ad essa collegati, sono molto spesso trascurati dai nostri clienti.

Faccio un esempio molto semplice. E’ perfettamente inutile progettare il migliore sistema di e-commerce per il tuo mercato se poi la tua struttura non è pronta a rispettare le promesse fatte. La tua logistica potrebbe non essere all’altezza. I tuoi sistemi o processi potrebbero non essere pronti a gestire ciò che viene offerto dall’e-commerce ad esempio in termini di assistenza post vendita.

Per questa ragione il designer deve progettare un sistema e non un artefatto. Si deve essere in grado di fare capire al cliente quali sono i limiti della sua struttura ed aiutarlo a raggiungere l’obiettivo finale: consegnare agli utenti finali la migliore esperienza possibile raggiungendo gli obiettivi di business che si sono previsti.

Il design diviene quindi un abilitatore fondamentale per raggiungere questi obiettivi. Ogni disciplina del design, Service Design, Business Design, Interaction Design e Visual Design, giusto per citare le principali, progetta un tassello del sistema finale.

E’ ben evidente che il design da solo non basta. Fare lo studio di design super figo ed altezzoso che pensa solo al design in senso stretto non funziona più. In realtà non ha mai funzionato. Sembrava funzionasse solo perché si potevano sprecare un botto di soldi senza davvero risolvere un problema e facendo dei bei disegnini che raramente diventavano realtà.

Ora il design deve parlare il linguaggio del business. Deve comprenderne le logiche e gli obiettivi e deve progettare tenendo bene in considerazioni questi elementi.

Allo stesso tempo deve conoscere e parlare con contezza della tecnologia.

Si devono progettare soluzioni possibili. Innovative quanto vogliamo ma possibili.

Attenzioni. Possibili non solo rispetto alla tecnologia ma anche rispetto alla maturità del cliente per il quale stai lavorando. One size DOES NOT fit all.

Non a tutti i designer questo nuovo approccio può piacere. E’ comprensibile. E non a tutti i clienti potrà piacere. Continuerà ad esistere sempre il cliente che ti chiede il sito web “accattivante”, qualunque cosa questo possa significare.

Ora più che mai il design si deve nutrire di altre discipline e deve nutrire le altre discipline con i suoi strumenti.

Desiderio di fuga

Che io in questo periodo complesso stia tutto sommato bene è un dato di fatto. Mi sono sentito maggiormente produttivo e la disponibilità di un piccolo giardino e l’arrivo della primavera hanno semplificato la vita domestica.

Nonostante questo dopo avere cominciato a girare in moto mi sento di avere la necessità di staccare da questo ritmo.

Ho bisogno di andare fisicamente in un altro posto. Non necessariamente non lavorando ma certamente un posto fisico diverso da casa mia.

Giga illimitati

Sono cliente Vodafone da anni e, tutto sommato, sono un cliente soddisfatto.

La settimana scorsa ricevo una telefonata da loro. Telemarketing. Ora, io rispondo sempre a queste chiamate e cerco sempre di essere estremamente cortese non fosse altro perché mi immagino la frustrazione delle persone che sono dall’altra parte.

Durante la nostra conversazione mi viene offerta la possibilità di avere traffico dati illimitato sul piano tariffario. Ovviamente la condizione è quella di rimanere cliente di Vodafone per altri dodici mesi e pagare 30 Euro in caso di rescissione del contratto. Tutto sommato mi va bene e decido di accettare l’offerta.

Il giorno successivo ricevo da Vodafone questo SMS:

GB illimitati è attiva. Hai Giga illimitati ogni mese per navigare senza limiti. Info sull’App: voda.it/myofferta

Lasciamo perdere l’Italiano che viene utilizzato nel messaggio.

Passa qualche giorno ed oggi pomeriggio ricevo questo messaggio:

Non abbiamo bisogno di un’occasione speciale per farti sentire speciale! Solo per te che sei uno dei nostri migliori clienti, Giga illimitati gratis per 1 mese. Per attivarli vai su voda.it/mycatalogo, recati in negozio o chiama il 190 entro il 21.06.

Andiamo un pochino meglio con l’Italiano ma per il resto non ci siamo.

Mi stai raccontando che sono uno dei vostri migliori clienti e quindi mi aspetto che di me e del mio profilo sappiate vita, morte e miracoli. Mi aspetto che di me vi prendiate cura e che mi proponiate cose che mi interessano e che mi sono utili.

In questo caso mi state dimostrando che non sono affatto speciale. Sono solo entrato a fare parte della ennesima campagna SMS e che la lista dei clienti cui la campagna era indirizzata non è stata filtrata per i clienti con la promozione già attiva.

Non lo stai facendo bene.

SpaceX ed il futuro possibile

Ho seguito con grandissima attenzione la storia di SpaceX in questi ultimi anni. E’ una storia incredibile, così come è incredibile l’atteggiamento di Elon Musk.

Elon Musk ha una storia persona pazzesca. Dal venire considerato affetto da autismo dai propri genitori sino a rischiare la vita per un pestaggio a scuola da parte di un gruppo di bulli. La sua avventura in PayPal, la nascita di Tesla ed ora SpaceX. Tutto questo per non parlare di quanto si diverte con iniziative giocose come quella di mettere sul mercato un lanciafiamme.

In realtà volevo parlare di quello che ho visto dal punto di vista del design.

Guardando i filmati e le dirette di SpaceX senza avere contezza del fatto che si tratta di un evento reale si penserebbe immediatamente ad una produzione cinematografica degna del migliore pedigree di fantascienza.

Il design della navicella di SpaceX è magnifico e sembra davvero provenire da un opera di pura immaginazione. E, di fatto, pura immaginazione è stata. Una idea che prende forma e che unisce tecnologia e design in un unicum perfetto e mai visto prima.

Il tema è perfettamente in linea con tutte le iniziative di Elon Musk. Guardiamo Tesla. Anche in questo caso il connubio tra tecnologia e design. Non perfetto e certamente perfettibile. Detto questo se confrontiamo l’interno di una Tesla con un’altra qualsiasi macchina affine c’è un abisso. E’ una macchina costruita intorno ad uno schermo che è il cuore del sistema. Il meccanismo attraverso il quale la tecnologia viene resa fruibile dall’utente finale in maniera semplice ed efficace. Ancora una volta, l’essenza del design.

Lo stesso discorso vale per SpaceX. Guardate il design delle tute spaziali dei due astronauti che sono saliti sulla navicella. Sono assolutamente diverse da qualsiasi altra cosa abbiamo visto prima nel mondo reale. Sono molto più vicine all’immaginario che ci proviene dai film di genere che non dalla fotografia delle missioni spaziali avvenute realmente in passato. E, nonostante questo, i due astronauti hanno dato un giudizio assolutamente positivo riguardo la funzionalità delle tute. Interessante anche l’affermazione fatta da Robert L. Behnken, uno dei due astronauti della missione:

Both Doug and I, we’d have to give the suits a five-star rating,

Robert L. Behnken – SpX-DM2

Sembra di leggere una review di un prodotto appena ricevuto da Amazon.

Lo stesso avviene per le interfacce che governano la navicella Spaziale.

Guardate questa immagine:

Source: LinkedIn – Could not find original content creator.

Anche in questo caso sembra di essere in un film di fantascienza eppure è tutto reale.

Io credo che il connubio tra tecnologia e design sia il futuro che dobbiamo progettare. E’ un fattore chiave che dobbiamo sviluppare e sul quale si deve fare leva per un futuro migliore. Ridurre la complessità di un sistema attraverso il design. Quasi una magia.

Tesla e SpaceX ci dimostrano che questo è possibile e che non si tratta di un sogno non realizzabile.

Non capisco

Alla data di oggi se intendo partecipare ad un funerale devo indossare la mascherina e mantenere debita distanza dagli altri partecipanti.

Al contrario, se devo manifestare in piazza mi viene concesso di fare a meno della mascherina e del distanziamento sociale. Posso anche farmi dei selfie tutto sorridente.

Sono molto perplesso.

I primi 200 chilometri

Aspettavo questa giornata da tempo. Una festa Svizzera e la moto nel garage di casa. E’ tempo di prendere confidenza con il nuovo mezzo.

Mi vesto, prendo casco e guanti e mi metto in moto.

L’idea è quella di andare in giro senza una meta precisa evitando accuratamente l’autostrada e scegliendo preferibilmente solo strade secondarie.

Devo prendere confidenza con la moto e cercare di capirla. La verità è che mi ci trovo bene. Le dimensioni sono adatte alla mia statura e nonostante il peso elevato la moto è molto maneggevole.

Cerco di capire dove si trova la friction zone e ci gioco con manovre a bassissima velocità usando il freno posteriore. La moto è docile ma su questo genere di manovre devo prendere la mano. Una delle prossime domeniche devo cercarmi un parcheggio dove fare un pochino di esercizio su queste manovre. Non c’è altro da fare.

Nonostante questo la moto si guida in strada come se fosse una bicicletta.

Mi muovo lentamente tra i campi guardandomi intorno. Raramente supero i 50 chilometri orari. Questo è l’andatura che mi piace andando in moto. Non mi interessa la velocità o fare pieghe impossibili. Mi piace guardarmi intorno e sentirmi parte del paesaggio. Mi piace muovermi dentro il paesaggio sentendo l’aria sul volto.

Macino chilometri su chilometri e continuo a sorridere. Avevo completamente dimenticato quanto fosse magico andare in motocicletta.

Dopo una mezz’ora ho capito perfettamente il comportamento dei freni, della frizione e del motore. Ora gli arresti sono docili e leggeri. Una passeggiata. La moto è tranquilla ma nel momento in cui serve uno spunto è pronta a rispondere senza esitazioni.

E’ bello andare in giro senza una meta con il telefono in modalità aereo. Nessuno che possa disturbarti nonostante ci sia un auricolare bluetooth sul caso. Magari lo accendiamo la prossima volta.

Ogni tanto ti fermi in uno spiazzo in mezzo ai campi e ti accendi una sigaretta gustandoti la libertà del momento e, finalmente, dimenticando completamente tutto quello che sta accadendo intorno a te.

Saluti gli altri motociclisti e loro ti rispondono. Avevo dimenticato anche questo. Il piacere di salutare uno sconosciuto e scambiare due chiacchiere con gli altri motociclisti quando ti fermi in un bar a bere un caffè.

Oggi sul lago era un vera follia di macchine e quindi ho optato per un giro altrove. Ci sarà tempo per un giro del lago fatto a dovere.

Decido di tornare verso casa e non voglio usare il navigatore. Uso i cartelli stradali scoprendo strade che non ho mai percorso. Continuo a guardarmi intorno con sempre uno stupido sorriso dipinto in volto.

Arrivo a casa e parcheggio la moto. La spengo e scendo. Mi fermo a guardarla e ascolto il rumore del moto che si raffredda. Non so quanto sono rimasto lì davanti. Credo qualche minuto.

Non resisto a condividere questo momento con Luca e gli mando un SMS. Lui mi risponde con poche parole: “C’è magia nell’andare in moto”.

Ha ragione. Avrei dovuto dargli retta anni fa e ricomprare una motocicletta anni fa.

C’è magia nell’andare in moto.

SpaceX

Ho visto in diretta streaming il lancio dell’ultima missione SpaceX ed ora sto seguendo lo streaming dell’attracco alla International Space Station.

È emozionante e lo è ancora di più considerando chi lo ha fatto e come.

La gioia di Elon Musk ieri era quella di un bambino.

Dovremmo tutti avere la possibilità di avere quel sorriso nel lavoro di tutti i giorni.

Storia incredibile!