Milano Design Week

Milano Design Week

Per la prima volta dopo tanto tempo ho l’occasione di rivedere dei colleghi fisicamente. Quest’anno con la scusa della Milano Design Week abbiamo organizzato una serie di eventi per celebrare il nostro mondo ed un relativo ritorno alla normalità.

Abbiamo aperto un pop-up studio nel quartiere Isola, in via Farini 60.

Ci sono diversi interventi che vale la pena ascoltare. Io personalmente li ascolterò tutti dato che non ho avuto grandi occasioni di ascoltare il pensiero recente di alcune persone.

Un pochino mi sembra una cosa normale, per altri versi ha tutto il sapore della eccezionalità

Streamer

Photo by Kadyn Pierce on Unsplash

L’algoritmo di raccomandazione di YouTube colpisce ancora ed in questi giorni mi propone una rassegna di streamer nostrani che se la cantano e se la suonano.

Intendiamoci. Se riesci a mettere a tavola pranzo e cena facendo streaming mentre giochi, mentre cucini o mentre ti esprimi sui massimi sistemi io non posso che riconoscere il tuo talento. In fondo è sempre meglio che andare in miniera ad estrarre carbone.

La cosa però mi intriga un pochino e quindi cado nella tana del coniglio visualizzando un video dopo l’altro scoprendo l’abisso.

Direi che le due piattaforme principali scelte dai nostri, temporanei, eroi sono Twitch e YouTube.

Io vi invito a dirigervi verso l’abisso e verificare cosa si trova in quel contesto che sembra tanto attirare tutti coloro che sono appena usciti dalla intossicazione da Fortnite e ora si dirigono verso la dipendenza da streamer.

Sto ovviamente esagerando perché, seppur raramente, qualche contenuto di valore c’è. Un esempio su tutti. Il canale Twitch di Rudi Bandiera è una bomba così come lo era, purtroppo in passato, il canale Twitch di Deadmau5 che ha smesso circa due mesi fa. In fondo non sono nemmeno pochi, dai. Ci sono sempre delle perle da scoprire.

Ci sono quindi delle persone che sono in streaming live per ore ed ore durante il corso della giornata. C’è anche chi fa maratone di giorni. Io ci penso e mi rendo conto che, in un certo qual modo, possiedono un talento. Io non riuscirei a stare collegato per ore sulla mia sediolina ad intrattenere le persone collegate. Dopo una oretta scarsa mi scenderebbe la catena e li manderei tutti a stendere. Davvero, dopo un’ora non saprei più cosa dire. Figuriamoci fare la stessa cosa giorno dopo giorno, ora dopo ora.

Hai voglia a raccontarmi che tu ti diverti. Come ampiamente dimostrato, qualsiasi paradiso dopo sei mesi diventa un inferno.

E tu però devi continuare a farlo perché con quello ci sbarchi il lunario e se non lo fai ti devi trovare un altro lavoro. In fondo è questo il punto. Se vieni retribuito, per quanto ti piaccia fare quello per cui vieni retribuito, si tratta di un lavoro. E se non lo è, lo diventa presto.

Per questa ragione ti devi contendere il pubblico che ti guarda e ti paga, più o meno direttamente ed esplicitamente.

Per questo la qualità si abbassa nel tempo e devi sempre trovare il modo per sottrarre una persona dalla vista di un altro canale per farla venire sul tuo. Purtroppo la fisiologia umana prevede che si abbia a disposizione solo due bulbi oculari che, oltretutto, sono entrambi dedicati ad osservare lo stesso schermo. Questo a meno di critici problemi oftalmici che ti permettono di sdoppiare il tuo campo visivo.

E come fai a portare la gente sul tuo canale?

Da quello che ho capito ci sono fondamentalmente quattro tecniche.

La prima è quella della corruzione. Se mi guardi posso estrarre un premio di cui ti farò omaggio e, se mi sei particolarmente simpatico, te lo firmo pure.

La seconda è quella di spararla grossa. Prendi un tema di cronaca, od una qualsiasi notizia, e ci ricami sopra la tua visione del mondo. Qui il problema è che la devi sparare sempre più grossa perché, diciamoci la verità, il nostro cervello si abitua facilmente ad un certo livello di fregnacce.

La terza è quella dell’insulto. Prendi una qualsiasi celebrità, o presunta tale, che si muove nel tuo stesso universo ed insultala. Anche in questo caso vale la proporzionalità della gravità dell’insulto. Si comincia con uno “sei uno sciocchino”, si passa al racconto delle abilità della mamma in performance non descrivibile qui e si arriva alle minacce di morte. In questo caso l’escalation è spesso esponenziale.

Infine c’è la cosiddetta “reaction” che altro non è che l’esercizio dell’esegesi di un altro video. Qui si raggiungono dei livelli di performance inverosimili. La cosa interessante è che si scatena un meccanismo ricorsivo per cui l’autore del video originale fa una reaction alla reaction e poi ancora, e ancora.

Un’oretta di questo genere di cultura mi ha convinto che è una cosa che non fa proprio per me.

Mai dire mai, ma per il momento credo che non aprirò un canale su Twitch.

E comunque ho un pochino esagerato, lo ammetto. Su Twitch c’è davvero tanta roba bella.

110.000 dollari

Photo by Giorgio Trovato on Unsplash

Ho scritto spesso in passato sul tema dei videogiochi e di quanto io, personalmente, ritenga il panorama dell’offerta attuale non più tanto attraente per il sottoscritto.

Un tempo giocavo, molto. Ora mi capita davvero molto raramente e con poca soddisfazione se non per titoli storici che con emulatori riesco a fare girare sul mio Mac. OpenTTD tanto per citarne uno.

Non mi piacciono i giochi che vengono rilasciati ultimamente, non tollero il multiplayer e detesto i modelli di business che la fanno da padrone in questo mondo.

Ulteriore conferma di quanto penso mi arriva dalla lettura di un articolo su GameRant che parla di Diablo Immortal.

Il gioco è free-to-play ma nel corso del gioco puoi usare del denaro vero per comprare oggetti e potenziamenti.

Uno youtuber ha calcolato che acquistare tutti gli oggetti necessari a portare il proprio personaggio al massimo delle sue potenzialità costerebbe l’assurda cifra di 110.000 dollari.

Non solo dovrai spendere quella cifra ma ha stimato che ci metterai anche circa dieci anni di gameplay per raggiungere quell’obiettivo.

E’ chiaro che nessuno mai arriverà a questi livelli ma mi sembra comunque uno scenario decisamente poco sano.

Tutto di corsa

Photo by Miguel A. Amutio on Unsplash

In questi due anni di pandemia e di conseguente isolamento ho avuto conferma riguardo un sospetto che nutrivo da tempo.

L’utilizzo della urgenza, delle tante cose da fare, e del farci sopraffare dal lavoro altro non è che un tentativo di sfuggire al pensiero della nostra situazione.

Un quotidiano stressante ed impegnativo riempie quel tempo che altrimenti non potremmo fare altro che dedicare alla analisi della nostra situazione personale. Come stanno andando le mie relazioni, il mio matrimonio e, in senso più lato, la mia vita.

La giustificazione che ci diamo è che abbiamo una vita complicata che richiede continua attenzione ed azione.

In fondo non è affatto vero. Siamo, quasi, sempre noi a scegliere il livello di complessità. Siamo noi a decidere cosa è urgente e cosa non lo è. Cosa richiede la nostra attenzione immediata e cosa non la richiede.

Abbiamo deciso di vivere una fuga continua dal bilancio della nostra esistenza riempiendola di cose per lo più inutil.

Da lungo tempo, ed in tempi non sospetti, ho deciso di mettere fine a questa fuga e fermarmi. E’ costato lacrime e sangue ma ora mi sento, finalmente, libero e risolto.

Sulle lenzuola

Photo by Jacinta Christos on Unsplash

Perché parlare di lenzuola? Il motivo è semplice. Si tratta del fatto che il comportamento rilevato su questo genere di oggetti è diventato fin troppo comune.

Partiamo dal principio.

Io cambio le lenzuola del mio letto ogni tre o quattro giorni. Non appena queste vengono rimosse dal letto finiscono dritte in lavatrice affinché possano tornare allo splendore originale. I continui lavaggi causano una usura piuttosto precoce delle stesse e mi costringono a comprarne sempre di nuove.

La prima considerazione è che è ben evidente che il materiale con cui sono fatto è meno efficace di quelli che venivano usati un tempo. Io non ho mai visto mia nonna comprare delle lenzuola. Per tutta la sua vita ha usato quelle che erano parte del suo corredo da sposa.

Le seconda considerazione riguarda la mia pigrizia. Dato che sono estremamente pigro e del tutto disinteressato all’argomento le lenzuola le compro al supermercato in quello che generalmente viene chiamato “bazar”. Non mi aspetto certo la più grande qualità da questi acquisti ma, se non altro, sono a portata di mano e non mi devo sbattere più di tanto per portarmi a casa un nuovo lenzuolo. Non mi sono mai avventurato nel magico mondo dei negozi premium di biancheria per la casa. Troppo sbattimento. Potremmo dire che si tratta di un errore, e molto probabilmente è davvero così.

Il letto che è destinato ad essere ricoperto da quelle lenzuola è un letto di dimensioni assolutamente normali. Io che sono altro un metro e ottantacinque ci sto dentro giusto giusto. Non si tratta certo di un letto di dimensioni fuori dal comune.

La terza considerazione riguarda quindi il modo in cui queste nuove lenzuola si adattano al letto. La realtà delle cose è che diventano sempre più corte. Non ho preso l’abitudine di misurarle ma ogni volta mi rendo conto che il risvolto del “lenzuolo di sopra” è sempre più corto. Lo stesso vale per il “lenzuolo di sotto” che con sempre maggiore difficoltà riesco a ripiegare sotto il materasso.

L’effetto che si genera è che dopo i primi due o tre movimenti nel letto le lenzuola cominciano a vagare senza meta sopra il letto e cominciano ad arricciarsi. La mattina ti svegli con il corpo segnato dalle pieghe delle lenzuola tanto da sembra un guerriero Maori prima di andare in battaglia.

Eppure il prezzo delle stesse continua a crescere. Quindi il prezzo aumenta e la dimensione diminuisce. E’ un tentativo di aumentare i margini e di recuperare, molto probabilmente, i costi della materie prime che aumentano.

Comportamento che mi piace molto poco.

Ora sono aperto a suggerimenti su nuovi luoghi in cui possa procurarmi delle lenzuola che siano degne di questo nome.

Crescita

Photo by micheile dot com on Unsplash

Io penso che ci sia un problema di fondo in quasi tutte le aziende dell’universo conosciuto. Il problema consiste nel fatto che molti sono convinti che la crescita sia una necessità assoluta.

Io sono assolutamente convinto del contrario.

Da un lato posso comprendere la naturale propensione di un imprenditore a fare in modo che la propria creatura cresca nel corso del tempo. Può essere passione od interesse ma comprendo la motivazione di base.

Posso anche comprendere la spinta che arriva dagli azionisti che hanno il desiderio di fare in modo che il loro investimento cresca riconoscendogli sempre maggiori ricavi.

Entrambe le cose possono avere l’effetto collaterale di snaturare l’ecosistema che si evolve.

Gli americani hanno coniato il termine “growthism” ed è proprio di questo che stiamo parlando.

Qualsiasi crescita trascina con sé dei dolori. Possono avere la forma di cultura, attività, fine e molte altre sfumature di questi tre elementi.

Ad ogni modo possiamo facilmente che crescere non è una necessità assoluta. Non lo ha ordinato il dottore. Si può tranquillamente vivere, e benissimo, una volta raggiunta una certa posizione. Si può essere soddisfatti della dimensione della propria creatura in qualsiasi momento lo si decida. Si può avere trovato la propria zona di comfort, essere soddisfatti della mole e della qualità del lavoro che si svolge senza essere costretti a cercare altro.

Se, per esempio, guardo a quanto avvenuto in Sketchin ho da fare un paio di osservazioni. Chi mi conosce da qualche tempo sa benissimo che ho sempre sostenuto la tesi di cui sopra. Crescere non è una necessità.

Eppure nel corso degli anni siamo cresciuti, tantissimo.

Non si è trattato di ricerca di maggiore fatturato, di maggiori ricavi, di status. E’, semplicemente, accaduto.

Ci capitavano tra le mani sempre più progetti verso i quali provavamo un interesse per via del lavoro che svolgiamo e della passione di cui siamo permeati. Più progetti significa avere necessità di avere più persone di talento per poterli eseguire. Più persone si trasformano in una crescita per l’azienda. Non sempre una crescita organica ma, sempre, una crescita guidata da quelli che sono i nostri valori ed i nostri obiettivi.

Abbiamo sempre cercato di fare cose “fighe” e sempre ne cerchiamo di nuove. Credo sia il nostro maggiore valore. Non abbiamo mai sacrificato i valori in cui crediamo in funzione della pura ricerca della crescita di fatturato e ricavi. La crescita di fatturato e ricavi sono stati, e sempre saranno, un effetto collaterale di quello che facciamo. Non il contrario.

E’ pur vero che quel fatturato e quei ricavi sono lo strumento principe che cerchiamo di utilizzare nel migliore dei modi per mantenere e sostenere la nostra cultura.

E’ vero, ora abbiamo degli azionisti ed è ben evidente che essi ci spingono a crescere in fatturato e ricavi. E’ il loro obiettivo ultimo. Ci sta tutto.

Gran parte del mio lavoro è fare in modo di soddisfare le richieste degli azionisti da un lato e mantenere quello che siamo e che facciamo dall’altro. Forse si tratta dell’aspetto più complicato del mio lavoro. E’ un equilibrio instabile che richiede interventi continui per essere mantenuto.

Sino ad ora ci sono, meglio, ci siamo riusciti.

Noia

Photo by Priscilla Du Preez on Unsplash

Rifletto molto spesso sulla ripetitività della vita quotidiana. Una ripetitività che si è rischiato di acuire durante il trascorso periodo di isolamento dovuto alla pandemia.

Per pigrizia tendiamo a ripetere gli stessi gesti lasciandoci trasportare in maniera passiva dallo scorrere del tempo.

Questa è una osservazione che mi era capitato di fare in tempi non sospetti, una decina di anni fa, con un carissimo amico. Tendiamo ad evitare di prendere decisioni sulle piccole cose e ci limitiamo a ripeterle un giorno dopo l’altro. La routine del mattino, il viaggio verso il lavoro, il pranzo, la cena, la scelta dei vestiti. Ogni cosa che riempie la nostra vita quotidiana.

Alla fine mi sono sempre convinto che i cambiamenti avvengono attraverso le piccole cose, piccole decisioni, modeste abitudini.

L’effetto collaterale di questo genere di comportamento è che niente viene più notato e, ancora meno, apprezzato.

Per questa ragione cerco di modificare ogni gesto abitudinario in qualcosa di diverso. Se sono in viaggio verso una destinazione che frequento molto provo una strada diversa. Se sto comprando un prodotto al supermercato provo a cambiare marca. Se mi sto radendo provo a riprendere in mano un rasoio di sicurezza invece del rasoio a mano libera.

Sono piccoli cambiamenti nella routine ma aiutano il mio cervello a mantenersi curioso. Niente grandi obiettivi ma obiettivi minimi. Per i grandi obiettivi ci sono altri modi ma sono convinto che tutto parte dai piccoli gesti.

Suoni

Photo by Krzysztof Hepner on Unsplash

Quando ho bisogno di distrarmi un pochino mi capita di prendere in mano la mia chitarra e suonare per qualche minuto lasciando che le dita scorrano sulla tastiera senza pensarci troppo su.

Confesso di essere un collezionista compulsivo di chitarre. Non riesco proprio a resistere e negli anni ho accumulato una incredibile quantità di effetti, amplificatori, accessori, chitarre, plettri e via discorrendo.

Qui si deve essere sinceri. Sono un chitarrista mediocre e ne sono perfettamente consapevole. La musica non mi porta il pranzo e la cena sul tavolo. E’ solo una via di fuga.

Ci ho messo del tempo a realizzare che sono un chitarrista mediocre. Nel corso degli anni ho comprato degli strumenti costosi con la convinzione che uno strumento migliore avrebbe potuto aiutarmi ad avere un suono migliore, un tocco perfetto, una agilità diversa. Lo stesso vale per gli amplificatori e tutto il resto. Il mio suono non è quello che desidero perché non ho la strumentazione adatta e non perché sono una pippa.

La dura e cruda realtà è la seconda.

Se vuoi diventare un musicista migliore o, nella fattispecie, un chitarrista migliore l’unico modo è spellarsi le dita sulla chitarra e suonare, suonare, suonare e ancora suonare.

Scrivo questo perché nel fine settimana ho avuto dei carissimi amici a pranzo ed uno di loro è uno dei più bravi pianisti che mi sia mai capitato di incontrare. Chiacchierando ci raccontava che in alcuni giorni suonava anche per dieci ore al giorno. Ovviamente lui non è una pippa e sulla strumento ci ha sudato parecchio. Ennesima riprova della mia tesi.

Se, al contrario, hai ricevuto il dono, è un’altra storia.

In maniera del tutto casuale la sera stessa mi sono imbattuto in un video con un intervista a Jack Pearson. Chitarrista sconosciuto ai più ma, sostanzialmente, uno dei migliori.

Questo è il video dell’intervista che ho guardato:

Jack Pearson

C’è un segmento interessante in cui il signor Pearson parla della sua Stratocaster. Non un modello Custom Shop, non una chitarra degli anni 60… Una semplicissima Fender Stratocaster Squier assemblata in Indonesia e che ha pagato 80 (Ottanta!!!) dollari in un negozio di pegni.

Ecco. Ascoltate che cosa tira fuori da 80 dollari di legno e metallo.

E quindi non si tratta di quello che usi ma di come lo usi e di quanto tempo hai speso per imparare ad usarlo.

Mi sono reso conto di essere stato mosso per lungo tempo da una falsa illusione da un lato e dalla potenza del marketing dall’altra.

Nonostante questo la mia collezione di chitarre continuerà e non perché io sono convinto di potere diventare un chitarrista migliore ma, molto più semplicemente, perché mi piacciono da impazzire.

Cannoli siciliani

Photo by Louis Hansel on Unsplash

Nei giorni scorsi ho lasciato il lago per spendere qualche giorno in Veneto. Quasi ogni mattina andavo a bere un caffè in un centro commerciale prima di mettermi al lavoro.

Un centro commerciale come tanti sebbene non densamente frequentato.

Mentre facevo due passi ho notato un banchetto temporaneo che vendeva specialità siciliane. Sughi, olive, olio e, non ultimi, dei cannoli siciliani che facevano aumentare la mia glicemia solo a guardarli.

La mia dieta, ed il mio profilo, mi hanno suggerito di starne alla larga.

Dietro il banco un uomo ed una donna, tra i trenta ed i quaranta, che si occupavano della vendita dei prodotti esposti.

Mi è capitato di ripassare nello stesso centro commerciale intorno all’ora di pranzo. Avevo bisogno dell’ennesimo caricabatterie per l’iPhone. Avviandomi verso il negozio sono ripassato davanti al banchetto.

Quelli che immagino essere i proprietari stavano seduti dietro il banco principale e si stavano gustando alcune delle specialità esposte.

In quel momento ho pensato che non poteva esistere migliore pubblicità per il proprio prodotto che mangiare quanto esposto.

Mi sono fermato qualche minuto ad osservarli. Quello che volevo capire e se fosse un pranzo di opportunità o altro. Dopo un paio di minuti mi sono proprio convinto del fatto che stavano proprio godendo di quel cibo.

Metaversi

Photo by Muhammad Asyfaul on Unsplash

In questi mesi in cui sto smanettando nel tempo libero con i temi del metaverso attraverso il mio Oculus mi sono persuaso di un paio di cose.

Il metaverso sta diventando l’ennesima buzzword in cui poco scrupolose società stanno cercando di sfilare quattrini facili ai propri clienti. Tutti parlano di metaverso, pochi lo capiscono e ancora meno ci stanno mettendo dentro le mani per davvero. Oramai sono anni che si cavalca l’onda del momento con il solo risultato di svilire nuove opportunità e creare un alone di negatività intorno alle nuove tecnologie.

Il metaverso richiede pensiero. Molto pensiero. L’idea di costruire una propria presenza nel metaverso non può ridursi alla creazione di un ambiente in tre dimensioni che rispetti il linguaggio visuale della azienda che lo ha creato. Se questo è l’approccio, evitate di investire i vostri quattrini in iniziative di questo genere. Da questo punto di vista credo che dei nuovi approcci di Service Design, Interaction Design e, in qualche modo, Visual Design siano necessari. Mi sono reso conto che non è una cosa facile e per questo sono molto scettico riguardo tutti coloro che ci si stanno buttando a capofitto. I service designer bravi, così come gli interaction designer, sono merce rarissima e di assoluto valore. Sono loro che penseranno e progetteranno un metaverso nel senso compiuto del termine.

Sono convinto del fatto che esistano due differenti approcci al metaverso. Il primo è completamente immersivo e vuole trasportare l’utente in un universo alternativo rispetto a quello reale. L’altro vuole aumentare la realtà esistente con nuove modalità di interazione e di aumento dell’informazione. Uno non è preferibile all’altro. Tutto dipende dal pensiero che è stato fatto a valle.

Infine credo che possa esistere una stretta correlazione tra tutto ciò che compone l’universo Web3 o, in alternativa, blockchain, smart contracts, NFT e via discorrendo nel disegno di un metaverso.

Anche su quest’ultimo aspetto noto che tutti ci si stanno buttando a capofitto senza avere alcuna competenza con l’aggravante di mettere a rischio i propri sudati quattrini.

Bisogna metterci la testa, e con grande convinzione per poterci tirare fuori qualche che sia davvero di valore.

Rapporto segnale rumore

Photo by Dan-Cristian Pădureț on Unsplash

Sono anni che cerco di mettere una cura estrema nella selezione delle fonti dalle quali mi informo. Per anni sono stato un felice utente di Google Reader ed alla sua chiusura sono, quasi felicemente, passato a feedly.

Continuo a ritenere che il meccanismo RSS sia una delle cose maggiormente usabili che siano mai state concepite.

Sin da allora curo con precisione che cosa entra e che esce dal mio file OPML. Come ho scritto spesso ritengo che il mio tempo sia la risorsa più preziosa che possiedo e quindi non voglio perdere tempo appresso a notizie che non mi interessano.

Purtroppo negli anni questo lavoro diventa sempre più difficile, e non solo per quanto riguarda il flusso di notizie ma anche, semplicemente, per la ricerca su tutti i motori di ricerca oggi esistenti.

Siamo tutti daccordo che il SEO è una risorsa importante per chiunque si affacci sul web. Venire trovati è fondamentale per sopravvivere, sopratutto se lo fai per generare ricavi.

Eppure il rapporto segnale/rumore è veramente troppo basso.

Sono oramai innumerabili gli articoli che comunque contengono un qualche genere di offerta commerciale. Allo stesso tempo quando fai una ricerca troppo spesso compaiono risultati che poco hanno a che fare con quello che stai cercando.

Tutto questo erode tempo ed attenzione.

Se da un punto di vista del business è una necessità di sopravvivenza dal punto di vista dell’utente è un cancro inguaribile.

Strettamente necessario

Photo by Alexis Fauvet on Unsplash

A valle del birthday blues dovuto al mio compleanno sono arrivato alla conclusione che è necessario rivedere in maniera piuttosto pesante il mio approccio al minimalismo.

Mi sono reso conto che ho bisogno di spazio libero intorno a me e tutti gli sforzi che ho fatto sino ad ora non sono stati sufficienti, almeno per quello che ritengo essere il mio obiettivo.

La prima domanda cui è necessario rispondere è che cosa io intenda per minimalismo. Personalmente ritengo che minimalismo sia sostanzialmente un sinonimo di libertà. Pochi vincoli con persone e cose che sono strettamente necessarie e che possono potenzialmente condurti ad uno stato di coscienza più profondo.

Facciamo un esempio. I libri. Decisamente parte del concetto. Mi aiutano ad esplorare altri mondi e a creare consapevolezza verso temi che non padroneggio. E questo per non parlare della pura gioia della lettura. In questo senso trovo che il libro digitale mi aiuti. E’ sempre disponibile e non occupa spazio. Un Kindle può contenere centinaia di volumi in pochi grammi.

Un nuovo maglione? Probabilmente non necessario e decisamente contro il concetto che sto cercando di esplorare. Ci sono ancora cose in casa che non metto da anni e che, con ogni probabilità, mai metterò. Dato che non ho necessità di frequentare passerelle che richiedano moda all’ultimo grido ne posso certamente fare a meno. Oltretutto raggiunta la mia veneranda età posso dire, fare ed indossare quello che mi pare senza curarmi del giudizio degli altri.

Di esempi come questi ce ne sarebbero decine. Ognuno con un suo solido razionale.

Ho quindi deciso che entro le vacanze estive devo tirare fuori tutto quello che c’è in casa da armadi, bauli, credenze, stipi e stipetti e decidere se si tratta di una cosa necessaria o meno. Il principio è che se è stata chiusa in un armadio per mesi non è necessaria e quindi me ne devo disfare. Nessuna pietà. Nessun pensiero del tipo: “Sì ma un giorno potrebbe servirmi.”. Alla fine non ti serve mai, e quando ti serve sicuramente non la trovi.

Voglio disfarmi della maggior numero possibile di cose possibile e fare spazio, fisico e mentale.

Venderò, regalerò o donerò.

Lo stesso vale per i miei diversi abbonamenti digitali. Oramai sono comunque pochi ma farò una grande selezione per ridurli ancora di più.

In questo momento sento il bisogno di arrivare diritto all’essenza delle cose. Senza distrazioni e senza spinte che provengano dall’esterno.

Asseconderò comunque i miei desideri di esplorare cose nuove. Sempre e comunque con l’intenzione di disfarmi di tutto non appena riterrò che la mia curiosità sia stata soddisfatta.

Senza parole

Photo by Jon Tyson on Unsplash

Le notizie come quella della sparatoria nella scuola in Texas sono in grado di mozzarmi il fiato e lasciarmi senza parole.

Del paese che mi ha dato i natali e nel quale vivo si può dire tutto. Possiamo parlare di una classe politica del tutto incapace, della diffusa iniquità, della burocrazia folle ed inutile. La lista sarebbe infinita e potrei scriverne per ore.

Eppure, nonostante tutto, eventi come quello Texano da noi sono molto improbabili.

Quello che mi colpisce è che la soluzione del problema e ben evidente a tutti ma nessuno è in grado di fare in modo che diventi una realtà. E’ una cosa triste, molto triste.

Google Workspace Add On Debug

Photo by Markus Spiske on Unsplash

In questi giorni sto completando il porting di una serie di script Google App Script nella forma di Google Workspace Add On.

Di per sé non è una cosa molto complicata sebbene ci siano un paio di comportamenti che è necessario gestire in maniera diversa rispetto agli script originali.

Ad alto livello l’architettura dell’Add On è la seguente:

  • E’ possibile installare l’Add On solo da coloro che appartengono alla nostra organizzazione. Questa è una cosa semplice perché Google Marketplace ti permette di farlo senza passare dalla approvazione da parte di Google dell’Add On.
  • L’Add On funziona solo ed esclusivamente quando lavora all’interno di un Google Sheets dalla struttura ben definita. Di fatto l’Add On è scritto proprio per automatizzare alcune funzioni proprie di quella tipologia di spreadsheets ed in seguito conversare con Salesforce tramite delle REST API.

Da questo si deduce che l’Add On recupera delle informazioni presenti all’interno dello spreadsheet, le manipola e poi le deposita in altre sezioni dello spreadsheet o sulla piattaforma Salesforce. Niente di magico.

Per lo sviluppo vero e proprio si utilizza l’editor di Google App Script. Se il progetto è piccolo questo editor è sufficiente. Nel caso di progetti più ampi l’editor comincia a mostrare dei limiti e si devono trovare delle alternative più efficaci.

In questo caso ci viene in aiuto Google clasp (https://github.com/google/clasp) che è una utility che ci permette di duplicare sul nostro personal computer un progetto Google App Script per poterci lavorare localmente.

A questo punto è possibile utilizzare un qualsiasi IDE congiuntamente a clasp per lavorare in maniera più efficiente.

Io personalmente uso Visual Studio Code che è aperto sulla directory che ospita il codice e, contemporaneamente, uso il comando “clasp push -w” in una finestra del terminale sempre su Visual Studio Code. Ogni volta che salvo un file sul mio computer questo viene automaticamente modificato su Google Script ed è subito pronto per essere testato.

Dato che l’Add On funziona solo su un documento Google Sheets è necessario che questo foglio sia aperto per potere testare il proprio Add On. Questo implica che di base non è possibile testare l’Add On direttamente dall’editor di Google App Script. Questo è un vero peccato perché il debugger dell’editor non è nemmeno male.

Esiste però una alternativa, sebbene macchinosa.

L’Add On può essere in grado di capire se viene eseguito all’interno dell’editor o da uno spreadsheet. Se l’Add On viene eseguito all’interno di uno spreadsheet il flusso è quello normale. Se l’Add On viene eseguito all’interno dell’Editor si evitano tutte le interazioni con l’utente, ovviamente prendendo delle decisioni a priori rispetto al comportamento desiderato, e si usa uno spreadsheet di riferimento per il debug.

Dato che ci ho messo qualche tempo a capire in che modo discernere se l’Add On era in esecuzione su uno spreadsheet o sull’editor vi riporto la funzione che verifica questa cosa.

function uiCheck() {

    const scriptId = ScriptApp.getScriptId();

    const url = "https://script.googleapis.com/v1/processes?pageSize=1&userProcessFilter.scriptId=" + scriptId;

const res = UrlFetchApp.fetch(url, {
    headers: { authorization: "Bearer " + ScriptApp.getOAuthToken() }, });

const obj = JSON.parse(res.getContentText());

return obj.processes[0].processType;
}

La funzione ritorna null se l’Add On è in esecuzione in uno spreadsheet o ritorna ‘Editor’ se in esecuzione dall’editor.

In questo modo è possibile usare il debugger del Google Script Editor in maniera abbastanza semplice.

Avendo il codice sul proprio personal computer, ed avendo la capacità di discernere l’ambiente di lavoro, è possibile usare in maniera efficace degli strumenti di Unit Testing sul codice locale. Anche questo è un pochino macchinoso, ma funziona (benino).

Non è proprio una passeggiata di salute ma funzionicchia.

Ovviamente è sempre possibile scrivere dei log degni di questo nome per effettuare un debug un pochino agricolo se non si ha voglia di sbattersi con quanto ho descritto poco sopra.

Parole Sparse - Il podcast di Corrente Debole

Getting file data...

Parole Sparse - Il podcast di Corrente Debole         Parole Sparse - Il podcast di Corrente Debole        
Getting file data...           Getting file data...          
More
Speed: 50% Speed: 75% Speed: Normal Speed: 125% Speed: 150% Speed: 175% Speed: Double Speed: Triple
Back 15 seconds
Forward 60 seconds
More
more
    Speed: 50% Speed: 75% Speed: Normal Speed: 125% Speed: 150% Speed: 175% Speed: Double Speed: Triple
    Back 15 seconds
    Forward 60 seconds
    Currently Playing