Letture da non perdere!

Giorgio Armani Writes Open Letter to WWD

Perché è interessante: Al di là del mercato cui questa lettera è indirizzato, esso contiene degli spunti interessanti in relazione ad un modo nuovo di pensare gli affari.

Dove lo posso leggere?: Giorgio Armani Writes Open Letter to WWD


This Filter Makes Your Photos Invisible to Facial Recognition

Perché è interessante: Perché rende evidente il problema che viene posto da un gesto comune come quello di caricare una nostra fotografia su un qualsiasi piattaforma online e la successiva elaborazione che gli algoritmi posso eseguire su quel dato. Questo articola presenta uno dei primi approcci ad una possibile soluzione.

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Covid-19 e Costituzione

Perché è interessante: Una perfetta disamina del pasticcio che si sta compiendo dal punto di vista istituzionale nei riguardi della Costituzione e della Democrazia Parlamentare. Emergenza sì, ma gestita nel modo corretto dato che gli strumenti ci sono e sarebbero anche efficaci dal punto di vista normativo.

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Coronavirus. Così le norme contro il virus possono rievocare il «dictator»

Perché è interessante: E’ una riflessione doverosa riguardo la relazione tra la nostra Costituzione ed i provvedimenti che vengono presi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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Numeri e comunicazione

Torno ancora sul tema dei numeri relativi al Coronavirus perché, sinceramente, cominciano a girarmi un pochino le scatole rispetto alla comunicazione degli stessi sui media.

Cominciamo da “la Repubblica” ed il suo articolo a valle della conferenza stampa di ieri. Ecco il titolo dell’articolo preso dal loro sito:

Io credo che chiunque leggendo questo titolo possa essere spinto a sentirsi in qualche modo rincuorato. Certo ci sono stati 675 decessi ma il numero dei malati è salito solo di 600 unità. Purtroppo non è così perché leggendo l’articolo si evince che il numero di nuovi contagi è pari a 2972 unità. Un dato molto, molto meno positivo del primo.

Il dato non è sbagliato in sé è l’uso del dato che mi infastidisce. Se nel titolo metti il primo numero, 675, comunichi una cosa, se metti il secondo, 2972, ne comunichi un’altra e di natura peggiore.

Ora andiamo ad osservare altre due fonti di dati provenienti da Google e da Apple che, diciamo, sanno davvero come maneggiare i dati oltre ad avere una fonte assolutamente attendibile, ovvero i telefoni che teniamo in tasca.

Mi sembra abbastanza chiaro che tutta questa gente in giro non c’è e quindi direi che è il caso di finirla con questa continua tirata.

Io credo che la rappresentazione che ci viene fornita sia strumentale.

Qualcosa non torna

Ogni sera leggo gli aggiornamenti sui numeri del Coronavirus. Nuovi contagiati, malati ricoverati in terapia intensiva, guariti e, purtroppo, numero di persone che non ce l’hanno fatta.

Li leggo e qualcosa non mi torna.

La narrativa del #iorestoacasa comincia a scricchiolare. Scricchiola soprattutto se si osservano altri numeri a contorno e sempre ammesso che i numeri che ci vengano dati siano corretti.

La prima cosa che mi rende perplesso è che è vero che le curve cominciano ad abbassarsi ma meno velocemente di quanto ci si aspettasse. Ovviamente non ho idea del perché ma è un dato di fatto. Allo stesso tempo le curve hanno una periodicità altalenante di circa una settimana. Come per tutti i numeri ci deve essere una ragione. Ci sono differenze nella misurazione dei dati in regioni ed in giorni diversi? Evidentemente sì. Un virus non credo vada in vacanza per il fine settimana.

Eppure dobbiamo continuare a rimanere in casa e ci rimaniamo. I dati tutto sommato dicono questo. Nel fine settimana di Pasqua sono stati effettuati 795 mila controlli e di questi solo il 5% è risultato essere in movimento senza giustificazione.

Continuiamo ad inveire contro tutti quelli che violano le regole che, a questo punto, sembrano essere pochi. Forse dobbiamo sempre avere a disposizione qualcuno su cui trasferire le responsabilità.

Mi domando da dove arrivano tutti questi nuovi contagi, sopratutto in Lombardia. O è vero che il numero di contagiati è molto più alto di quello rilevato, il che mi pare abbastanza ovvio, oppure, specialmente in Lombardia, ci si contagia perché c’è maggiore contatto. Quel maggiore contatto non può che provenire da attività produttive. Molto probabile la combinazione di questi due fattori.

Se poi andiamo a guardare le curve di altri paesi pare esserci una grande differenza tra coloro che hanno agito prontamente e coloro che non lo hanno fatto, tipo noi. Vero è che noi siamo stati sostanzialmente la seconda nazione ad affrontare il problema ma rimane comunque il fatto che il nostro grafico è molto diverso da quello di tanti altri.

Insomma ci sono un sacco di numeri che non mi tornano e che mi lasciano perplesso.

Ho dei colleghi straordinari

Abbiamo sempre goduto del lusso di potere assumere solo ed esclusivamente persone di grande talento, sensibilità e cultura. Un beneficio non da poco.

Nonostante questo rimango sempre stupito dalle cose che essi fanno nel loro tempo libero. Abbiamo musicisti, DJ, scrittori, poeti, artisti, fumettisti, startupper, persone socialmente impegnate e chi più ne ha più ne metta. La lista sarebbe lunghissima.

Potrei scrivere cento pagine raccontando delle cose belle ed utili che fanno al di là del loro indiscusso impegno professionale in Sketchin.

Beh, cari colleghi, io volevo solo dirvi che spesso mi sento piuttosto fuori luogo a fare parte delle vostre fila.

Vi stimo davvero molto e sono molto contento di avervi vicino.

E no, nonostante l’età, non sto diventando più buono 😉

Photo credits:

unsplash-logoLance Grandahl

Chi l’avrebbe detto…

Chi l’avrebbe detto che mi sarebbe mancata o mancate:

  • la coda in tangenziale, alla dogana di Como Brogeda ed a Mendrisio.
  • la riunione con un cliente del tutto improbabile all’altro capo di Milano.
  • le strette di mano e gli abbracci.
  • il ristoratore che ti dice “mi dispiace, non ho un tavolo libero per lei”.
  • la coda alle poste per mandare una raccomandata.
  • portare la macchina dal meccanico per fare il tagliando.
  • Le cene improvvise ed improvvisate con i vicini di casa.
  • Il sudore e la fatica dopo dieci chilometri di corsa.
  • la libertà di prendere, uscire di casa e girovagare senza meta.
  • i testimoni di Geova che suonano alla porta alle nove della domenica mattina.
  • la signora che passa l’aspirapolvere mentre sono impegnato in una conversazione telefonica.
  • lasciare una conversazione telefonica con un “ci vediamo presto”.
  • la falciatrice del giardiniere nel giardino condominiale.
  • i turisti a spasso sulle rive del lago.
  • la tintoria che in tre giorni ti restituisce le camicie lavate e stirate.
  • quei “possiamo parlare cinque minuti nel tuo ufficio?”
  • sapere che è tutto lì a portata di mano.
  • la tranquilla sicurezza della quotidianità.
  • fare la coda alla cassa di un supermercato senza che le lenti degli occhiali mi si appannassero per via della mascherina.
  • la libertà di salire in auto senza mascherina e senza un modulo per l’autocertificazione.
  • la libertà di starmene spiaggiato sul divano semplicemente perché lo ho scelto io.

Nuova vita per il design

Nella giornata di ieri guardavo una immagine postata su Facebook. L’immagine è questa:

Mi ha fatto molto sorridere. Da un lato è vero che questo momento complesso ha costretto aziende e persone a fare leva su strumenti digitali per potere rimanere in contatto o potere continuare a lavorare senza una presenza fisica in un ufficio.

Dall’altro stiamo solo scalfendo la superficie.

Il digitale in questo momento è una sorta di strumento di primo soccorso. Ci sta aiutando in questa fase di isolamento in modo decisivo e certamente spingerà le azienda ad utilizzare strumenti digitali in maniera molto più spinta per affrontare le sfide del futuro.

Certamente non basta, così come non basta la Digital Tranformation. Ho già scritto in passato di come considero la Digital Transformation una cagata pazzesca (qui). Non ho cambiato idea.

Quello che serve non è la trasformazione digitale. Quello che serve è utilizzare gli strumenti che le varie discipline del design ci mettono a disposizione per progettare il nuovo futuro che ci aspetta.

Questa progettazione non sarà solo digitale. Coinvolgerà certamente gli spazi fisici, gli oggetti di uso comune, le relazioni personali e con i clienti, le relazioni tra ecosistemi diversi. Insomma ogni singolo aspetto della nostra vita.

Fortunatamente per noi il design è estremamente potente e sono assolutamente sicuro che sia in grado di affrontare in maniera efficace questa sfida. Noi che lo pratichiamo da decenni sappiamo bene quanto gli strumenti che ci offre si possano applicare a qualsiasi problema.

Per favore, cominciamo a parlare di trasformazione e usiamo il digitale non come deus ex machina ma come uno dei tanti strumenti che dovremo usare per progettare un futuro sano per tutti.

Innovazione e Service Design

Chi mi conosce sa bene che il termine innovazione mi provoca intense reazioni allergiche. Se ne abusa costantemente e molto spesso i risultati che si ottengono cercando di implementare programmi di innovazione sono ben lungi dall’essere efficaci.

Quando si chiede ad una persona normale di immagine che cosa sia l’innovazione all’interno di una azienda il risultato che si ottiene è qualcosa di molto simile ad un gruppo di scienziati od ingegneri che si arrabattano intorno a costose apparecchiature in asettici laboratori. Tutto sommato credo che sia una cosa abbastanza naturale. L’equazione innovazione = investimenti + persone con grandi capacità è relativamente semplice da immaginare.

Non è sempre così. Un insieme di semplici attività pertinenti al mondo del Service Design possono generare innovazione con costi praticamente nulli e ricevendo contributi da chiunque sia parte di una organizzazione.

Vi faccio un esempio molto semplice.

Quando noi andiamo in ospedale, e soprattutto se a fronte di una emergenza grave, siamo alla ricerca di aiuto. Andando in ospedale ci aspettiamo di ricevere questo aiuto da persone che sono esponenzialmente più competenti di noi. E questo vale per tutto il personale. Infermieri, medici, personale di supporto e così via.

In quel momento critico siamo invasi dalla paura ed insieme alle competenze mediche desideriamo che ci sia qualcuno che ci dia sicurezza e conforto.

Diciamo che tutti questi aspetti sarebbero ben palesi a valle di una (neanche troppo) accurata fase di ricerca con gli utenti, in questo caso i pazienti. Parliamo proprio dell’ABC del Service Design. Nessuna magia, solo buona pratica.

Supponiamo quindi di essere una persona che accusa i primi sintomi del Coronavirus. Nel corso dei giorni i sintomi peggiorano e cominciamo a temere non per la nostra salute ma per la nostra vita. Arriva una ambulanza e da questa scendono delle persone che, giustamente, per proteggersi sono vestiti come degli astronauti. A malapena riusciamo ad intravedere i loro occhi dietro la maschera protettiva di plastica. Nessuna altra parte del loro corpo è visibile.

Arriviamo in ospedale e tutto quello che vediamo intorno sono altri astronauti che si prendono cura dei pazienti. Sono tutti uguali. Assolutamente impersonali.

Se sono tutti uguali sapranno prendersi cura di me e salvarmi la vita?

Credo che sia abbastanza evidente che a paura si aggiunge paura. Non siamo abituati a tutto questo e siamo in pericolo di vita.

Ecco, ora tornate all’inizio di questo post e guardate quella fotografia. Alcuni infermieri, medici e personale hanno apposto sul camice la fotografia del proprio volto, spesso il nome o una frase che personalizza la tenuta da astronauta.

Non sono più tutti uguali, ritornano ad essere persone e questo aiuta certamente i pazienti a sentirsi meglio.

Questa è innovazione. Quella vera.

E questo è il motivo per cui anni fa, in tempi non sospetti, intervenni ad un evento con una presentazione dal titolo: “Creativity Will Save the World “.

Io ci credo ancora.

Compio 0x35 anni!

Ed oggi arriva il mio 0x35simo genetliaco. Ok, sto davvero cercando di addomesticare il numero in modo da minimizzare l’impatto emotivo del numero espresso in decimale. Infatti 0x35 in esadecimale vale 53 in decimale.

Sì, oggi compio 53 anni.

Compleanno strano in questa condizione di quarantena. In realtà il giorno del mio compleanno mi ha sempre disturbato parecchio e ho sempre cercato di farlo passare sotto silenzio. Non mi sembra un giorno particolarmente più interessante rispetto agli altri.

Forse aveva più senso quando i miei genitori erano ancora in vita. Ora è una data che, in fondo, riguarda solo me.

In realtà non ho intenzione di fare nessun bilancio perché credo proprio di non averne bisogno. Continuo a fare progetti e non ne ho mai avuti così tanti come in questo periodo della mia vita. Molti più di quando ero ragazzo.

In genere il giorno del mio compleanno sono sempre di pessimo umore e tendo a stare lontano da tutti. In questa occasione ed in questo contesto così particolare mi sono reso conto che gli auguri che mi arrivano con telefonate, messaggi, social media e altre vie mi sono particolarmente graditi. Noto anche che molti si sono spinti verso contatti più diretti e questo è forse indice di una forma di cambiamento che riguarda un contatto più intimo con le persone. Il cambiamento, ovviamente riguarda anche me e mi ritrovo distaccato dalla versione comune stile Cattivissimo Me.

La natura dei progetti e dei desideri è radicalmente cambiata negli ultimi tre anni. Niente più cose ma esperienze, conoscenze, ricerca del bello e piacere del fare. Attività che siano in grado di arricchire me e chi mi sta intorno.

Tutto il resto sta diventando una grandissimo noia.

Ci sono persone che mi piacerebbe molto risentire. Forse oggi accadrà. Ci sono persone che non mi piacerebbe proprio risentire e, di sicuro, non le sentirò.

La toppa sembra essere peggio del buco

Riprendo il tema dell’obbligo delle mascherine perché più leggo e mi informo e maggiormente mi sembra una cosa insensata.

La prima cosa che ho letto nella giornata di oggi è stato un post del Sindaco di Buccinasco che si è trovato nella condizione di dovere avvisare i cittadini anziani di evitare di recarsi in comune alla ricerca delle mascherine. Evidentemente è accaduto quello che temevo. Le persone si sono messe alla affannosa ricerca delle mascherine e per farlo escono.

Direi che non ci voleva un grande intelletto per prevederlo.

La seconda cosa che leggo è un articolo pubblicato su The Lancet: Stability of SARS-CoV-2 in different environmental conditions

Inutile stare a raccontarvi quanto The Lancet sia considerato autorevole presso la comunità scientifica. Da quando è iniziata questa pandemia ogni paio di giorni mi faccio un giro per vedere se ci sono nuovi articoli interessanti sul tema.

L’articolo che vi ho indicato poco sopra riporta un passaggio interessante:

Strikingly, a detectable level of infectious virus could still be present on the outer layer of a surgical mask on day 7 (∼0·1% of the original inoculum)

Come si poteva immaginare, oltre alla ricerca delle mascherine, è possibile che la stessa mascherina venga riutilizzata più volte proprio in ragione della scarsità delle stesse.

Bene, quell’articolo ci dice che da test di laboratorio si evince che il virus viene rilevato sulla superficie esterna della mascherina anche sette giorni dopo l’inoculazione.

Insomma. L’ordinanza sulle mascherine è stata emanata in fretta e furia senza alcuna considerazione degli impatti possibili.

Al di là dell’articolo è interessante anche il contenuto del Supplementary Material a supporto dello stesso. Ci sono informazioni interessanti sulla vita del virus a diverse temperature e su diverse superfici.

Diventerò ricco!

In questi giorni di quarantena spendo relativamente più tempo online rispetto al passato. La rete è, ed in questo momento ancora di più, la mia finestra sul mondo.

Trovo che sia imbarazzante il proliferare di corsi online che promettono mirabolanti risultati in pochi giorni o settimane. Raramente si sfiora il mese come durata. Non faccio nomi perché tutto sommato mi rimane ancora cucita addosso una certa eleganza. Ogni tanto spendo qualche minuto del mio tempo per approfondire e mi stupisco di come la gente possa cadere in queste che sono delle vere e proprie trappole.

Zero contenuti, zero esperienza di coloro che sono destinati ad erogare i corsi. Proclami eclatanti, sicurezza di facilità nell’apprendimento, promesse di ricchezza.

Ma davvero?

Comprendo perfettamente quale sia il meccanismo psicologico messo in atto. In un momento di difficoltà le difese anti-fregnacce si abbassano ed i tentativi di trovare una soluzione per sbarcare il lunario aumentano.

Detto questo è un male anche per coloro che, al contrario, sono in grado di distribuire contenuti di valori e che si trovano circondati da una marea di mangiafuoco e cioccolatai.

Quello che mi sfugge è come si possa avere il fegato e la faccia tosta di approfittare di un momento di difficoltà per tornaconto personale.

Che affermazione ingenua, non è vero?

In effetti se da un lato il cinismo aumenta con l’età, dall’altro mi scopro spesso un pochino più ingenuo. Sarà la vecchiaia.

Bisognerebbe riflettere

E quindi il governatore, espressione che mi fa sorridere ogni volta che la scrivo, della Lombardia firma una ordinanza secondo la quale per uscire di casa esiste l’obbligo di indossare una mascherina.

L’ordinanza la potete leggere qui e sul tema mascherine recita:

Ogniqualvolta ci si rechi fuori dall’abitazione, vanno adottare tutte le misure precauzionali consentite e adeguate a proteggere sé stesso e gli altri dal contagio, utilizzando la mascherina o, in subordine, qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca, contestualmente ad una puntuale disinfezione delle mani. In ogni attività sociale esterna deve comunque essere mantenuta la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.

Come sempre le parole hanno un peso e qui ce ne sono di interessanti.

“Vanno adottate tutte le misure precauzionali consentite”. Perché c’è quel “consentite”. Esistono per caso delle misure precauzionali non consentite?

“adeguate”. Anche questa parola è interessante. Personalmente faccio moltissima fatica a capire cosa sia adeguato e cosa con in questa situazione. Da cittadino mi aspettare che qualcuno di dica che cosa è adeguato. In caso contrario vado su Internet e comincio a chiedere lo spegnimento di qualsiasi base station 5G.

Devo quindi usare la mascherina che si suppone sia “consentita ed adeguata” ma poi mi metti una virgola e scrivi “o, in subordine, qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca”. Ne deriva che “qualsiasi altro indumento” è consentito ed adeguato. A me sembra un pasticcio.

Cerchiamo però di essere razionali. Se viene fatta questa richiesta ci saranno dei razionali od anche solo delle ipotesi che fanno pensare che questa misura possa essere utile nel contenimento del contagio. Concediamo il beneficio del dubbio e assumiamo che sia vero.

Bene, ora tutti saranno alla frenetica ricerca delle mascherine e quindi mi immagino che per procurarsene si debba muoversi, od attendere che qualcuno te le porti a casa. Purtroppo non si legge nulla su una potenziale disponibilità e distribuzione di questi presidi.

Mi domando se questo non sia di per sé un rischio.

Rimangono quindi solo gli altri indumenti, non meglio specificati.

Anche se le mascherine verrano distribuite ce ne sarà scarsità e le persone tenderanno ad utilizzarle più volte. Non credo serva essere un medico per capire quale perfetta coltura per i batteri sia una mascherina umida utilizzata più volte. Ancora una volta, geniale.

Infine mi domando se quando si costruisce una ordinanza e quando sono presenti quattro pagine di visto, sentito, ritenuto, vagliato non si possa cercare di immaginare quali siano le conseguenza pratiche della stessa.

A me sembra il minimo sindacale. In caso contrario si tratta solo di wishful thinking.

Photo credit:

unsplash-logo🇨🇭 Claudio Schwarz | @purzlbaum

Dai, su.

Mi avvicino a large falde al compimento del mio cinquantatreesimo compleanno. Come era prevedibile lo trascorrerò come tutti gli altri giorni che hanno caratterizzato questa quarantena, tra le mura di casa.

Rifletto su questi giorni trascorsi fisicamente da solo e mi ritrovo a pensare a quello che sta accadendo.

Oramai sono sufficientemente anziano per non credere al fatto che dopo questo momento il contesto in cui viviamo cambierà. Certamente ci troviamo di fronte ad una opportunità ma saremo sicuramente troppo stupidi per approfittarne. Al termine di questo disastro ognuno tornerà alle sue abitudini. Qualcuno, i più fortunati, torneranno alla vita di sempre ed al loro lavoro. I più sfortunati il lavoro lo avranno perso o lo perderanno e questo li getterà dall’altra parte della barricata. Non cambierà nulla in politica e nelle aziende. Passata la festa, gabbato lo santo.

Il vero cambiamento, forse, sarà quello più intimo e personale perché è vero che questo “tempo liberato” costringe a pensare molto più di prima sul proprio essere e sul proprio ecosistema di relazioni. In queste settimane il lavoro non è più il rifugio da una relazione tossica. Non è più il paravento che sostiene la famiglia del Mulino Bianco. Tutti i nodi verranno al pettine e bisognerà farci i conti. Dopo.

Ho impiegato una cinquantina d’anni a raggiungere la migliore versione di me stesso ed ora io sono soddisfatto o, come dicono quelli fighi, risolto. Non per tutti è così ed il lavoro è certamente un grande anestetico da questo punto di vista. I paraventi cadono e si deve fare i conti con la realtà, quella proprio vera, senza filtri.

Ed è un peccato che non si usi questo tempo per farseli questi conti.

Dai, su. Fateci un pensierino. E’ un percorso spesso doloroso ma ne vale veramente la pena.

Poesia ed eleganza

Quello che vedete nella foto qui sopra è Dai Vernon.

A molti di voi questo nome non dirà nulla di particolare. A coloro che si interessano di magia il nome riporta alla memoria la figura di un mito.

Dai Vernon era un mago canadese di grandissimo valore. Alcuni dei suoi effetti sono oramai imprescindibili nel repertorio di ogni mago moderno. Uno per tutti: “Twisting the aces”. Una vera meraviglia di semplicità ed eleganza.

Uno dei più famosi libri di Dai Vernon si intitola revelation. In questo libro Dai commenta, ed estende, il contenuto di un altro libro: “The expert at the card table” di S. W. Erdnase. Anche questo una pietra miliare della cartomagia. In 125 pagine sono condensate un quantità di informazioni pazzesca e di qualità sopraffina.

Il libro “revelation” è una perla. Dalla fattura del libro, la carta, la rilegatura, le fotografie ed i contenuti.

La foto sopra è presa dal libro e mi affascina.

Mi affascina l’eleganza innata di quest’uomo, non più giovane, che rimanda una immagine perfetta. Certamente d’altri tempi ma sempre attuale come solo l’eleganza vera sa essere. Esiste qualche video di Dai Vernon e al di là della eleganza della persona colpisce l’eleganza della esecuzione e la sua apparente semplicità. La sua esecuzione è poesia.

Mi piace questa foto perché Dai Vernon sta guardando un semplice mazzo di carte appoggiato sul tavolo e sul suo volto si dipinge un sorriso. Lui che meglio di tanti altri ha saputo creare cose stupefacenti da 52 pezzi di carta sorride. Mi piace pensare che in quel sorriso ci sia la consapevolezza che dietro quell’insieme di 53 carte ci sia un universo da scoprire e la capacità di stupire ed intrattenere le persone.

Uno strumento semplice in grado di generare emozioni infinite negli spettatori che assistono ad un effetto dopo l’altro.

Certo, la cartomagia non è certo un esercizio che possa salvare il mondo. Potremmo sicuramente definirla come una attività futile, ma se riusciamo ad astrarre i concetti di cui ho parlato poche righe sopra il messaggio diventa più chiaro.

La passione per un argomento, il rispetto assoluto per lo stesso e la ricerca continua della perfezione del gesto e della interpretazione conducono necessariamente all’eleganza ed alla poesia. In ultima analisi alla bellezza che, penso, dovrebbe essere il fine ultimo.

Lo stato della batteria è critico

Parliamo un pochino di progettazione di servizi.

Sono oramai tre settimane che non salgo sulla mia macchina. In questo momento lei riposa tranquilla in garage senza che nessuno se ne prenda cura.

Errore mio, ovviamente. Confesso che nonostante provenga da una stirpe di ingegneri meccanici non ho nessuna idea di come funzioni una autovettura od il suo impianto elettrico.

Ieri, nel mezzo della ennesima conference call, ricevo un SMS da Mercedes Connect che recita: “Lo stato di carica della batteria di avviamento del veicolo AANNNBB è critico.”

Termino la mia call e vado in garage. Provo a fare partire la macchina ma, purtroppo, è completamente morta. Nessun segno di vita. Lo stato della batteria non è critico; lo stato della batteria è che è completamente scarica.

Poco male. Recupero un caricabatterie e rimetto in carica.

Quello che mi lascia perplesso è il messaggio. Visto che i sistemi della vettura monitorano lo stato della batteria, per quale motivo non mi hai inviato un messaggio, che so, quando il livello di carica era al 20%?

E’ molto probabile che non conosca a sufficienza l’architettura dei sistemi di bordo ed in particolare il meccanismo che sta dietro all’invio dei messaggi di alert. Certo che una logica diversa potrebbe aiutare.

Il lavoro non è solo lavoro

In queste settimane credo di avere inanellato una quantità tale di conference call pari, molto probabilmente, a tutte quelle cui avevo partecipato negli ultimi mesi.

Il nostro metodo di Design, ed in ultima analisi, di lavoro ci permette di lavorare in perfetta efficienza anche se siamo dispersi nei quattro angoli del mondo. Sino ad oggi nessuno dei nostri clienti si è lamentato della qualità del nostro lavoro sebbene la modalità di erogazione è cambiata radicalmente. Ovviamente questa è una buona notizia.

Abbiamo scoperto, ma noi lo sapevano già, che lavorare da remoto è possibile e grandemente efficace sebbene richieda una grandissima dose di disciplina. Non tanto disciplina per il lavoro ma, piuttosto, disciplina per il tempo che scandisce il lavoro ed il tempo libero.

Abbiamo anche capito che il lavoro non è costituito semplicemente di una serie di task da condurre a termine. E’ un intreccio molto più complesso di attività ed interazioni. Non solo di lavoro.

Mi sono sempre lamentato del fatto che spesso qualcuno mi si avvicina con la classica domanda “Ale, hai cinque minuti per me?”. Me ne lamento ma riconosco che è una parte fondamentale del mio ruolo. Non credo di avere mai detto di no a queste richieste se non in condizioni di assoluta necessità.

Ecco, in questi giorni mi mancano queste incursioni così come mi manca tutto quel contesto sociale che gravita intorno al lavoro vero e proprio. Due chiacchiere con le persone mentre stanno pranzando nella cucina dell’azienda. Quattro parole davanti alla tazzina del caffè. Il puro cazzeggio quando ce lo possiamo permettere tutti insieme. Le discussioni sulla ultima trovata geek che abbiamo visto su internet.

Ecco cosa manca come parte del lavoro remoto. Mi manca moltissimo e ora ne comprendo ancora di più la funzione ultima all’interno di un ecosistema aziendale.

Di riflesso emerge la componente chiave del clima che si respira all’interno di una azienda. Più questo è tossico più si tenderà a rifugiarsi nel proprio elenco di attività da svolgere compromettendo la propria salute.